Scomparso lo psichiatra Giovanni jervis
Una rara capacità auto-critica *
Giovanni Jervis, un protestante. in val Pellice Qualcuno fra quanti hanno ricordato lo psichiatra e studioso scomparso a inizio agosto ha «sfiorato» la definizione. Mario Baudino, su La Stampa, ne ha ricordato l’origine valdese; Stefano Mistura (Il Manifesto), autore negli anni 70 di un libro Claudiana su Paul Tillich, ha sottolineato il «rifiuto della falsa coscienza e della demagogia» che ha caratterizzato Jervis, la tendenza cioè alla critica rigorosa (a partire da se stesso e dalla proprie opere), che altri hanno scambiato per tardivo pentimento e per una sorta di revisionismo, a proposito soprattutto della collaborazione con Franco Basaglia (di «ritorno all’ordine» ha addirittura parlato Gianni Vattimo). Jervis non è stato invece di quelli (molti, sì) che voltano disinvoltamente gabbana. La tendenza all’esame continuo delle proprie idee, oltre che fondato sulla razionalità a cui ha sempre dichiarato di volersi attenere, è anche espressione di una visione anti-idolatrica della cultura. Non solo: in questi anni di neo-integralismo e di confusione tra sfera religiosa e civile, il suo pensiero si è concretato in chiarimenti che meritano riconoscenza; come quando si scagliava contro la commistione tra l’idea di «bene» e quella di «giusto» (solo quest’ultima essendo finalità della politica); o come quando contestava l’idea che il «male» nella patologia, ma si può dire anche nella cultura, stia sempre in qualche struttura «al di fuori» di noi. Importante anche la denuncia del carattere subdolo delle tendenze paternaliste di certo relativismo per il quale «attraverso l’accettazione aprioristica di tutte le credenze altrui passi il progetto di rendere inattaccabili le proprie [corsivi nel testo, red.]».
* Riforma, n. 31, 21 agosto 2009.