[...] C’è poi una "dimenticanza" che il Papa ha fatto quando ha riflettuto su fede, razionalità e violenza. Quella "dimenticanza" è una ferita che ancora brucia nel mio cuore...»
A cosa si riferisce?
«Nel cuore dell’Europa esisteva un Islam moderato, laico, dialogante: era la Bosnia. Ebbene, l’Europa democratica, cristiana, tollerante assistette un silenzio, un silenzio pesante, un silenzio complice, alla distruzione di quella esperienza. Allora la fede cristiana fu usata per costruire Muri di odio nel cuore dell’Europa. Una verità su cui Papa Ratzinger non può non riflettere» [...]
Predrag Matvejevic: «Wojtyla non avrebbe commesso un errore così grave»
di Umberto De Giovannangeli (www.unita.it, 19.09.2006)
«Di una cosa sono certo: Karol Wojtyla non avrebbe commesso la "gaffe" a cui è incorso il suo successore. Ci sono errori le cui conseguenze sono tali che occorre molto tempo per ripararli. È il caso del discorso di Ratisbona pronunciato da Benedetto XVI». A sostenerlo è l’intellettuale il cui percorso cultuale e umano è stato quello di costruire «ponti di dialogo» tra identità, etniche e religiose, diverse e spesso violentemente contraposte: Predrag Matvejevic. «È come se in questa occasione - riflette Matvejevic - Joseph Ratzinger abbia chiuso gli "occhi" attorno a sé, facendo prevalere il teologo sul pontefice, senza tenere conto del peso che può avere un discorso del discendente di San Pietro, non solo nel mondo cattolico ma anche nelle contraddizioni del nostro mondo comune». «La Santa Sede - rimarca lo scrittore e saggista - deve riflettere sul fatto che a protestare sono stati tanti credenti musulmani che hanno sempre condannato il terrore jihadista. Quel discorso non li aiuta di certo».
C’è solo un fraintendimento, come ripete la Santa Sede, dietro la rivolta islamica contro Benedetto XVI?
«C’è molto di più di un malinteso. Chi ha avuto modo di leggere il testo integrale del discorso pronunciato dal Papa a Ratisbona, può rendersi perfettamente conto delle frasi inattese. Pensando a Karol Wojtyla ci rendiamo conto che lui non avrebbe mai fatto una tale "gaffe" politica. Giovanni Paolo II aveva imparato nell’Europa dell’Est come comportarsi anche nelle situazioni più ambigue e gravi, nei momenti in cui la Chiesa attraversava prove difficili. Wojtyla aveva acquisito un’altra cultura politica che teneva conto delle circostanze con più attenzione e persino più circospezione. È forse questa la differenza più grande tra il Papa scomparso e il suo successore».
Come spiegare questa «gaffe»?
«È come se Papa Ratzinger avesse chiuso un po’ gli occhi nel momento in cui doveva guardare attorno a sé. Il suo sguardo si è fermato alle frontiere del proprio ambiente familiare, nel suo Paese natale. Così il professore Ratzinger ha prevalso sul teologo, il teorico ha prevalso sul predicatore, lo scenziato sul pontefice».
In cosa consiste la gravità dell’esternazione di Benedetto XVI?
«L’errore del Papa, mi si perdoni di averla chiamata "gaffe", arriva in un momento in cui il mondo islamico è profondamente colpito non solo da vari problemi interni ma anche dalle guerre, in Afghanistan e in Iraq, nonchè dalla ferita del Libano che rimane ancora aperta. Tanto più che il gesto e le parole del Papa sembrano in qualche modo seguire la politica di George W.Bush proprio nel momento in cui questa stessa politica, i cui esiti disastrosi si riflettono in un Medio Oriente insanguinato, comincia a essere sconfessata dagli stessi Stati Uniti. Ci sono errori le cui conseguenze sono tali che occorre molto tempo per ripararli, a volte una epoca intera. Tutti noi facciamo degli sbagli, nessuno è perfetto, neanche il sovrano pontefice. Ma le conseguenze di questi sbagli dipendono dal nostro statuto, dalla influenza che esercitiamo, dal nostro auditorio. Le parole di un Papa sono ascoltate soprattutto quando hanno una connotazione polemica. Hanno una eco che spesso le rafforza e a volte le deforma. È proprio il caso del discorso di Benedetto XVI».
Qual è la spiegazione che si è dato di questa esternazione di Benedetto XVI?
«È come se in questa occasione il sovrano pontefice si fosse in qualche modo dimenticato di ciò che è divenuto, ritrovandosi nell’antico ruolo di professore di teologia, senza tener conto delal Porpora che lo ricopre e del peso che può avere un discorso del discendente di San Pietro, non soltanto nel mondo cattolico ma anche nelle contraddizioni, nelle pulsioni, nelle sofferenze, nelle aspettative inevase del nostro mondo comune. Una cosa simile non sarebbe mai accaduta al suo predecessore. C’è poi una "dimenticanza" che il Papa ha fatto quando ha riflettuto su fede, razionalità e violenza. Quella "dimenticanza" è una ferita che ancora brucia nel mio cuore...»
A cosa si riferisce?
«Nel cuore dell’Europa esisteva un Islam moderato, laico, dialogante: era la Bosnia. Ebbene, l’Europa democratica, cristiana, tollerante assistette un silenzio, un silenzio pesante, un silenzio complice, alla distruzione di quella esperienza. Allora la fede cristiana fu usata per costruire Muri di odio nel cuore dell’Europa. Una verità su cui Papa Ratzinger non può non riflettere».
Come si può tentare di ricuire questa ferita tra il mondo musulmano e la Chiesa di Roma?
«Credo che un percorso di riavvicinamento si sia iniziato, con l’espressione di rammarico del Papa stesso esternata attraverso tutti i media, compresa Al Jazira. Ma questo da solo non basterà. Spetta alla Chiesa, ai teologi, allo stesso Papa di trovare il miglior modo per convincere la parte opposta e offesa. È una strada tutta in salita, come posso testimoniare personalmente...».
Qual è questa esperienza personale?
«Il 21 e 22 settembre prossimi terremo a Roma, a Villa Piccolomini, un importante convegno, patrocinato dalla Regione Lazio, che tra i suoi temi ha quello, a me molto caro, del Mediterraneo: un mare e tre fedi. Ebbene, temo che alcuni eminenti partecipanti dell’Islam previsti ai lavori, si rifiutino di venire. Mi auguro che non sia così e rinnovo l’invito di essere con noi per rilanciare un dialogo che possa cicatrizzare le ferite che abbiamo avuto gli uni e gli altri».
A protestare contro l’esternazione di Benedetto XVI è stato anche, e per certi versi soprattutto, l’Islam moderato.
«E ciò dovrebbe far riflettere ancora di più Benedetto XVI e la Santa Sede sui guasti prodotti da quel discorso. A lanciare un grido d’allarme sono stati anche i tanti credenti musulmani che si sono espressi esplicitamente contro il terrore. Anche per questo spero che gli esponenti di questo Islam moderato, ostile a qualsiasi "Scontro di civiltà", un Islam che è considerato un nemico da abbattere da parte dei jihadisti, vengano a Roma, perchè il dialogo in momenti simili è più che mai necessario».
Sul fuoco della protesta soffia l’Islam radicale e jihadista.
«L’Islam vive una forte alternativa che una volta visse anche il cristianesimo: islamizzare la modernità o modernizzare l’Islam. Il cristianesimo ha vissuto un’alternativa simile: cristianizzare la modernità o modernizzare il cristianesimo. Non è riuscito a cristianizzare la modernità, ciò è stato impedito dal Rinascimento e, soprattutto dall’Illuminismo. Non si può islamizzare la modernità come pretenderebbero gli islamisti fanatici, estremisti, e quando si tratta di modernizzare l’Islam, gli imam dicono: "Non si tocca il Libro". Non si è toccato il Vangelo per abolire l’inquisizione, il rogo, le persecuzioni degli eretici, le "guerre sante"...Dunque, il cristianesimo era "condannato" a modernizzare se stesso. Si è trattato di un proesso lungo, fino al Concilio Vaticano secondo e forse ancora continua. Una cosa simile aspetta l’Islan nei confronti della modernità. Non si può islamizzare la modernità, così come noi non siamo riusciti a "cristianizzare" la modernità. A ciò si opposero i Lumi, la civiltà illuminista. Così può avvenire per l’Islam. È questa la sfida per l’Islam moderato. Una sfida di civiltà. Contro la quale agiscono i terroristi».
Pubblicato il: 19.09.06 Modificato il: 19.09.06 alle ore 15.20
carteggi. Una scelta di lettere inedite di Giorgio La Pira che disegnano la mappa della sua opera di pellegrino del dialogo fra i tre monoteismi
Mare nostrum della pace
L’appello a cercare quel che unisce le grandi religioni, nella certezza che anche l’islam ha in sé questo imperativo
Da Firenze Andrea Fagioli (Avvenire, 04.10.2006)
Il Mediterraneo come il Lago di Tiberiade: un Mare di Galilea più grande, molto più grande, capace di unire con le proprie acque popoli e nazioni, di abbattere ogni barriera etnica e religiosa. Un sogno, un grande sogno, nella mente e nel cuore di un siciliano che certamente ha respirato nella sua giovinezza la cultura mediterranea assorbendone soprattutto il senso dell’apertura al dialogo, tanto che, una volta a Firenze, ha dato vita ai "Colloqui Mediterranei" e a tutte le azioni possibili e immaginabili per la pace nel mondo a partire dalla riconciliazione della «triplice famiglia di Abramo»: le tre grandi religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo, islam).
Quel sogno rivive oggi nelle Lettere di Giorgio La Pira per la pace nel Mediterraneo (1954-1977), raccolte dalle Edizioni Polistampa (pagine 346, euro 16) con il sovrattitolo «Il grande lago di Tiberiade». Si tratta di 71 lettere e 25 altri documenti tra discorsi, interventi e articoli dell’ex sindaco di Firenze, in parte inediti, usciti dall’archivio della Fondazione La Pira, raccolti e introdotti da Marco Pietro Giovannoni.
«La struttura del libro - spiega Giovannoni - è tesa a dare una panoramica generale della "politica mediterranea" di La Pira con l’intento di evidenziarne le tesi teoriche di fondo e alcune delle sue iniziative concrete che lo indussero a fare di Firenze un centro nevralgico importante di una originale elaborazione di politica internazionale e lo spinsero a divenire "pellegrino della pace" nelle aree più difficili del teatro della guerra fredda».
Tra gli inediti anche la lettera al presidente egiziano Nasser (pubblicata in questa pagina), che risale al 22 febbraio 1958 e nella quale esplicitamente La Pira parla della propria visione teologica e del proprio personale punto di vista sul ruolo delle tre religioni che si riconoscono in Abramo ed in particolare l’islam.
La Pira/inedito
«Caro presidente Nasser, nel Mediterraneo le fiaccole riconciliate del Dio di Abramo»
Giorgio La Pira Firenze 22 Febbraio 1958
Eccellenza,
grazie per la Vostra lettera dell’8 corr.: quale atto di valore non è mai questo associarsi alla comune preghiera per la pace e la fraternità dei popoli e delle nazioni!
Il tempo in cui viviamo, l’epoca storica nella quale siamo entrati, costituiscono una svolta immensa nel corso della storia umana: una svolta che Dio stesso sta operando, determinando ai popoli e alle nazioni finalità nuove e aprendo ad essi prospettive nuove. (...) Quali le prospettive che Egli apre per la storia di domani?
Certo, Eccellenza: la risposta più prossima è questa: perché una grande promozione sociale, economica, politica, culturale si operi presso tutti questi popoli e presso tutte queste nazioni: perché la loro libertà, la loro dignità, la loro maturità sociale e politica siano riconosciute: perché essi entrino a pari grado ed a pari titolo nel concerto solidale della grande famiglia delle nazioni!
Questo è un punto preciso: è una risposta precisa: si può dire, senza tema di errare: questa è una acquisizione storica definitiva. Il regime «coloniale» è finito, per sempre: fu una stagione storica autunnale: ormai è superata per sempre: ora è venuta la primavera della dignità, della libertà, della maturità di tutti i popoli e di tutte le nazioni della terra: ora la storia ha operato una crescita di immensa portata destinata ad incidere sugli orientamenti essenziali della storia futura. Il nuovo «millennio» si inizia, diciamo così, proprio ora.
Ebbene, Eccellenza, permettete che proprio a questo punto, in questo quadro storico di prospettiva così vasta imponga la domanda essenziale, quella che condiziona tutto il resto, quella che dà finalità, valore, luce a questo quadro: e Dio? E i valori di adorazione, di culto, di bellezza, di purezza, di civiltà, di «poesia» che da Lui soltanto derivano? (...)
Elevare sul mondo la lampada di Dio: questi popoli e queste nazioni che entrano nella scena della storia, che acquistano la loro libertà, la loro grandezza, la loro dignità, il loro posto, proprio per essere portatori, per tutte le nazioni, di questa lampada sacra che Dio confida! Quale ideale, Eccellenza! Fare splendere su tutto lo spazio della terra - uno spazio sul quale, purtroppo, fa ombra, in tanta parte, l’ateismo comunista - la luce verginale di Dio.
«Ti ho posto per luce delle nazioni» dice la Sacra Scrittura rivolta profeticamente a Gesù! La voce di Dio è chiara: il suo comandamento è preciso: la Sacra Scrittura - da Abramo sino a S. Giovanni Battista, dal Battista a Cristo - esplicitamente lo enunzia: Io sono la luce del mondo, dice il Signore. Ed il Corano esplicitamente lo conferma: Parola di Dio alle nazioni.
Ed allora? Allora, Eccellenza, ecco il grande problema storico, la grande missione storica che viene oggi confidata ai popoli che il Signore chiama ad essere attori e forgiatori della storia futura: fugare su tutta la faccia della terra le oscurità di morte dell’ateismo e fare splendere su tutta la faccia della terra la luce purificatrice, elevante, della grazia di Dio e della bellezza di Dio! (...) Pensate: il Mediterraneo - nel quale si «bagnano» le nazioni ed i popoli storicamente e culturalmente e religiosamente più vitali della terra: nazioni a civiltà cristiana musulmana ebrea - può diventare, davvero, se pacificato, lo spazio più luminoso della terra!
È il mare ed è lo spazio di Gerusalemme, di Roma, di Atene, della Mecca, di Alessandria: cioè lo spazio nel quale Dio ha posto alcune città essenziali del Suo disegno storico: non città museo: no: ma città-fontane, città-fari, città-sante: città dalle quali zampillerà sempre, per tutte le generazioni, per tutti i secoli, per tutti i popoli, una luce inestinguibile di grazia e di civiltà! (...)
Eccellenza, quale ideale è davanti ai popoli credenti; oggi: quale ideale è davanti ai capi credenti, oggi: quale ideale è davanti a voi! Essere davvero capo di un popolo, di una nazione che vuole elevare sul mondo la lampada di Dio, il tabernacolo di Dio, la bellezza di Dio! Non c’è ideale comparabile a questo ideale; non c’è bellezza e grandezza: essere il vessillifero del Signore!
Forse per opprimere o per violentare gli altri popoli? No: tutt’altro: anzi per recare a tutti una speranza, un conforto, una consolazione: per mostrare ancora una volta nel corso della storia, che la vita politica non è dissociata dalle profonde finalità teologiche cui la storia millenaria: che conoscere Dio, amare Dio, servire Dio costituisce lo scopo essenziale non solo dei singoli ma anche dei popoli e delle nazioni. (...)
Dobbiamo unirci, Eccellenza: il fondo delle tre civiltà monoteistiche è costituto dallo stesso mistero divino. Tutte e tre insieme esse sono destinate a fare rifiorire in questo misterioso e prestigioso mare Mediterraneo una civiltà di alto livello religioso, culturale, sociale e politico. (...)
Dal fondo del cuore, Eccellenza, io non posso che augurarvi una cosa: che Voi siate fedele a questa vocazione divina, fedele a questo dono divino, fedele a questa missione storica di bene, di amore, di pace, di fraternità, di giustizia. Allora il Signore benedirà i vostri passi, farà grande la vostra nazione, ed anche per opera vostra Egli farà spegnere l’odio che ancora serpeggia nel mondo e fugherà le ombre di ateismo e materialismo che ancora coprono tanta parte della terra.
Ecco Eccellenza i sentimenti coi quali noi prepariamo e salutiamo la vostra visita in terra italiana: è una visita che la Provvidenza stessa ha predisposta: una visita che si colloca nel quadro storico e misterioso di cui vi ho scritto: una visita destinata a saldare le nostri grandi civiltà e destinata a rassicurare tutte le nazioni: una visita che è per tutti, e che sarà per tutti - e anzitutto per i popoli del Mediterraneo - un pegno sicuro di pace, un documento sicuro di fraternità, un punto felice di partenza per l’ulteriore avanzamento dei popoli nella via che conduce alla unione con Dio e alla elevazione sociale e politica delle nazioni tutte. Credetemi con rinnovati auguri di ogni vero bene