Il caso Torino

Tragica verità: violenza sessuale impunita perpetrata con il consenso di operatori della salute mentale! - di Vittorio Apolloni

L’innocenza violata
giovedì 7 settembre 2006.
 

Addì, 5 settembre 2006

Lettera aperta alla Cittadinanza

Il 26 ottobre c.a. ricorre l’anno quinto dalla triste vicenda del falso caso di “pedofilia”, per cui furono accusati ingiustamente e gratuitamente perseguitati di un reato infamante l’ex Presidente e l’ex Direttrice didattica della scuola materna “G. BOVETTI” di La Loggia (TO). In questo infausto anniversario è doveroso segnalare ai più la tragica Verità emersa dopo anni di verifiche giurisprudenziali e psicologiche, a seguito di una minuziosa disamina degli atti del processo celebrato a carico di persone del tutto innocenti e rispettabili. Una premessa è pero necessaria: l’epifania della Verità potrebbe essere fortemente strumentalizzata da qualche benpensante o rappresentante delle Istituzioni come un fatto non rilevato da operatori professionalmente accreditati e appartenenti alle stesse. Tutto ciò potrebbe costituire un espediente per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalla realtà dei fatti e per gettare discredito verso coloro che hanno avuto il coraggio di denunciare pochi mesi or sono i veri responsabili della violenza sessuale perpetrata a danno dei minori: chiunque sostenga che lo scrivente sia privo di specifica competenza trascura che la conoscenza in materia (come in altre) comunque deriva dallo studio e non prescinde mai dal buon senso, perché non sempre il contenitore corrisponde fedelmente al contenuto!!! È anomalo infatti che in Italia oggi giorno si commettano gli stessi errori compiuti oltre venticinque anni fa in America senza che gli operatori del settore abbiano fato tesoro delle comuni insidie nell’affrontare i casi di presunto abuso, anzi continuano a speculare (per interesse) sulle emozioni e i sentimenti dei genitori facendo loro credere che figli o nipoti siano stati preda di persone antisociali tese a soddisfare le personali perversioni. Inoltre a condizionare maggiormente il sereno prosieguo delle indagini è il processo mediatico, con il riferimento al quale un attento lettore di quotidiani si accorge come spesso e sovente i mass media riportino dichiarazioni, naturalmente in forma virgolettata, e circostanze di cui né l’imputato né i suoi familiari sono a conoscenza, perché la legge impone il divieto di ottenere copia degli atti processuali fino a quando le indagini non siano concluse. In questo arco di tempo, spesso anche successivamente, l’imputato non può difendersi né dalle umiliazioni infertegli dai mass media con ingannevoli affermazioni, né dalle reazioni della gente di fronte a un reato tanto grave quanto presunto, poiché non conosce la reale consistenza delle accuse. L’imputato e i suoi familiari vengono ammoniti dai propri difensori (e non solo) a non riferire alcunché per non alimentare ulteriori menzogne, favorire eventuali travisamenti o indisporre giudici e inquirenti. Oltretutto sentenze della Suprema Corte di Cassazione dal 1997 in poi statuiscono che la dizione “atti sessuali” contenuta nell’art. 609 bis c.p. include tutti quegli atti idonei a compromettere, offendere e violare la libera autodeterminazione della sessualità del soggetto passivo e a entrare nella sua sfera sessuale, con manifesta illiceità di tutti quei comportamenti che non rispettino la persona umana e ledano i diritti di terzi non consenzienti o non in grado di esprimere un valido consenso. La sfera sessuale è disancorata dall’indagine sull’impatto di tali atti e comportamenti nel contesto sociale e culturale in cui avvengono, in quanto punto focale è la sua disponibilità da parte della persona che ne è titolare. È vietata ogni condotta che comprenda - se connotata da costrizione (violenza, minaccia o abuso d’autorità), sostituzione ingannevole di persona ovvero abuso di condizioni d’inferiorità fisica o psichica - qualsiasi atto, anche se non esplicito, attraverso interazione con il soggetto passivo, comunque finalizzato e idoneo a porre in pericolo il bene primario della libertà dell’individuo. Il reato di violenza sessuale si manifesta parimenti nello stato d’inferiorità psichica o fisica quando l’azione sia conseguente a induzione e abuso. L’induzione è intesa nell’opera di persuasione mediante la quale il soggetto passivo è convinto a compiere o subire l’azione, l’abuso consiste invece nella distorta utilizzazione da parte dell’agente delle sue condizioni di menomazione o non coscienza. È altresì interessante sapere che un bambino può essere manipolato affinché racconti una versione delle circostanze che meglio soddisfi le esigenze dell’adulto, sia essa suggerita in modo volontaria o involontaria anche attraverso semplici domande poste in modo errato. Queste modalità operative sono frutto delle più disparate teorie degli operatori del diritto e della salute mentale, anche appartenenti alle Istituzioni, i quali considerano le loro impressioni alla stregua di dogmi, nonostante siano smentiti dalla letteratura scientifica. Infatti è bene sapere: ü i bambini, in genere, ritengono gli adulti onniscienti, sinceri, competenti e credibili, riconoscendo loro un’intrinseca superiorità e conformandosi ai loro desideri, con la conseguenza non solo che le domande poste dagli adulti appaiono logiche e devono necessariamente ottenere una risposta, ma anche che gli infanti durante un’intervista rispondono a tutte le domande, anche quelle più bizzarre, pur di compiacere le aspettative degli interlocutori; ü il consulente tecnico (psicologo, psichiatra, assistente sociale) - consapevole che sintomi quali la paura, la promiscuità sessuale, la masturbazione, l’esibizionismo, l’inadempienza scolastica, i disegni di eventuali organi sessuali, le fantasie, la curiosità... sono in realtà solo indicatori di un generico, per quanto forte, disagio psichico e non possono essere usati per trarre conclusioni diagnostiche (poiché la valutazione di un abuso richiede un processo lungo e complesso in cui vengono vagliate informazioni provenienti da fonti diverse) - deve prendere comunque in considerazione una serie di indicatori (nessuno escluso) comportamentali, emotivi, testimoniali e le sue conclusioni sono pur sempre aspetti neutri, privi di qualsiasi elemento di indizio, perché si tratta solo di una sua impressione, che può essere difforme da quella di un altro esperto (ma entrambe accettabili), senza mai dimenticare che la psicologia è una teoria proveniente da una branca della filosofia ( consacrata allo studio dell’“anima”) e dalla medicina neurologica; ü gli accademici di psicologia e non solo sono intervenuti con l’emanazione della “Carta di Noto” per enunciare una serie di linee guida circa la condotta da osservare nei casi di abuso sessuale, sia sottolineando come non possa essere formulato un quesito o prospettata una questione relativa alla compatibilità tra quadro psicologico del minore e ipotesi di reato di violenza sessuale, sia invitando l’esperto a rappresentare, a chiunque gli conferisca l’incarico, che le attuali conoscenze in materia non consentono di individuare dei nessi di compatibilità o incompatibilità tra sintomi di disagio e supposti eventi traumatici (l’esperto, anche se non richiesto, non deve esprimere pareri sul punto della compatibilità, né formulare alcuna conclusione, tanto meno trasferire l’aspetto clinico in quello giudiziario o confondere il processo con la terapia); ü la medicina conferma che i fattori determinanti per l’identificazione di abusi sessuali si esauriscono nelle 24-36 ore, a patto che non siano intervenuti comportamenti che ne abbiano eliminato le prove (es. pulizia igienica). Vi sono altresì patologie (es. infezioni) che rimangono oltre l’arco di tempo menzionato, ma non è possibile determinare se le lesioni riscontrate in tempi successivi siano riconducibili ad abusi, concretizzandosi in prove neutre; ü la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 8962/97 ha affermato che l’attendibilità della prova rimane tra i compiti del giudicante e la perizia dello psicologo - di cui il giudice può avvalersi pur non costituendo né un indizio, né un vero mezzo di prova, ma un ausilio nella ricerca dell’interpretazione del materiale processuale (sentenza n. 9421/01) - è limitata a due aspetti fondamentali: “l’attitudine del bambino a testimoniare e la sua credibilità”; ü l’art. 499 c.p.p. vieta le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte e che i bambini in età prescolare sono facilmente manipolabili con l’aspettativa di premi e punizioni, con il timore della disapprovazione e dell’abbandono, non essendo in grado di distinguere tra bene e male (sono infatti pervasi da categorie maggiormente edonistiche) e di discernere la realtà dalla fantasia, vulnerabili alla suggestione in rapporto a diversi argomenti, inclusi quelli che contengono temi sessuali e coinvolgono il loro corpo. Scientificamente è stato dimostrato che la resistenza alla suggestione diminuisce in funzione del numero di interviste compiute e che i ricordi vengono alterati dalle informazioni non corrette contenute nelle domande a causa degli attivatori sintattici di presupposizione utilizzati, del ricorso a interrogativi incalzanti e del travisamento delle risposte date; ü per ottenere una risposta compiacente o falsata nei confronti di minori o di adulti è sufficiente suggerire loro la formulazione di quesiti di ciò che desidera l’intervistatore, ricorrendo a interrogatori ripetitivi e talvolta con toni più o meno incisivi e aggressivi. Queste pratiche coercitive, ingannevoli e forzate risulterebbero, secondo la letteratura maggiormente accreditata, comunemente utilizzate e teorizzate come strumenti volontari o involontari per indurre il soggetto a riportare circostanze veritiere. Peraltro sarebbero efficaci se applicate ad un bambino che si sospetta abbia subito forme di abuso sessuale, introducendo informazioni fuorvianti che modificano i suoi ricordi episodici e quelli semantici. In particolare il fatto di condurre l’intervista con domande che “presuppongono” modalità condivise, portano ad un circolo vizioso di autoconferma dell’ipotesi stessa, anche nel caso in cui sia falsa; ü secondo la letteratura scientifica delle neuroscienze il contenuto di un ricordo testimoniale deve essere considerato come qualcosa che non può mai essere pura riproduzione fotografica di un fatto obiettivo, ma è sempre il prodotto di una molteplicità di coefficienti, in parte soltanto dati dagli elementi di quel fatto obiettivo, ma in parte costituenti dalla natura stessa della personalità psichica del testimonio e da tutti gli elementi esteriori che hanno agito nel passato e che attualmente agiscono sul testimonio stesso; ü è dato pacifico come i bambini manifestino sia nell’attività ludica sia nel comportamento interessi e curiosità sessuali a seconda delle caratteristiche di personalità, del livello cognitivo e dei condizionamenti socio-culturali derivanti non solo dai modelli familiari, ma soprattutto dai divieti o dalle permissività negli orientamenti e nelle impostazioni educative dell’ambiente circostante (variabili che possono favorire o inibire desideri, fantasie, suggestioni imitative). I cosiddetti “giochi sessualizzati” non devono essere ritenuti a priori indicatori di abuso, perché si tratta in primo luogo di elementi relativi allo sviluppo psicosessuale dei minori. Il fatto poi che gli infanti siano attualmente esposti, attraverso i mezzi di comunicazione, a forti stimoli (anche di emulazione) concernenti la sessualità, ha incrementato le loro conoscenze del comportamento sessuale ed è pertanto difficile attribuire “conoscenze sessuali inappropriate all’età” a delle specifiche esp erienze sessuali che l’abuso allorché causi disagio o sofferenza psicologica è comunque abuso sessuale, così come ogni situazione in cui il bambino sia tratto a espressioni sessuali poco opportune (alle quali, in ragione della sua giovane età, non può liberamente acconsentire con totale consapevolezza) o che violi radicati tabù sociali, sostanziando abuso di autorità; ü secondo alcune ricerche il 20% dei professionisti del diritto e della salute mentale intervistati ritiene gli abbracci e le coccole dei genitori o di terzi nei confronti dei bambini sia un comportamento sospetto (leggi violenza sessuale), la percentuale sale al 67% nel caso in cui questi diano un bacetto sulla bocca ai loro figli o nipoti prima di recarsi al lavoro e al 75% nel caso in cui siano apparsi nudi davanti alla prole; ü anche la Corte Europea di Strasburgo ha inflitto all’Italia numerose condanne per la mancanza di trasparenza nella gestione sia delle denunce di abuso sessuale da parte di associazioni e servizi territoriali (sebbene dotati di operatori “professionalmente” accreditati!), sia delle fonti di finanziamento. Nella stessa direzione, in ambito nazionale, sono intervenute varie interpellanze parlamentari durante la scorsa legislatura. Oltretutto un accertamento di un abuso sessuale infantile e il dibattimento unicamente volto ad accertare la versione dei fatti fornita dalla presunta parte offesa non devono essere considerati persecutori a tal punto da prescindere dai normali criteri di valutazione degli elementi processuali e delle mendaci testimonianze, in quanto la responsabilità è concretizzata dalla legge e dalla prova logica, non dall’eventuale impressione del giudicante. Ovvero è sbagliato sostenere che un bambino sia incapace di mentire a differenza di un adulto, perché il minore può essere indotto e suggestionato a travisare le circostanze, essendo privo di identità quantitativa, quindi soggetto alla trasposizione delle sue memorie o immagini di luoghi. In sostanza ci troviamo dinanzi al totale fallimento delle concezioni psicopatologiche che animano la lotta alla pedofilia. ***** Stante le premesse, è ormai doveroso segnalare ai più la dinamica dei gravi fatti illeciti emersi. È assodato che il panico morale e la psicosi generati nella Comunità nell’ottobre 2001 furono opera di un gruppo di persone che hanno ritenuto una minaccia l’operato del nuovo esecutivo della scuola materna G. BOVETTI, presentandolo in modo pregiudizievole e stereotipato. Il tutto è stato successivamente condito dall’intervento di esperti, socialmente riconosciuti e appartenenti alle Istituzioni, attraverso le loro personali diagnosi e soluzioni. A questo si aggiunga il contributo di un tale che avendo perso l’immagine di Presidente ha disseminato minacce di pedofilia al punto che due persone innocenti fossero designate come capri espiatori, favorendo una tensione sociale in seno alla cittadinanza loggese e un interesse mediatico spasmodico. Quando la notizia del presunto abuso divenne di dominio pubblico, si creo un pulpito moralistico di giornalisti, operatori del diritto, politici, psicologi, assistenti sociali, insegnanti e altri ipocriti benpensanti da cui pronunciare diagnosi e soluzioni, senza conoscere la realtà e nascondendo la tragica Verità del reato consumato a danno di due bambini durante un’audizione protetta (in violazione delle norme legislative e del buon senso), sì da traslare la responsabilità oggettiva delle madri e della psicologa per gli atti commessi. Ecco dunque i fatti Ancor prima che venisse emessa la richiesta di custodia cautelare nei confronti degli indagati, il 19 ottobre 2001 (sette giorni prima l’arresto!) venne predisposta un’audizione protetta videoregistrata per ascoltare i due bambini, onde poter verificare le affermazioni riportate dalle genitrici. Si ribadisce, così come enunciato nella sentenza di assoluzione perché i fatti non sussistono, che i bambini non hanno mai confermato alcuna delle accuse boccaccesche sostenute dai genitori. Inoltre durante l’interrogatorio la bambina dichiarò di non conoscere l’allora Presidente,
-  Psicologa: Allora, ma chi è [V.A.]?”
-  Bambina: “No, tu me lo devi dire.” dimostrando di non aver mai avuto familiarità con l’imputato, e alla successiva richiesta obiettò
-  Psicologa: “Oltre a [V.A.], chi c’era a fare questo gioco?”
-  Bambina: “Tu... tu... tu... i... tu me lo raccontavi ”, attestando oltre ogni ragionevole dubbio di essere stata indotta a riferire un presunto abuso. Non appagati dalle risposte ricevute, il colloquio continuò fino a quando avvenne la tragica violazione della libera autodeterminazione sessuale dei due minori. Gravissimo episodio, avvenuto durante l’ascolto e non per visita medica, fu l’incitazione nei confronti della bambina di soli quattro anni, la quale, proprio per le incalzanti pressioni della madre, peraltro avvallate dalla psicologa , fu costretta a denudarsi integralmente davanti a loro e ad assumere posizioni scabrose e fortemente sessualizzate, contro la sua volontà, dovendosi sdraiare sul pavimento con le gambe in posizione ginecologica o a rana dinanzi alla telecamera che effettuava un primo piano della zona vaginale, affinché gli inquirenti potessero sostenere il presunto abuso contro i capri espiatori. Il tutto venne compiuto nonostante i reiterati e purtroppo vani dinieghi della piccola, che non voleva affatto sottostare a un simile obbligo. Questo increscioso fatto, che non ha precedenti né in giurisprudenza né in psicologia, è stato denunciato alle Procure di Milano e Torino (27 maggio e 10 luglio c.a.) contro tutti coloro che hanno commesso o non hanno rilevato la grave violenza sessuale. In effetti alcuni comportamenti tenuti successivamente dall’infante dimostrano la consistenza immediata della ferita psicologica subita. La denudazione dei bambini ha concretizzato una diagnosi di “trauma psicologico da violenza sessuale” non sostanziata sul piano penale (per violazione dell’art. 609 bis) nei confronti dei veri responsabili, che hanno invece strumentalizzato le proprie azioni. Si ribadisce che la scena scabrosa della bambina in posizione ginecologica è stata realizzata ben sette giorni prima degli arresti dell’ex Presidente e dell’ex Direttrice didattica. Simile contesto ha indotto emotività e ansia psicotica in chi ha rivisitato le immagini, senza che potesse cognitivamente accertare la violazione di legge, poiché condizionato da una circolarità di pregiudizi e stereotipie. Né tanto meno può considerarsi spontaneo l’atto dei minori nel togliersi gli indumenti, in quanto dalla videoregistrazione si evince che una madre aveva suggestionato la figlia molto prima dell’ascolto, l’altra ha minacciato il figlio durante l’audizione protetta qualora non avesse riferito o attuato quanto concordato in precedenza. Si evidenzia altresì che il panico diffuso tra i genitori dei bambini e in seno alla cittadinanza, amplificato dai mass media con i loro articoli o servizi dai toni apocalittici, fu certamente prodotto dagli operatori della salute mentale, i quali, ancor prima di vagliare attentamente le dichiarazioni dei minori, avevano manifestato il loro pregiudizio e la loro stereotipia, anche se la letteratura più accreditata non consente di determinare un abuso da un disagio o da un comportamento sessualizzato. Un esempio concreto è stato già descritto nell’opuscolo “Vivere nella Verità” quando a distanza di un anno dall’inizio della triste vicenda si voleva sostenere pregiudizialmente abusata un’altra bambina per la paura manifestata: invero la madre della piccola sconfessò la psicologa, le insegnanti e gli inquirenti. Inoltre non si può ritenere che il comportamento delle madri, della psicologa e le relative immagini pedopornografiche rientrino nelle linee di tutela dell’infanzia promosse dalla Regione Piemonte e dalle A.S.L., perché rappresenterebbero un’istituzionalizzazione della violenza nei confronti dei minori. Questi metodi debbono essere repressi non solo censurando qualsiasi condotta professionale che crei traumi e disagi, ma attivando anche severi controlli preventivi da parte delle Istituzioni mediante procedure condivise a livello nazionale, affinché operatori del diritto e della salute mentale si attengano scrupolosamente alle linee programmatiche. In effetti dall’attenta analisi della documentazione processuale e a giudizio di molti si evince che quanti hanno avuto un ruolo attivo nella gestione del caso erano ben consci di aver precipitato una tranquilla Comunità nel panico morale, dipingendola come un’odierna Babele e condannandola a una triste nomea per gli anni a venire. Pertanto era necessario procedere su posizioni condivise che potessero creare emotività fra coloro che avrebbero rivisitato le immagini scabrose o pedopornografiche, salvaguardando quel contesto istituzionale che nessuno aveva l’interesse di sovvertire per non rompere gli equilibri e il corporativismo del sistema. Tutto questo perché è la paura che plasma in modo pervasivo la nostra possibilità di azione, è la paura che i meno potenti hanno dei più potenti a creare un controllo sociale. D’altro canto lo stesso documentario proposto dalla Televisione Svizzera Italiana in data 2 marzo 2006 e relativo alla vicenda loggese non solo ha evidenziato strane alleanze tra accusa e La Stampa, ma ha raccolto pure testimonianze che gettano ombre pesanti sull’attendibilità dell’accusa: giornalisti e accusa sembrano sin troppo complici e il ruolo giocato dal giornalista che ha condotto l’inchiesta (e non ha voluto fornire spiegazioni sul suo operato, a differenza di altri colleghi) è a tinte forti. Quanto esposto consente di porsi parecchi interrogativi, ad esempio come sia possibile che un professionista “qualificato” (per di più giudice onorario del Tribunale dei minori del Piemonte e Valle d’Aosta ) esprima compatibilità con atti di abuso sessuale al di fuori del contesto familiare dai soli racconti delle madri, nonostante la più arida assenza di conseguenti emozioni da parte degli infanti e di vissuti con adulti, senza neppure accorgersi di aver commesso una violenza sessuale sulla bambina, assecondando la vergognosa incitazione della madre. È poi altrettanto ignobile che un operatore del diritto appartenente alle Istituzioni non rilevi il comportamento violento nei confronti della minore perpetrato da un operatore della salute mentale preposto al solo ascolto dei due bambini. Inoltre in una missiva dell’Ordine degli Psicologi di Torino pervenuta dopo la sentenza di assoluzione, si dichiara che alla fin fine la psicologa ha soltanto eseguito le disposizioni del Pubblico Ministero , come a dire che forse la sua condotta era dettata dalle esigenze, deontologicamente non accettabili, ma ormai necessarie perché nessuno potesse disapprovare o stigmatizzare il suo intervento. Peraltro un implicito avallo a una pur marginale denudazione degli infanti verrebbe a creare un grave precedente giudiziario, perché chiunque sarebbe autorizzato a violare impunemente dei minori sostenendo o pur di sostenere presunti abusi (al di la del fatto comunque di infrangere non solo la legislazione interna e gli accordi internazionale in difesa dei bambini, ma anche le massime della Corte Costituzionale e della Corte Suprema di Cassazione circa l’autodeterminazione sessuale degli infanti). Oltretutto saremmo dinanzi a un assurdo e inspiegabile profilo giuridico nella definizione di “atti sessuali” e a un’antigiuridicità del sistema giurisprudenziale, perché sarebbero esenti da censura alcuni comportamenti che oggi sono classificati reati, sostanziando due pesi e due misure (se la denudazione, non per accertamento medico, dei minori avvallata dagli inquirenti non è reato, è giuridicamente inspiegabile che lo sia in altri casi analoghi). Questa è la tragica Verità di quanto realmente avvenuto nella Comunità loggese. A provare i fatti non sono le dichiarazioni indirette, le supposizioni o il sentito dire... delle madri, degli operatori del diritto e della salute mentale, dei benpensanti, ma le immagini dei fotogrammi scabrosi o pedopornografici realizzati da chi doveva ascoltare e difendere i bambini da presunti abusi e violenze. Quindi non dobbiamo permettere che simili episodi possano essere perpetrati dalle Istituzioni e dai soggetti preposti alla tutela dei ns. figli e nipoti. È indegno giungere a conclusioni così aberranti! Insieme dobbiamo impegnarci affinché le forze politiche, i magistrati, gli amministratori locali... si adoperino quanto prima a rispettare un protocollo condiviso nell’ascolto dei minori e perché non vi sia un trasferimento di responsabilità dal giudicante all’operatore della salute mentale. Si eviterebbero in questo modo condanne di innocenti e abusi legalizzati, migliorando le tecniche investigative per individuare i veri colpevoli, senza indugiare in stereotipi quali: il bambino dice sempre la verità oppure è mitologicamente vittima, il padre è il solo abusante, una persona accusata non è credibile in quanto è ovvio che neghi, se un adulto non confessa è pur sempre responsabile. Non dimentichiamo che quanto avvenuto nella Comunità loggese potrebbe accadere a chiunque, in qualsiasi momento e contesto.

Per il Centro di Documentazione falsi abusi sui minori Vittorio APOLLONI

***** P.S. Coloro che desiderano ricevere gratuitamente il DVD contenente il documentario della Televisione Svizzera Italina “Mostri di Carta” e il servizio “Errori giudiziari” di Rai Uno possono telefonare al n. 011 6405460 o inviare un’e-mail a info@falsiabusi.it.

Informazione redatta ai sensi dell’art. 21 della Costituzione della Repubblica Italiana e della Sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 29232 del 2004


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