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Quo vadis Calabria? Appunti su una regione allo sfacelo, dove il ricambio dirigenziale non c’è stato e la mafia si perpetua coi nuovi, i vecchi muri di gomma, i disonesti di sempre

martedì 1 agosto 2006.
 

Se fino a poco tempo fa ritenevo che la Calabria avesse qualche piccola possibilità di ripresa, oggi sono del parere che è rimasta una fioca speranza, prima della sua fine definitiva. A livello amministrativo, non c’è alcuna capacità di programmazione. Si seguita con l’improvvisazione, con metodi clientelari, sistemi moralmente riprovevoli e coperture istituzionali d’una illegittimità manifesta. La gente, non tutta, come all’epoca dell’emigrazione forzata di Franco Abruzzo e di suoi coetanei, continua a mantenere uno squallido silenzio e a beneficiare di piccoli e grandi vantaggi, persuasa che solo la subordinazione paga o solleva. Le speculazioni sulle misure assistenzialistiche continuano a oltranza. Non c’è alcuna consapevolezza d’essere in Europa e di dover competere, nell’impresa pubblica e privata, su scala globale. Non si ascolta nessuno né si offrono possibilità d’azione a giovani formatisi fuori di casa, se non previa esibizione d’una tessera di partito o altro che dimostri la fedeltà incondizionata a gruppi mafiosi autorizzati dallo Stato. In Calabria, è impossibile essere autonomi, esprimersi criticamente e denunciare abusi e irregolarità favorite da molti organi di controllo. Anzi, spesso non c’è una figura o un ufficio da interessare, per bloccare il cancro dell’illegalità. Nella migliore delle ipotesi, tutori dell’ordine sono costretti a registrare, anche coscienziosamente, le poche segnalazioni di cittadini coraggiosi, senza poter intervenire, nell’assoluta mancanza di strumenti e forze necessarie. Diverse leggi regionali, come altre volte scritto su queste pagine, sono disattese: esistono sulla carta ma non trovano applicazione perché, con manovre all’ombra, i danari dei contribuenti spariscono dalle casse pubbliche. Questo avviene tanto a livello regionale quanto a livello periferico. Basti ricordare, soltanto a titolo d’esempio, che la Regione Calabria non ha ancora risposto alle onlus in attesa dell’assegnazione di finanziamenti per lo spettacolo. Non ci sono più quattrini. Per lo stesso motivo, l’assessorato regionale alla salute non ha rimborsato i pazienti obbligati all’emigrazione sanitaria per malattie gravissime, relativamente alle domande per l’anno 2005 e 2006. Il responsabile, Doris Lo Moro, non parla con la stampa, si nega costantemente al telefono e fa rispondere un segretario particolare, tale Scalfaro, il quale riferisce che, fino al prossimo settembre, non è possibile ottenere alcuna intervista. Precisa, dopo, che inviando delle domande per iscritto, sarà cura dell’ufficio preposto vagliare e, all’occorrenza, restituire un testo confacente. Che razza di prassi è mai questa? Non è forse con la più ampia comunicazione che si rimuovono i dubbi e le rabbie dei contribuenti? Che cosa si dovrebbe fare? Forse, si dovrebbe occupare un palazzo e minacciare il suicidio, come usano centinaia di disoccupati, per avere un reddito minimo o qualcosa del genere? Gli intramontabili "vedremo", "abbiamo tanti impegni", "faremo", "siamo oberati": questa è la Calabria, principalmente. Una regione in cui si fa una retorica stomachevole sulla cultura e sulle nuove tecnologie, con un’autostrada inesistente, una rete ferroviaria da Terzo mondo e collegamenti interni da far schifo. Una Regione che spende in lungo e in largo per consulenze inutili e per i portaborse di assessori e potenti. Una Regione che pensa di promuovere la cultura ricavando gruzzoloni per manifestazioni di rispettabilissimi membri di partito. Una regione in cui l’onestà non serve, l’onestà intellettuale è l’utopia di quattro idioti idealisti; in cui le vere professionalità non sono riconosciute e in cui manca il dialogo, l’apertura e la disposizione all’ascolto, a partire dal livello istituzionale. Una regione di larghe incompetenze, con straordinaria facilità di spesa per cattedrali nel deserto, pronta a rilasciare licenze in violazione per correggere gli abusi. Una regione allenata a chiudere gli occhi per i reati ambientali e a turarsi bene le orecchie rispetto all’urlo di coscienze esauste e giornalisti che non vogliono la morte della propria terra. Una regione in cui anche parte della stampa è complice, non volendo mai parlare di importanti iniziative di emancipazione culturale, sociale ed umana. Una regione in cui è facile dimenticare tutto, in cui il potere pretende di moralizzare, fingendo di non sapere della mafia che opera dall’interno. Una regione in cui le università non servono, dato che il sapere, salvo eccezioni, non produce reazioni sostenute da un’etica individuale e non sa dire alla coscienza che il silenzio uccide. Una regione di parate e vanaglorie, una regione che consolida meccanismi perversi di potere. Una regione in cui ci si riempie sempre la bocca di belle parole ma, al momento opportuno, si è lesti a ritrattare, correggere il tiro e perpetrare le porcherie del passato. Una regione che si vanta d’avere uomini nuovi, i quali, se non sono proprio i soliti noti, ne hanno ereditato clientele e comportamenti. Una regione che non può più coprirsi gli occhi con l’orgoglio dell’appartenenza. Una regione che deve scuotersi, deve liberarsi. Pena la fossa.

Emiliano Morrone

nichilismopuro@libero.it


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