DIALOGHI
L’economia e la lotta alle disuguaglianze: ieri a confronto a Chieti il vescovo Bruno Forte e il ministro Tommaso Padoa-Schioppa
Mercato, il riscatto dell’etica
Dal Nostro Inviato A Chieti Eugenio Fatigante *
Si può parlare di «malinconia» ragionando di economia? Può capitare, se i protagonisti del colloquio sono monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, e il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. Il banchiere «prestato» alla politica e il pastore-teologo si sono confrontati ieri, nell’aula magna dell’Università di Chieti, su «Etica, mercato e disuguaglianza». Solo degli spunti iniziali che, a cascata, ne hanno generati altri, dalla globalizzazione all’equità.
Si è sentito così monsignor Forte declinare in concreto la necessaria «deviazione dai nostri sentieri egoistici» parlando di evasione fiscale e di come «anche la Chiesa, come guida morale dei credenti, deve dire più forte che non pagare le tasse è un peccato grave» (e in ciò Forte ha ricalcato quanto detto, un mese fa alla Camera, proprio da Padoa-Schioppa).
E si è sentito pure il ministro, che per qualche ora ha lasciato a Roma i patemi della legge finanziaria (ricordatigli, però, da uno striscione con cui è stato accolto dai giovani universitari), confessare: «Ho diffidenza a coniugare l’etica con altri termini, perché l’etica dovrebbe essere una sola». Un filo comune ha legato però le due riflessioni: quali strade battere per una «rinascita» italiana.
Per superare quello che il vescovo ha indicato come «l’ostacolo primo all’accettazione di qualsiasi decisione: la mancanza di fiducia verso i politici che pare stia crescendo in modo esponenziale». È qui che, partendo dall’analisi del recente libro del ministro (Europa, una pazienza attiva, Rizzoli), entra in gioco la «malinconia»: Padoa-Schioppa ne parla, ha ricordato Forte, come di una condizione esistenziale, legata alle tragedie belliche degli ultimi secoli, che «insinua la disistima di sè» e continua «a tarpare le ali alla coscienza europea».
Ma «la malattia della coscienza europea, come di quella italiana ancor più diffusa, non si cancella con un colpo di spugna», ha affermato il teologo. Serve quell’apertura agli altri che deve tradursi nella «passione per l’equità». Dietro la quale, tuttavia, possono continuare a celarsi gli interessi di sempre, e un rischio grave: «Un Paese diviso - ha sottolineato Forte - non può accettare un cambio culturale che impedisca all’intero sistema di implodere».
Per «ricominciare a pensare, insieme, in grande» occorre allora un insieme di comportamenti riassunti dal vescovo in un decalogo (che pubblichiamo a parte), sul quale sono state raccolte in sala delle firme, a mo’ d’impegno personale. Un’ideale firma è stata apposta anche da Padoa-Schioppa.
Il ministro ha iniziato richiamandosi proprio ai guasti egoistici del passato, quando «è mancata la chiara visione che se oggi si spende più di quanto s’incassi, qualcuno pagherà nel domani». Allo stesso modo ha definito quella delle pensioni una «riforma per i giovani». Tutto ciò ha generato una «carenza di speranza» che va combattuta. Come? In primo luogo, secondo il ministro, tenendo a mente che «ciascuno è membro di molte comunità, dalla famiglia al municipio, alla nazione»; e che «non si possono vivere i valori» sui quali si basa ogni comunità «solo a uno di questi livelli».
È partendo da queste premesse che, secondo l’economista, del mercato basato sullo scambio dei beni si può arrivare a dare una «definizione quasi poetica», come «la dimostrazione concreta dell’interdipendenza degli esseri umani». Non un’entità malefica, dunque, ma «la più fondamentale proposizione economica, elaborata da Adam Smith: l’interazione fra individui che perseguono interessi individuali produce benefici collettivi». È il mercato stesso, insomma, che può combattere le disparità. Ma «il punto fondamentale», per Padoa-Schioppa, è «che tutto questo avviene se il mercato funziona correttamente». E per questo, ha concluso, «la globalizzazione ci inquieta: perché è mercato senza governo». Quel «governo mondiale» di cui c’è sempre più bisogno.
proposta
Un decalogo per l’Italia
1. Fuggi la malinconia, che ti spinge a ripiegarti su di te e sul presente, invece di farti osare qualcosa di nuovo e di bello per tutti
2. Scegli la via della pazienza, sapendo accettare i sacrifici veramente necessari, personali e collettivi, come si fa in ogni famiglia dove il bene di ciascuno è il bene di tutti
3. La tua pazienza sia attiva: non arrenderti agli insuccessi, non accontentarti di ciò che già sei, ma impegnati a rendere la vita più giusta e bella per tutti, con audacia, generosità, intelligenza e creatività
4. Abbi il coraggio di pensare in grande: non essere nostalgico del passato, prigioniero del presente e senza sogni per il futuro, ma cerca di sognare e di fa sognare tutti perché il sogno cominci a diventare realtà
5. Se sei un politico, ama il bene comune più che l’interesse della tua parte e non farti guidare da alcun pregiudizio, ma obbedisci sempre alla verità
6. Se hai responsabilità di governo, a qualunque livello, considera i bisogni dei poveri come loro diritti nei tuoi confronti
7. Se sei giovane, scommetti sul futuro del tuo Paese impegnandoti a dare il meglio di te con tutto il tuo coraggio e la tua intelligenza; se sei adulto, considera ogni spesa per far studiare i giovani come l’investimento più urgente e necessario, che non andrà perduto
8. Guarda al mondo intero come alla casa di tutti: custodisci l’ambiente, accogli lo straniero, impegnati perché siano garantiti i suoi diritti e sia formato ai doveri che reggono la nostra convivenza civile
9. In ogni cosa cerca l’equità: chiedi più sacrifici a chi più ha e offri maggior sostegno a chi ha di meno; difendi sempre i più deboli, se puoi facendoti voce di chi non ha voce
10. Se credi in Dio, affida al Signore con tutto il Tuo cuore il presente e il futuro del paese Italia e la tua vita intera, chiedendoGli che sia spesa il più possibile per il bene di tutti
Bruno Forte
* Avvenire, 11.11.2006
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Salviamo la Costituzione e la Repubblica che è in noi
L’Amore ("Charitas") e la nascita della democrazia dei moderni...
Lettere
la chiesa, la destra e i tributi da pagare
Scrive J.J. Rousseau: "Se lo Stato è fiorente, il cristiano gode della felicità pubblica; se lo Stato deperisce, benedice la mano di Dio che si aggrava sul suo popolo"
Risponde Umberto Galimberti
Mentre leviti e sacerdoti discettano sulla questione se per un cristiano sia peccato o meno evadere le tasse, sulla strada che da Gerusalemme porta a Gerico un uomo assalito dai briganti rischia di morire (Luca 10). Ma al samaritano, popolo di Dio in cammino nella storia, non dovrebbe sfuggire che si ama il prossimo anche concorrendo con le tasse al bene comune. È la "condivisione" il lievito della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Matteo 14). Quando Gesù ha parlato di povertà, non l’ha pensata come valore in sé, ma come condivisione. Ha scritto Arturo Paoli, Piccolo Fratello di Charles de Foucauld: "Condivisione non è beneficenza. La dignità dei poveri si scopre quando essi vi possono ricevere a casa loro". Viceversa un Piccolo Fratello di Silvio Berlusconi, il vicedirettore di Libero Oscar Giannino, ha scritto (10/8/07): "La nostra casa è laddove poniamo il nostro denaro. Pertanto viva Valentino Rossi e viva i paradisi fiscali".
Matteo 25: "Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato...". Una condivisione che sia amputata della dimensione economica e politica, non è piena. Arturo Paoli: "Se io ritengo di amare l’uomo e i miei fratelli in una linea affettiva, ma praticamente nego questo amore nella linea economica, evidentemente ho una personalità schizofrenica. Non posso io amare e politicamente odiare. Perciò più che con i canti, con le preghiere, io lodo Dio se le mie tre linee: l’economica, la politica e l’affettiva sono tutte e tre aperte all’amore; tutta la mia struttura sia veramente regno di Dio, progetto di Gesù". "I care: mi prendo cura" avrebbe aggiunto don Lorenzo Milani. Don Gianni Baget Bozzo invece ritiene che evadere le tasse non è peccato, perché non infrange nessun precetto (La Stampa 2/8/07). D’altra parte mentre don Milani, come Gesù, si è fatto uomo, don Baget Bozzo si è fatto soltanto prete.
Francesco Natarelli - Pescara m.natarelli1@virgilio.it
Tra l’attuale destra italiana e la Chiesa cattolica esiste una santa alleanza che è strutturale e non occasionale, dovuta al fatto che a entrambe manca il concetto di Stato e di bene comune.
E qui non mi riferisco al fatto che il leader della destra italiana è stato sottoposto a giudizio a più riprese e in più occasioni per problemi di evasione fiscale, da cui è uscito ora assolto, ora per prescrizione dei termini, ora perché la sua posizione è stata stralciata per la funzione politico-istituzionale che all’epoca svolgeva, ma al fatto che la destra, per la sua natura conservatrice, tende a difendere i privilegi acquisiti più di quanto non tuteli il principio di solidarietà che dovrebbe promuovere il pagamento dei tributi, in modo che i più svantaggiati possano fruire di qualche aiuto. Inoltre è nel codice genetico della destra la difesa dell’individuo e della sua libertà che, come recita la "Magna Charta" promulgata nel 1215 in Inghilterra, è da intendersi come "libertas a lege", libertà dalla legge, quindi difesa dai privilegi.
La Chiesa cattolica, dal canto suo, condivide con la destra il primato dell’individuo rispetto alla comunità, perché la salvezza dell’anima è individuale. Ed essendo questa salvezza la cosa più importante, la Chiesa ha sempre concepito lo Stato non come l’istituzione preposta al "bene comune", ma come l’organismo che ha per suo compito la "limitazione del male", ossia la rimozione degli ostacoli che si frappongono al conseguimento della salvezza individuale. In questo modo la Chiesa ha separato l’individuo dalla società, e quindi l’etica (che è rimasta individuale) dalla politica comunitaria, pensata come un luogo a cui l’individuo può prendere parte, ma non come il luogo della sua autorealizzazione. La destinazione ultraterrena dell’uomo e la conseguente limitazione della sfera di influenza dello Stato risulta evidente dal confronto tra la mentalità greca che non separa l’individuo dalla società e la mentalità cristiana che questa separazione effettua di fatto e di principio.
Scrive Aristotele: "Le stesse cose sono le migliori e per l’individuo e per la comunità e sono queste che il legislatore deve infondere nell’animo degli uomini. Gli uomini, infatti, hanno lo stesso fine sia collettivamente sia individualmente, e la stessa meta appartiene di necessità all’uomo migliore e alla costituzione migliore" (Politica). Al contrario Sant’Agostino scrive: "Due sono le città: l’una è formata dagli uomini che vogliono vivere secondo la carne, l’altra da quelli che vogliono vivere secondo lo spirito. [...] La vera giustizia è solo in quello Stato, se pure si può chiamare così, fondato e retto da Cristo" (De civitate Dei). Partendo da queste premesse Rousseau non può che concludere dicendo: "Il Cristianesimo, lungi dall’affezionare il cuore dei cittadini allo Stato, li distacca come da tutte le altre cose terrene. Non conosco nulla di più contrario allo spirito sociale. Il Cristianesimo infatti è una religione tutta spirituale, occupata unicamente dalle cose del cielo. Per cui se il cristiano fa il suo dovere, lo fa con assoluta indifferenza in ordine al fatto che tutto vada bene o male quaggiù" (Contratto sociale).
A questo punto a me pare del tutto evidente che per l’attuale destra italiana e la Chiesa cattolica l’evasione fiscale non costituisca un problema né di fatto, né di principio. I principi che regolano la loro santa alleanza non impongono in proposito alcun dovere.
* la Repubblica/D, 06.10.2007.
Politica - Il dibattito sugli sconti fiscali al Vaticano La doppia identità del Vaticano
di Rosario Amico Roxas *
La volontà di confondere le idee e creare confusione domina sovrana il panorama delle opinioni; tutto ciò serve solo ai mestatori che profittano sempre delle situazioni di incertezza per imporre le proprie opinioni. Il riferimento attuale riguarda la richiesta di chiarimenti da parte della UE circa i rapporti tra lo Stato italiano e il Vaticano, con particolare riferimento ai privilegi che lo Stato italiano concede attraverso sgravi fiscali, esenzioni, favoritismi.
Ovviamente di ciò profittano i nuovi difensori del Vaticano spinti dalla speranza di cogliere al volo l’occasione di carpire i consensi dei cattolici, indignati per quello che viene presentato come un attacco alla Chiesa. Necessita mettere in chiaro che il Vaticano esercita un doppio ruolo, né si riesce a capire quale dei due abbia il primato. Il ruolo istituzionale sarebbe quello confessionale, religioso, di sostegno alle opere caritatevoli e assistenziali, ma c’è il secondo ruolo che incombe, ed è quello burocratico di uno Stato assoluto, continuatore di un assolutismo vecchio e superato che l’avvento delle democrazie, nelle varie forme ed espressioni, ha ridotto al rango di reperto di archeologia politica.
Lo Stato Città del Vaticano miscela in un unico calderone il suo duplice aspetto, secondo la convenienza e l’opportunità della situazione, trasferendo gli aspetti che coinvolgono l’identità statale in quella confessionale, senza distinzione di ruoli.
L’UE chiede chiarimenti circa i privilegi che lo Stato italiano concede allo Stato Città del Vaticano, che si ritrova, così, in condizione di vantaggio nei confronti di altri concorrenti nei medesimi interessi. Il patrimonio immobiliare dello Stato Città del Vaticano è fra i più consistenti del pianeta, ma viene presentato come una riserva economica per favorire le opere assistenziali. Falso.
Gli immobili vengono ceduti in affitto a prezzi di mercato, senza sconti o occhi di riguardo anche per i casi in cui la Chiesa dovrebbe manifestare maggiore sensibilità.
Si tratta di un patrimonio in costante crescita in quanto i proventi vengono ulteriormente investiti in successive operazioni immobiliari; le eccedenze vanno a finire presso l’Istituto per le Opere Religiose, meglio noto come IOR, una vera e propria banca che opera nel circuito dell’alta finanza, e non sempre con la chiarezze e la trasparenze che il nome originario imporrebbe.
Tutto ciò mi ricorda lo scandalo del burro che travolse il Vaticano negli anni 60, quando ingenti quantitativi di burro attraversavano le frontiere dai paesi produttori verso l’Italia, dirette a un non meglio identificato “Istituto per gli Italiani all’estero e ai popoli infedeli”, che avrebbe avuto, in Italia, tutta una serie di asili nido, dove i bambini sarebbe stati nutriti esclusivamente a base di burro; in realtà all’indirizzo dei vari asili corrispondevano le aziende dolciarie che utilizzavano il burro esentato dalle tasse doganali in quanto “destinato ad opere di beneficenza”, il tutto con la connivenza vaticana che lucrava sulle eccedenze.
Me ne occupai personalmente con un lungo e documentato articolo (Dacci oggi il nostro burro quotidiano) pubblicato su una rivista a carattere universitario “Nuove Dimensioni”, che allora provocò lo scombussolamento di tali operazioni. La storia si ripete: il patrimonio dello Stato Città del Vaticano viene gabellato come riserva economica per le opere assistenziali, pretendendo e ottenendo il trattamento fiscale riservato a tali opere; la realtà è ben diversa, si tratta di operazioni economiche mirate ad incrementare il medesimo patrimonio, a mantenere la burocrazia di uno Stato autonomo e indipendente, nel quale l’aspetto confessionale esercita un ruolo marginale, essendo trattato, prevalentemente, da oscuri personaggi che dedicano la loro vita ad alleviare le sofferenze altrui, senza alcun intervento da parte di quello Stato Città del Vaticano, che per tali opere gode dei tanti privilegi, dei quali, adesso, l’UE chiede spiegazioni.
Non è un “attacco alla Chiesa”, bensì una richiesta legittima di esaurienti motivazioni, circa i privilegi accordati allo Stato Città del Vaticano, che deve, finalmente, decidere la sua definitiva identità.
Rosario Amico Roxas
"lettere dal palazzo"
Date a Cesare.........
di Lidia Menapace
26 agosto 2007 *
Dopo una tiratina d’orecchi ricevuta da Prodi sul dovere di pagare le tasse poco raccomandata dalla Chiesa e addirittura sul passo di san Paolo, che chiede soggezione ai dirigenti politici perfino se un po’ "lazzaroni" (traduce felicemente Prodi il testo che dice "discoli") e si riferisce ai dirigenti uno stato invasore ed imperialista come era Roma in Palestina allora: in un’occasione solenne del meeting di Rimini Comunione e Liberazione, e da parte di un personaggio illustrissimo, cioè il cardinale segretario di stato, la Chiesa dice che bisogna pagare le tasse giuste, per fare il bene dei poveri. Nobile suggerimento che Prodi giustamente incassa.
Ma, a voler essere rigorosi, è un suggerimento rivolto alla struttura di gestione, piuttosto che una definizione generale di principio come è contenuta nel noto passo detto del "tributo della moneta". Che sostiene esplicitamente di esistere"ciò che è di Cesare" (cioè appartiene senza ulteriori determinazioni allo stato) e "ciò che è di Dio". Senza voler entrare ora nelle attribuzioni di confini, esame di materie miste e lotta per le investiture che già afflisse i nostri anni giovanili a scuola, sembra comunque chiaro che si fa riferimento esplicito ad una positività in sé, che è lo stato. E non si tratta di una astrazione filosofica, né di una forma arcaica e tribale, bensì dello stato romano già ben sviluppato, con un sistema giuridico ed una struttura fiscale ben nota: Matteo evangelista di mestiere faceva il gabelliere, cioè il raccoglitore di tasse per conto dello stato.
La teoria della positività dello stato è sviluppata soprattutto da Tommaso, il quale definisce lo stato, come la chiesa, "societas perfecta", cioè una istituzione che ha dei fini e tutti i mezzi per adempierli. Qual è dunque il fine dello stato?Non la beneficenza, bensì il "bene comune" fatto di adeguamenti e soddisfacimenti differenziati tra ceti e soggetti, non una semplice sommatoria di tutti i beni desiderati da ciascuno. Il fisco è lo strumento principale perché lo stato possa adempiere il proprio fine principale e non tocca ad altri decidere se esso è eseguito in modo soddisfacente o no, se non ai cittadini di quello stato, nelle forme stabilite storicamente.
Agostino ha una idea meno positiva dello stato e lo considera solo pallido rispecchiamento della Città di Dio, platonicamente, e - come sempre - è molto più reazionario di Tommaso, essendo molto pessimista. Si sa che Benedetto XVI è filoagostiniano, ma ciò è solo una notizia sulle sue preferenze culturali: in ordine alla forma dello stato, non è né dogma né dottrina prevalente della Chiesa cattolica. Se lo stato è dunque il titolare della definizione e realizzazione di bene comune, lo si vedrà da un sistema fiscale via via più giusto, capace di soddisfare via via più diritti per più persone, fino allo stato sociale, la forma di stato che vede i bisogni diventare diritti e da soddisfare universalmente attraverso il sistema fiscale.
O no? Siamo dunque ancora alla beneficenza, cioè per la storia italiana al 1880? Anche in quel caso però c’era già stata Porta Pia e lo stato italiano poteva decidere quale beneficenza pubblica fare. A Paolo Cento che rimprovera la curia di fruire di molte esenzioni fiscali, questa piccata replica di applicare solo il Concordato. Vero: ma nulla vieterebbe che in un momento difficile della storia italiana, la chiesa rinunciasse dalla sua parte a qualche pingue esenzione.
Ahi Costantin di quanto mal fu madre
di EUGENIO SCALFARI *
Tra le tante questioni che affliggono il nostro paese, insolute da molti anni e alcune risalenti addirittura alla fondazione dello Stato unitario, c’è anche quella cattolica. Probabilmente la più difficile da risolvere. Personalmente penso anzi che resterà per lungo tempo aperta, almeno per l’arco di anni che riguardano le tre o quattro generazioni a venire. Roma e l’Italia sono luoghi di residenza millenaria della Sede apostolica e perciò si trovano in una situazione anomala rispetto a tutte le altre democrazie occidentali. Se guardiamo agli spazi mediatici che la Santa Sede, il Papa, la Conferenza episcopale hanno nelle televisioni e nei giornali ci rendiamo conto a prima vista che niente di simile accade in Francia, in Germania, in Gran Bretagna, in Olanda, in Scandinavia e neppure nelle cattolicissime Spagna e Portogallo per non parlare degli Usa, del Canada e dell’America Latina dove pure la popolazione cattolica ha raggiunto il livello di maggiore densità.
Da noi le reti ammiraglie di Rai e di Mediaset trasmettono sistematicamente ogni intervento del Papa e dei Vescovi. L’"Angelus" è un appuntamento fisso. Le iniziative e le dichiarazioni dei cattolici politicamente impegnati ingombrano i giornali, il presidente della Repubblica, appena nominato, sente il bisogno di inviare un messaggio di "presentazione" al Pontefice, cui segue a breve distanza la visita ufficiale. Tutto ciò va evidentemente al di là d’una normale regola di rispetto e dipende dal fatto che in Italia il Vaticano è una potenza politica oltre che religiosa. Ciò spiega anche la dimensione dei finanziamenti e dei privilegi fiscali dei quali gode il Vaticano, la Santa Sede e gli enti ecclesiastici; anche questi senza riscontro alcuno negli altri paesi.
Infine il rapporto di magistero che la gerarchia ecclesiastica esercita sulle istituzioni ovunque vi sia una rappresentanza di cattolici militanti e la funzione di guida politica che di fatto orienta i partiti di ispirazione cattolica e quindi cospicui settori del Parlamento.
La questione cattolica è dunque quella che spiega più d’ogni altra la diversità italiana. Spiega perché noi non saremo mai un "paese normale". Perché una parte rilevante dell’opinione pubblica, della classe politica, dei mezzi di comunicazione, delle stesse istituzioni rappresentative, sono etero-diretti, fanno capo cioè e sono profondamente influenzati da un potere "altro". Quello è il vero potere forte che perdura anche in tempi in cui la secolarizzazione dei costumi ha ridotto i cattolici praticanti ad una minoranza. "Ahi Costantin, di quanto mal fu madre...".
La questione cattolica ha attraversato varie fasi che non è questa la sede per ripercorrere. Basti dire che si sono alternate fasi di latenza durante le quali sembrava sopita, e di vivace ed aspra riacutizzazione.
Il mezzo secolo della Prima Repubblica, politicamente dominato dalla Democrazia cristiana, fu paradossalmente una fase di latenza. La maggioranza era etero-diretta dal Vaticano e dagli Stati Uniti, il Pci era etero-diretto dall’Unione Sovietica. Entrambi i protagonisti accettavano questo stato di cose, insultandosi sulle piazze e dai pulpiti, ma assicurando, ciascuno per la sua parte, un sostanziale equilibrio. Quando qualcuno sgarrava, veniva prontamente corretto.
Ma la fase attuale non è affatto tranquilla, la questione cattolica si è riacutizzata per varie ragioni, la prima delle quali è l’emergere sulla scena politica dei temi bioetici con tutto ciò che comportano.
La seconda ragione deriva dalla linea assunta da Benedetto XVI che ritiene di spingere il più avanti possibile le forme di protettorato politico-religioso che il Vaticano esercita in Italia, per farne la base di una "reconquista" in altri paesi a cominciare dalla Spagna, dal Portogallo, dalla Baviera, dall’Austria e da alcuni paesi cattolici dell’America meridionale. Le capacità finanziarie dell’episcopato italiano forniscono munizioni non trascurabili per sostenere questo disegno che ha come obiettivo l’esportazione del modello italiano laddove ne esistano le condizioni di partenza.
A fronte di quest’offensiva le "difese laiche" appaiono deboli e soprattutto scoordinate. Si va da forme d’intransigenza che sfiorano l’anticlericalismo ad aperture dialoganti ma a volte eccessivamente permissive verso i diritti accampati dalla "gerarchia". Infine permane il sostanziale disinteresse della sinistra radicale, che conserva verso il laicismo l’antica diffidenza di togliattiana memoria.
Si direbbe che il solo dato positivo, dal punto di vista laico, sia una più acuta sensibilità autonomistica che ha conquistato una parte dei cattolici impegnati nel centrosinistra. Ma si tratta di autonomia a corrente variabile, oggi rimesso in discussione dalla nascita del Partito democratico e dai vari posizionamenti che essa comporta per i cattolici che ne fanno parte. Con un’avvertenza di non trascurabile peso: secondo recenti sondaggi nell’ultimo decennio i cattolici schierati nel centrosinistra sarebbero discesi dal 42 al 26 per cento. Fenomeno spiegabile poiché gran parte dell’elettorato ex Dc si trasferì fin dal 1994 su Forza Italia; ma che certamente negli ultimi tempi ha accelerato la sua tendenza.
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Un fenomeno degno di interesse è quello del recente associazionismo delle famiglie. Non nuovo, ma fortemente rilanciato e unificato dal "forum" che scelse come organizzatore politico e portavoce Savino Pezzotta, da poco reduce dalla lunga leadership della Cisl e riportato alla ribalta nazionale dal "Family Day" che promosse qualche mese fa in piazza San Giovanni il raduno delle famiglie cattoliche.
Da allora Pezzotta sta lavorando per trasformare il "forum" in un movimento politico. "Non un partito" ha precisato in una recente intervista "ma un quasi-partito; insomma un movimento autonomo che potrà eventualmente appoggiare qualche partito di ispirazione cristiana che si batta per realizzare gli obiettivi delle famiglie. Sia nei valori che sono ad esse intrinseci sia per i concreti sostegni necessari a realizzare quei valori".
L’obiettivo è ambizioso e fa gola ai partiti di impronta cattolica, ma Pezzotta amministra con molta prudenza la sigla di cui è diventato titolare. Dico sigla perché al momento non sappiamo quale sia la sua realtà organizzativa e la sua effettiva spendibilità politica.
Sembra difficile che il nascituro movimento delle famiglie possa praticare una sorta di collateralismo rispetto ai settori cattolici militanti nel Partito democratico: la piazza di San Giovanni non sembrava molto riformista, le voci che l’hanno interpretata battevano soprattutto su rivendicazioni economiche ma non basterà riconoscergliele per acquistarne il consenso e il voto. A torto o a ragione le famiglie e le sigle che le rappresentano ritengono che quanto chiedono sia loro dovuto. Il voto elettorale è un’altra cosa e non sarà Pezzotta a guidarlo. Ancor meno i vari Bindi, Binetti, Bobba nelle loro differenze. Voteranno come a loro piacerà, seguendo altre motivazioni e inclinazioni, influenzate soprattutto dai luoghi in cui vivono e dai ceti sociali e professionali ai quali appartengono.
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Un elemento decisivo della questione cattolica e dell’anomalia che essa rappresenta è costituito dalla dimensione degli interessi economici della Santa Sede e degli enti ecclesiastici, del loro "status" giuridico e addirittura costituzionale (il Trattato del Laterano è stato recepito in blocco con l’articolo 7 della nostra Costituzione) e dei privilegi fiscali, sovvenzioni, immunità che fanno nel loro insieme un sistema di fatto inattaccabile. Basti pensare che la Santa Sede rappresenta il vertice di un’organizzazione religiosa mondiale e fruisce ovviamente d’un insediamento altrettanto mondiale attraverso la presenza dei Vescovi, delle parrocchie, degli Ordini religiosi, delle Missioni. Ma, intrecciata ad essa c’è uno Stato - sia pure in miniatura - che gode d’un tipo di immunità e di poteri propri di uno Stato e quindi di una soggettività diplomatica gestita attraverso i "nunzi" regolarmente accreditati presso tutti gli altri Stati e presso le organizzazioni internazionali.
Questa doppia elica non esiste in nessun’altra delle Chiese cristiane ed è la conseguenza della struttura piramidale di quella cattolica e della base territoriale da cui trasse origine lo Stato vaticano e il potere temporale dei Papi. Non scomoderemo Machiavelli e Guicciardini, Paolo Sarpi e Pietro Giannone per ricordare quali problemi ha sempre creato il potere temporale nella storia della nazione italiana, nell’impossibilità di realizzare l’unità nazionale quando gli altri paesi europei avevano già da secoli raggiunto la loro ed infine lo scarso senso dello Stato che gli italiani hanno avuto da sempre e continuano abbondantemente a dimostrare. Sarebbe storicamente scorretto attribuire unicamente al potere temporale dei Papi questo deficit di maturità civile degli italiani, ma certo esso ne costituisce uno dei principali elementi.
Purtroppo il temporalismo è una tentazione sempre risorgente all’interno della Chiesa; sotto forme diverse assistiamo oggi ad un tentativo di resuscitarlo che si esprime attraverso la presenza politica diretta dell’episcopato nelle materie "sensibili" il cui ventaglio si sta progressivamente ampliando.
Negli scorsi giorni l’atmosfera si è ulteriormente riscaldata a causa di una frase di Prodi che esortava i sacerdoti a sostenere la campagna del governo contro le evasioni fiscali e lamentava lo scarso contributo della Chiesa ad un tema così rilevante.
Credo che Prodi, da buon cattolico, abbia pronunciato quella frase in perfetta buonafede ma, mi permetto di dire, con una dose di sprovveduta ingenuità. Lo Stato non rappresenta un tema importante per i sacerdoti e per la Chiesa. Ancorché i preti e i Vescovi siano cittadini italiani a tutti gli effetti e con tutti i diritti e i doveri dei cittadini italiani, essi sentono di far parte di quel sistema politico-religioso che a causa della sua struttura è totalizzante. La cittadinanza diventa così un fatto marginale e puramente anagrafico; salvo eccezioni individuali, il clero si sente e di fatto risulta una comunità extraterritoriale. Pensare che una delle preoccupazioni di una siffatta comunità sia quella di esortare gli italiani a pagare le tasse è un pensiero peregrino. Li esorta - questo sì - a mettere la barra nella casella che destina l’otto per mille del reddito alla Chiesa. Un miliardo di euro ha fruttato all’episcopato italiano quell’otto per mille nel 2006. Ma esso, come sappiamo, è solo una parte del sostegno dello Stato alla gerarchia, alle diocesi, alle scuole, alle opere di assistenza.
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Come si vede la pressione cattolica sullo Stato "laico" italiano è crescente, si vale di molti mezzi, si manifesta in una pluralità di modi assai difficili da controllare e da arginare.
Le difese laiche - si è già detto - sono deboli e poco efficaci: affidate a posizioni individuali o di gruppi minoritari ed elitari contro i quali si ergono "lobbies" agguerrite e perfettamente coordinate da una strategia pensata altrove e capillarmente ramificata. Quanto al grosso dell’opinione pubblica, essa è sostanzialmente indifferente. La questione cattolica non fa parte delle sue priorità. La gente ne ha altre, di priorità. È genericamente religiosa per tradizione battesimale; la grande maggioranza non pratica o pratica distrattamente; i precetti morali della predicazione vengono seguiti se non entrano in conflitto con i propri interessi e con la propria "felicità". In quel caso vengono deposti senza traumi particolari.
Perciò sperare che la democrazia possa diventare l’"habitus" degli italiani è arduo. Gli italiani non sono cristiani, sono cattolici anche se irreligiosi. Questo fa la differenza.
* la Repubblica, 5 agosto 2007
La democrazia è che i generali vanno a casa
di Raniero La Valle
Riceviamo da Enrico Peyretti questo articolo di Raniero La Valle della rubrica “Resistenza e pace” che uscirà su Rocca (rocca@cittadella.org ) del 15.06.07 *
Resistenza e pace
Si può salvare la Repubblica? Le istituzioni tengono, ma lo spirito è debole. Ciò che è accaduto con la vicenda Visco-Speciale e con la fallita “spallata” al governo Prodi, ha fatto accendere un segnale di allarme rosso. Altre volte la Repubblica è stata in pericolo, per Servizi deviati, generali golpisti, stragi di Stato, oscuri giochi delle parti tra Brigate Rosse e ceti politici antimorotei; abbiamo avuto perfino un capo dei contrabbandieri al comando della Guardia di Finanza e un vertice della magistratura ridotto a un porto delle nebbie; ma il gioco politico che si svolgeva alla luce del sole era formalmente corretto, la cultura democratica era fuori discussione, l’opposizione rispettava le regole e la coscienza pubblica era sana. È grazie a ciò che delle grandi emergenze democratiche sono state superate con relativa facilità, e di alcune si è perso perfino il ricordo.
Ma ora è la politica stessa, nelle sue espressioni quotidiane e pubbliche, che si è trasformata in un gioco al massacro; le rappresentazioni serali del confronto politico traboccano di odio, sete di vendetta, disprezzo per l’avversario; un distinto signore come l’ex democristiano D’Onofrio tratta beffardamente il ministro Padoa Schioppa in Senato come un minorato psichico, come un ignorante della Costituzione e come un intruso al palazzo. La percezione che lo schieramento battuto alle elezioni ha del governo legittimo del Paese, è che si tratti di una banda di usurpatori; il loro imperdonabile delitto, ogni momento additato alla esecrazione degli “Italiani”, è che, approfittando di un attimo di distrazione di Berlusconi o di qualcuno dei suoi elettori ed alleati, essi abbiano rubato il potere all’unica parte politica sana del Paese, designata a governarlo per diritto divino; e poiché per meglio gestire il potere destra e sinistra hanno creato un sistema in cui il conflitto politico non si può più dirimere attraverso le procedure parlamentari e il Parlamento non è più il luogo dove si formano e cadono i governi, l’unico assillo dell’opposizione, l’unico suo discorso politico, l’unico suo contributo al dibattito pubblico è del come si possa abbattere il governo a spallate, come lanciargli contro veleni e dossiers, come mobilitare la piazza e inventarsi scioperi fiscali e insomma come ristabilire, con le buone o con le cattive, la normalità di un governo della destra.
In quest’ultima occasione, l’uso di una testa d’ariete come il comandante della Guardia di Finanza contro l’esecutivo e in particolare contro il titolare della lotta all’evasione fiscale, è stato francamente eversivo. Se il ministro Padoa Schioppa non avesse finalmente rivelato quale era il punto politico della contesa, il governo non avrebbe meritato di sopravvivere, per questa sua incapacità di motivare e far capire perfino le cose buone che fa. E il punto politico era che la separazione dei poteri riguarda solo l’esecutivo, il legislativo e il giudiziario, e che non esistono altri poteri o corpi separati che possano rivendicare una loro autonomia, e tanto meno le Forze Armate che sono tenute per legge a conformarsi ai principi democratici della Repubblica; e che se esiste un conflitto tra un generale e il governo, o va via il generale o va via il governo; ma se va via il governo non siamo più in Italia e in Europa, bensì in una “repubblica delle banane”.
Ora il vero problema è come mettere in sicurezza la Repubblica, come evitare che attentati e rischi di questo genere possano ripetersi. È inutile fare appello a un ammorbidimento del clima politico, al senso dello Stato dei protagonisti e almeno all’educazione degli eletti (si fa per dire) ai seggi parlamentari.
La salvezza delle istituzioni non può dipendere dal ravvedimento dei singoli. Occorre reintrodurre delle garanzie oggettive: una governabilità che non significhi l’inamovibilità dell’esecutivo per l’intera legislatura, un Parlamento che riacquisti il suo ruolo come fonte e limite del potere di governo, un’opposizione che sia vincolata all’obbedienza alle leggi della democrazia e al rispetto delle persone (la immunità dei parlamentari riguardo alle opinioni espresse nell’esercizio del mandato non può estendersi alla licenza di insulto e di annientamento simbolico dell’avversario), una legge elettorale che produca una vera rappresentanza e che non trasformi una minoranza in maggioranza schiacciante, una regola del gioco che non costringa i partiti ad alleanze innaturali con forze dall’opposto sentire politico, una ripresa di autorità e dignità della politica che faccia venir meno quel vuoto che oggi è riempito dalla supplenza caricaturale dei media che mettono in scena la politica come spettacolo nell’arena di un set televisivo.
Soprattutto è necessario che il gregarismo di masse cui è stata tolta ogni seria informazione e cultura politica non venga elevato a rango costituzionale mediante l’instaurazione di un presidenzialismo irresponsabile e l’istituzionalizzazione del culto della personalità; e che lo stesso “criterio” del politico cessi di essere la contrapposizione col nemico, e torni ad essere il bene comune e l’interesse generale.
Raniero La Valle
* Il Dialogo, Mercoledì, 13 giugno 2007
Povertà, vite fragili che cercano risposte
di Paola Zanca *
«Bisognerebbe dare alle persone la canna da pesca e non il pesce, ché il pesce te lo peschi da solo». L’analisi più ragionata sul futuro delle politiche di contrasto alla disagio sociale arriva da una delle interviste raccolte nei Centri di ascolto della Caritas per la redazione del suo sesto Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia, una madre, single, residente in Toscana: «C’è la brutta mentalità di dare a tutti un pochino - prosegue - si danno 5 euro a te, 5 a te, non si creano le condizioni per risolvere almeno una situazione, ma se ne tamponano a centinaia». Centinaia di vite fragili, come le hanno chiamate i redattori di Caritas Italiana e Fondazione Zancan, che più che protezione, chiedono mezzi e strumenti per diventare resistenti.
Precarietà del lavoro e delle relazioni sono i due elementi del circolo vizioso che alimenta la spirale della povertà: «L’incertezza del lavoro incentiva l’incertezza dei rapporti affettivi - spiega Domenico Rosati, uno dei redattori del Rapporto - per questo il sostegno alle famiglie non può essere in alternativa a politiche di stabilità occupazionale». Insomma, il messaggio alla politica è chiaro: «Non bisogna limitarsi all’aggiustamento quotidiano delle cose, ma dare una rotta seria al processo di riforme». «L’errore è quello di dare soldi e non servizi - continua Tiziano Vecchiato, sociologo e curatore del dossier - nonostante sia ormai dimostrato che l’impatto di questi trasferimenti monetari nel contrasto alla povertà sia tendente allo zero».
Come icona e metafora delle vite fragili, Caritas e Fondazione Zancan quest’anno hanno scelto i minori. Perché è da loro che passa il riscatto delle disuguaglianze che si continuano a denunciare, ed è da loro che vanno estirpate le prime radici dell’esclusione. In particolare, al centro della ricerca sono state le categorie di bambini e adolescenti particolarmente a rischio: i minori stranieri, quelli affetti da disabilità fisiche o intellettive, e quelli che vengono definiti i «bambini con più famiglie», ovvero i figli del naufragio delle unioni, quello per cui in Italia ogni 4 minuti una coppia si separa.
Insomma, minori a rischio povertà: per gli stranieri la strada verso il disagio passa per il ritardo scolastico che colpisce il 10% dei bambini che frequentano la prima elementare, il 47% degli iscritti alla prima media e il 75% dei frequentanti il primo anno delle superiori. Un dato che ovviamente determina in maniera incisiva la prosecuzione degli studi e che fa sì che il 40% dei minori stranieri che vanno oltre l’obbligo scolastico si orienti verso gli istituti professionali, contro il 19% dei loro compagni di classe italiani.
Ma i problemi della scuola, e il loro ruolo nella creazione di progetti di vita stabili, non riguardano solo una questione di nazionalità, bensì sembrano discriminare anche il futuro di minori disabili, che pagano anche il prezzo degli effetti della riforma Moratti: il fenomeno delle supplenze improprie, come viene definito nel Rapporto, fa sì che a causa dell’innalzamento dell’orario di cattedra dei docenti - che prima avevano invece un monte ore destinato ad eventuali sostituzioni - in molti casi si ricorra agli insegnanti di sostegno per tappare i buchi delle docenze, interrompendo così il progetto formativo dell’alunno disabile. Lo stesso vale per l’abolizione del tempo pieno che di colpo ha spazzato via innumerevoli possibilità di integrazione anche per chi ha meno occasioni di socialità al di fuori della scuola.
Infine, la fragilità delle reti familiari costringe molte giovani vite a cominciare presto con i salti nel vuoto. Un rilevamento Istat quantifica in oltre 5 milioni i minori che vivono con un solo genitore o con una famiglia nata dalla seconda unione del padre o della madre. È ovvio che il rischio povertà si aggrava nel caso delle famiglie monoparentali e monoreddito, ma anche nel caso dei cosiddetti «bambini con più famiglie» spesso la conflittualità cronica, unita a situazioni di basso livello socioeconomico e di problemi abitativi, determina altrettante possibilità di non poter imparare a pescare.
* www.unita.it, Pubblicato il: 10.11.06 Modificato il: 10.11.06 alle ore 19.59
L’interesse generale
di Barbara Spinelli (La Stampa, 12.11.2006)
NEGLI ultimi articoli che ha scritto su la Repubblica, Eugenio Scalfari si domanda come mai la politica italiana funzioni così male, come mai sia così difficile far riforme che ridiano forza al paese, e va alla sostanza delle cose: quel che manca è la visione d’insieme, il senso di un interesse generale che trascenda i bisogni dei particolari e i diritti da essi accampati. È il motivo per cui quando guardiamo oggi all’Italia abbiamo l’impressione di stare davanti a uno specchio infranto: nei suoi minuscoli frammenti il singolo - gruppo o individuo che sia - guarda se stesso e si compiace di non veder altro che se stesso. Lo specchio è rotto, questa la triste verità, ma il singolo è come avesse dimenticato quel che un grande specchio può mostrare.
Ciascuno si rimira nella scheggia e non pensa ad alcun altro: né al vicino né al lontano, né a chi gli è contemporaneo né a chi nascerà dopo di lui. Dopo di me venga pure il diluvio, dice a se stesso. La morale pubblica diventa oggetto di esecrazione, ed esecrabile è anche chi si dedica alla funzione pubblica. Il particolare giudica ambedue le categorie (morale e funzione pubblica) con un certo pudico fastidio, quasi ne avesse vergogna. Quando ne parla lo fa con parsimonioso distacco, come se l’etica pubblica fosse un affare di cuore: un affare che non deve intorbidire l’asciutta purezza del giudizio.
Scalfari pone una questione essenziale: la più essenziale forse delle questioni contemporanee. In altre parole si chiede se sia possibile, dopo il naufragio delle utopie che promettevano paradisi collettivisti di salvezza, avere ancora un’idea dell’interesse generale e del bene pubblico, o se il mondo che viviamo sia quello dove solo gli interessi particolari hanno visibilità, legittimità e potere. La questione è fondamentale per l’Italia, e Scalfari ricorda le ragioni storiche per cui da noi l’interesse generale è flebile: le frammentazioni dell’epoca dei comuni, il modo in cui si è fatta l’unità nazionale, privilegiando l’annessione a una comune identità. Si potrebbe aggiungere anche la malattia descritta da Leopardi: quello scetticismo ferocemente disilluso, incapace di immaginazione, che impedisce agli italiani di creare una «società stretta».
Ma la questione è essenziale per tutte le democrazie e per l’Europa intera, perché tutte hanno alle spalle quel naufragio delle utopie e tutte sono alle prese con gli effetti che esso ha avuto sul modo di pensare la politica e il governo, i diritti dell’individuo e i suoi doveri.
Ovunque è difficile ricominciare a discutere con serietà di interesse generale, anche se in Italia è difficile in modo specialissimo: nell’agorà, che è la piazza dove i cittadini discutono le loro comuni questioni, è l’idea stessa di questione comune che crea diffidenza, malessere, e chi la propone si isola, inascoltato o frainteso. Quel che seduce le penne e le menti sono le questioni del particolare, le cosiddette questioni-tabù, che il naufragio ha restituito alla vista dopo lungo occultamento. La perniciosa preminenza del pubblico sul privato e sull’individuale, le conseguenze di un interesse generale che soffoca le soggettività e financo le fedi: queste sono le questioni più seducenti. Vengono anche chiamate questioni politicamente scorrette, anche se nel frattempo son diventate le più corrette e correnti, anche tra molti che si dicono riformisti. La cosa veramente più scorretta, soprattutto in Italia, è parlare di interesse generale.
Eppure è di questo che urge parlare, se desideriamo contemplare sullo specchio un paesaggio leggermente più ampio, leggermente meno striminzito e breve della nostra persona. Se vogliamo metter fine alla frammentazione di cui ha parlato ieri il presidente Romano Prodi, quando ha detto: «Il paese è impazzito perché non è più capace di pensare al domani».
Naturalmente non è il paese ad avere tutte le colpe. I principali responsabili sono i politici e la classe dirigente - cioè tutti coloro che esercitano un’influenza sui cittadini anche se non governano - e il paese è piuttosto vittima del loro impazzimento (della frammentazione dello specchio): non si può accusarlo quando preferisce questo o quel partito. Governo e classi dirigenti modellano tuttavia la società civile, quando la influenzano con il proprio esempio, e anche la società ha sue responsabilità ed è soggetta a impazzimenti. Se per natura il popolo fosse incolpevole, i governi dovrebbero sempre decidere misure popolari e mai azzardarne di impopolari. Sicché è da meditare e non da scartare frettolosamente il punto che Prodi solleva quando accenna al paese impazzito e invita a non cercar conforto nelle favole: «È ora che i politici governino anche scontentando: scontentare a volte significa fare il bene di tutti».
Una cosa simile ha detto l’arcivescovo Bruno Forte, venerdì in una conferenza all’università di Chieti, accennando all’evasione fiscale e alla cultura dell’illegalità: se la classe dirigente non ricomincia a «cercare il bene comune più che quello della propria parte», se non rispetta i principi etici nell’ambito pubblico, per forza la società penserà che non pagare le tasse sia legittimo. Invece «è un peccato grave, è rubare!» ha ricordato Bruno Forte, raccontando subito dopo che nel confessionale nessuno mai gli confessa l’evasione. Vuol dire che evadere non è interiorizzato come peccato, dai più. Lo Stato derubato è qualcosa di distante, alieno: non è la personificazione di un superiore patto tra cittadini, che pagano tutti per pagare tutti di meno.
Nei secoli scorsi, è vero, l’interesse generale è stato deturpato. Lo fu sin dal ’700, quando venne teorizzato da Jean-Jacques Rousseau. Hannah Arendt ricorda in alcune limpide pagine come l’idea di una volontà generale, di un corpo unanimistico della nazione, abbia ridotto gli interessi particolari a nemici eversivi del bene pubblico. Quest’ultimo è stato sacralizzato, estromettendo la libertà in nome di una falsa uguaglianza. La volontà generale di Rousseau «sostituisce la vecchia nozione di consenso, esclude ogni processo di scambio di opinioni e ogni eventuale tentativo di conciliare opinioni diverse». L’interesse del collettivo cancella le differenze, le spiana in nome di un’amorfa e unanimistica totalità, e sfocia infine «nella teoria del Terrore, da Robespierre a Lenin e Stalin»: una teoria secondo cui «l’interesse di tutti deve automaticamente e permanentemente essere ostile all’interesse particolare del cittadino». Il rivoluzionario collettivista esalta il sacrificio e l’abnegazione, deprezzando quel che c’è di più nobile nel sacrificio. «Il valore dell’uomo viene giudicato dal grado in cui egli agisce contro il proprio interesse e contro la propria volontà». (Arendt, Sulla Rivoluzione, ed. Comunità 1983) La perversione dell’interesse generale è dunque denunciata con validi motivi.
Troppe volte la persona è stata sacrificata sull’altare del bene pubblico, e l’interesse generale suscita scetticismo. Quel che si omette di dire tuttavia è che l’idea di bene comune è stata travisata, avvelenata. Nel comunismo non fu il bene pubblico a vincere: quando un partito si arroga il diritto di definire quale debba essere l’interesse di tutti, escludendo ogni dissenso, il bene pubblico torna a essere il male contro cui era stato invocato. Torna a essere interesse particolaristico, che non include ma esclude, il che vuol dire: l’interesse del più forte. La fine di questa perversione ha riportato infine la persona al centro dell’attenzione. Ha riscoperto i suoi diritti, ha introdotto i diritti della persona anche nel diritto internazionale. Ma ha anche generato nuovi squilibri: perché come salvare dalle macerie quello che c’era di costruttivo, di utile e di morale, nell’interesse generale? Come salvare Rousseau da Rousseau?
L’idea di Rousseau è che l’uomo sia buono per natura, e che la sua corruzione cominci con la differenziazione della società e con il razionale perseguimento dell’interesse particolaristico. Il seme totalitario è qui: è nel terrore di una virtù che si esprime nella volontà una e indivisibile. Quel che è accaduto nei secoli recenti ha smentito tale ipotesi, ma non interamente: l’uomo non è buono per natura, ma è pur sempre vero che la società può renderlo ancora più malvagio - può farlo impazzire - se è governata senza idea d’un interesse generale, d’un bene pubblico cui ciascuno concorre sacrificando un po’ di se stesso ed equilibrando i diritti coi doveri.
Cos’è il bene pubblico? È tutto quello che il singolo (individuo, gruppo) non può tutelare da solo, nei tempi lunghi. L’educazione, la sanità, l’acqua, l’aria, e tante cose ancora: sono beni nell’interesse di ogni privato cittadino, ma non finanziabili dal privato. Per definizione, sono interessi della res publica, delle sue leggi e istituzioni. In molti casi neppure lo Stato-nazione può tutelare, ed è l’Unione europea ad occuparsene. Il pensiero moderno (a cominciare dai testi ultimi del filosofo Hans Jonas) aggiunge al classico interesse generale la responsabilità verso le future generazioni e anche verso il futuro della Terra minacciata. Una sorta di responsabilità per il futuro, un’«etica della distanza» che s’aggiunge all’etica della vicinanza e della contemporaneità.
Tutto questo è considerato fastidioso, troppo corretto. La rivoluzione conservatrice americana, cominciata nel ’94 con le arringhe di Newt Gingrich contro le servitù della cosa pubblica e dello Stato, ha avuto e ha un’influenza grande ma in questi giorni si sta sfiancando. Trascurando l’interesse generale, queste rivoluzioni creano un vuoto che produce disgregazione, anomia, cultura dell’illegalità, e non per ultimo impossibilità di riforme. E siccome il bisogno di beni comuni e quindi di sicurezza permane, sono altri a riempire il vuoto: le chiese, le sette, le religioni, con le loro leggi esclusive. Oppure, in Italia, la mafia e la camorra.
Se i riformisti non vogliono questi vuoti converrà dirlo, e parlare un po’ di interesse generale. Altrimenti non resterà che la compassione dei singoli verso i più deboli: una virtù che non dura nel tempo, che non si sostanzia in istituzioni durature come è accaduto con lo Stato sociale, che alimenta la lotta di tutti contro tutti, che promuove alla fine l’interesse del più prepotente. È la prossima perversione totalitaria in cui rischiamo di cadere.
All’Angelus Benedetto XVI ricorda le 800 milioni di persone denutrite o sotto-alimentate. "Troppi bambini muoiono, colpa del governo dell’economia mondiale"
Il Papa affronta la tragedia della fame: "Cambiare modello di sviluppo globale" *
CITTA’ DEL VATICANO - "E’ necessario convertire il modello di sviluppo globale: lo richiedono non solo lo scandalo della fame, ma anche le emergenze ambientali ed energetiche". E’ l’appello lanciato da Benedetto XVI all’Angelus, in cui ha celebrato la giornata del Ringraziamento.
Denunciando "il dramma della fame", il Papa ha esortato a "eliminare le cause strutturali legate al sistema di governo dell’economia mondiale, che destina le maggior parte delle risorse del pianeta a una minoranza della popolazione". Dunque, "ogni persona può e deve fare qualcosa per alleviare la fame, adottando uno stile di vita e di consumo compatibile con la salvaguardia del creato".
Papa Ratzinger ha anche invitato i fedeli ad abituarsi "a benedire il Creatore per ogni cosa: per l’aria e per l’acqua, preziosi elementi che sono a fondamento della vita sul nostro pianeta; come pure per gli alimenti che attraverso la fecondità della terra Dio ci offre per il nostro sostentamento. Ai suoi discepoli Gesù ha insegnato a pregare chiedendo al Padre celeste non il mio, ma il nostro pane quotidiano... I prodotti della terra sono un dono destinato da Dio per l’intera famiglia umana".
Il suo pensiero è poi andato alle 800 milioni di persone nel mondo che soffrono denutrizione e sotto-alimentazione. "E’ qui tocchiamo un punto molto dolente: il dramma della fame che - ha rimarcato - malgrado anche di recente sia stato affrontato nelle più alte sedi istituzionali, come le Nazioni Unite e in particolare la Fao, rimane sempre molto grave".
Propriol’ultimo Rapporto annuale Fao, ha aggiunto Benedetto XVI, "ha confermato quanto la Chiesa sa molto bene dall’esperienza diretta delle comunità e dei missionari: che troppe persone, specialmente bambini, muoiono di fame". Per questo il Papa teologo ha puntato il dito contro i comportamenti dell’Occidente ricco, e la struttura economica dell’economia mondiale "che destina le maggior parte delle risorse del pianeta a una minoranza della popolazione".
Per risolvere il problema, ha concluso il Pontefice, "è necessario convertire il modello di sviluppo globale". Ma anche "ogni persona e ogni famiglia può e deve fare qualcosa per alleviare la fame nel mondo adottando uno stile di vita e di consumo compatibile con i criteri di giustizia".
(12 novembre 2006)
LE TASSE E I MONSIGNORI
di Raffaele Garofalo e Aldo Antonelli, preti
A seguito della polemica sul problema tasse-chiesa sulla quale è intervenuto anche il vescovo-teologo di Chieti Bruno Forte, polemica poi allargatasi a livello nazionale (Cfr. anche Famiglia Cristiana...) ho ritenuto doveroso, assieme all’amico Raffaele Garofalo, puntualizzare alcune "cosette" che, non chiarite, rendono equivoco tutto il dibattito. Il nostro intervento è stato pubblicato sul Centro di ieri ma con un titolo fazioso e fuorviante. Come di prassi, certi giornalisti anche se scrivono su giornali "laici" (Il Centro fa parte della catena del giornale La Repubblica!) a volte e di fronte alle eccellenze sono più clericali dei chierici!
Questo il nostro intervento.
Un abbraccio a tutti.
Aldo
Ha ragione Mons. Forte, arcivescovo di Chieti, quando, in risposta a Prodi, (Il Centro 02/08/07) chiede che, prima di pensare a far pagare le tasse, chi governa dia esempio di “equità e giustizia”. Va precisato che la denuncia del premier è rivolta contro gli evasori storici i quali, notoriamente, non appartengono a coloro che “non arrivano alla fine del mese”. Dalle parole di mons. Forte invece sembra che Prodi le tasse le voglia far pagare alle famiglie povere e alle giovani coppie.
L’arcivescovo richiama i politici ad una maggiore austerità e senso della giustizia, ciò che sostiene anche la sinistra cosiddetta radicale, ed è gratificante il fatto che i vescovi, ora, stiano ponendo la loro attenzione alla grama economia delle famiglie mentre erano piuttosto distratti quando Berlusconi, come rimedio, suggeriva alle massaie italiane di recarsi al mercato a prendere nota dei prezzi convenienti per poter risparmiare. Come farebbe la sua mamma.
Se è vero che i politici sono dei privilegiati, e il libro di Stella ce ne dà ampia documentazione, è altrettanto vero che, tra i grandi evasori “privilegiati” nel nostro Paese campeggia la Chiesa cattolica la quale, a dire dell’arcivescovo, è più vicina alla gente di quanto lo siano i politici.
Uno Stato responsabile non fa delega ad altri di ciò che appartiene alla sfera dei suoi compiti e l’azione della Chiesa non può basarsi su una assistenza che non è né “giustizia”, né autentica carità quando non vengono riconosciuti i diritti e le persone sono costrette ad umiliarsi. Forse per questo il cattolico Prodi chiede “collaborazione” e auspica che nelle chiese si parli anche di un “tema di forte carica etica” quale quello di “sovvenire alle necessità” dello Stato.
Il premier avrà voluto dire ciò che l’arcivescovo ha ben espresso: “pagare le tasse è un dovere morale che nasce dal senso della solidarietà, per il bene comune”. Niente fu detto contro la propaganda populista di Berlusconi che invitava a non pagare le tasse: la Chiesa tacque su gente miliardaria che evadeva per usufruire poi di sostanziosi condoni. Con doverosa autocritica mons. Forte dovrebbe ammettere che, a dispetto della Costituzione e delle normative europee, l’evasione “legalizzata” e documentata della Chiesa cattolica è imponente
La Commissione Europea ha avviato un processo contro il governo italiano per l’esenzione dall’Iva concessa alla Chiesa cattolica. Come si sa in Italia la sentenza della Corte di Cassazione al riguardo è stata elusa con la formula escamotage dell’esenzione agli “esercizi non esclusivamente commerciali”. Come riporta Curzio Maltese, sono migliaia le strutture gestite da enti ecclesiastici: scuole private, cliniche, alberghi che figurano come ostelli per la gioventù, cinema e teatri. A Roma le proprietà esentasse raggiungerebbero il 22 per cento dell’intero patrimonio e lo Stato inoltre versa alla Chiesa 991 milioni di euro per l’8 per mille.
Se nella cattolica Spagna il governo Zapatero collabora con Bruxelles per le indagini sui patrimoni ecclesiastici (per questa ragione i vescovi spagnoli pensano che il loro premier non sia un buon cristiano), in Italia il governo ha avviato una... Commissione di studio che, ovviamente, finora non è giunta ad alcuna conclusione. Su questo andrebbe incalzato Prodi, europeista convinto, ma potranno i prelati tuonare contro l’evasione e i privilegi dei politici e dei ricchi, se prima non rimuovono la trave dal loro occhio? Se doveroso è condannare gli uomini che abusano della politica, va evitato, da tutti, il rischio di diffondere il disamore per la cosa pubblica. L’impegno contro gli sprechi, le ingiustizie e le disfunzioni è dovere di tutti. Se, seguendo lo spirito (di Zaccheo e) di quel Cristo che non aveva “nemmeno una pietra su cui poggiare il capo”, la Chiesa rinunciasse ai suoi privilegi, anche i non credenti come Odifreddi potrebbero forse tornare a credere ai miracoli.
Raffaele Garofalo, Aldo Antonelli, preti
MANCUSO REPLICA AL CARD. BERTONE*
ROMA, 22 AGO - Il cardinale Tarcisio Bertone ’’chiede che gli italiani paghino le tasse, mentre la sua organizzazione non sborsa un quattrino di Ici anche sui beni che procurano grandi profitti alla chiesa italiana’’ e inoltre ’’si permette di dare lezioni di condotta e di intromettersi nelle inchieste in corso che riguardano, guarda caso, preti accusati di molestie sessuali’’: il duro giudizio sul Segretario di Stato vaticano e’ di Aurelio Mancuso, presidente nazionale di Arcigay.
’’Fa impressione - dice Mancuso - vedere come il cardinal Bertone si lanci ogni giorno in commenti e indicazioni su quello che dovrebbero fare gli italiani, il governo e il Parlamento.
Dopo l’era Ruini, si e’ quindi inaugurata l’era Bertone, che in modo altrettanto incontinente condanna un giorno gli evasori, l’altro un’organizzazione come Amnesty International che giustamente difende il diritto delle donne ad abortire in caso di stupro’’. ’’Risulta poi incredibile - incalza - il tentativo di scrollarsi di dosso lo scandalo planetario degli abusi sessuali su adulti e minori in cui e’ coinvolta la Chiesa cattolica, che ha gia’ dovuto sborsare centinaia di milioni di dollari in risarcimento danni’’.
’’Tutto cio’ e’ altamente immorale - conclude Mancuso - e sollecita ad adoperarci con sempre piu’ fermezza affinche’ nessuna persona lgbt debba piu’ soffrire a causa di questa gerarchia cattolica, anche utilizzando inediti strumenti democratici di auto difesa’’. (ANSA).
La Commissione deciderà se aprire un’inchiesta per aiuti di Stato illegali
Nel mirino in particolare alcune esenzioni Ici previste dalla Finanziaria 2006
Vantaggi fiscali alla Chiesa
Ue chiede informazioni all’Italia*
BRUXELLES - La Commissione Ue chiederà al governo italiano "informazioni supplementari" su "certi vantaggi fiscali delle chiese italiane", ma non ha ancora deciso se aprire un’inchiesta. Lo ha detto Jonathan Todd, il portavoce del commissario alla Concorrenza Neelie Kroes, precisando che, nel caso, si tratterebbe di un’inchiesta per aiuti di Stato illegali. Sarebbe la prima volta che la Chiesa finisce nel mirino dell’antitrust europeo.
"Non abbiamo ancora preso la decisione se aprire o no l’inchiesta", ha detto Todd, rilevando che il governo italiano ha già risposto ad una prima richiesta di notizie. Bruxelles ritiene però necessario un surplus di informazioni, "pertanto le chiederemo in forma scritta o verbale", ha detto Todd, senza precisare quando.
Ad attirare l’attenzione della Commissione sarebbe stata in particolare una norma contenuta nella Finanziaria del 2006, l’ultima del governo Berlusconi, che prevede l’esenzione dall’Ici degli immobili di proprietà della Chiesa adibiti a finalità commerciali. L’esenzione è riconosciuta anche alle altre religioni che hanno un accordo con lo Stato italiano e alle attività no-profit. Bruxelles intenderebbe chiarire inoltre anche le riduzioni di imposta (al 50%) concesse alle imprese commerciali della Chiesa.
Todd ha spiegato che le informazioni sono state chieste dopo le segnalazioni, nel 2006, da parte di soggetti italiani di cui non però ha riferito l’identità. Il portavoce ha sottolineato che, se l’inchiesta dovesse essere avviata, si tratterebbe della prima volta che l’antitrust europeo mette nel suo mirino la Chiesa, anche se in Belgio c’è stato un contenzioso per una questione di Iva e anche in Spagna c’è un’indagine in corso su delle facilitazioni fiscali.
L’annuncio della Commissione arriva nel mezzo delle polemiche sui vantaggi di cui gode la Chiesa cattolica, in particolare su alcune forme di esenzione dall’Ici. Proprio oggi, il quotidiano dei vescovi Avvenire pubblicava un intervento di mons. Giuseppe Betori, il segretario della Cei. "L’esenzione dall’Ici - scrive Betori - si applica alle sole attività religiose e di rilevanza sociale ed è del tutto uguale a quella di cui si giovano gli altri enti non commerciali, in particolare il terzo settore. Chi contesta un tale atteggiamento dello Stato manifesta una sostanziale sfiducia nei confronti di molteplici soggetti sociali di diversa ispirazione, particolarmente attivi nel contestare il disagio e la povertà".
* la Repubblica, 28 agosto 2007.
Bruxelles chiede chiarimenti a Roma su esenzione Ici decisa da Berlusconi
Chiesa-Ue: scoppiano le polemiche in Italia
Il centrodestra: spirito anticristiano, c’è lo zampino del governo Prodi. Il centrosinistra: stop a privilegi. Mastella: no a polverone *
ROMA - La richiesta della Commissione europea di ulteriori chiarimenti all’Italia sul provvedimento della Finanziaria 2006 (l’ultima del governo Berlusconi) che concede esenzioni dell’Ici agli edifici delle religioni riconosciute dallo Stato anche se non destinti al culto (principalmente quelli della Chiesa cattolica), ha scatenato una nuova serie di polemiche tra il centrodestra, che parla di «spirito anticristiano dell’Ue», e il centrosinistra, che dice «no ai privilegi». Per il ministro della Giustizia, Clemente Mastella (Udeur), «è evidente il carattere pretestuoso della presunta violazione delle norme della libera concorrenza cui porterebbe l’esenzione dell’Ici per gli enti ecclesiastici. Gli immobili oggetto dell’esenzione non sono solo ecclesiastici, ma di tutti gli enti no profit, mentre pagano integralmente l’Ici le strutture alberghiere, i ristoranti e i negozi di proprietà di enti ecclesiastici. Spero che non si alzi il solito polverone anticlericale a fronte di una semplice e legittima richiesta di approfondimento dell’Ue».
CENTRODESTRA - «Non è una novità che dall’Unione europea spiri talvolta un vento anticristiano», ha commentato il segretario della Dc per le autonomie, Gianfranco Rotondi. «C’è lo zampino del governo dietro la minaccia Ue contro la Chiesa. È bene che si risponda a muso duro contro un’irricevibile ingerenza comunitaria», ha affermato Francesco Storace, leader della Destra. «Il dossier dell’Ue su falsi benefici fiscali dell’Italia alla Chiesa cattolica è frutto del lavoro fatto dai radicali italiani e coadiuvato dal ministro Emma Bonino», accusa Luca Volontè, capogruppo dell’Udc alla Camera. «Prodi prenda le distanze dagli anticlericali che si agitano nella sua coalizione e difenda il ruolo sociale insostituibile che ha la Chiesa in Italia», ha affermato Maurizio Lupi (Forza Italia). «Anche solo pensare di aprire una procedura contro l’Italia per presunte, e di fatto inesistenti, agevolazioni fiscali è a dir poco stupefacente», ha dichiarato il vice presidente dei senatori di FI, Giuseppe Vegas. ««È incredibile l’offensiva, anche sul piano fiscale, che il governo muove contro la Chiesa. Vanno respinti gli attacchi morali e materiali che offendono tradizioni e valori profondamente radicati nella realtà italiana. La Ue eviti gravi interferenze che non sarebbero tollerabili», secondo Maurizio Gasparri (An). ««Nell’Ue prevalgono nuovamente i circoli radical-massonici», è convinto Maurizio Ronconi, vice presidente dei deputati Udc alla Camera. «Invito la Commissione Ue a essere più prudente e a non avallare i sospetti di un’Ue anticristiana che hanno portato alla sconfitta nei referendum sul trattato in Francia e Olanda», ammonisce Rocco Buttiglione, presidente dell’Udc. «È sconcertante l’intenzione dell’Ue che dimostra di non conoscere la situazione italiana e di cedere alle idee più oltranziste e false che circolano sui rapporti tra Stato e Chiesa in Italia», ha detto il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni.
CENTROSINISTRA - «È assurda la levata di scudi del centrodestra contro l’Ue. Se lo Stato è laico, deve esserlo anche nell’applicare le norme», ha replicato Marco Rizzo, capo delegazione dei Comunisti italiani all’Europarlamento. «Bisogna augurarsi che la posizione del nostro Paese, decisamente europeista, sappia orientarsi per superare questo privilegio, che rimane in capo agli enti ecclesiastici», ha aggiunto Natale Ripamonti, vice presidente del gruppo Verdi-Pdci del Senato. «C’è un solo metodo per appurare cos’è un privilegio fiscale: se a parità di attività vi è un differente trattamento, c’è discriminazione», sostiene Maurizio Turco, deputato della Rosa nel pugno. «Quando avevo sollevato questo tema non era per anticlericalismo, che non mi appartiene, ma per la necessità di armonizzare le regole fiscali anche per gli istituti religiosi», ha precisato il sottosegretario all’Economia, Paolo Cento (Verdi). «Le informazioni richieste dalla Commissione europea al governo italiano sulle esenzioni fiscali concesse al Vaticano non sono il frutto di un’azione diabolica della Bonino, ma dal fatto che esistono privilegi», ha affermato Roberto Villetti, vice segretario dello Sdi e capogruppo della Rosa nel pugno alla Camera.
Fisco e Chiesa, Bagnasco: «Non abbiamo privilegi» *
La Commissione europea vuole vederci chiaro sui benefici fiscali concessi dallo Stato italiano alla Chiesa, e per questo si prepara a chiedere nuove informazioni, più approfondite. «Non sappiamo ancora se aprire un’inchiesta o meno, anche perché non abbiamo abbastanza informazioni e ne chiederemo delle altre, per via scritta o verbale», ha spiegato il portavoce del commissario per la Concorrenza Neelie Kroes, ricordando che una prima richiesta, subito soddisfatta dalle autorità italiane, era stata già presentata a giugno.
Si difende il presidente della Comunità episcopale italiana, monsignor Angelo Bagnasco. La Chiesa ha fatto e fa molto per aiutare le popolazioni sia in Italia sia in Europa, e «questo dovrebbe essere considerato con molta attenzione per non cadere poi in posizioni pregiudiziali di tipo ideologico. La parola privilegio - ha detto riferendosi alle critiche sulle agevolazioni fiscali - è una parola totalmente sbagliata».
Alla domanda se questo provvedimento possa essere stato ispirato dall’Italia, Bagnasco ha risposto: «Non saprei proprio dire questo, mi sembra strano». «Credo - ha aggiunto mons. Bagnasco - che sia sotto l’occhio di tutti, in Italia, ma direi in tutta Europa, quanto la Chiesa fa e ha sempre fatto per la povera gente, per i ragazzi, per l’educazione, per i più disagiati. Lo fa con tutti i fondi e con tutte le risorse di cui dispone. Quindi questo dovrebbe essere considerato con molta attenzione per non cadere poi in posizioni pregiudiziali di tipo ideologico».
Il portavoce del ministro per le Politiche europee, Emma Bonino, ha garantito che il governo esaminerà le richieste di Bruxelles, osservando come l’Italia rischia «una procedura di infrazione proprio quando sì è finalmente riusciti a ridurne il numero».
Il caso, sollevato da Maurizio Turco settimane fa, della Rosa nel Pugno, riguarda le esenzioni del pagamento dell’Ici per le attività commerciali della Chiesa, in teoria abolite dal decreto Bersani dello scorso anno e di fatto sopravvissute per quanto riguarda gli immobili commerciali. Le esenzioni ammonterebbero a circa 400 milioni di euro all’anno. «A partire dal momento in cui si ha davanti un organismo che svolge delle attività economiche, occorre valutarle dal punto di vista della concorrenza, e quindi in questo caso degli aiuti di Stato», ha aggiunto Todd, ricordando che un dossier analogo è stato aperto ed è tuttora in corso con la Spagna.
La vicenda ha suscitato l’interesse della stampa straniera, anche sulla base dell’intervista a "La Stampa" di monsignor Karel Kasteel, segretario del pontificio consiglio «Cor Unum», che ha parlato di «possibili ritocchi» al testo del Concordato fiscale, scritto nel 1984. La sala stampa della Santa Sede ha però subito preso le distanze dalle dichiarazioni del prelato, sottolineando che «non è all’ordine del giorno alcuna revisione del Concordato», e in una nota diffusa in serata, lo stesso monsignor Kasteel ha smentito «di aver mai affrontato la questione fiscale nell’intervista».
Monsignor Giuseppe Betori, segretario della Conferenza episcopale italiana, ha sottolineato in un editoriale su "Avvenire" «che l’esenzione dall’Ici è materia del tutto estranea agli accordi concordati» e che «si applica alle sole attività religiose e di rilevanza sociale». Per Betori contestare questo atteggiamento dello Stato corrisponde a manifestare «una sostanziale sfiducia nei confronti di molteplici soggetti sociali di diversa ispirazione, particolarmente attivi nel contestare il disagio e la povertà».
Un aspetto, questo, sottolineato anche dal ministro della Giustizia Clemente Mastella, che ha spiegato come l’esenzione si applica a «tutti gli enti no profit, mentre pagano integralmente l’Ici le strutture alberghiere, i ristoranti e i negozi di proprietà di enti ecclesiastici. Spero - ha aggiunto - che anche in questo caso non si alzi il solito polverone anticlericale a fronte di una semplice e legittima richiesta di approfondimento dell’Ue». Ovviamente soddisfatti della richiesta preliminare di informazioni di Bruxelles sono invece i radicali e Maurizio Turco, così come Angelo Bonelli, capogruppo dei Verdi alla Camera, che ha annunciato «un pacchetto di proposte da inserire in finanziaria per eliminare l’esenzione fiscale e Ici per gli immobili ecclesiastici che hanno attività commerciali».
Per Marina Sereni, vicepresidente gruppo l’Ulivo alla Camera «gli accordi tra Stato e Chiesa che governano i rapporti tra l’Italia e la Santa sede sono materia che riguarda due Stati sovrani». «Daremo, tuttavia, i chiarimenti necessari a Bruxelles così come avremmo e abbiamo fatto per qualsiasi altra richiesta legittimata dal fatto che l’Italia ha scelto di far parte dell’Unione europea e dunque di accettare regole sovranazionali anche in materia economica e di concorrenza tra Stati».
Per Lorenzo Cesa, dell’Udc, occorre «affrontare questo argomento con la dovuta maniera, ragionando tra di noi con tutti i partiti». Per Gianfranco Rotondi, della Democrazia Cristiana, la richiesta di Bruxelles è sintomo di tendenze «anticlericali», mentre per Maurizio Gasparri, di An, «vanno respinti gli attacchi morali e materiali che offendono tradizioni e valori profondamente radicati nella realtà italiana». Infine, secondo il presidente della Lombardia Roberto Formigoni, è «sconcertante» l’intenzione dell’Unione Europea, che dimostra di non conoscere la situazione italiana e di cedere senza colpo ferire alle idee più oltranziste e false che circolano sui rapporti tra Stato e Chiesa in Italia».
* l’Unità, Pubblicato il: 28.08.07, Modificato il: 29.08.07 alle ore 12.48