90 MORTI AL GIORNO PER ERRORI DEI MEDICI O CATTIVA ORGANIZZAZIONE *
MILANO - Causano più vittime degli incidenti stradali, dell’infarto e di molti tumori. In Italia le cifre degli errori commessi dai medici o provocati dalla cattiva organizzazione dei servizi sono da bollettino di guerra: tra 14 e 50 mila i decessi ogni anno, circa 90 al giorno, di cui il 50% certamente evitabile.
Lo affermano gli esperti dell’ Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), che hanno promosso su questo tema un convegno nazionale i cui lavori si sono aperti oggi all’Istituto dei Tumori di Milano (INT). Secondo l’AIOM, sono almeno 320 mila le persone danneggiate da questi errori, con costi pari all’1% del PIL, 10 miliardi di euro l’anno.
"Le fonti, però, sono spesso discordi su questi numeri - fa notare Marco Venturini, consigliere nazionale dell’ Associazione - come si nota per quel divario fra 14 e 50 mila decessi imputabili ad errore (la verità probabilmente si avvicina ai 30-35 mila decessi) ma nella migliore delle ipotesi (’solò 14 mila), i morti per errore medico o della struttura ospedaliera, sono almeno il doppio di quelli per incidente stradale, che sono 8000 l’anno, il che non è poco".
"Il tema del rischio clinico - osserva il presidente dell’ AIOM, Emilio Bajetta - si propone oggi come un argomento di grande attualità, con un forte impatto socio-sanitario. Lo scopo che l’Aiom si ripromette è migliorare la prestazione sanitaria e garantire la sicurezza del paziente oncologico". Anche perché nella particolare classifica delle specialità in cui si commettono più errori, stilata dal Tribunale dei diritti del Malato, l’Oncologia, con un 13% si colloca al secondo posto, preceduta dall’Ortopedia con il 16,5% di errori, seguita dall’Ostetricia (10,8%) e dalla Chirurgia (10,6%). Gli errori più frequenti vengono fatti in sala operatoria (32%), poi nei reparti di degenza (28%), nei dipartimenti di urgenza (22%) e negli ambulatori (18%).
Ma quali sono gli errori più frequenti? "Qui le cifre sono meno certe, ma fra gli errori che si verificano più spesso ci sono quelli dovuti alla confusione fra farmaci con nomi simili", afferma Bajetta che fa l’esempio, in oncologia, di farmaci come cisplatino, paraplatino e oxaliplatino. L’ordine di somministrazione di un farmaco può dunque essere equivocato, soprattutto se non vi è il controllo anche al letto del paziente.
"Anche l’ambiente in cui si lavora - continua Bajetta - influisce: perché un conto è scrivere la cartella clinica in un ambiente tranquillo, seduti a una scrivania, altro è farlo, coma talvolta capita, in corridoio, nella confusione generale". Altri errori sono dovuti al sistema che, a causa delle lunghe liste d’attesa (per visite ed esami diagnostici) è causa diretta delle diagnosi tardive, che arrivano quando ormai il danno è irrecuperabile. E per il presidente AIOM, "gli errori dovuti a cosiddetta malpractice, cioé a una non corretta prestazione medica, sono minori di quanto non si pensi: spesso ad essi si dà un eccesso di visibilità sui media, prima ancora di poterne valutare l’esatta natura.
Poi alla fine, oltre il 90% dei medici accusati di malpractice viene assolto". Invece, secondo Venturini, si sta affacciando un nuovo tipo di errore, imputabile questo ai recenti cambiamenti del sistema, che tende a risparmiare nelle spese: "E’ quello che gli anglosassoni chiamano ’quicker and sicker’, cioé il dimettere precocemente il paziente (troppo velocemente, quicker), quando é ancora non stabilizzato (più sofferente, sicker)".
Altri errori - secondo un elenco del Tribunale dei diritti del malato - sono provocati dalla somministrazione di farmaci sbagliati per la grafia poco comprensibile di chi li ha prescritti (a volte basta anche lo spostamento di una virgola per rendere letale la quantità di un farmaco), dallo scambio di paziente da operare, dall’amputazione dell’arto sbagliato, da smarrimento o confusione di esami, da anestesia maldosata, infine dalla scarsa attenzione al ’consenso informato’.
Che cosa fa l’AIOM per arginare il torrente degli errori? "Per correggere gli errori bisogna conoscerli: abbiamo fatto un censimento ’strutturale’ - risponde Venturini - per sapere dove sono le Oncologie in Italia. Poi abbiamo avviato un censimento ’funzionale’, per sapere come funzionano. Per le linee guida della sicurezza stiamo facendo lo stesso: abbiamo in corso un progetto per verificare se e come sono applicate". "Nei nostri reparti all’INT - afferma Bajetta - è fatto obbligo al medico o all’infermiere che ha fatto il turno di notte in reparto, di lasciare l’ospedale al mattino. Non c’é nulla di più facile che sbagliare quando si è a corto di sonno".
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http://www.ansa.it/opencms/export/main/visualizza_fdg.html_2020474849.html
Clinica Milano: ergastolo per Brega Massone
Era accusato di omicidio volontario di 4 pazienti e di lesioni per una quarantina di altri casi
di Redazione *
L’ex primario di chirurgia toracica della clinica Santa Rita di Milano, Pier Paolo Brega Massone, è stato condannato all’ergastolo nel processo con al centro le accuse di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà per la morte di 4 pazienti e di lesioni per una quarantina di altri casi. Lo ha deciso oggi la prima Corte d’Assise. L’ex primario, che era presente in aula, è stato arrestato subito dopo la lettura della sentenza come chiesto dai pm, per i quali "c’era la possibilità concreta che fuggisse".
Troppi errori medici veri e presunti ma a rimetterci è la Sanità italiana
di ANNA RITA CILLIS e VALERIA PINI *
Il numero di contenziosi è cresciuto rapidamente. Le richieste di risarcimento sono lievitate del 250 per cento in 15 anni e i contenziosi sono del 30% l’anno, ma vengono quasi sempre archiviati. Secondo un’indagine della Commissione parlamentare d’inchiesta il 98,8% dei procedimenti per casi di lesione colposa e il 99,1% di quelli per omicidio colposo si concludono con l’archiviazione, mentre su 357 procedimenti le condanne sono state solo due
E’ come se alle spalle di un chirurgo in sala operatoria ci fosse un avvocato pronto a intervenire in caso di errore. Qualcuno potrebbe giudicarla un’immagine forte ma non lo è se a parlare sono i numeri. Ogni anno, infatti, partono dai tavoli dei legali 34.000 denunce contro i medici dopo un ricovero in ospedale o un intervento. E i contenziosi sono cresciuti rapidamente tant’è che le richieste di risarcimento sono lievitate del 250 per cento in 15 anni. Sempre più spesso i pazienti, vittime di presunti casi di malpractice, scendono in campo per far valere i loro diritti, anche se alla fine poche, anzi pochissime, sono le condanne per responsabilità in sede penale. Ma il tutto pesa sulle casse del Sistema sanitario nazionale e su quelle delle strutture private diversi milioni l’anno. Secondo l’Aiba, l’Associazione italiana dei broker di assicurazioni e riassicurazioni, il costo dei risarcimenti per malasanità oscilla tra 850 e 1400 milioni di euro. Una vera emergenza, tanto da essere uno dei nodi del decretone sanità che dovrebbe contenere nuove regole sulla responsabilità professionale dei camici bianchi. Decretone che è ancora al palo però.
Intanto i contenziosi lievitano del 30 per cento l’anno, ma i più vengono però archiviati. Secondo un’indagine della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario, è difficile che un professionista debba affrontare una condanna penale: il 98,8% dei procedimenti per casi di lesione colposa e il 99,1% di quelli per omicidio colposo si concludono con l’archiviazione, mentre su 357 procedimenti le condanne sono state solo due. "Si arriva all’archiviazione o perché la notizia di reato è infondata, quando, ad esempio, la perizia tecnica rivela che il medico ha agito in modo corretto, oppure quando la persona offesa viene risarcita prima della conclusione delle indagini preliminari - spiega Giuseppe Losappio, avvocato, professore di Diritto penale all’Università di Bari e consulente della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari - . In questi casi è quasi sempre perché il professionista decide di pagare subito. Le assicurazioni intervengono raramente prima di una sentenza di condanna in primo grado".
Resta comunque difficile per la vittima di un presunto errore sanitario dimostrare di avere ragione. Anche perché "Il cittadino che vuole giustizia in sede penale deve dimostrare ’al di la di ogni ragionevole dubbio’ la colpa del medico. In sede civile, l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è dipeso da fattori non prevedibili grava sul medico - spiega l’avvocato Francesco Lauri dell’Osservatorio di Sanità - . Questo si traduce in molte assoluzioni nelle cause penali, dove la responsabilità è personale. Mentre in sede civile le condanne arrivano al 60%: ma in questa sede il cittadino può citare in giudizio la sola struttura sanitaria".
In sede civile le richieste di risarcimento sono in crescita, non per un’impennata di imperizia da parte dei camici bianchi, ma per una maggiore sensibilizzazione sul tema. Secondo l’Ufficio del massimario della Suprema Corte, i fascicoli relativi a malpractice arrivati sul tavolo della Cassazione sono aumentati del 200% negli ultimi dieci anni. Si fa causa più facilmente, ma alla fine si aspetta anni per ottenere giustizia. "La conflittualità in ambito sanitario è cresciuta molto in questi anni - spiega Francesca Moccia, responsabile del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva -, ma noi scoraggiamo le cause inutili, che fanno perdere tempo e denaro, con un sistema di giustizia lento come il nostro. Puntiamo invece a sostenere i cittadini nelle azioni di autotutela e mettendo in mora le strutture sanitarie inadempienti oppure segnaliamo le violazioni dei diritti dei malati come, ad esempio, nel caso di infezioni contratte in ospedale".
E i fronti su la questione giustizia si dividono. I tempi lunghi dei processi sono uno smacco secondo le famiglie e pazienti che accusano la lobby dei medici di essere troppo forte e perdono fiducia nella giustizia. Dall’altra parte i camici bianchi lamentano di essere ostaggio di "avvocati senza scrupoli" e polizze assicurative costose. Un fenomeno che metterebbe a rischio non solo il medico, ma anche la salute del malato. Tanto otto chirurghi su 10 ammettono infatti di evitare interventi, andando oltre la normale prudenza, per paura di una causa, secondo un indagine dell’Ordine dei medici di Roma e dell’Università Federico II di Napoli. Un problema che cerca di arginare l’accordo di qualche giorno fa fra sindacati e governo che punta a fissare i limiti del risk managment, ovvero la gestione del rischio.
Secondo Medmal Claims Italia nel giro di un anno, c’è stato un aumento dell’8% del tasso di rischio clinico ogni 100 medici, mentre il costo assicurativo medio per medico è salito del 23,86% per un totale di 4.569 euro a professionista: quasi mille euro in più in soli 12 mesi. In Ostetricia, dove il posto letto in termini di Rc vale la cifra record di 6.739 euro, la copertura assicurativa per ogni singolo nato ha pesato 196,30 euro sulle casse della struttura (31,36% in più).
E per chi lavora in Ostetricia e Ginecologia, Ortopedia, Chirurgia, diventa sempre più difficile assicurarsi. "Si sta spostando la colpa sull’operato dei colleghi, dimenticando quali sono i veri problemi della Sanità: i posti letto diminuiti, le risorse scarse e mal distribuite, i pronto soccorso pieni di chirurghi sottopagati - dice Marco d’Imporzano, presidente del Società scientifica ortopedia e presidente del collegio italiano chirurghi (Siot) - . La commissione Affari sociali sta lavorando a una legge e sarà obbligatorio avere una polizza. Ma il problema è che l’assicurazione deve essere calmierata. Il governo dovrebbe imporre delle tariffe all’Ania. Non è possibile pagare 7.000 euro l’anno o molto di più. Come può un giovane assistente guadagnare 2.000 euro al mese e pagarne 5.000 l’anno di assicurazione?".
Intanto diminuisce il numero di professionisti in alcuni settori della sanità. Ed esistono interventi ad alto rischio dove diventa sempre più difficile trovare un medico pronto a metterci le mani. Su questo punto l’accordo sindacati-governo raccoglie una serie di proposte e la richiesta di specifiche norme in materia, per ridefinire la responsabilità professionale dei medici e dei sanitari. Fra i punti sul tavolo c’è anche l’introduzione di una norma che preveda la responsabilità del legale rappresentante dell’ente per le aziende che non rispettano le norme contrattuali sulla copertura assicurativa e sul patrocinio legale e la predisposizione di un contratto unico di assicurazione, valido su tutto il territorio nazionale.
Ogni anno il costo dei risarcimenti per malasanità oscilla tra 850 a 1400 milioni di euro. La conseguente crescita esponenziale delle cause legali porta a un incremento dei risarcimenti che "pesano" una media di 25-40 mila euro ciascuno. I premi assicurativi, a carico dei professionisti e delle strutture sanitarie, diventano insostenibili, ma contemporaneamente si assiste a un abbandono, da parte delle compagnie assicurative che considerano non redditizio il settore.
Fin qui i problemi dei medici e delle assicurazioni, ma resta comunque quello delle tante famiglie vittime di presunta malpractice. Ad aiutarle c’è da tempo il Tribunale del malato e numerose associazioni che difendono i diritti dei pazienti. "Il problema non è che gli errori medici non vengono accertati e quindi risarciti nel caso di condanna del medico o della struttura di appartenenza - conclude Losappio - . Il fatto è che i giudizi, obiettivamente complessi, sono molto lunghi, soprattutto, nelle ipotesi frequenti in cui gli imputati sono numerosi, come nei casi di colpa di un’intera équipe".
Crotone. Giunti in ospedale gli ispettori del ministero
Arrivano all’ospedale San Giovanni di Dio di Crotone, teatro della morte della diciottenne Gessica Rita Spina, gli ispettori del ministero della Salute per l’indagine disposta dal ministro Balduzzi *
24/01/2012 Sono giunti oggi all’ospedale civile San Giovanni di Dio di Crotone gli ispettori inviati dal ministro della Salute Renato Balduzzi con il mandato di fare luce sulle cause del decesso di Gessica Rita Spina, la diciottenne deceduta venerdì scorso, due giorni dopo che aveva dato alla luce un bambino con il taglio cesareo. Gli ispettori, affiancati dai membri della commissione interna nominata dalla direzione generale dell’Azienda sanitaria provinciale hanno ascoltato tutto il personale medico che ha avuto in cura la giovane donna dal momento del ricovero, avvenuto mercoledì 18 gennaio, durante il parto e fino al decesso del successivo 20 gennaio nel reparto rianimazione. Agli ispettori del ministero i sanitari hanno consegnato ognuno una propria relazione sul caso. Domani a mezzogiorno, intanto, il sostituto procuratore della Repubblica Enrico Colagreco conferirà l’incarico al medico legale Pietrantonio Ricci per effettuare l’autopsia sul corpo di Gessica Spina. Sono undici le persone, tra primari, ginecologi, anestesisti, rianimatori, un’ostetrica e un’infermiera, che hanno ricevuto un avviso di garanzia per l’ipotesi di omicidio colposo.
* IL QUOTIDIANO DELLA CALABRIA, 24.01.2012
I DATI
Malasanità, casi in aumento
La maglia nera alla Calabria
Tra aprile 2009 e settembre 2011, sono 470 gli episodi registrati dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario. In media 16 al mese che hannno provocato 329 decessi, 78 solo nella regione ionica. Sotto la lente d’ingrandimento anche le strutture, inefficienti in particolare in Sicilia. Il presidente Orlando: "Certi avvenimenti potrebbero essere evitati" *
ROMA - Sedici presunti casi di malasanità al mese, 470 da fine aprile 2009 a fine settembre 2011. Episodi che per 329 volte hanno fatto registrare la morte del paziente o per errore diretto del personale medico e sanitario (223) o per disfunzioni o carenze strutturali (106). Una tendenza in salita negli ultimi 12 mesi, con circa 200 episodi di presunta malasanità, in media 19 al mese, che avrebbero causato la morte di 166 pazienti.
Il quadro emerge dai dati rilevati dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario e i disavanzi sanitari regionali. Tra errori, disservizi, carenze strutturali e altre inefficienze, negli ultimi due anni e mezzo i casi di malasanità che si sono rivelati fatali per il paziente, sono cresciuti. Ma al di là dei numeri, a impressionare è soprattutto il dato geografico.
In Calabria il maggior numero di casi di malasanità. La maglia nera di regione con il maggior numero di episodi di sospetta malasanità (97) va alla Calabria. Segue la Sicilia, a 51, poi Lazio (32), Puglia (31) e Campania (29). Tra i 30 e i 20 casi si attestano in Toscana, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, e Liguria. Scendono decisamente i numeri in Valle D’Aosta (10), Piemonte (9), Abruzzo (7), Umbria (4), Marche, Basilicata e Friuli Venezia Giulia (3). Tra le aree più "virtuose" ci sono Molise e Sardegna (due casi di malasanità) e Trentino Alto Adige (uno).
Decessi concentrati in Calabria e in Sicilia. La classifica si riflette anche nella graduatoria delle regioni in cui si verificano più decessi. Circa la metà di questi si è registrata in Calabria (78) e in Sicilia (66). Seguono Lazio con 35 morti, Campania con 25, Puglia con 21, Toscana con 18, Emilia Romagna con 16, Liguria con 14, Veneto con 13, Lombardia con 11, Valle D’Aosta con 9, Abruzzo con 7, Piemonte con 4, Umbria con 3, Friuli Venezia Giulia, Basilicata e Sardegna con 2, Trentino Alto Adige, Marche e Molise con 1.
La responsabilità del personale sanitario e le carenze strutturali. Su un totale di 470 casi di malasanità, 326 riguardano vicende legate a presunti errori da parte dei medici e del personale sanitario. Errori che potrebbero aver causato 223 decessi. Ma gli episodi di malasanità spesso sono causati da disservizi, carenze e strutture inadeguate. Insomma, da lacune del Servizio sanitario nazionale considerate come punti critici dalla Commissione presieduta da Leoluca Orlando. In particolare, su 144 casi totali registrati nel Paese, 34 riguardano gli ospedali siciliani, 23 le strutture del Lazio, 15 quelle della Calabria. E ancora: 13 casi si sono verificati in Puglia, 9 in Lombradia, 8 in Veneto e Campania, 7 in Emilia Romagna e Liguria, 6 in Toscana, 4 in Valle D’Aosta, 3 in Piemonte, 2 in Abruzzo e Sardegna, 1 in Friuli Venezia Giulia, Basilicata e Molise. Tre sono le regioni in cui non si sono registrati casi di malasanità di tipo strutturale: Trentino Alto Adige, Umbria e Marche.
Orlando: "Casi mi malasanità potrebbero essere evitati". "Spesso i casi di malpractice potevano e potrebbero essere evitati, qualora gli operatori provvedessero o avessero provveduto a denunciare spontaneamente anomalie e disfunzioni", rileva Leoluca Orlando, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario, che traccia un bilancio positivo sui lavori del gruppo da lui guidato: "A due anni dall’effettivo inizio della sua attività di inchiesta, possiamo tracciare un bilancio molto positivo degli effetti prodotti dalla Commissione. In primo luogo la nascita e la crescita della consapevolezza che la tutela della salute, prevista dall’articolo 32 della Costituzione, sia un diritto per i cittadini ma anche un dovere per gli operatori sanitari, da noi continuamente invitati a rivendicare l’esigenza di essere posti nelle migliori condizioni di operare".
Il sindacato dei medici d’emergenza: "Malasanità spesso legata a carenze nelle strutture". "Studi internazionali hanno già verificato che il 70% dei presunti casi di malasanità è dovuto a disfunzioni e carenze organizzate del sistema sanitario". Commenta così i dati della Commissione parlamentare d’inchiesta sui casi di presunti errori nella sanità italiana Massimo Magnanti, segretario del Sindacato professionisti emergenza sanitaria (Spes), che aggiunge: "Addossare la colpa degli errori ai medici è troppo semplicistico, spesso. La categoria lavora in strutture vecchie, con gravi carenze di personale che ne compromettono la qualità dei servizi erogati". A preoccupare il sindacato è soprattutto "il sovraffollamento dei reparti, turni massacrati di guardia e carenza del personale per il blocco del turno over in alcune Regioni", conclude il segretario.
* la repubblica, 24.10.2011
Vorrei sottoporre alla Vostra attenzione la mia triste storia di ennesima vittima di malasanità...questa volta dell’ IFO di Roma, più precisamente del Dr. Cognetti e del Dr. Ferretti. Mia madre Rossiello Raffaella affetta da adenocarcinoma è stata ricoverata all’IFO di Roma e sottoposta a cure e trattamenti chemioteratipi sperimentali che la hanno condotta a morte nel giro di 3 settimane. Il dr. Cognetti di Medicina Oncologica A, si è approfittato dello stato di depressione e scoramento di mia madre (che voleva continuare a vivere) per farle firmare un consenso informato per chemioterapici sperimentali non adatti ad una paziente nello stato fisico di mia madre.Alla prima grave complicazione (una copiosa emorragia) il dr. Ferretti si è rifiutato di trasferirla in ospedale più idoneo (Visto che l’IFO-Istituto Nazionale Tumori - Regina Elena è sprovvisto di Pronto Soccorso e di Rianimazione), facendo morire mia madre per emorragia sotto gli occhi impotenti dei figli. Non contenti di ciò, il dr. Cognetti ha proceduto contro la volontà dei figli ad una autopsia per "blindare" la posizione dell’ospedale in relazione alle gravi negligenze commesse, ed ha proceduto personalmente alla contraffazione della cartella clinica in relazione alle cure/farmaci e quant’altro somministrato a mia madre. Questi criminali che in nome della scienza seviziano e portano a morte pazienti oncologici, utilizzandoli come cavie da laboratorio...vanno fermati.
In Fede
Simone Ballatore
UNA PAROLA HA DETTO LA COSTITUZIONE ("ITALIA"), MA GLI ITALIANI E LE ITALIANE NE SENTONO E NE VEDONO DUE ... E CONTINUANO A GRIDARE "FORZA ITALIA"!!!
L’ITALIA, IL "BIPOLARISMO PRESIDENZIALE", E I COSTITUZIONALISTI IN COMA PROFONDO (1994-2011). - con allegati
L’OCCUPAZIONE DELLA LEGGE E DELLA LINGUA ITALIANA: L’ITALIA E LA VERGOGNA.
IL RAPPORTO
Malasanità, il 50% dei casi in Calabria e Sicilia La commissione: in Italia un errore ogni 2 giorni
Dalla fine di aprile 2009 a metà settembre 2010, so no stati contati 242 casi. 15 al mese. 64 si sono verificati in Calabria, 52 in Sicilia, 24 nel Lazio. Fuori dalla classifica restano solo Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Umbria e Marche
ROMA - La Commissione errori ha redatto il rapporto facendo assumere all’allarme malasanità connotati numerici incontestabili e preoccupanti. In Italia, in media, ogni mese, si contano 15 casi di errori in campo sanitario. Uno ogni due giorni. In poco più di un anno, dal primo ufficio di presidenza di fine aprile 2009 a metà settembre 2010, la commissione parlamentare ha esaminato 242 casi.
Episodi di presunta malasanità, di cui 163 hanno fatto registrare la morte del paziente. O per errore diretto del personale medico e sanitario, o per disservizi o carenze strutturali. Su 163, 88 sono vittime di errori che si concentrano in due sole regioni: Calabria (50) e Sicilia (38). Fuori dalla classifica restano solo cinque regioni. In Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Umbria e Marche non si sono registrati casi di malasanità di tipo strutturale.
E’ quanto emerge dall’analisi dei casi all’esame della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario e i disavanzi sanitari regionali, in possesso dell’Adnkronos Salute. Episodi che dopo un esposto, una segnalazione, o magari un articolo di giornale, arrivano sul tavolo del presidente della Commissione Leoluca Orlando. Che interviene. Nel particolare dall’analisi emerge che su 242 casi ’attenzionati’, 64 si sono verificati in Calabria, 52 in Sicilia, 24 nel Lazio, 15 in Campania, Puglia e Lombardia, 14 in Veneto, 12 in Toscana, 9 in Emilia Romagna, 8 in Liguria, 6 in Piemonte, 2 in Friuli Venezia Giulia e in Abruzzo, 1 in Trentino Alto Adige, Umbria, Marche e Basilicata.
La Calabria è al primo posto anche per quanto riguarda i decessi. Tra gli episodi all’esame della Commissione errori, i morti legati a presunti (fino all’accertamento della magistratura) casi di malasanità in terra calabrese sono stati 50. Ma la Sicilia, con 38 vittime, non è da meno. Seguono il Lazio con 14 morti, Campania 12, Puglia 9, Liguria 8, Emilia Romagna e Toscana 7, Veneto 6, Lombardia 4, Piemonte 2, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Umbria e Basilicata 1.
Scorrendo le tabelle della Commissione, su un totale di 242 casi di malasanità, 186 riguardano presunti errori da parte dei medici e del personale sanitario. Errori che potrebbero aver causato 123 decessi. Anche qui, sezionando il dato su base territoriale, si evidenziano le situazioni più critiche in Calabria e Sicilia. Nelle strutture sanitarie calabresi si contano 56 presunti errori all’esame della Commissione, in Sicilia se ne registrano invece 36. Al terzo posto si colloca invece il Lazio con 15 casi di presunti errori.
I casi di malasanità non sempre però hanno a che fare con l’errore diretto del medico. Spesso nascono da disservizi, carenze, strutture inadeguate. Tutte lacune del Servizio sanitario nazionale che la Commissione cataloga come ’altro’. Su 56 casi totali registrati in tutto il Paese - che hanno portato a 40 vittime -, 16 riguardano gli ospedali siciliani, 9 le strutture del Lazio, 8 quelle della Calabria.
Intervenuti sul rapporto della Commissione parlamentare, i sindacati medici, ammettono che soprattutto in Calabria ci sarebbe bisogno di una riorganizzazione globale del sistema sanitario regionale. "I dati relativi alla Calabria e alla Sicilia colpiscono e fanno riflettere", ha detto il segretario nazionale dell’Anaao Assomed Costantino Troise, mentre Massimo Cozza, segretario nazionale della Fp Cgil medici, ha invitato le Istituzioni a "riorganizzare in fretta il Ssr di alcuni regioni, Calabria in testa".
"In Italia - ha spiegato Troise - ogni anno si ricoverano 7,5 milioni di persone, per un totale di circa 50 milioni l’anno di giorni di degenza complessivi in ospedale. Si fanno inoltre 300 milioni di visite specialistiche e circa 1 miliardo di esami di laboratorio: numeri importanti. Questo per dire - ha precisato - che i dati sui presunti casi di malasanità vanno sempre rapportati al volume delle prestazioni erogate".
* la Repubblica, 27 ottobre 2010
COMUNICATO STAMPA
SANITA’: IL 28 SETTEMBRE IN SENATO LA PROPOSTA DI LEGGE CHE CANCELLA LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE DEL PERSONALE SANITARIO ANCHE PER COLPA GRAVE
CODICI: IL SERVIZIO SANITARIO E’ ALLA DERIVA: DAI SENATORI CHIAMATI AD ESPRIMERSI NESSUNO SCATTO DI INDIGNAZIONE
Dopo i recenti casi di malasanità di Messina, la magistratura siciliana apre un’altra inchiesta; nel registro degli indagati finiscono due medici palermitani della clinica Candela, con l’accusa di omicidio colposo per il decesso di un bambino nato morto. Due casi di malasanità a Messina, Matera, Roma, Padova, Torino ed ora Palermo, tutti avvenuti in sala parto; sei da agosto in cui le varie responsabilità dovranno essere accertate dalla magistratura. In Italia, le cifre degli errori commessi dai medici sono da bollettino di guerra. Ai decessi avvenuti in corsia per errori sanitari sono, poi, da aggiungere anche i casi in cui, per l’errore di un anestesista o di un chirurgo, viene seriamente pregiudicata la salute del paziente. Tutto questo costa allo Stato, e quindi ai contribuenti, qualcosa come 10 miliardi di euro ogni anno. E mentre in Italia i cittadini muoiono in ospedale, presumibilmente per carenza di adeguate pratiche sanitarie, il Senato proprio oggi, in maniera assolutamente bipartisan, discuterà il Disegno di Legge che cancellerà ogni responsabilità medica in seguito a malpractice sanitaria. Il secondo punto all’ordine del giorno che sarà trattato dalla 12^ Commissione Permanente è infatti: Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario e di qualità dell’assistenza sanitaria.
Dalle proposte dei vari Senatori si evince che:
• La struttura sanitaria può avviare azione disciplinare contro i dipendenti responsabili del danno qualora il fatto sia stato commesso con dolo o colpa grave. Solo in caso di dolo può essere avviata azione di rivalsa nei confronti dei sanitari responsabili; • la responsabilità civile per danni a persone causate dal personale sanitario medico e non medico, occorsi in una struttura ospedaliera pubblica o privata, è sempre a carico della struttura stessa; • le aziende ospedaliere e universitarie, le aziende sanitarie locali , (ecc ) sono responsabili dei danni arrecati ai pazienti, o da questi comunque subiti nel corso dell’erogazione dei servizi sanitari, a meno che non dimostrino di aver adottato tutte le misure idonee ad evitarli.
“Sorprende che, dopo i fatti di malasanità delle ultime settimane, da parte dei Senatori che sono chiamati ad esprimere un parere sul Disegno di Legge in questione, non ci siano ancora stati scatti di profonda indignazione - commenta il Segretario Nazionale del CODICI, Ivano Giacomelli - “Con queste proposte di legge, medici ed infermieri non risponderanno più dei danni che causano ai pazienti in conseguenza di imprudenza, imperizia e negligenza, neanche dal punto di vista disciplinare. Questo Disegno di Legge vuole escludere la responsabilità anche per colpa grave. E, di fronte a questo processo, CODICI si indigna”.
Il CODICI ha infatti da vari mesi lanciato l’iniziativa “INDIGNIAMOCI - Ci scippano la salute e la dignità” diffusa su tutto il territorio nazionale per protestare contro il declino del Servizio Sanitario. Per questo chiediamo il contributo dei cittadini attraverso la condivisione di idee ed iniziative. I cittadini indignati possono contattare l’Associazione scrivendo a sportelloalcittadino@codici.org oppure sulla bacheca del gruppo Facebook “Ci scippano la salute e la dignità”.
IL CASO
Lite fra medici, nuovo caso
Neonato in coma a Messina
Il diverbio fra un ginecologo e il primario del reparto di ostetricia dell’ospedale Papardo ha ritardato il parto procurando al piccolo una mancanza di ossigenazione *
MESSINA - Un neonato è ricoverato in coma farmacalogico nel reparto di terapia intensiva neonatale del Policlinico di Messina, dove è nato, una settimana fa, dopo una lite tra due medici nel reparto di ginecologia dell’ospedale "Papardo". Il diverbio - come avvenuto lo scorso 26 agosto per il caso del piccolo Antonio Molonia al Policlinico 1 - è legato a diversità di vedute sulla scelta tra parto naturale e taglio cesareo per la puerpera 24enne, Ivana Rigano, già in avanzata fase di travaglio.
Due giorni fa la donna e il marito 34 anni, Nicola Mangraviti, hanno deciso di presentare una denuncia-querela ai carabinieri e il sostituto della procura, Anna Maria Arena, ha aperto un’inchiesta, al momento, contro ignoti. Già acquisite dai carabinieri le cartelle cliniche. Il neonato - nato di oltre 4 chili - è intubato e tenuto in coma farmacologico, nella terapia intensiva neonatale del Policlinico dov’è stato trasferito d’urgenza subito dopo il parto naturale al Papardo: proprio per le sue dimensioni il piccolo sarebbe rimasto incastrato, al momento di venire al mondo, e quei secondi di mancanza di ossigenazione avrebbe creato lesioni cerebrali, ma anche agli arti. Il parto è avvenuto dopo molte ore di travaglio della 24enne.
La puerpera, alla sua prima gravidanza, era in attesa del taglio cesareo deciso dal ginecolgo Rosario Pino quando sarebbe intervenuto il primario Francesco Abate ed il suo aiuto Saverio Eposito che avrebbero addiritura strappato i moduli del consenso già firmato dai genitori ordinando che si procedesse invece col parto naturale. I familiari di Ivana Rigano hanno reagito aggredendo il primario. La donna ha poi potuto partorire soltanto 4 ore dopo. Quando i familiari si sono resi conto delle sue gravi condizioni si sarebbero scagliati contro il ginecologo Rosario Pino, accusandolo di aver ritardato il parto.
* la Reèubblica, 20 settembre 2010
Il cesareo è tecnicamente riuscito, ma per la bimba non c’era più niente da fare
THIENE (Vicenza) - E’ stata eseguita ieri l’autopsia su Noemi, la bambina nata morta all’ospedale di Thiene. L’esame autoptico, conferito per stabilire i motivi del decesso, non è stato determinante. Non sono state trovate cause di morte che potrebbero essere legate allo stato di salute della neonata. Era insomma una bambina sana e non presentava patologie. Così come avrebbero stabilito i referti delle ecografie e degli esami eseguiti durante la gravidanza. Resta da eseguire l’esame istologico sulla placenta. Sarà invece decisivo l’incidente probatorio che dovrà stabilire quando si è staccata la placenta. Dalla risposta a questo quesito dipendono le eventuali responsabilità dei medici che avevano preso in cura la donna. Quello che dovrà essere capito è se ci sia stato un parziale o totale distacco della placenta. Ma soprattutto in che momento sia successo. Christina Taube era arrivata in ospedale giovedì scorso alle 8.30 col marito Francesco Panozzo. Accusava dolori al ventre. La sofferenza fetale della bambina che portava in ventre è stata invece individuata 6 ore dopo, vero le 14.30. Solo a quel punto è stata preparata la sala operatoria per un intervento di urgenza. Malgrado un intervento chirurgico tecnicamente riuscito per Noemi non c’era più niente da fare.
E’ proprio sulla ricostruzione cronologica dei fatti che potrà essere stabilito se siano state seguite le procedure o se invece ci sia stata negligenza da parte dei sanitari. Quello che il consulente dovrà accertare non appena gli verrà affidato l’incarico, attraverso la documentazione medica, è a che ora si sia verificato il distacco, e, se possa essere avvenuto diverso tempo prima rispetto al momento del parto. Sarà necessario comprendere anche se le perdite ematiche fossero sintomatiche, e in caso di risposta positiva, perché non siano state considerate importanti. La donna infatti ne aveva dato notizia verso la mattinata, ma, secondo la famiglia, non erano state valutate. Insomma la consulenza dovrà suggerire se sia stato fatto tutto il possibile per portare a buon fine la nascita della bambina o se siano stati trascurati sintomi evidenti. Nel registro degli indagati sono stati iscritti per omicidio colposo il ginecologo Carlo Dorizzi e l’ostetrica Laura De Munari.
Romina Varotto
Giusto per quelli che dicono che la malasanità esiste solo al Sud... SVEGLIATEVI, al nord è anche peggio! Da ""Il Giornale di Vicenza". La responsabilità del decesso della neonata andrebbe attribuita al medico, che non avrebbe valutato correttamente nè le forti contrazioni della madre, quand’era giunta in ospedale attorno alle 9, nè l’emorragia che aveva subito dopo, intorno alle 10.30. Se la mamma fosse stata ricoverata prima, quella mattina, e non fosse stata invitata a tornare dopo le 13, la piccola sarebbe nata in buone condizioni, con un’ossigenazione piùche sufficiente. E invece è nata morta. Sono queste le conclusioni a cui sono giunti i periti incaricati dal tribunale di analizzare le cause del decesso e le eventuali responsabilità mediche in relazione alla morte di Noemi Panozzo, avvenuta il 23 luglio di un anno fa all’ospedale Boldrini di Thiene. È quanto emerso nella forma del cosiddetto "incidente probatorio "davanti al pm Claudia Dal Martello e al giudice Eloisa Pesenti, che aveva incaricato come periti il prof. Massimo Montisci dell’università di Padova e il dottor Gianfranco Fais. Sotto inchiesta per omicidio colposo ci sono il ginecologo Carlo Dorizzi, 36 anni, di Verona (avv. Giovanni e Giulio Manfredini) e le ostetriche Laura De Munari, 40, di Marano (avv. Lucio Zarantonello e Luisa Fiorentino) e Fabiola Fontana (avv. Francesco Antonelli), che avevano nominato come consulenti di parte i prof. Tagliaro e Franchi (Dorizzi), Cortivo e Grella (Fontana) e Dal Maso (De Munari). La parte offesa, i genitori di Noemi, Christina Taube e Francesco Panozzo di Roana (che sono assistiti dall’avv. Roberto Rigoni Stern), avevano nominato i prof. Rondinelli e Valsecchi. La mamma, dopo 40 settimane e 5 giorni di gravidanza, si presentò in ospedale alle 8.30 del mattino, come lei stessa ha ricostruito alla procura. Attese per quasi un’ora, poi fu sottoposta al tracciato; al termine fu visitata dal dottor Dorizzi che la assicurò dicendole che andava tutto bene, nonostante lei non si sentisse affatto bene. La invitò a tornare alle 13.30. Uscendo dal reparto di ginecologia del Boldrini, però, la mamma ebbe delle perdite di sangue, che macchiarono il sedile della macchina. Rientrò spaventata in ospedale, ma le fu detto che era normale e l’emorragia venne tamponata. Quindi attese fuori dal Boldrini, ma stava molto male e fece rientro alle 13. Venne messa sotto tracciato, fu eseguito un taglio cesareo d’urgenza ma la bimba nacque morta alle 14.30. Secondo il dott. Andrea Galassi, che eseguì l’autopsia, Noemi morì per asfissia. I periti del tribunale hanno confermato la circostanza, spiegando che si era staccata la placenta. Il distacco era iniziato dopo le 9, e si era concluso poco prima del cesareo. Per i prof. Montisci e Fais le valutazioni del dottor Dorizzi sarebbero state superficiali, la bimba si poteva salvare. Non solo: hanno evidenziato un problema organizzativo nella struttura ospedaliera, carente di personale nel reparto. Il primario in quei giorni era in ferie. Non vi sarebbero responsabilità invece per le ostetriche. Gli atti ora sono tornati in procura. Il pm dovrà valutare se chiedere e per chi l’eventuale rinvio a giudizio.
Diego Neri
Ansa» 2009-03-04 12:37 UNA GARZA DIMENTICATA DIVENTA TUMORE DOPO 20 ANNI
(ANSA) - CORATO (BARI), 4 MAR - Una garza dimenticata nell’addome durante l’operazione per una banale appendicite, poi individuata ma mai rimossa, è diventata tumore dopo 20 anni: protagonista della vicenda - riportata oggi sulle pagine della "Gazzetta del Mezzogiorno" - è Ester Mazzilli, di 31 anni.
La donna, assistita dall’avv.Daniele De Gennaro, quando aveva 12 anni, nel 1989, è stata ricoverata nel reparto di chirurgia dell’ospedale di Ruvo dove è stata operata di appendicite. Dimessa nove giorni dopo, con una cicatrice di due centimetri, i dolori però continuavano a non passare. I genitori venivano rassicurati dai medici ma le fitte non passavano.
E lo stato di salute di Ester negli anni peggiorava progressivamente mentre la cicatrice diventava più grande: di 4 cm. Ricoverata nel Di Venere di Bari, vengono svolti accertamenti che evidenziano una "infiammazione da corpo estraneo".
Si potrebbe intervenire, invece non si fa nulla. Durante il drenaggio esce dalla ferita una garza di colore verdastro e i medici affermano che quello è il corpo estraneo.
Viene dimessa ma i dolori continuano e la cicatrice diventa di 5 cm. Ritorna ad Di Venere ma nuovamente i medici la dimettono senza intervenire. Il 19 dicembre dello scorso anno, arriva la diagnosi: tumore da operare.
L’intervento però è da rinviare perché si avvicinano le vacanze di Natale. A fine gennaio Ester, infine, viene operata d’urgenza all’ospedale Bonomo dove le asportano una neoformazione di quasi 13 cm. e tutta la fascia dei muscoli paravertebrali di destra. Il referto parla di un "processo granulomatoso gigantocellulare da corpo estraneo". La donna ha presentato denuncia.
Ho perso 9 anni per avere quello che si poteva fare in 2 o max 3 anni. Ho dovuto cambiare 2 studi legali, migliaia di euro spesi per ottenere nulla. Alla fine ho capito che la malasanità non lo fa l’avvocato ma la Medicina Legale. Mi sono rivolto ad un centro di medici legali che in poco tempo hanno valutato il mio caso e in 2 anni ho ottenuto il risarcimento. Questi purtroppo sono i veri numeri che girano dietro agli errori sanitari.
Al diavolo gli avvocati.
I numeri dell’Ania, l’associazione delle assicurazioni. Risarcito un malato su tre Dal ’96 in Italia le denunce dei cittadini sono aumentate del 66%
Errori medici, la guerra dei pazienti In un anno 28mila richieste danni
di MICHELE BOCCI *
ROMA - Operazioni sbagliate, errori nella somministrazione dei farmaci, diagnosi mancate: in dieci anni in Italia le denunce dei cittadini contro i medici e gli ospedali sono aumentate del 66%. Secondo l’Ania, l’associazione nazionale delle imprese assicuratrici, si è passati da 17mila danni segnalati nel 1996 a 28mila nel 2006. Per reggere l’urto delle richieste dei cittadini le Regioni stipulano polizze per la responsabilità civile in campo sanitario per un totale di circa 500 milioni di euro l’anno.
Dietro al boom ci sono vari motivi, spesso non classificabili come malasanità. Lo dice lo stesso organismo autore dello studio, indicando tra l’altro "una maggior consapevolezza dei propri diritti da parte dei malati" che li spingerebbe ad una conflittualità più marcata. Denuncia inoltre non vuol dire automaticamente colpa: restano una minoranza i casi in cui si arriva ad un risarcimento. Secondo il Simpas, sistema informativo ministeriale sulle polizze assicurative in sanità, i soldi vengono riconosciuti in un terzo dei casi. E arrivano tardi, anche a causa della lentezza dei processi. Sempre secondo Ania nel 2006 era stato liquidato solo il 68% del valore dei sinistri provocati per errore medico dieci anni prima. La media dei rimborsi è tra i 25 e i 30mila euro.
Mentre il ministro alla pubblica amministrazione Renato Brunetta parla con una certa frequenza di "macellai" tra i chirurghi, le Regioni e il governo si organizzano per disporre di un sistema di "risk management", cioè di controllo dell’errore in corsia. "Le realtà più avanzate sono l’Emilia, la Toscana, la Lombardia, il Veneto e il Friuli - spiega Gianmario Raggetti, professore all’Università politecnica delle Marche e responsabile del Simpas - Riguardo alle denunce, è vero che in un decennio c’è stato un aumento, ma negli ultimi anni registriamo numeri abbastanza costanti". In molti casi i contenziosi possono essere risolti senza processo, quando assicurazione e danneggiato si accordano.
"Secondo le nostre stime succede nel 25% delle segnalazioni - dice ancora Raggetti - Bisogna considerare inoltre che quando le questioni vanno avanti per via penale o civile, le sentenze definitive riconoscono un risarcimento al 6% di chi lo ha chiesto. Le Regioni veramente all’avanguardia classificano anche gli errori non denunciati. Rilevarli fa acquisire una cultura del rischio che serve poi ad contenere gli sbagli". Tra le realtà con il migliore controllo della situazione c’è la Toscana. "Quando si parla di aumento di denunce bisogna tenere conto anche del fatto che l’attività sanitaria è cresciuta negli ultimi dieci anni - spiega Riccardo Tartaglia responsabile del Centro gestione rischio clinico della Regione - Inoltre c’è stato un aumento dell’aspettativa dei pazienti, a volte superiore alle possibilità della medicina. Noi spendiamo ogni anno 40 milioni di euro in assicurazioni ma visto che il 60% dei risarcimenti sono per cifre sotto i 2mila euro, stiamo avviando un progetto per aumentare il numero di conciliazioni dirette tra aziende sanitarie e cittadini. Così risparmieremo sulle polizze".
Nel nostro paese non esiste uno studio preciso sulle cause degli incidenti in ospedale e il Simpas sta per avviare ora un nuovo sistema di raccolta dati. All’inizio di settembre è però uscito un lavoro sulla rivista edita dal British medical journal, QSHC (che sta per qualità e sicurezza nel sistema sanitario), basato su 8 lavori riguardanti 75mila pazienti in Usa, Australia, Inghilterra, Nuova Zelanda, Canada. Ebbene i ricoverati che subiscono danni in ospedale sono il 9,2%, di cui oltre la metà senza conseguenze serie. I maggiori problemi si registrano in sala operatoria, con quasi il 40% delle segnalazioni di danni al paziente. Segue la somministrazione di farmaci sbagliati con il 15%. La classifica dei medici più spesso coinvolti vede in testa i chirurghi generali, con il 26% dei casi, e gli ortopedici, con il 22.
* la Repubblica, 23 settembre 2008.
Santa Rita, da Mengele a Ponzio Pilato
di Lidia Ravera (l’Unità 14.06.2008)
Non c’è essere umano più inerme, vulnerabile, fragile di una persona malata. Non può appoggiarsi a nessuna delle sue sicurezze, né il prestigio sociale, né il danaro, né la bellezza o il talento. Non può cavarsela da sé, si deve affidare. E a chi si affida? A uno specialista, a un chirurgo, a un’anestesista, a una struttura ospedaliera, pubblica o privata, all’infermiera di turno. Non è più, per una fase che spera il più breve possibile, padrone della sua vita, non è più indipendente. Ha bisogno degli altri, di tutti, medici e paramedici. Saranno bravi? Saranno competenti? Sbaglieranno sulla sua pelle o faranno bene e gliela salveranno? Decide che deve fidarsi, se no diventa matto. E allora chiude gli occhi, si fa bambino,obbedisce, si sottopone alle cure, si sottomette ai verdetti.
Approfittarsi di una persona così, di una persona ridotta dalla malattia ad uno stato di minorità, è il più odioso di tutti i crimini possibili, e di crimini odiosi ne abbiamo visti e commentati tanti, in questi tempi di diffusa amoralità. Alcuni sanitari della clinica S. Rita di Milano si sono macchiati di questo crimine. Hanno fatto commercio della vita, della salute, dell’integrità fisica di esseri umani che si erano rivolti a loro per essere curati, guariti o aiutati a soffrire il meno possibile. Hanno approfittato della propria competenza e di quell’aura di mistero che spesso circonda la professione medica (a partire dalle pratiche più modeste, perfino quella di scrivere ricette, con una calligrafia - chissà perché - sempre incomprensibile) per fare i propri interessi, per guadagnare più soldi, per incassare sovvenzioni, truffando quindi i cittadini due volte, come singoli individui nella persona fisica dei malati, e come parte della collettività, perché hanno derubato lo Stato. Anche grazie alle contestate intercettazioni telefoniche (che Dio ce le conservi), sono stati smascherati e adesso, nel corso degli interrogatori, che cosa dicono a loro discolpa? «Ma io ho obbedito agli ordini».
La frase è tristemente nota. L’abbiamo sentita al Processo di Norimberga, dalla viva voce degli ufficiali nazisti che prestavano servizio nei Campi di Concentramento. L’abbiamo riascoltata quando sono saltati fuori gli abusi sui prigionieri a Guantanamo. E poi di nuovo a proposito dei “fatti di Genova”, nel corso dei processi per l’ingiustificata crudeltà con cui sono stati colpiti ragazzi inermi, colti nel sonno, dopo una legittima manifestazione. Scagionarsi dichiarando di aver “obbedito agli ordini”, se è tolerabile in guerra, e anche per questo ogni guerra va rifiutata, è del tutto ingiustificabile in tempo di pace. Figuriamoci, poi, se è accettabile nel luogo destinato a salvare vite, portare sollievo, comprendere e limitare la sofferenza!
A che cosa si deve obbedire, a chi, in una Casa di Cura? Al giuramento di Ippocrate o agli ordini del notaio Pipitone, proprietario del “negozio” in cui si commercia in carne umana? Spero che i Pm Pradella e Siciliano (due donne) non abbiano pietà per gli “obbedienti” dottori. Che li considerino per quello che sono: dei degenerati, feccia, gente marcia. Spero che li puniscano in modo esemplare, per riportare un po’ di serenità fra i vecchi, fra i malati, che, giustamente, oggi temono più la cura della malattia. Che lo scrivano sui giornali, che cosa hanno detto a loro discolpa: abbiamo obbedito agli ordini... si usava così... lo facevano tutti... non potevo mica oppormi... capirà... se non tenevamo un certo ritmo di operazioni toste, di quelle complesse e gravi, non raggiungevamo il punteggio, eravamo fuori dalla Coppa dei Marpioni, e allora addio migliaia di euro, bye bye milioni...
Eccoli qua, i nostri doctor House, i nostri eroi, eccoli “i medici in prima linea”. Nemmeno il coraggio di mettersi in ginocchio e chiedere perdono. Alla donna a cui hanno tolto un seno, rovinandole la vita, così, per qualche dollaro in più. All’anziano che hanno ammazzato perché tanto a quell’età si può anche morire e a noi fa comodo un bollino, un punto-chirurgia, un rimborso. Come i nazisti si nascondono dietro una macchina di cui sarebbero umili rotelle, come i nazisti non hanno pietà per le loro vittime. Odiano i malati come i nazisti odiavano gli ebrei? Nemmeno. Perfino l’odio sarebbe una spiegazione. Invece no.
Niente odio, qui c’è soltanto indifferenza e avidità. Hanno commesso i crimini che hanno commesso per futili motivi e ora scaricano le colpe uno addosso all’altro per viltà. È stato lui, non sono stato io, io ho visto, ma non potevo intervenire, io sono impotente, io non conto niente... bello spettacolo anche questo. Dalla teutonica follia del processo di Norimberga siamo scivolati verso il più casereccio teatrino dello Scaricabarile. Mentre la barca affonda chiunque cerca di buttare a mare tutti gli altri nel nobile tentativo di montare sull’unica scialuppa disponibile, quella degli irresponsabili, complici per inettitudine, baciati dalla grazia del menefreghismo. E salvarsi la pelle, le chiappe, la carriera, perché, in fondo, siamo tutti peccatori. Perchè il mondo, ormai, va come va... Fra Mengele e Ponzio Pilato.
www.lidiaravera.it
La clinica degli orrori
Le cinque piaghe di Santa Rita
di Livia Turco (l’Unità, 13.O5.2008)
Il governo deve intervenire subito avviando un’immediata ispezione dei Nas in tutte le cliniche private accreditate per la verifica del rispetto dei termini contrattuali dell’accreditamento
Quanto emerso dalle indagini sulla Clinica Santa Rita di Milano non può essere liquidato come l’ennesimo caso di malasanità. In esso si intrecciano infatti almeno cinque elementi diversi di mal funzionamento nel rapporto pubblico-privato, emersi non a caso proprio in Lombardia, dove la logica della competizione e della concorrenza esasperata in Sanità ha evidentemente facilitato comportamenti come quelli registrati in questo caso drammatico.
Il primo elemento di disfunzione è quello relativo al sistema di pagamento delle cliniche private accreditate. Esso, salvo alcune eccezioni, avviene secondo tariffe per prestazioni che, così come oggi formulate, incentivano indirettamente gli operatori privati ad effettuare prestazioni generalmente più onerose e quasi sempre più invasive per il paziente, anche quando non è necessario.
Mi spiego. L’asportazione totale della mammella per un cancro al seno ha una tariffa più alta di un intervento meno invasivo che si limita a togliere il tumore, salvaguardando la mammella della donna. Ma i costi della mastectomia, che sono effettivamente più alti di quelli di una quadrantectomia, non lo sono però in misura proporzionale all’aumento della tariffa. Ecco allora che, per un pugno di euro in più, si può arrivare all’orrore di quanto risulta essere stato fatto più di una volta in quella clinica.
Il secondo elemento da considerare è relativo al sistema di accreditamento delle strutture private. Esso ha dimostrato da tempo i suoi limiti tant’è che con la legge finanziaria del 2007 il Governo Prodi ha posto le basi per un completo riassetto del sistema che, salvo colpi di spugna dell’attuale maggioranza, andrà a regime entro il 2009. Esso si articola in tre mosse: dal 1 gennaio 2008 è prevista la decadenza di tutti gli accreditamenti concessi automaticamente in via transitoria dalle Regioni e non ancora in linea con i nuovi criteri di accreditamento stabiliti dalla legge Bindi del 1999, che prevedono standard qualitativi e meccanismi di verifica molto più approfonditi di quelli delle vecchie convenzioni. Poi, sempre dal primo gennaio 2008, sarà vietato qualsiasi nuovo accreditamento in assenza di uno specifico atto di programmazione sanitaria regionale che ne dimostri l’esigenza e la coerenza con il fabbisogno assistenziale locale.
Infine, entro il 31 dicembre 2009, tutte le Regioni dovranno aver concluso le verifiche presso tutte le strutture accreditate per l’accertamento del possesso dei requisiti. Dopo questa data, quindi, solo chi ha i requisiti documentati e verificati e risponde alle effettive esigenze di programmazione regionale resterà accreditato.
Cosa sta facendo l’attuale governo per garantire l’applicazione di questa legge? Ad oggi, tolte generiche dichiarazioni del ministro Sacconi sulla necessità di rivedere il sistema, non se ne sa nulla.
Il terzo elemento da valutare dopo lo scandalo della Santa Rita è sul piano dei controlli e delle verifiche. Evidentemente i controlli attuali, per stessa ammissione delle Regioni, sono troppo burocratici e poco incisivi sul piano della qualità medica e prestazionale delle cliniche private. Ad esempio, se fossero stati fatti controlli che avessero incrociato i dati della patologia con quelli della terapia adottata, sarebbe risultato evidente il numero anomalo di mastectomie della Santa Rita rispetto alla media regionale e si sarebbe potuti intervenire prima, chiedendo lumi e facendo verifiche ad hoc sul perché di quelle anomalie.
Anche su questo terreno il Governo Prodi aveva avviato il cambiamento approvando un disegno di legge, poi decaduto insieme alla legislatura, che istituiva un vero e proprio «sistema nazionale di valutazione della qualità delle prestazioni» che affiancasse i controlli di tipo economico. Solo così, intrecciando spesa e qualità delle cure, si possono tenere sotto controllo gli operatori privati e anche quelli pubblici. Cosa intende fare in proposito il ministro Sacconi? Anche su questo è urgente sapere il suo orientamento. La quarta questione da affrontare è quella relativa allo status del personale sanitario nelle cliniche private accreditate. Pochissimi contratti a tempo indeterminato e, al loro posto, rapporti professionali saltuari o a prestazione che alimentano di fatto la rincorsa all’intervento più costoso e quindi più remunerativo.
Non è accettabile. Perché dobbiamo capire una volta per tutte che le strutture accreditate agiscono per nome e per conto del Ssn. Sono pagate con i soldi della sanità pubblica e non possono che avere le stesse regole di qualità, sicurezza, modalità di remunerazione del personale e coerenza negli obiettivi da perseguire.
E qui veniamo all’ultimo insegnamento della vicenda di Milano. Una constatazione che troppe volte abbiamo in qualche modo taciuto in ossequio alle logiche del mercato, della competizione e della concorrenza. Il privato in sanità, salvo le realtà no profit, ha un indiscusso obiettivo da raggiungere: il profitto. È chiaro che esso può essere conseguito con trasparenza e correttezza e anche grande qualità, di cui, fortunatamente, abbiamo molti esempi nel nostro Paese. Ma resta il fatto che, se al raggiungimento del profitto non si coniugano altri traguardi morali tipici del privato sociale, il rischio di considerare l’attività sanitaria come una qualsiasi altra attività commerciale è molto alto. A prescindere dalla deriva delinquenziale. Se ho in mente prima di tutto il profitto é evidente che il mio scopo, pur restando nei limiti della legalità, sarà quello di ottenere il massimo dando il minimo. E quindi, contratti con il personale al ribasso, apparecchiature più scadenti, ricerca dei pazienti più convenienti e rifiuto di quelli che richiedono molta assistenza ma anche molti investimenti per poterli assistere (come spiegare altrimenti le pochissime terapie intensive private?).
Tutto ciò ci dice il caso di Milano. Ed è veramente assordante il silenzio del Governo di fronte a uno scenario così drammatico e denso di questioni da affrontare. È ovvio che va rispettato il lavoro dei magistrati (ci mancherebbe!), come ha dichiarato l’altro giorno a Ballarò il ministro Sacconi. Ma il Governo può e deve intervenire subito, al di là delle indagini e del caso specifico. Avviando un’immediata ispezione dei Nas in tutte le cliniche private accreditate per la verifica del rispetto dei termini strutturali e contrattuali dell’accreditamento. Concordando con le Regioni un’ulteriore azione di verifica sulla qualità e l’appropriatezza dei servizi resi dalle strutture accreditate. E infine prendendo in mano la questione delle tariffe per cambiare l’attuale sistema di rimborsi che, e se è accaduto alla Santa Rita potrebbe accadere anche altrove, rischia di incentivare l’inappropriatezza a danno dei pazienti e anche della spesa pubblica.
Il sottosegretario Fazio: ’’Se non fosse un caso isolato andrei all’estero’’
Clinica degli orrori, medico incolpa vertici azienda
Davanti al gip milanese Curami sfila la metà delle dodici persone ai domiciliari che devono rispondere delle accuse di omicidio volontario e lesioni gravissime
Milano, 12 giu. - (Adnkronos/Ign) - Sono in corso gli interrogatori per sei dei medici agli arresti domiciliari per l’inchiesta che coinvolge la casa di cura Santa Rita di Milano ribattezzata la ’clinica degli orrori’.
Davanti al gip milanese Micaela Curami sfilano sei delle dodici persone agli arresti domiciliari che devono rispondere a vario titolo delle accuse di omicidio volontario e lesioni gravi e gravissime.
Intanto, i pm Tiziana Siciliano e Grazia Pradella ascolteranno in giornata altri quattro anestesisti della casa di cura chiamati a rispondere su alcune operazioni chirurgiche "inutili e dannose" secondo l’accusa.
Renato Scarponi, capo equipe del reparto ortopedia della Santa Rita punta il dito contro la direzione sanitaria della clinica ’degli orrori’. Il medico, ascoltato dal gip Curami, durante l’interrogatorio di garanzia ha risposto alle accuse di truffa al Servizio sanitario nazionale e lesioni gravi e gravissime che lo vedono da lunedì agli arresti domiciliari.
Scarponi ha scaricato la colpa sulla direzione sanitaria, rappresentata da Gianluca Merlano e Maurizio Sampietro, e su Francesco Paolo Pipitone, proprietario della casa di cura.
Marco Pansera, medico dell’equipe di chirurgia toracica della clinica, si è difeso durante l’interrogatorio di garanzia davanti al gip Curami. Il medico ascoltato per circa un’ora ha sottolineato di non essersi reso conto di aver preso parte a interventi secondo l’accusa ’inutili e dannosi’ e che in cinque casi hanno portato alla morte del paziente. Secondo indiscrezioni solo nel momento in cui l’Asl ha presentato un esposto da cui poi e’ partita l’inchiesta il medico si sarebbe reso conto di interventi ’errati’. Il medico resta agli arresti domiciliari mentre ora nell’aula al settimo piano del Tribunale di Milano sono in corso altri interrogatori di garanzia.
Maurizio Sampietro, ex direttore sanitario della clinica Santa Rita di Milano, ha respinto le accuse durante l’interrogatorio di garanzia. Il medico, ha spiegato il suo legale Rosario Minniti, ’’ha riferito la verità e sottolinea che non ha nessuna delle responsabilità che gli vengono imputate’’ ribadendo di ’’avere svolto con puntualità i doveri a cui era chiamato’’.
Massimo impegno per garantire un futuro professionale ai lavoratori. E’ invece la promessa dell’Istituto clinico Santa Rita di Milano, che ha incontrato questa mattina i suoi dipendenti. "Oggi - si legge in una nota della casa di cura sotto inchiesta - la massima preoccupazione dell’azienda, oltre a garantire l’assistenza ai pazienti attualmente ricoverati, è la salvaguardia dei posti di lavoro dei propri dipendenti e collaboratori".
La vicenda della clinica degli orrori ha colpito lo stesso sottosegretario al Welfare, Ferruccio Fazio. "Ieri mi hanno chiesto se, secondo me, quello della Santa Rita di Milano fosse un fenomeno singolo o generalizzato. Ho risposto che, nel secondo caso, andrei all’estero. Penso proprio sia un fenomeno isolato, almeno me lo auguro", ha detto Fazio, a margine dell’informativa urgente in Senato.
Nuovi dettagli dalle intercettazioni che ieri ha portato a 14 arresti
Un ’tibiale anteriore’ destro impiantato al posto del ’rotuleo’ sinistro
Santa Rita, anche tendini scambiati
nella clinica milanese degli orrori
"Abbiamo dovuto usarlo purtroppo perché ormai il paziente era aperto"
MILANO - Un tendine "tibiale anteriore" destro impiantato al posto di quello "rotuleo" sinistro perché il paziente era ormai "aperto", ovvero sotto i ferri in sala operatoria. Accadeva anche questo alla casa di cura Santa Rita, la struttura sanitaria al centro dell’indagine dei pm Grazia Pradella e Tiziana Siciliano.
L’episodio emerge da un’intercettazione telefonica depositata agli atti dell’inchiesta che ieri ha portato a 14 arresti, di cui due in carcere e 12 ai domiciliari. La conversazione, datata 6 febbraio 2008, avviene tra la dottoressa Arabella Galasso, ortopedico indagato, e una collega, la dottoressa Maristella Farè.
Galasso: Ciao gioia senti abbiamo un casino...
Farè: ...allora ma non gliel’avete poi messo il tendine?
Galasso: Sì, no no, quello di ieri non era nostro...
Farè: ...ah non era suo?
Galasso: ...oggi l’abbiamo ritirato...
Farè: ...non er... ah non era il medico quello che si era rotto!
Galasso: ...no... si il medico che si è rotto l’abbiamo operato oggi, so che ieri ti hanno restituito un tendine... ma non era roba nostra...
Farè: ...ah... e di chi era?
Galasso: ...non era della mia equipe, non so dirti chi l’ha ordinato e l’ha rimandato indietro. Senti abbiamo un problema sul tendine di oggi... perché voi mi avete mandato questo emitendine rotuleo con tutto il certificato di idoneità e il codice del donatore, la data di nascita, di morte, gruppo sanguigno peccato che la busta che m’avete mandato è un tendine tibiale anteriore...nato in una data diversa da questo qua, cioè non c’è corrisponde... noi abbiam dovuto usare il tibiale purtroppo perché ormai il paziente era aperto...
Farè: vabbè...
Galasso: ...quindi l’a... l’abbiamo usato...
Farè: ...cosi è andato bene il tibiale?
Galasso: ...si non era fantastico rispetto al... rotuleo che ci aspettavamo anche perché qui abbiamo tutta la descrizione del tendine...
Farè: ...ma porco giuda...
Galasso: ...ma non era quello descritto qui...
Farè: ...ma guarda te...
Galasso: ...quindi adesso io ti telefonavo proprio per la corrispondenza della documentazione che ho in mano, perché ho la busta con d... con un gruppo A negativo ricevente R.D. c’è scritto, tendine tibiale anteriore...
Farè: ...ma R.D. è quello che avete mandato indietro ieri...
Galasso: ...e com’è possibile madonna, vuoi dire che...
Farè: ...eh... hanno fatto casino perché...
Arabella Galasso circa un quarto d’ora dopo richiama la collega per un controllo sulla corrispondenza tra la documentazione e il presidio sanitario, e ad un certo punto Maristella
Farè spiega:
Farè: ...sì no, noi abbiam sbagliato la consegna sicuramente. Il problema però che non c’è il rotuleo dove l’avevamo messo dov’era da consegnare...
Galasso: ...tesoro mio si vede che qualcuno se l’è acchiappato...
Farè: ...eh già...
Galasso: ...e l’ha mandato da qualche parte
Farè: ...eh questo può essere
Galasso: ...sì una roba no noi abbiamo messo ad un collega un tibiale destro al posto di un rotuleo sinistro, mi vengono già le coliche ma non importa.
Farè: No beh quello non è un problema
Galasso: Ascolta come sistemiamo sta faccenda? Perché ti devi recuperare i documenti del rotuleo...
Farè: ...si...
Galasso: ...a questo punto, e io mi devo recuperare i documenti del tibiale
Farè: No i documenti del rotuleo li puoi buttare perché noi li abbiamo tutti in doppia copia, io adesso..
Poco più avanti la conversazione prosegue:
Farè: ...benissimo, io ti mando i documenti corretti e l’idoneità del tibiale, poi vabbè...
Galasso: ... perfetto...
Farè: Cambiagli il tipo di intervento...
Galasso: ...compilo tutto e ti...
Farè: ...ma il tendine destro e sinistro non ha importanza mi dispia...
Galasso: ...chi se ne frega certo...
Farè: ...no quello non ce ne frega... mi dispiace però...
Galasso: ...che sfiga che abbiamo noi dottori
Farè: Ma davvero guarda.. cioè ci puoi giurare che un coll...
Galasso: ...io non gli dico niente al mio collega..
Farè: ...no non dir gli niente...
Galasso: ...zitta e muta...
Farè: ...dai che andrà benissimo questa...
* la Repubblica, 10 giugno 2008.
Ansa» 2008-06-09 12:45
SANITA’, 14 ARRESTI A MILANO. TRA LE ACCUSE ANCHE OMICIDIO
MILANO - Sono 14 le persone arrestate a Milano nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza e coordinata dai pm Grazia Pradella e Tiziana Siciliano (foto archivio).
Destinatari delle 14 ordinanze di custodia cautelare, delle quali 2 in carcere e 12 a domiciliari, sono 13 medici tra cui l’ex direttore sanitario della clinica milanese Santa Rita e il rappresentante legale nonché titolare della struttura sanitaria.
La clinica, secondo le indagini, attraverso l’alterazione delle cartelle cliniche in modo tale da far lievitare i ’drg’ avrebbe ottenuto indebiti rimborsi per circa 2 milioni e mezzo di euro. Inoltre nel reparto di Chirurgica Toracica sono stati effettuati interventi definiti "dannosi, inutili, avventati e inspiegabili" nei confronti di ignari pazienti. Interventi che hanno portato a contestare in cinque casi l’omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e circa 90 casi di lesioni gravi o gravissime.
INDAGATA ANCHE LA SOCIETA’ SANTA RITA Anche la clinica Santa Rita in qualità di ente giuridico è indagata in base alla Legge sulla responsabilità amministrativa degli enti nell’inchiesta dei pm Grazia Pradella e Tiziana Siciliano che questa mattina ha portato a 14 arresti di cui 2 in carcere e 12 ai domiciliari. La clinica, attraverso l’alterazione delle cartelle cliniche e dei codici di rimborso (Prg), ha ottenuto dal Servizio Sanitario Nazionale un indebito rimborso finora accertato di circa 2,5 milioni di euro, somma equivalente che questa mattina é stata sequestrata dai militari della Guardia di Finanza.
PM, INTERCETTAZIONI FONDAMENTALI "L’utilizzo delle intercettazioni é stato fondamentale per l’inchiesta perché gli indagati parlano in modo esplicito della necessità di operare per guadagnare". Lo hanno detto i pm di Milano Grazia Pradella e Tiziana Siciliano, titolari delle indagini che questa mattina hanno portato a 14 arresti di cui due in carcere e 12 ai domiciliari di medici e vertici della clinica Santa Rita di Milano. Tra le persone finite agli arresti domiciliari c’é il notaio Francesco Paolo Pipitone, legale rappresentante e socio di maggioranza della clinica. I due pm in conferenza stampa hanno sottolineato che per quanto riguarda l’aspetto economico sono state intercettate numerose conversazioni che "colpiscono in quanto l’interesse remunerativo è subordinato all’interesse per il paziente". Dello stesso avviso è stato il colonnello della Guardia di Finanza Cesare Marangoni che ha condotto le indagini secondo il quale senza le intercettazioni "’non si sarebbero individuati anche i casi di omicidio volontario’’. Riguardo all’aspetto economico, è stato spiegato che in qualche caso lo stipendio base di alcuni, che era di meno di 2.000 euro al mese, grazie al sistema architettato per gonfiare i rimborsi, è arrivato anche a 27.000 euro mensili.
IN CARCERE PRIMARIO CHIRURGIA TORACICA - E’ il primario della Chirurgia Toracica della clinca Santa Rita, il dottor Pierpaolo Brega Massone, una delle due persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Milano sui rimborsi gonfiati nella struttura sanitaria milanese. L’altra persona per il quale il gip Micaela Curami ha disposto il carcere è uno dei più stretti collaboratori del primario, il dottor Pietro Fabio Presicci.
TBC CURATA CON ASPORTAZIONE POLMONE - Ci sono anche una decina di casi di pazienti con tubercolosi curati con l’asportazione del polmone tra gli episodi contestati nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Milano che questa mattina ha portato a 14 arresti. Il fatto è stato spiegato nel corso della conferenza stampa. Proprio per far luce su questi casi lo scorso anno l’Asl Città di Milano ha creato una commissione d’inchiesta e ha sospeso l’accreditamento col Servizio Sanitario Nazionale per il reparto di Chirurgia Toracica della clinica.
Tra i casi che riguardano le lesioni gravi e gravissime c’é anche quello dell’asportazione di una mammella in una donna giovane anche se non ce n’era motivo. Tra i casi, invece, che riguardano l’accusa di omicidio volontario, uno riguarda l’asportazione di polmoni e un altro riguarda una donna di circa 90 anni colpita da tumore al seno la quale, anziché subire un intervento risolutivo, è stata operata per ben tre volte.
Ansa» 2008-04-19 14:47
7000 MORTI INFEZIONI OSPEDALE, ECCO DNA KILLER
ROMA - Il Dna di un batterio killer pericoloso, resistente agli antibiotici è stato sequenziato dai ricercatori del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, dell’Istituto di Biotecnologia del CNR di Milano e del Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma Tre. Ora sarà possibile mettere a punto una terapia per sconfiggerlo. Il batterio ha già ucciso nelle corsie degli ospedali italiani ed europei ed ora, ha fatto sapere l’Istituto Superiore di Sanità, sarà possibile mettere a punto un arma farmacologica per fermarlo. Solo in Italia, infatti, le infezioni ospedaliere causate da agenti come questo, causano 7000 molti l’anno negli ospedali. I ricercatori sono riusciti a tracciare la mappa completa del suo genoma: si tratta del ceppo del batterio Acinetobacter baumanii, altamente virulento e resistente agli antibiotici. Questo ceppo ha causato numerose epidemie ed elevata mortalità in ospedali italiani ed europei e che è resistente alla terapia con diverse classi di farmaci antimicrobici. Oltre a rivelare quei critici fattori genetici che hanno reso il batterio così resistente agli antibiotici, il sequenziamento del genoma è fondamentale per la rapida messa a punto di metodi per fermarlo
Lo studio è pubblicato online su Antimicrobial Agents and Chemotherapy, una rivista dell’American Society of Microbiology. Solo in Italia, si stima che le infezione contratte nelle strutture sanitarie siano la causa principale o accessoria di morte per 4500-7000 persone ogni anno secondo i più recenti dati della Società italiana multidisciplinare per la prevenzione delle infezioni nelle organizzazioni sanitarie (Simpios). Si valuta che dal 5 all’8 per cento dei pazienti ricoverati (450.000-700.000 persone) nelle strutture ospedaliere pubbliche e in quelle private venga colpito da un’infezione ospedaliera, principalmente da quelle urinarie, della ferita chirurgica, polmoniti e sepsi. L’impatto economico sul sistema sanitario nazionale è superiore a un miliardo di euro all’anno e l’onere maggiore è dovuto al prolungamento della degenza; le giornate di ricovero imputabili all’insorgenza di complicanze infettive variano, infatti, tra il 7,5 e il 10 per cento. Anche secondo i dati del ministero della Salute il numero di infezioni ospedaliere in Italia, è in linea con i dati registrati negli altri Paesi europei con un’incidenza media tra il 4,5 e il 7% dei ricoveri (pari a circa 450.000/700.000 casi, con una mortalità dell’1%) a fronte del 3,6% della Germania e del 13% della Svizzera. Tuttavia, spiegano gli esperti, è bene sottolineare che solo il 30% delle infezioni ospedaliere è facilmente evitabile con l’adozione di semplici regole igieniche che vanno dal lavaggio delle mani al rispetto di norme per la cura delle ferite e la pulizia del paziente durante l"assistenza. Mentre il restante 70% delle infezioni è legato alle condizioni cliniche del paziente e alla sempre maggiore incidenza di batteri resistenti agli antibiotici.
Ansa» 2008-04-17 12:31
SANITA’: L’EX MINISTRO SIRCHIA CONDANNATO A 3 ANNI
MILANO - L’ex ministro della Sanità Girolamo Sirchia è stato condannato a 3 anni di reclusione nell’ambito del processo milanese in cui è imputato insieme ad altre sette persone e una società per presunte tangenti nel mondo della sanità. Per Sirchia l’accusa aveva chiesto 2 anni e 9 mesi di reclusione.
Cinque anni di interdizione dai pubblici uffici è la pena accessoria che oggi i giudici della quarta sezione penale del tribunale di Milano hanno inflitto all’ex ministro Girolamo Sirchia nell’ambito del processo su presunte tangenti nel mondo della sanità milanese. La condanna invece a tre anni di reclusione è coperta da indulto. I tre capi di imputazione per cui Sirchia è stato condannato non sono lontani dalla prescrizione.
Una sentenza "fuori dalla realtà e non condivisibile". Sono le prime parole a caldo dell’ex ministro della Salute, Girolamo Sirchia, condannato oggi a Milano a tre anni di reclusione, subito dopo la lettura del dispositivo in aula. "Sono ovviamente dispiaciuto perché malgrado le prove e le testimonianze portate ha prevalso il teorema dell’accusa. Ovviamente mi riservo di impugnare una decisione che reputo fuori dalla realtà". L’ex primario del Policlinico ha inoltre sottolineato che per lui è un dovere "rispettare quello che il Tribunale decide ma é anche un dovere - ha detto - difendere la mia onorabilità". Il professore, assistito dagli avv. Giovanni Maria Dedola e Paolo Grasso, si è detto comunque amareggiato per essere uscito da un processo con una condanna coperta da indulto e una pena accessoria legata a un preciso episodio che presto cadrà in prescrizione. Sirchia ha sempre sostenuto la sua innocenza e la sua estraneità ai fatti contestati.
E POI VOGLIONO RADIARE UNA RAGAZZA SOLO PERCHE HA PARTECITATO AD UN REALITY ......
FATE SCHIFO......
VENITE E AIUTIAMO CARMELA CARCURO AD AFFRONTARE QUESTA INDEGNATA CAUSA....
http://movieboysitalia.altervista.org/aiuto_a_carmela_carcuro.html
In Calabria alla scoperta di un sistema ostaggio delle cosche che controllano gli appalti. Viaggio alle origini di un male italiano
Calabria, tangenti e paura la Piovra in corsia
dal nostro inviato ATTILIO BOLZONI *
REGGIO CALABRIA - Solo un bambino, un bambino morto, ci può raccontare la maledizione che sono gli ospedali della Calabria. Flavio che giocava sulle giostrine dell’oratorio, Flavio che nove ore e settantacinque chilometri dopo già non c’era più. Era appena scivolato in quella grande fogna che è la Sanità ai confini d’Italia. Soldi, soltanto soldi. Tangenti, soltanto tangenti. Paura, soltanto paura. Le chiamano Asl ma sono covi. Dove però ci vogliono stare tutti. È come un’ossessione. Si sbranano e a volte anche si uccidono per una nomina in più o una nomina in meno. Sono tutti all’assalto di quei 3 miliardi e 204 milioni di euro che ogni anno devono saziare la Calabria più famelica.
E lì dentro vogliono comandare tutti. Partiti. Famiglie mafiose. Burocrazie.
L’Udc, il Pd, Forza Italia, Alleanza nazionale, destra, sinistra, quelli che erano di qua e sono andati di là, i capi della ’ndrangheta che hanno fatto diventare primari i loro figli e i loro nipoti, i direttori generali, i commissari straordinari, i contabili, gli infermieri e i portantini, anche i magazzinieri. C’è un livello per ogni spesa e ogni scorribanda. Non li ferma nessuno. Gli scandali, gli arresti in massa. Non li ferma neanche la vergogna. Di chi sono le mani sulla dannata Sanità calabrese? "Di tutti, nessuno escluso", risponde il governatore Agazio Loiero che in questi mesi deve fare i conti con i troppi voti presi e con i troppi creditori che reclamano elargizioni, incarichi, favori, prebende.
Nella sua Calabria dove si annuncia un’altra lunga tempesta il governatore è inquieto e avverte: "La Sanità può uccidere ancora, dopo l’omicidio di Francesco Fortugno ne possono ammazzare un altro".
Cominciamo dalla sventura di Flavio questo resoconto sulle oscenità ospedaliere calabresi, una delle tante, una di quelle che fa sopravvivere tutti gli altri che dalla Sanità succhiano il 65 per cento del bilancio della Regione. Flavio Scutellà, dodici anni, muore il 25 ottobre del 2007 in mezzo a sette ospedali nella Piana di Gioia di Tauro che non lo potevano curare, sette ospedali inutili voluti dai signorotti locali o dai "sottopanza" di qualche ministro di turno. Flavio batte la testa sul selciato e per un piccolo ematoma - che ora dopo ora si allarga sempre di più - non trova in quei sette ospedali un pronto soccorso o un’ambulanza o una sala operatoria. Palmi. Polistena. Rosarno. Taurianova. Oppido Mamertina. Gioia Tauro. Cittanova. Ospedali finti. Flavio se n’è andato dopo quattro giorni di agonia e magari in quel momento, da qualche parte in Calabria, qualcuno stava già fantasticando sui quattro nuovi ospedali che saranno costruiti con decreto emergenziale della Protezione civile. Ce ne sono già 42. E 38 sono le cliniche private.
Nelle sudicie periferie calabresi gli ospedali aprono come gli ipermercati e i capannoni industriali. Appalti. Spartizioni. Passaggi di valigette strapiene di banconote. Minacce. In ogni Asl c’è un colpo in canna. Nel vecchio ospedale di Vibo si muore per un’appendicite, un ascesso tonsillare, una broncopolmonite. Dodici i casi negli ultimi diciotto mesi. Una mezza dozzina le inchieste che si incrociano.
E 803 le "infrazioni" già accertate dai carabinieri dei Nas. Il nuovo ospedale non ci sarà per molti anni ancora per colpa delle mazzette.
"L’azienda di Vibo è l’azienda di Tassone, hai capito?", diceva al telefono a un imprenditore Santo Garofalo, direttore generale dell’Asl 8. A Vibo Valentia avevano già posato la prima pietra del nuovo ospedale, l’aveva portata un costruttore della ’ndrangheta.
E il direttore generale dell’Asl 8 spiegava con stupefacente normalità quali erano le "regole" in quella provincia: "Non ti dimenticare, Vibo è di Tassone e non di Ranieli né di quegli altri né di Stillitani. Le tre aziende: una di Galati, una di Tassone e l’altra è di Trematerra". Telefonate di appena due anni fa. Mario Tassone è un parlamentare dell’Udc. Come Pino Galati. Come Gino Trematerra. Michele Ranieli è un ex eletto alla Camera. Francesco Stillitani all’epoca era assessore regionale. Anche loro dell’Udc.
E’ l’Udc che era padrona ed è ancora forse oggi padrona dell’Asl di Vibo Valentia La mappa del potere sanitario della Calabria è alla vista di tutti, praticamente ufficiale, scontata nella sua sfrontatezza.
Non ci sono capi dei capi della sanità come in Sicilia, un Totò Cuffaro a occidente e un Raffaele Lombardo a oriente. E’ polverizzato il dominio, barattato, molto trasversale. A Cosenza comandano i Gentile, Nino che è deputato e Pino che è consigliere regionale, tutti e due di Forza Italia, una famiglia dedicata alla Sanità. Ma non sono soli. Ha una certa influenza anche Nicola Adamo, capogruppo regionale del Pd ed ex vicepresidente della giunta Loiero.
A Cosenza c’è pure Ennio Morrone, parlamentare dell’Udeur con interessi anche nella sanità privata. A Catanzaro c’è solo Agazio Loiero. A Reggio Calabria detta legge Alleanza nazionale, però il presidente da quando c’è il centrosinistra è Leo Pangallo. L’hanno messo lì i Democratici di sinistra. A Crotone il più "infilato" in corsia è Enzo Sculco, un consigliere regionale della Margherita che qualche mese fa è stato cacciato per una condanna in primo grado a 7 anni per corruzione. Il governatore Loiero ha così piazzato i suoi fedelissimi a Crotone, Sculco però ha sempre i suoi compari.
A Palmi e a Locri, invece, i partiti contano niente. Conta solo la ’ndrangheta. I Piromalli. I Molè. I Morabito. I Cordì. I Cataldo. I loro rampolli hanno invaso gli ospedali. Medici di rispetto. Uno di loro è riuscito a prendere lo stipendio perfino in carcere.
Pasquale Morabito era lo psicologo di Bovalino dal 1992 al 2002. Quando l’hanno arrestato per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti, glielo continuavano a spedire. "La Asl se n’è accorta e non ha nemmeno avviato azioni di recupero", scrive nella sua relazione Paola Basilone, il prefetto mandata a Locri dal ministero degli Interni dopo l’omicidio del vicepresidente del consiglio regionale Francesco Fortugno.
"Il mio è stato un viaggio di andata e ritorno all’inferno", dice Doris Lo Moro, una bella signora che fino al 30 novembre del 2007 è stata l’assessore alla Sanità della Calabria. E’ sempre scortata, dal primo giorno della legislatura. L’hanno fatta fuori come assessore. Sono stati i suoi, i ds del Partito democratico.
Non li faceva "entrare" negli ospedali. Alla prima occasione hanno chiesto la sua testa a Loiero. "Se vuoi ti diamo un altro assessorato, ma la Sanità no...", le hanno fatto sapere. "La cattiva politica nella Sanità è peggio della ’ndrangheta, senza la cattiva politica mafiosi e affaristi non potrebbero fare niente", spiega Doris Lo Moro mentre ricostruisce i suoi tormentati quasi mille giorni nella giunta di Catanzaro.
Per provarci ci ha provato. Ma l’assessorato alla Sanità non ha cambiato volto. Era circondata. Il suo direttore generale si chiamava Peppino Biamonte. E’ è lo stesso Peppino Biamonte che falsificava carte per far avere altri 500 mila euro alla clinica Villa Anya di Domenico Crea, l’onorevole boss che si sentiva un dio all’Asl 11 di Reggio Calabria. "Agli ordini", gli rispondeva il direttore generale dell’assessorato quando Crea telefonava per chiedere conto della sua pratica su Villa Anya.
Tutti gli alti funzionari regionali sognano la Sanità. "Ci sono troppe incrostazioni, ci sono collusioni che noi nemmeno immaginavamo quando tre anni fa abbiamo cominciato a governare", racconta il presidente Loiero che l’altro giorno ha "azzerato" i dipartimenti della Sanità, un repulisti. L’altro giorno ha finito la sua prima missione in Calabria anche il prefetto Achille Serra, inviato dal ministro Livia Turco a riferire sulla Calabria che fa morire i calabresi nei suoi ospedali. Il 14 di aprile il prefetto Serra consegnerà il suo rapporto.
Ma la Calabria è la Calabria. A volte è anche invisibile. Sono 80 mila i pazienti fantasma - per lo più emigrati e morti da decenni - che erano iscritti regolarmente negli elenchi dell’assistenza sanitaria regionale. A volte è anche imprevedibile. Fra gli indagati in una vicenda di Sanità c’è anche il governatore Loiero, abuso di ufficio e turbata libertà degli incanti per un’ingarbugliata aggiudicazione di forniture elettromedicali. A volte è indegna. In tanti rubano e in tanti fanno rubare. Ma mai c’era stato un monsignore che si era arricchito sulla pelle di poveretti che erano fuori di testa, 363 degenti di una casa di cura che don Alfredo Luberto faceva vivere con la scabbia addosso e nel lerciume dei padiglioni della casa di cura "Papa Giovanni". Raccattava anche lui soldi all’assessorato alla Sanità ma non li portava mai nella clinica che la Curia gli aveva affidato sulle Serre, alle spalle di Cosenza.
Si comprava quadri il monsignore, si arredava l’appartamento con mobili di lusso, aveva acquistato dodici automobili e riempito i suoi conti correnti. Don Alfredo era diventato milionario con la Sanità.
* la Repubblica, 2 febbraio 2008
IL DOCUMENTO.
Il consigliere regionale coinvolto nell’inchiesta sulla sanità calabrese
parla con uno dei suoi collaboratori: conversazione intercettata nell’agosto scorso
Domenico Crea vanta il suo "sistema"
"Il più fesso dei miei è miliardario" *
REGGIO CALABRIA - Prima conversazione. "Mentre in alcune cose, il settore è circoscritto e si possono... Qua è una regione che parte da Cosenza a Reggio Calabria; chi c... sa l’intervento che ha fatto qua o l’intervento che hai fatto ad Amantea o quello che puoi fare a Reggio Calabria? Nessuno. Nessuno è all’altezza ... Te capì? O non te capì?". A parlare è il consigliere regionale calabrese Domenico Crea, arrestato nell’ambito dell’operazione "Onorata Sanità", in un colloquio con il suo collaboratore Antonio Iacopino intercettato dagli investigatori il 3 agosto 2007.
"Un faccendiere come a quello, come a Enzo - aggiunge Crea - in un mestiere come questo, lo sai che faceva? Rendeva il 100%. Senti quello che ti dice Mimmo; e non l’ha mai capito, si sentono intelligenti, ma a me mi possono tenere le p...., la gente. A me la gente, quelli che si sentono intelligenti, mi possono tenere le p..., se mi seguono... E lo sai quando ... che mi servivano lo sai come, alla perfezione... cioè alla perfezione e non... non si muovevano di una virgola... ed io sfondavo. Non mi tradivano e lavoravano, non so se sono... Ti parlo del ’95, ’96, quando io ero un Dio che dopo ti fanno la corte pure quelli che hai intorno. Non quando sei solo".
"All’epoca - prosegue Crea - le mie tre braccia erano Pino, Bruno e il mongolo di Sandro, di mar...(abbassa il tono della voce e tronca la parola, ndr). Mi hai capito? e sono tutti miliardari... Il più fesso di loro è miliardario... e ti ho detto tutto... Però, fino ad un certo punto si sono comportati bene... I primi due non posso dire nulla fin quando sono stati con me... non so... per i primi cinque anni... E tutti dicevano ’Crea è granitico’, che ha i dirigenti suoi. Nessuno sa quello che fa lui. Non lo tradiscono ... Tutti, assessori, presidenti, tutti mi si corrompono, che mi domandarono ... A tutti quanti ... non solo con... che qua siamo a livelli alti e chi è... e chi è intelligente e chi è che sa fare il mestiere suo, ma vedi che spacca". Uno dei bracci di cui parla Crea, secondo l’accusa, è Alessandro Marcianò, con il figlio Giuseppe presunto mandante dell’omicidio Fortugno.
Seconda conversazione. "Duemila miliardi ... me li gestivo io per i c... miei ... Allora perché vi dico ragionate con le teste e non fate gli storti ... perché ce ne sono certi da noi che sono storti e certi che sono intelligenti, mi hai capito? Che non sanno neanche che vuol dire ... perché soffro quando penso ... per una cazzata". Così Crea si rivolge a Iacopino mentre si trovano in auto insieme. Un colloquio registrato dagli investigatori.
"Ma no con uno stipendio - aggiunge Crea - che c... te ne fotte dello stipendio. Cioè, ma quando hai me cretino tu che puoi fare? Ti prendi i 10 mila euro di consigliere? e che c... sono?".
"Quando io a quello storto di Battaglia - dice ancora Crea - gli ho detto viene e fammi il direttore generale .. che gli volevo dire? Quanti ne abbiamo 3.000 miliardi 4.000 miliardi .. ci sei pure tu".
* la Repubblica, 28 gennaio 2008.
Un bimbo di 17 mesi muore per un banalissimo prelievo di sangue. L’accaduto è avvennuto presso l’Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII di Bari, dove il povero bimbo è stato ricoverato per 17 giorni. *
Assurdo! E’ del tutto inammissibile che tragedie del genere continuino ad accadere nel nostro paese. Posso capire nell’Africa nera, dove magari non hanno neanche le siringhe, ma nel resto del mondo NO!
Altrettanto assurdo è che in una struttura del genere manchi la RIANIMAZIONE!
Vergogna! Questa è la sanità italiana!
Tutto il mio cordoglio va a quelle famiglie colpite da queste assurde tragedie ma, per chi ha colpa non ci sono parole che tengano, l’ergastolo è un lusso!
Cliccate Qua:
http://it.youtube.com/watch?v=6wYXzsGzNI0
http://video.google.it/videoplay?docid=-6942594041049126923
Ospedale Giovanni XXIII, Bari: Bimbo di 17 mesi muore per un prelievo di sangue!
* nicolapio2007@libero.it
Voglio riportare alcuni altri casi di malasanità, in modo da creare un po di informazione che informi...
--- Doppia Amputazione --- Oltre al danno la beffa...
Un paziente con gravi problemi di circolazione ad una gamba è costretto a ricorrerre all’amputazione per evitare una cancrena estesa ma.. ..durante l’intervento succede qualcosa che tutt’oggi non è stato chiarito! Tagliano la gamba sana!!! Ovviamente l’altra doveva comunque essere asportata e quindi il poveraccio si ritrova senza gambe e in carrozzella.
Casi di scambio sono purtroppo un fenomeno non affatto isolato, i medici incolpano i radiologi, i radiologi si difendono e scaricano le colpe a volte anche sui pazienti...
La cosa che ci fa arrabbiare maggiormente è che oltre al danno poi c’è la beffa della giustizia, questo poveraccio non riesce a distanza di anni a far valere i suoi diritti ed è stato costretto a cambiare per ben TRE volte il proprio legale difensore, il primo passatogli dal tribunale del malato, amico e stretto conoscente del primario che ha sbagliato l’intervento si è tirato fuori rinunciando subito, il secondo ha iniziato con problemi nel trovare un medico legale che firmasse una perizia di parte, poi quando sembrava risolta la situazione ha iniziato a prendere tempo e chiedere soldi su soldi. Ora finalmente pare che abbia trovato uno studio serio ma è dovuto spostarsi fuori regione...
Oltre al danno la beffa...
--- Intervento ortopedico con infezione ---
Giusto per cominciare voglio farvi conoscere un caso che difficilmente si riesce ad accollarlo all’ospedale, ma questa volta è andata bene.
Un tizio cade a terra è si procura una frattura, va in prontosoccorso e subisce giustamente un intervento ortopedico. Un caso da manuale... ..il paziente sosta qualche giorno in ospedale e poi va acasa, ma dopo qualche tempo si accorge che dove è stata praticata l’incisione per l’intervento chirurgico si è creata una sacca purulenta e quindi un’infezione. Ritorna in ospedale fa vedere la cosa e nel pronto soccorso gli disinfettano la ferita dandogli anche dei banali farmaci da banco. Il disgraziato stando a quello che gli dicono i medici e convinto di una banale infezione tarda altro tempo ma la ferita non guarisce... fine della storia infezione da STAFILOCOCCO AUREO + OSTEOMIELITE + mesi di cura con antibiotici e conseguenti problemi allo stomaco a causa dei pesanti farmaci + perdita posto di lavoro + possibilità che il virus si riattivi in un qualsiasi momento anche dopo 10 anni.
Salve! Purtroppo in Italia la situazione viene ridimensionata dai nostri politici, in realtà è molto più grave e complicata. Io personalmente ho avuto in fam. un caso di malasanità, ho impiegato 7 anni e più di 13milioni delle vecchie lire per non cavarne un ragno dal buco. Per fortuna ho appena trovato sulla mia strada uno Studio che in pochi mesi mi ha sbloccato la situazione e nel giro di 10/12mesi dovrei ottenere il risarcimento. Sono veramente dei professionisti del settore e si occupano di responsabilità medica da oltre trent’anni. Pensano loro alla perizia medico-legale e a tutto il necessario per avviare la pratica. L’unica cosa è che sono stato costretto ad andare fuori Regione....ma credimi ne è valsa la pena...loro gestiscono tantissimi casi di responsabilità medica....Fin’ora non mi hanno chiesto nemmeno un centesimo!!! Io comprendo benissimo la sua situazione e sarei molto felice di poterla aiutare. Se mi contatta sulla mia e-mail: gilor49@yahoo.it le darò degli utili consigli in privato (alcune dritte non le posso spiegare qui). Cordiali Saluti
gilor49@yahoo.it
Il magistrato responsabile dell’inchiesta: dai primi accertamenti emerge "un errore macroscopico" nella realizzazione dell’impianto
"Indagini su tutte e 8 le morti sospette"
I Nas chiederanno il sequestro di 70 impianti
Domani gli ispettori del ministero della Salute all’ospedale di Castellaneta e nella sede di Ossitalia *
ROMA - Riguarda tutt’e otto le morti sospette avvenute nel reparto Utic dell’ospedale di Castellaneta, l’inchiesta aperta dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Taranto. Lo ha rivelato il procuratore Aldo Petrucci, confermando però che, per il momento, l’autopsia sarà compiuta solo sulle due ultime vittime. I cui corpi sono ancora nell’obitorio dell’ospedale.
Sul merito, poi, il magistrato ha riferito che dai primi accertamenti sembrerebbe si tratti di "un errore macroscopico nella realizzazione dell’impianto". "Se le indagini lo dovessero confermare, come sembra dai primi accertamenti - ha aggiunto - sarebbe la prima volta, nella mia lunga esperienza in magistratura, che mi trovo di fronte ad un caso del genere". Il reato ipotizzato, ha confermato, è quello di omicidio colposo plurimo.
Si allarga anche la verifica sul funzionamento degli impianti di distribuzione di gas medicali montati dall’azienda Ossitalia di Bitonto in altre strutture sanitarie. I Nas infatti chiederanno domani mattina al magistrato di Taranto il seguestro conservativo di settanta impianti dell’impresa pugliese. A renderlo noto è stato il comandate del corpo, il generale Saverio Cotticelli. Gli impianti una volta eseguito il provvedimento giudiziario verranno affidati alla custodia dei direttori sanitari che, in attesa della disposizione dei controlli, saranno tenuti a una immediata verifica degli impianti. I carabinieri del Nas svolgeranno accertamenti anche presso l’ospedale cardiologico Lancisi di Ancona dove in passato sono stati installati impianti di Ossitalia.
Intanto per la commissione d’inchiesta istituita dalla Regione "lo scambio dei gas è quasi completamente certo." A dirlo nel primo pomeriggio di oggi in un incontro con la stampa è stato Tommaso Fiore, il coordinatore della commissione, dopo il sopralluogo svolto questa mattina nel reparto dell’ospedale. "Ovviamente la certezza - ha aggiunto Fiore -si può ottenere soltanto attraverso una indagine sull’impianto che non può essere fatta da noi. Qui l’impianto è sigillato e saranno i periti della procura della Repubblica a farla".
Domani arriveranno all’ospedale di Castellaneta, e nella sede dell’azienda Ossitalia, gli ispettori del ministro della Salute Livia Turco. Sono esperti del dipartimento farmaci e dispositivi medici e con loro ci sarà un esperto dell’Istituto Superiore di Sanità, che si occuperà esclusivamente delle verifiche dell’impianto, e un cardiologo.
Quanto ai prossimi passi del procuratore, "domani - ha detto Petrucci, che dirige l’inchiesta insieme col sostituto procuratore, Mario Barruffa - ci vedremo col medico legale Luigi Strada per fissare le autopsie, che penso saranno affidate e avverranno martedì". L’esame sarà esuguito su Pasquale Mazzone, di 82 anni (morto il 2 maggio), e Cosima Ancona, di 73, morta il 4 maggio.
Prima di allora in quel reparto, inaugurato il 20 aprile scorso, sono morte in una decina di giorni (dal 20 al 30 aprile, appunto) altre sei persone, ma non si sa se a causa del protossido di azoto. Il 20 aprile sono morti in due: Vincenzo Tortorella, di 75 anni, e Antonio Naselli, di 76; il 24 aprile Leonardo Grieco, di 85 anni; il 25 aprile: Angelo Carmignano, di 67 anni, e Pasquale Caragnano, di 84; il 30 aprile Michelina Santoro, 80 anni.
E sempre domani, ha rivelato ancora il procuratore, "i carabinieri dovrebbero consegnarci l’elenco delle persone potenzialmente destinatarie di un informazione di garanzia". "L’elenco - ha aggiunto - comprenderà diverse persone, perchè dobbiamo dare a tutti il diritto di esporre le loro ragioni".
* la Repubblica, 6 maggio 2007
LA COMMISSIONE SANITÀ DELLA CAMERA CONTRO L’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI ONCOLOGIA MEDICA: FONTI LETTE SUPERFICIALMENTE
«Una bufala la denuncia sui morti di malasanità»
L’autore: confusi decessi e denunce, chiedo scusa ai colleghi
di Grazia Longo (www.lastampa.it,31/10/2006)
Che i disastri della malasanità siano una spina nel fianco, ce lo ricordava già quarant’anni fa la satira dell’indimenticabile dottor Tersilli interpretato da Alberto Sordi. Ma quei 90 morti al giorno per errori medici sbandierati una settimana fa dall’Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) sono suonati strani a più d’uno. Parlamentari compresi, che ieri hanno denunciato l’errore - pardon, lo strafalcione - commesso.
«Sono numeri di fantasia, un artificio senza fondamento scientifico: un puro esercizio teorico su dati estrapolati da fonti lette superficialmente e diffusi con molta approssimazione» taglia corto Ignazio Marino (Ulivo), presidente della Commissione d’Igiene e Sanità del Senato. La giustificazione dell’Aiom non tarda ad arrivare ed è a dir poco disarmante. I numeri dei morti sono stati gonfiati per un errore di interpretazione: la quantità dei decessi è stata confusa con le denunce presentate. Un imbarazzatissimo Emilio Bajetta - presidente dell’Aiom - è costretto a confessare che sì «il pasticcio è legato all’erronea estrapolazione dei dati esaminati. Quando in ospedale c’è un sinistro mortale, i denunciati possono essere anche 7-8, anche di più, dal primario alla caposala, ed è stato invertito questo dato con quello dei decessi».
Il professor Bajetta però non vuol sentir parlare di scivolone, di maldestro abbaglio. Preferisce definirlo «un’impropria valutazione di metodo», ma un attimo dopo però è pronto a chiedere scusa. Anzi, di più. «Perché le scuse da sole non bastano, occorre spiegare come siamo giunti a un incidente del genere. Domani (oggi per chi legge, ndr) riunirò la segreteria dell’Aiom e concorderemo un comunicato stampa per ribadire che ci dispiace per quanto è accaduto». Dopo la diffusione di cifre allarmanti sui decessi causati in Italia dagli sbagli dei camici bianchi, la Commissione del Senato ha chiesto all’Aiom spiegazioni e fonti da cui i dati sono stati presi. Il presidente Marino è irremovibile: «A fronte di dati privi di fondamento scientifico come questi, sono necessari una responsabilizzazione delle società scientifiche, che per essere credibili devono comunicare in modo serio; maggior controllo e vigilanza da parte degli Ordini professionali dei medici e anche dei giornalisti, e la creazione di una banca dati anche a disposizione di chi fa informazione».
Si pensa perciò a un «provvedimento legislativo - spiega Marino - che faciliti la segnalazione spontanea degli errori in ogni dipartimento e direzione di un ospedale, garantendo la confidenzialità di questi dati, che non potranno essere usati in sede civile e penale». Il vicepresidente della Commissione, Cesare Cursi (Alleanza nazionale) rincara la dose: «È stata un’operazione commerciale. Magari serviva per stipulare qualche polizza assicurativa in più visto che tra le fonti utilizzate c’è un lavoro finanziato da un gruppo finanziario Zurich Consulting Risk Management, che appunto vende polizze assicurative». Per Enzo Ghigo, senatore di Forza Italia, «qualche procuratore dovrebbe interessarsene e aprire d’ufficio un’inchiesta. Il reato ipotizzabile è di procurato allarme». In ogni caso, secondo Cursi, «dati come questi, mandati in giro senza fondamento, colpiscono tanto quanto la malasanità». Per prevenire o ridurre gli errori in ospedale, «che nessuna nega», sono necessarie «linee guida nazionali, messe a punto dal ministero della Salute d’intesa con le Regioni, accompagnate da un programma di formazione di base e continua anche su questo tema». Il professor Emilio Bajetta incassa le critiche, ma replica che si «trattava, come tutti sanno, di elementi americani vecchi, noti dal 2002. La stima delle per errori, tra 14 mila e 50 mila l’anno, venne anche ripresa da Assinform e dall’Associazione degli Anestesisti e rianimatori ospedalieri. Ma nessuno ha scatenato tutto il polverone di oggi».
Non sarebbe stato più saggio evitare di ripetere l’errore? «Certamente sì, ma io durante la conferenza stampa dello scorso 23 ottobre, sono stato prudente e cauto». Il comunicato però titolava a caratteri cubitali «90 morti al giorno». Bajetta non può negarlo, ma rimbalza l’errore all’ufficio stampa, «sarebbe stato sufficiente mettere il punto intrerrogativo alla fine di quel 90». E però non l’avete fatto. «Abbiamo sbagliato. Ribadisco che ne siamo dispiaciuti».