Il "logo" della "Sapienza" ... è diventato un "che rubino"!?

L’INCUBO NON E’ FINITO. MAGISTRATI PERICOLO PUBBLICO. POLITICA, GIUSTIZIA, COSTITUZIONE: FUORI DAL BERLUSCONISMO!!! Domande e riflessioni di Gian Carlo Caselli.

lunedì 8 ottobre 2007.
 
[...] penso che una buona bussola sia ricordare l’intreccio fra inefficienza organizzativa e tentativo di «governare i giudici» che ha contrassegnato la maggioranza di centrodestra della passata legislatura. Un intreccio indirizzato all’indebolimento della giurisdizione come garanzia del rispetto delle regole, nel quadro più generale della concentrazione del potere e della riduzione delle funzioni di controllo (cui era funzionale anche la riforma della Costituzione respinta dal referendum popolare) [...]

L’incubo è finito?

di Gian Carlo Caselli *

Mezzo vuoto o mezzo pieno? O peggio, più vuoto che pieno? Com’è il bicchiere della giustizia dopo le decisioni del Senato in tema di ordinamento giudiziario? Se Castelli canta vittoria, Mastella non gli è da meno. Miracolo? Inciucio? Propaganda politica che legittimamente privilegia certi aspetti tralasciandone altri? Un rompicapo, di fronte al quale l’Uno, nessuno, centomila di Pirandello rischia di essere l’ombra di un sogno. Prima di tutto i fatti. La riforma voluta dal centrodestra comprendeva dieci decreti. Il Senato ne ha mantenuti in vigore 9 su 10. Nell’ottica di chi confidava che il programma del centrosinistra (revisione radicale della riforma) sarebbe stato rispettato, il bicchiere è certamente quasi prosciugato. Torna a riempirsi un poco, però, se si considera che l’unico decreto non confermato riguarda il punto centrale della riforma (carriere dei magistrati e separazione fra Pm e giudici), e che altri due decreti (organizzazione delle procure e illeciti disciplinari) sono stati sì salvati, ma con alcune rettifiche.

Ma attenzione: il decreto non confermato è stato soltanto sospeso fino al luglio dell’anno prossimo, non cancellato. E le rettifiche di cui si è detto, pur positive, non sembrano incidere significativamente sulla sostanza della riforma. I poteri attribuiti al «nuovo» Procuratore capo ne fanno pur sempre una specie di «mandarino», spesso in grado di ridurre i magistrati del suo ufficio al rango di sudditi (significativamente diminuita è la tutela che questi possono ricevere dal Csm). Ne potrà derivare, tra l’altro, una sensibile riduzione della praticabilità della cosiddetta azione penale diffusa, che in questi anni ha tutelato interessi fondamentali: salute, ambiente, sicurezza sul posto di lavoro.

In materia disciplinare sono state corrette alcune formule troppo ambigue, ma non si è fatto abbastanza per restituire ai magistrati le condizioni di serenità necessarie alla loro effettiva autonomia, mentre mancano (persino nei casi più gravi di incompatibilità ambientale) i presupposti perché la giustizia disciplinare possa offrire risposte pronte ed efficaci.

Quanto al bicchiere svuotato (decreti confermati senza modifiche), complessivamente essi realizzano una profonda alterazione - spesso in negativo - dell’assetto della magistratura. Per fare un solo esempio fra i molti possibili, basterà ricordare che la scuola della magistratura è congegnata in modo da esautorare di fatto il Csm, sostanzialmente ridotto ad un ruolo notarile per quanto concerne le valutazioni di professionalità (che la Costituzione gli assegna in via esclusiva). Siamo comunque di fronte ad una caso rarissimo, per non dire unico: di una maggioranza che (potendo istituzionalmente bloccarla) dà invece amplissima attuazione ad una riforma cui - quand’era minoranza - si era duramente opposta...

Se ora dai fatti (le gocce del bicchiere: certamente troppo poche per ubriacarsi...), vogliamo passare alla loro interpretazione, penso che una buona bussola sia ricordare l’intreccio fra inefficienza organizzativa e tentativo di «governare i giudici» che ha contrassegnato la maggioranza di centrodestra della passata legislatura. Un intreccio indirizzato all’indebolimento della giurisdizione come garanzia del rispetto delle regole, nel quadro più generale della concentrazione del potere e della riduzione delle funzioni di controllo (cui era funzionale anche la riforma della Costituzione respinta dal referendum popolare).

La delegittimazione dei giudici ha registrato un crescendo da incubi. Oltre all’insulto sistematico (ancora oggi praticato in Parlamento, come ha documentato Furio Colombo su questo giornale);- oltre all’indicazione delle attività di indagine scomode come iniziative sempre «ad orologeria»;- oltre alle famigerate leggi «ad personam»;- ricordiamo la pesante pressione operata dalla maggioranza del Senato (con mozione approvata il 5 ottobre 2001) per indicare ai giudici la «esatta interpretazione della legge» in riferimento ad uno specifico processo. Ricordiamo la proposta di istituire una Commissione parlamentare di inchiesta «per accertare se ha operato e opera tuttora nel nostro paese un’associazione a delinquere con fini eversivi, costituita da una parte della magistratura, con lo scopo di sovvertire le democratiche istituzioni repubblicane» (sic!). Lo sbocco finale di tutto ciò è stata proprio la riforma dell’ordinamento giudiziario, una riforma che si proponeva di assoggettare i giudici al controllo di un potere politico che per se stesso è refrattario ai controlli. Una riforma grazie alla quale la cultura che ha impregnato la lettura della vicenda giudiziaria italiana negli ultimi anni pretendeva di diventare legge.

Contro la riforma (più spesso definita «controriforma») i magistrati hanno ripetutamente scioperato. Per respingere l’evidente disegno di un nuovo modello di magistrato le cui caratteristiche sono quelle del conformista-burocrate. La questione è cruciale per l’equilibrio del sistema istituzionale. Il magistrato non conformista, non burocrate, vede quello che scienza e coscienza gli impongono di vedere. Magari senza entusiasmo e con fatica, perché a nessuno piace sapere che gli arriveranno addosso palate di fango sol perché fa il proprio dovere. Ma è proprio il magistrato che adempie i suoi doveri con rigore che dà fastidio a chi preferisce «servizi» piuttosto che decisioni imparziali. E mal tollera, per questo, magistrati indipendenti e gelosi di tale «status».

Allora la domanda centrale - per concludere - è questa: siamo sicuri che l’attuale maggioranza abbia davvero fatto tutto il possibile per impedire il realizzarsi della pericolosa deriva voluta dalla «controriforma»? Si vedono (o continuano a latitare) quei forti ed univoci segnali di discontinuità che sono indispensabili per voltar pagina in tema di giustizia? La notte degli incubi sta finendo o continua ad invischiarci?

___

* l’Unità, Pubblicato il: 09.10.06 Modificato il: 09.10.06 alle ore 12.44


Magistrati pericolo pubblico

di Gian Carlo Caselli *

Sono convinto: i nostri Servizi segreti operano - in generale - nel pieno rispetto della legge e della legalità democratica. Ma proprio per questo occorre fare chiarezza ogni volta che risultino dubbi per specifici casi. Configura uno di questi casi - a mio avviso - il sequestro in una sede «distaccata» del Sismi di Roma di un dossier che prevede di «disarticolare», «neutralizzare», «ridimensionare» alcuni magistrati. Confido che il Copaco, investito della vicenda dalla Procura di Milano, e il Csm - che ha aperto una «pratica» a tutela dei magistrati interessati - sapranno provvedere all’esigenza di chiarezza. In questo caso diminuirà l’inquietudine di molti, che va ben oltre il fatto di poter essere ricompresi nel dossier. È un’inquietudine che nasce - prima di tutto - dalla sensazione che lo stato di salute della nostra democrazia potrebbe non essere dei migliori. E poi dalla sgradevole constatazione che di «neutralizzazione» si parlava già nel famigerato «piano Solo».

Saranno certamente - lo spero - solo analogie lessicali, ma spero anche che si compiano tutti gli accertamenti dovuti, senza sottovalutare nulla, liquidando il caso (come si tentò di fare quando nel 1967 fu denunziato il «tintinnar di sciabole») come fantasia o roba da poco.

I fatti, stando alle cronache, sembrano chiari. Nel 2001, qualcuno si prese la briga di catalogare un gruppo di magistrati marchiandoli come pericolosi. Pericolosi perché? Non perché scoperti con le mani nel sacco - o anche solo sospettati - di un qualche nefando attentato alla Costituzione o di altro inconfessabile disegno (tipo favoreggiamento di terroristi o mafiosi, «intelligenza» con stati canaglia, traffico di schiavi, armi o droga...). Pericolosi sol perché arbitrariamente etichettati come «nemici» della nuova maggioranza politica. In Italia, dunque, si può finire in un dossier custodito dai Servizi (un dossier in cui si prevedono - lo ripeto - «disarticolazioni, neutralizzazioni e ridimensionamenti») senza che nulla lo legittimi.

Anzi, per il solo fatto che a qualcuno sembra bello (se può venire utile ai nuovi «padroni» della plancia di governo) prendersela con chi ha il torto di essere indipendente nell’assolvimento dei suoi doveri istituzionali; e prendersela fino a mettere da parte le buone maniere: un eufemismo, chiaro essendo che la «neutralizzazione» non ha nulla a che fare col galateo.

Ma se in democrazia c’è spazio - anche solo nella percezione soggettiva - per «servizi» e «padroni», la democrazia traballa. E poi, i Servizi dovrebbero rifuggire da tutto ciò che non riguarda la cura di interessi generali, ma piuttosto le aspettative di una cordata o fazione, non importa (superfluo anche solo dirlo) se questa o quella.

Non cambia nulla (potrebbe anzi essere una sorta di... aggravante) l’ovvia constatazione che gli autori e custodi del dossier appaiono sensibili alla «vulgata» che ambienti del centro-destra, in tema di giustizia, hanno strumentalmente diffuso per anni e anni, a colpi di insulti e calunnie contro i magistrati che hanno avuto la ventura di doversi occupare di processi «caldi».

Ricordo che il catalogo delle aggressioni comprende, tra le altre, queste eleganti voci: assassini, brigatisti, farabutti, sadici, torturatori, menti distorte, falsificatori di carte, frodatori processuali, cupola mafiosa, cancro da estirpare, maramaldi... Ma la calunnia che più deve aver colpito i responsabili del dossier è stata «magistrati venduti ad una fazione politica» (alias magistrati «politicizzati»), perché proprio su di essa è costruito il dossier, col suo corollario di disarticolazioni e altre soavi forme di dissuasione.

Concetti come l’indipendenza della magistratura pietra angolare dello stato di diritto; come l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; come l’obbligatorietà dell’azione penale (ricorrendone tutti i presupposti) anche verso chi gli affari suoi pretende di sottrarli ad ogni efficace controllo: ecco, tutti questi concetti, a chi accetta la «filosofia» dei dossier e delle «disarticolazioni», devono sembrare optional fastidiosi.

Meglio appiattirsi sulla «vulgata» di chi ha appena conquistato il potere. E se il prezzo da pagare è mettere in mezzo (disarticolare...) onesti funzionari dello Stato, va bene lo stesso. Solo che compito dei Servizi non è, non può essere, quello di raccogliere o assecondare - in tema di giurisdizione - tesi strampalate, fossero pure in sintonia con la maggioranza politica contingente (ieri di centro-destra, oggi di centrosinistra, non fa ovviamente nessuna differenza, trattandosi di questioni di principio delle quali tutti dovrebbero farsi carico, a prescindere dal loro orientamento politico-culturale).

La storia è nota a tutti, perché narrata da Piero Calamandrei in una delle sue pagine più spesso citate. Ma si adatta bene al caso del dossier, ed è per questo che vi attingo ancora una volta. È la storia di Aurelio Sansoni, un magistrato fiorentino che ai tempi del fascismo veniva chiamato «pretore rosso». Calamandrei scrive che «non era in realtà né rosso né bigio: era soltanto una coscienza tranquillamente fiera, non disposta a rinnegare la giustizia per fare la volontà degli squadristi... Era semplicemente un giudice giusto: e per questo lo chiamavano "rosso" (perché sempre, tra le tante sofferenze che attendono il giudice giusto, vi è anche quella di sentirsi accusare, quando non è disposto a servire una fazione, di essere al servizio della fazione contraria)».

Ai tempi del fascismo l’ostilità del potere si esprimeva con le squadracce e con la violenza fisica fin dentro le aule di giustizia. Normale per un regime dittatoriale. Con la democrazia le cose sono cambiate e nessuno usa più il manganello o l’olio di ricino. Ma neppure dovrebbe esistere dossier per «disarticolare» magistrati indipendenti e giusti (per questo, nell’immutabile costume degli intolleranti, accusati falsamente di servire una fazione).

Qualcuno, spero il Copaco o il Csm, dovrebbe - istituzionalmente - provare a spiegarlo, con pazienza, a chi i dossier li commissiona o li fabbrica o li custodisce.

* www.unita.it, Pubblicato il: 11.11.06 Modificato il: 11.11.06 alle ore 12.27


Sul sito, per un discorso generale ’simbolico’, si cfr. l’art. relativo al "cherubino", come Il "logo" della "Sapienza" (anche) giuridica!!!

e

"DUE POLI" (?), DUE "POPOLI"(?), E L’ITALIA ALLA DERIVA. AVANTI TUTTA: "UCCIDETE LA DEMOCRAZIA"!!! LA "NOTTE" E’ COMINCIATA A "SCENDERE" QUANDO E’ STATO (ED E’ ANCORA !!!) "PERMESSO" A "UNA PERSONA" E A "UN PARTITO" L’ABUSO DELLA “PAROLA”. Che "forza"!!! Che vergogna!!! Istituzioni e cittadini, tutte e tutti - sonnambuli e conniventi?!! LUNGA VITA ALL’ITALIA !!!


Rispondere all'articolo

Forum