A PROPOSITO DELLE IMMINENTI ELEZIONI AMMINISTRATIVE. SETTE TESI *
1. Voto locale, voto politico Le elezioni amministrative hanno certo specificita’ locali, ma hanno anche un valore politico generale, e non solo perche’ sono coinvolti sette milioni di elettori e si vota anche a Roma, ma perche’ un ulteriore cedimento della sinistra e piu’ in generale del fronte democratico potrebbe far crollare ogni argine alla barbarie fascista.
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2. La deriva
Il contesto e’ quello dell’ulteriore deriva a destra determinato dai risultati delle elezioni politiche di febbraio e dalla disastrosa gestione di essi: la catastrofe della sinistra (pur avendo la coalizione di centrosinistra vinto le elezioni), l’affermazione della nuova destra totalitaria grillina e il ritorno dei berlusconiani al governo fagocitando il Pd, frantumandolo e riducendolo a vassallo.
Il ventennio berlusconiano ha provocato un immane degrado, ma fino ad ora non era riuscito a distruggere la capacita’ di resistenza di un fronte democratico che per ben due volte, nel 1996 e nel 2007, era riuscito a battere alle elezioni politiche la destra dell’eversione dall’alto. Il berlusconismo ha ottenuto solo ora il suo trionfo con la dirompente affermazione del fenomeno grillino, mimetico e speculare, in grado di mistificare ed ipnotizzare aree sociali e culturali dal berlusconismo anche distanti, e di convogliare - con strategie pubblicitarie e spettacolari analoghe e subalterne a quelle berlusconiane - consensi su un progetto politico non solo parimenti autoritario ed illegalitario, ma altresi’ esplicitamente totalitario. E la risposta del principale partito politico del cosiddetto centrosinistra, il Pd, e’ stata la peggiore possibile: dapprima il suicidio col folle voto che ha impedito l’elezione di Prodi alla Presidenza della Repubblica, poi l’alleanza con Berlusconi: ovvero la resa senza condizioni all’estrema destra eversiva, corrotta, razzista, guerrafondaia, ecocida, filomafiosa.
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3. Impoverimento ed imbarbarimento
Il crescente impoverimento delle classi popolari e della societa’ in generale, come e’ gia’ accaduto in altre situazioni storiche analoghe, non solo non sta attivando presa di coscienza e resistenza democratica, ma sta provocando al contrario rassegnazione e disperazione, rifiuto della democrazia percepita come incapace ad opporsi alla corruzione ed alla violenza dei potenti, desolidarizzazione ed imbarbarimento, disponibilita’ dell’elettorato ad affidarsi a svolte autoritarie ed avventurieri totalitari, ovvero cedimento al fascismo.
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4. Una politica degli enti locali per la democrazia e i diritti
In questa situazione cosi’ drammatica gli enti locali potrebbero e dovrebbero essere il luogo e lo strumento in cui ed attraverso cui difendere e ricostruire un tessuto democratico, di solidarieta’ e responsabilita’, di impegno per il bene comune. Potrebbero e dovrebbero essere il luogo e lo strumento da cui ed attraverso cui proseguire o riprendere la lotta contro la barbarie totalitaria, contro il regime della corruzione, contro i poteri criminali. Il luogo e lo strumento della resistenza all’eversione dall’alto; il luogo e lo strumento della progettazione e realizzazione di una pubblica amministrazione e di una politica decenti.
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5. Quasi un programma minimo per l’autogoverno delle comunita’ e del territorio
E ad esempio e’ a partire dagli enti locali che si puo’ e si deve praticare:
a) una politica della pace e dei diritti umani: che si opponga alla guerra, al militarismo e al riarmo; che promuova dialogo e cooperazione dal basso, locale ed internazionale; che realizzi accoglienza, sostenga centri antiviolenza, promuova intercultura ed integrazione, favorisca la consapevolezza che vi e’ una sola umanita’ in un unico mondo casa comune dell’umanita’ intera; b) una politica di difesa attiva dell’ambiente e della salute: che metta insieme il diritto all’abitare, al lavoro sostenibile, alle infrastrutture necessarie, e la promozione della partecipazione e della responsabilita’ comune per difendere a un tempo l’ambiente di tutti e la salute e la sicurezza di ognuno, la qualita’ della vita e la civile convivenza;
c) una politica di assistenza sociale, solidarieta’ e partecipazione: che dia sostegno efficace e adeguato alle persone nel disagio e nella sofferenza, e che attivi la partecipazione democratica e l’impegno civile di tutta la popolazione;
d) una politica culturale contro il consumismo onnidistruttivo, in difesa della dignita’ umana e del valore del mondo vivente, che promuova la consapevolezza che una e’ la civilta’ umana e che ogni persona ha il diritto di fruirne e il dovere di contribuirvi, e che cultura, responsabilita’ ed aiuto reciproco sono una sola cosa; e) una politica di impegno contro la corruzione e gli sperperi, contro i poteri criminali, contro l’economia illegale; una politica della legalita’ e dell’onesta’.
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6. Votare a sinistra
Lo ripetiamo per l’ennesima volta: la differenza fondamentale e dirimente tra destra e sinistra consiste nel fatto che caratteristica della destra e’ l’affermazione della radicale ineguaglianza di diritti tra le persone, e quindi l’effettuale favoreggiamento dei potenti contro gli oppressi, dei violenti contro i miti, degli sfruttatori contro gli sfruttati, dei rapinatori contro i rapinati, degli arricchiti contro gli impoveriti. Caratteristica della sinistra e’ invece l’affermazione dell’eguaglianza di diritti di tutti gli esseri umani: e quindi l’impegno alla lotta per la liberazione di tutti gli oppressi, di tutti gli sfruttati, di tutte le vittime dell’ingiustizia e della violenza; l’impegno a rispettare e promuovere i diritti umani di tutti gli esseri umani; l’impegno a realizzare il programma scritto nella Dichiarazione universale dei diritti umani, che e’ poi anche il programma di democrazia progressiva scritto nella Costituzione della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza antifascista.
La sinistra non e’ un’ideologia: e’ il movimento delle oppresse e degli oppressi in lotta per la liberazione dell’umanita’.
Occorre dunque votare a sinistra.
L’astensione, come sempre, favorisce il regime della corruzione e la destra estremista e golpista. Il voto a liste ambigue - le tante qualunquiste variamente travestite e atteggiate ma effettualmente destrorse - non ferma la deriva a destra, ma la favoreggia. Dove si presentano coalizioni democratiche ampie in cui la sinistra si colloca in modo adeguato e caratterizzante occorre sostenere queste coalizioni.
Dove la sinistra e’ costretta a presentarsi da sola, non potendo accettare alleanze indecenti, occorre sostenere le liste di sinistra (di partito o di coalizione o civiche che siano).
Occorre votare a sinistra. Anche laddove le liste di sinistra non siano le migliori possibili, purche’ candidino persone degne ed abbiano programmi coerenti con la scelta della solidarieta’, della responsabilita’, dell’uguaglianza di diritti.
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7. Oltre il voto, la nonviolenza
Occorre votare a sinistra. E continuare la lotta nonviolenta contro tutte le violenze e le menzogne, contro tutte le ingiustizie e le vilta’.
Solo la nonviolenza puo’ salvare l’umanita’.
Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo
Viterbo, 20 maggio 2013
Mittente: "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo, strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo,
e-mail: nbawac@tin.it e
centropacevt@gmail.com ,
web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
L’amaca
di Michele Serra (la Repubblica, 28.05.2013)
Il calo pauroso dei votanti dice che l’appeal della politica nel suo complesso (5Stelle comprese) è in irreparabile declino.
Ma dentro il quadro d’insieme il crollo del centrodestra, già ben delineato dai sei milioni e mezzo di voti in meno alle politiche, è devastante. E porta a farsi una domanda semplice semplice: come è possibile che Berlusconi, che ha portato il centrodestra italiano ai minimi storici, sia al governo del Paese? (Piccolo corollario: come è possibile che la Lega, con meno del 5 per cento dei voti, governi le tre maggiori regioni del Nord?). La risposta chiama in causa, impietosamente, la pavidità e la confusione della sinistra.
Nel momento della sua massima impopolarità, e del suo palpabile crollo elettorale (e le comunali sono andate perfino peggio), Berlusconi è stato letteralmente miracolato dai suoi avversari. Tutti. Il Pd che prima non è stato capace di eleggere un nuovo capo dello Stato, anzi un capo dello Stato nuovo; poi ha accettato l’irricevibile proposta delle larghe intese per sudditanza nei confronti del Quirinale, e irragionevole paura dei cambiamenti sociali e politici. E 5Stelle per non essersi sporcate le mani con la politica vera, e avere opposto al Pd solo uno sciocco muro di diffidenza e di scherno. Berlusconi ringrazia entrambi.
Elezioni amministrative 2013, 7 milioni al voto. Il grande inciucio al test dell’urna
di Thomas Mackinson (Il Fatto, 25 maggio 2013)
Sette milioni d’italiani tornano al seggio dopo i giorni più pazzi della Repubblica. Lo avevano lasciato solo tre mesi fa, depositando nell’urna un chiaro segnale di cambiamento. Il voto delle politiche di febbraio aveva polverizzato in un attimo vent’anni di bipolarismo e aveva chiesto a tre grandi forze politiche di competere alla costruzione della Terza Repubblica.
Da allora gli elettori han visto di tutto e di più, soprattutto il non richiesto: il capo dello Stato tornare al Colle senza averlo mai lasciato, il Pd della “non-vittoria” deflagrare più volte e poi abbracciare il Pdl di Silvio Berlusconi in un governo di pacificazione che passa il tempo a minare e sminare la possibilità di sopravvivere a se stesso. Quello di domani sarà anche un voto sulla pacificazione, sulla politica dell’inciucio. Mario Monti, azionista di minoranza, è quasi scomparso. Ma anche chi ne è rimasto fuori, a ben vedere, ha i suoi problemi. E pure Beppe Grillo, a questo giro, rischia di pagare un alto prezzo in termini di consenso.
E tuttavia da tempo si dà per vincitore il partito dell’astensione. Gli ultimi giorni di campagna elettorale hanno reso evidenti le difficoltà di “scaldare le piazze”, perfino nelle città che - fra le 564 amministrazioni chiamate al rinnovo - catapultano rapporti di forza, contese e scenari della politica nazionale più convulsa e nebulosa di sempre. Gli ultimi comizi dei big sono stati tutti sotto tono, alcuni sono andati semi deserti.
E così rischiano di andare le urne, che si aprono domani mattina alle 8 e fino alle 22 e lunedì dalle 7 alle 15. Terminate le operazioni di voto iniziano gli scrutini e, in caso di ballottaggio per l’elezione dei sindaci, si voterà domenica 9 giugno con le stesse modalità. Per i comuni superiori ai 5 mila abitanti debutta la novità della doppia preferenza di genere, che l’elettore può esprimere sulla scheda per candidati della stessa lista, purché di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda preferenza. “Tempi supplementari” due settimane dopo, il 9 e 10 giugno, quando si terrà l’eventuale ballottaggio negli 89 comuni con più di 15mila abitanti e il primo turno delle comunali in Sicilia. Ecco le partite che contano davvero.
TUTTI HANNO UNA SFIDA DA VINCERE. E MOLTO DA PERDERE
Ci si aspetta un alto tasso di astensione, dunque. E tuttavia non c’è dubbio che di test nazionale si tratti e che ogni forza politica abbia da centrare un obiettivo preciso. Il Popolo delle Libertà gioca in difesa. Al voto vanno infatti la maggior parte dei comuni che avevano svolto le loro amministrative dopo il trionfo del centrodestra alle politiche del 2008. Il Pdl insieme alla Lega Nord può contare su 52 sindaci su 92 città, contro i soli 35 del centrosinistra, la maggior parte di loro esponenti del Pd. In queste città il Pdl punta a una riconferma. Per Berlusconi, sempre più inguiato con la giustizia, anche del teorema secondo cui il consenso delle urne legittima più delle sentenze.
La riconferma il Pd la può trovare invece nei comuni capoluogo, dove i rapporti di forza sono ribaltati, con 9 sindaci democratici, uno di Sel, a Massa Carrara, 4 del Pdl, ed uno a testa per Lega Nord e Udc, Treviso ed Iglesias. Per il partito di Guglielmo Epifani, il voto amministrativo è un test multiplo. Lo è personalmente per il neosegretario, che debutta avendo di fronte a sé il difficile compito di tenere insieme il supporto al governo Letta e una base sempre meno contenta dell’accordo con Berlusconi.
Dall’esito si capirà se l’elettorato democratico ha davvero stracciato la tessera o ha ingoiato uno per uno tutti i rospi: dalla mancata vittoria alle politiche di febbraio al balletto di Bersani sul governo coi Cinque stelle, dallo psicodramma del Quirinale e all’abbraccio con il centrodestra suggellato dal governo Letta-Alfano. Non solo. I candidati locali sono anche il frutto delle tante correnti che attraversano e frantumano il partito in vista del congresso d’autunno. Si sono fatte sentire fino all’ultimo con distinguo, veleni, sgambetti e passaggi alla conta dei birilli. Impossibile, dunque, prevedere azioni e reazioni degli elettori democratici.
C’è poi Beppe Grillo con il suo test in 150 comuni. Servirà a confermare o ridimensionare il boom delle politiche. Sotto la lente, per avere un termometro affidabile, il numero di ballottaggi che il Movimento porterà a casa nelle località in cui aveva raccolto più consensi alle politiche 2013. I risultati incassati in Friuli il 21 e 22 aprile scorso, quasi un’appendice del voto di febbraio, hanno registrato una flessione ma era un micro-test. E’ il momento per quello vero. Dal risultato si capirà se Grillo paga un pegno, e quanto pesante, all’indisponibilità a un accordo col Pd, alle polemiche che hanno scandito esordio e attività degli onorevoli a cinque stelle in Parlamento su rimborsi e democrazia interna. Scelta Civica si presenta sfilaccia, con liste locali o in appoggio ad altri candidati. In tutta la Liguria, per dire, non ha un candidato. Per il progetto centrista di Monti&co potrebbe essere un segnale di sopravvivenza.
ROMA, BRESCIA, SIENA E LE ALTRE CITTA’ CHE SCOTTANO
Oltre al conteggio di chi avrà più amministrazioni tra le grandi città al voto - tutti concordano sul punto - il giudizio finale su questa tornata amministrativa sarà determinato dal vincitore di Roma. Match decisivo nella Capitale ma per nulla scontato. In corsa Gianni Alemanno e Ignazio Marino che i sondaggi delle ultime settimane danno in equilibrio, mentre meno prevedibile è il gradimento di De Vito, del M5S, ed il civico Marchini. La fotografia delle piazze dei comizi finali hanno visto San Giovanni decisamente vuota per salutare il candidato Marino, e perfino truppe cammellate a ranghi ridotti per Silvio Berlusconi all’Arco di Costantino. Perfino Grillo fa “quasi il pieno” in Piazza del Popolo. Insomma, se a votare vanno solo i presenti, son guai.
Ad ogni modo non c’è solo Roma. Una delle piazze “calde” è sicuramente Brescia, città che ha visto materializzarsi il divario tra centro destra e centro sinistra “non di governo”. Dove militanti dell’una e l’altra parte sono arrivati agli insulti e alle mani quando mezzo Pdl ha manifestato contro la decisione di non trasferire qui i processi del leader del Pdl. Al voto 141mila cittadini che dovranno scegliere tra vecchio e nuovo. Vecchi, e non per età anagrafica, sono il candidato del centrodestra Adriano Paroli che punta alla conferma e pure lo sfidante del Pd, Emilio Del Bono, già sfidante e perdente nel 2008. Per i Cinque Stelle corre Laura Gamba. Oltre ai tre favoriti sono in corsa sette candidati minori.
Potente il significato simbolico e politico nella sfida per Siena che torna al voto dopo appena due anni. Qui è scoppiato l’ultimo scandalo finanziario d’Italia e ha travolto i democratici (e non solo senesi) come un fiume in piena. Il travaglio interno al Pd ha prodotto una spaccatura tra i consiglieri che ha portato, a maggio dell’anno scorso, alle dimissioni del sindaco Franco Ceccuzzi. Dopo due primarie, il Pd candida Bruno Valentini, dirigente per trent’anni di Mps ma già sindaco di Monteriggioni, e per questo spendibile come “outsider” rispetto ai poteri locali protagonisti del terremoto. Che la partita stia a cuore al Pd lo si è capito con il comizio del neo segretario Epifani.
Tra le partite più importanti c’è quella di Ancona: nel capoluogo delle Marche i cittadini sono senza sindaco dal 27 dicembre 2012. Ovvero, da quando Fiorello Gramillano, del Partito democratico, aveva rassegnato le dimissioni a causa di alcuni problemi interni alla maggioranza di centrosinistra. Diversi i candidati al voto, in una città venuta alla ribalta nelle scorse settimane anche per i dissidi a 5 stelle: il candidato ufficiale Andrea Quattrini era stato criticato da alcuni ex militanti grillini, vicini all’ex candidato del 2009 Mauro Gallegati.
Curiosa la partita di Barletta. Il candidato a sindaco di un centrosinistra in versione allargata arriva direttamente dal Quirdinale, è l’ex portavoce del presidente Napolitano, Pasquale Cascella, attorno al quale si raccolgono Pd, Sc, Cd, Sinistra unita e due civiche.
PEPPE SINI: UNA DICHIARAZIONE DI VOTO *
"Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna,
per giudicar di lungi mille miglia
con la veduta corta d’una spanna?"
(Par., XIX, 79-81)
"I think we are in rats’ alley
Where the dead men lost their bones"
(T. S. Eliot, The Waste Land, vv. 115-116)
Anche alle imminenti elezioni amministrative occorre votare a sinistra per contrastare la barbarie, la corruzione, la violenza, la rapina e la distruzione dei beni comuni; occorre votare a sinistra per difendere l’uguaglianza di diritti di tutti gli esseri umani e la biosfera casa comune dell’umanita’ intera.
Alle elezioni comunali di Viterbo di domenica 26 e lunedi’ 27 maggio votero’ per il candidato a sindaco Daniele Cario e per la lista di "Solidarieta’ cittadina" che lo sostiene e che ha per simbolo una stretta di mano tra una mano nera e una mano bianca a rappresentare la solidarieta’ che unisce tutti gli esseri umani.
*
Nei mesi scorsi ho cercato di proporre alle varie, disperse e confuse forze della sinistra viterbese di unirsi in una coalizione in grado di contrastare sia la destra neofascista e berlusconiana, sia l’ex-centrosinistra andreottizzato e largamente colonizzato da personaggi provenienti dalla destra neofascista e berlusconiana. Quella proposta non ha trovato ascolto.
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In queste settimane di campagna elettorale a Viterbo mentre i fascisti starnazzavano le cose piu’ infami, l’unico candidato che ha sottoscritto un appello contro il razzismo, per i diritti umani di tutti gli esseri umani, e’ stato Daniele Cario.
L’unica lista che ha promosso una iniziativa di informazione onesta e veritiera sull’avvelenamento da arsenico che l’intera popolazione di Viterbo subisce da anni e’ stata la lista che Daniele Cario sostiene, quella dell’associazione "Solidarieta’ cittadina", che ha invitato a parlare su questo la dottoressa Antonella Litta.
In queste settimane e’ stata l’unica presenza elettorale di sinistra che si e’ esplicitamente riconosciuta nella pluriennale lotta che abbiamo condotto e vinto in difesa della salute e dei diritti dei cittadini, e della preziosa area naturalistica, archeologica e termale del Bulicame di dantesca memoria, contro l’assalto della lobby speculativa di estrema destra del mega-aeroporto nocivo e distruttivo, illegale e insensato.
L’unica presenza di sinistra che mi ha chiesto e quindi consentito di parlare in piazza contro la guerra, contro la mafia, contro il razzismo, contro la violenza maschilista e femminicida, contro l’eversione dall’alto berlusconiana, contro il regime della corruzione, contro il fascismo che torna, contro la violenza degli sfruttatori. E per commemorare le vittime della strage di Capaci. Temi su cui nessun altro ha speso una parola in questa campagna elettorale in questa citta’, e si capisce perche’.
* Anche alle imminenti elezioni amministrative occorre votare a sinistra per contrastare la barbarie, la corruzione, la violenza, la rapina e la distruzione dei beni comuni; occorre votare a sinistra per difendere l’uguaglianza di diritti di tutti gli esseri umani e la biosfera casa comune dell’umanita’ intera.
Alle elezioni comunali di Viterbo di domenica 26 e lunedi’ 27 maggio votero’ per Daniele Cario e per la lista di "Solidarieta’ cittadina" che lo sostiene e che ha per simbolo una stretta di mano tra una mano nera e una mano bianca a rappresentare la solidarieta’ che unisce tutti gli esseri umani.
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TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 1285 del 25 maggio 2013
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532,
e-mail: nbawac@tin.it ,
centropacevt@gmail.com ,
sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Le Monde Diplomatique, Blog, 10 maggio 2013
I sondaggi contro le elezioni
di Alain Garrigou
(traduzione dal francese di José F. Padova)
http://blog.mondediplo.net/2013-5-10-Les-sondages-contre-le-elections
Fra le critiche che mettono in discussione il carattere democratico dei sondaggi la più elementare è stata quella di suggerire che essi costituirebbero una minaccia per l’elezione. Un pericolo percepito da molto tempo, a partire da chi introdusse i sondaggi in Francia, Jean Stoetzel. Non gli si prestò fede alcuna. Tuttavia gli aruspici avevano ragione.
I media non smettono di analizzare i record d’impopolarità dei dirigenti. François Hollande, eletto da un anno, ne stabilisce del resto uno nuovo. I commentari obbediscono ancora una volta al genere, infinite volte preso in giro, della corsa dei cavalli o della cronaca sportiva. Eppure qualcosa di nuovo è accaduto. Questa volta i dati scadenti hanno portato a rimettere in discussione l’autorità politica uscita dalle elezioni. Nelle manifestazioni ostili al matrimonio per tutti si sono udite grida di «Hollande dimissioni», riferite ai sondaggi. È un comportamento leale? In ogni caso è nuovo. Come lo è l’evocazione da parte di giornalisti politici dei loro dubbi sulla capacità di governare, lanciati sulla scorta dei cattivi sondaggi.
Mettere in questione la legittimità politica un anno dopo un’elezione può lasciare perplessi. I commentatori d’altra parte non mancano di buon senso ricordando gli effetti dei sondaggi, capaci, a forza di ripetizioni e di chiose, di erodere l’autorità dei dirigenti. Essi hanno quindi ragione nel contestare de facto l’affermazione dei sondaggisti che i loro sondaggi non avrebbero effetti politici - secondo la formula che vorrebbe che «non si cambia la temperature del malato rompendo il termometro».
Tuttavia, in questa materia, sono le credenze che hanno importanza, come vuole ciò che si è chiamato il «teorema di Thomas» (1). Secondo questa logica della predizione creatrice, se i cattivi risultati dei sondaggi si moltiplicano annunciando future disfatte, se le scontentezze vi trovano sostegno, è probabile che a termine i dirigenti politici ne saranno indeboliti. In un sistema politico come quello della IV Repubblica i sondaggi avrebbero già causato un valzer di governi. Il semplice fatto che dubbi sulla legittimità del potere si nutrano di sondaggi tanto vicini all’elezione presidenziale è sufficiente per mettere questi sondaggi in concorrenza con l’elezione stessa.
Ora vi sono sempre più misurazioni dell’opinione [pubblica]. Ai vecchi barometri mensili sono venuti ad aggiungersi altri tipi di sondaggi che simulano elezioni presidenziali appena un anno dopo di esse! Queste simulazioni, apparentemente sondaggi sulle intenzioni di voto, fanno sussistere intenzioni di voto retrospettive, poiché vi si mettono i protagonisti reali dell’azione precedente. Queste false elezioni retrospettive non rifanno la storia ma permettono di dubitare della legittimità dell’elezione ogni volta che i risultati sono molto diversi, lasciando supporre che molti elettori si siano sbagliati o rimpiangano la loro scelta. E significativamente non sarebbero i sondati di oggi che si sbaglierebbero, ma gli elettori di ieri.
Insomma, ancora una volta, perché privarsi di questi giochi mentre si ha modo di giocarli? Imponendosi come il modo pressoché esclusivo di fare indagini politiche, i sondaggi online, molto meno cari di quelli per telefono o di presenza, favoriscono il diluvio dei sondaggi. Tutte questo è fatto senza dimostrazione alcuna del loro rigore metodologico, checché ne dicano i sondaggisti, ai quali in ogni modo la maggior parte dei media non chiede garanzie. I sondaggi fanno dunque concorrenza alle elezioni nel momento stesso in cui la loro qualità si è fortemente degradata. Non sembra che i commentatori se ne emozionino e neppure i sondati remunerati per le loro risposte. D’ora in avanti l’opinione pubblica pagata è un contrappeso all’opinione pubblica «gratuita» del suffragio universale.
I sondaggi stanno modificando le regole del gioco democratico, non solamente intaccando la legittimità dei governi eletti, ma sconvolgendo il tempo dell’azione politica, determinando i suoi obiettivi. Nessun bisogno di un cambiamento costituzionale. È sufficiente produrre un’opinione furtiva e vantaggiosa, tramite imprese private, in un mercato autoregolato: un’opinione pubblica atomizzata e remunerata dai soldi di agenti interessati a ciò che produce. Questa nuova situazione serve gli interessi dei sondaggisti i quali, di commento in commento, per quanto futili siano, occupano i palcoscenici e le colonne, alimentando così il loro narcisismo. Forse vi si vede già il sintomo di un giornalismo indigente in tempo di crisi: il commento di chi non ha più niente da dire. Non si dimenticherà che i sondaggi hanno apportato una nuova risorsa ai giornalisti, che possono erigersi a interpreti dell’opinione pubblica nei confronti dei dirigenti politici. Poiché però nessuno statistico o sociologo concede molto credito ai sondaggi pubblicati ogni giorno, è significativo che tutta una professione non li sente e preferisce ascoltare i sondaggisti, quindi i commercianti. Qui, ancora, il desiderio di potenza con il quale i giornalisti più potenti danno lezioni di politica o prodigano punteggi buoni e cattivi fa rammaricare che essi non siano al comando. Quanto ai responsabili politici sembra che essi abbiano tutto da temere da questa elevazione dei sondaggi al rango di test permanenti della loro propria legittimità.
Lo sanno? Apparentemente non tutti. Il 6 marzo 2013, in occasione di una trasmissione di France 2 che faceva un bilancio della presidenza di François Hollande (2), il senatore socialista André Vallini ha dovuto spiegare il voltafaccia del governo sulla questione dell’amnistia ai sindacalisti, amnistia che il senatore socialista aveva anch’egli votato alla Camera alta. Come avrebbe spiegato una tale incoerenza? André Vallini accennò dapprima alle violente manifestazioni ostili al «matrimonio per tutti» e alla necessità, secondo lui, di non incoraggiare questo tipo di comportamento. Dal momento che questa sola giustificazione non sarebbe bastata - perché far pagare a militanti sindacalisti il comportamento di militanti di destra e d’estrema destra non è di assoluta logica - André Vallini aggiunse: «E poi, ecco i sondaggi: 70% dei francesi sono contro l’amnistia!». Un parlamentare accetta che il suo voto pesi meno di un risultato architettato da un’impresa di sondaggi è cosa nuova. E promette proprio bene?
Note
(1) «Quando gli uomini considerano alcune situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze». Vedi « La production de la croyance politique » su questo blog.
(2) « Hollande, année zéro ? », Mots croisés, 6 mai 2013.