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Il mondo ha fallito nella lotta contro la fame. Lo sostiene Jacques Diouf, direttore generale della Fao

martedì 31 ottobre 2006.
 

ROMA. «Le promesse non nutrono», ha commentato caustico il direttore generale della Fao, Jacques Diouf, presentando i dati del rapporto 2006 sulla fame nel mondo. Le promesse sono quelle dei 185 capi di stato firmatari, nel 1996, della Dichiarazione di Roma. Obiettivo: dimezzare il numero di affamati nel mondo entro il 2015, agire contro una situazione definita «inaccettabile e intollerabile».

I dati Fao indicano impietosamente il fallimento di quel solenne impegno: nei Paesi in via di sviluppo, nell’anno dell’ambizioso World Food Summit, erano senza cibo 800 milioni di persone, oggi sono 823. Ma ce ne sono anche 25 milioni nei Paesi cosiddetti «in transizione» e 9 nei Paesi industrializzati, per un totale di 854. Un numero che non è mai calato dall’inizio degli Anni ‘90 e che appare meno spaventoso solo considerando il contemporaneo aumento, quasi un miliardo in più, della popolazione mondiale. È questa proporzione ad alimentare la speranza di risultati migliori nel lungo periodo. Rispetto al 1992 la percentuale dei denutriti è scesa a una media mondiale del 17% e potrebbe calare ancora, fino al 10%, nei prossimi nove anni. Così nel 2015 si potrebbe arrivare a un risultato parziale: la riduzione a 582 milioni di affamati. Il problema è che per onorare l’impegno del dimezzamento ogni anno il popolo degli affamati dovrebbe scendere di 31 milioni, invece aumenta di quattro. Nel 1971, alla Conferenza mondiale sulla nutrizione, Henry Kissinger, in vena di ottimismo, aveva assicurato che «Entro dieci anni nessun uomo, donna o bambino andrà a dormire affamato». Oggi, per quell’obiettivo potrebbe non bastare un secolo. Fallire sarebbe «vergognoso», ha sottolineato Diouf; ma forse è un’onta sopportabile, perché nessuno sembra aver preso troppo sul serio l’accordo. A cominciare dall’Italia che con un misero 0,15 è ben lontana dal destinare, come da programma, lo 0,70 del prodotto interno lordo alla lotta alla fame. In cambio, nel 2025, il numero di diabetici da iperalimentazione nei Paesi ricchi raddoppierà, raggiungendo i 300 milioni di persone.

Nel nostro mondo senza giustizia, dove un bambino americano consuma come 422 coetanei etiopi, è l’Africa sub-sahariana a pagare il prezzo più alto: era previsto un calo a 85 milioni di persone sottoalimentate nel 2015, la Fao ipotizza che saranno ancora 179 milioni. Oggi sono 206 milioni e hanno sempre meno risorse per via della desertificazione che inaridisce i campi. Il 75% degli affamati del mondo appartiene infatti al mondo dei piccoli coltivatori, in gran parte donne, e i mutamenti climatici incrudeliscono la loro lotta per la sopravvivenza. Legambiente ha calcolato che la desertificazione faccia sparire ogni anno il 3,5% delle terre fertili. Per contro i finanziamenti diminuiscono. Secondo un rapporto di ActionAid i livelli globali di aiuto pubblico allo sviluppo destinati all’agricoltura sono crollati da 6,7 miliardi di dollari nel 1984 a 2,7 miliardi di dollari nel 2002.

Ma che vuol dire esattamente «fare la fame»? Per stare bene un essere umano ha bisogno di assumere fra le 2.400 e le 2.700 calorie al giorno. Non disporne significa, ad esempio, che ogni giorno 11 mila bambini (uno ogni 8 secondi) muoiono per malnutrizione. Cinque milioni ogni anno. O anche, che solamente un terzo della produzione complessiva di cereali viene consumata direttamente dagli uomini, mentre i due terzi restanti vengono destinati al nutrimento del bestiame. Ma la carne è un lusso da Paesi ricchi, agli altri restano solo i cereali in meno: in sei degli ultimi sette anni la domanda mondiale ha superato l’offerta e le scorte sono ai livelli più bassi dell’ultimo trentennio. Significa, poi, spese maggiori e minori guadagni, perché i bambini denutriti o malnutriti diventeranno adulti fragili e improduttivi. E, spinti dal bisogno e dalla disperazione, migreranno sempre più numerosi verso i Paesi occidentali, che già si sentono sotto assedio.

Ogni anno - si legge nel rapporto Fao 2004 - oltre venti milioni di bambini sono sottopeso alla nascita e questo fa di loro adulti con ridotte capacità lavorative e di sostentamento. Su scala planetaria, ogni anno in cui non si faranno progressi sul fronte della fame, provocherà nuovi decessi e invalidi. Questi, a loro volta, costeranno ai paesi sottosviluppati 500 miliardi di dollari». Fame e povertà diventano così interdipendenti, in un malefico circolo vizioso.

La Fao indica chiaramente come il problema non sia la disponibilità delle risorse. Da oltre quindici anni anni l’ente internazionale diffonde elaborazioni confortanti secondo le quali il mondo, in base all’attuale stato della capacità produttiva agricola, potrebbe nutrire senza alcun problema più di dodici miliardi di esseri umani. Secondo Diouf manca semplicemente «la volontà politica di mobilitare queste risorse in favore degli affamati».

Le ong da tempo puntano, invano, sulla riduzione o meglio sulla cancellazione del debito pubblico dei Paesi in via di sviluppo. Secondo Ricerca e Cooperazione il suo peso costa al Sud del mondo circa 21 milioni di vite l’anno e vanifica ogni possibile sviluppo. La sola Africa, ad esempio, deve pagare 35 milioni di dollari al giorno, che la dissanguano. In realtà, basterebbe forse meno: arrivare a quel piccolo 0,70 del Pil e destinare investimenti seri,una piccola percentuale delle somme usate per le armi e la difesa, allo sviluppo agricolo. Che spesso, secondo il rapporto, «è il motore dello sviluppo per le economie rurali e può aumentare le derrate alimentari, ridurre il loro prezzo ma anche mobilitare l’economia locale generando la richiesta di beni e servizi».

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