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Il grido di Giovanni Bollea: "Non distruggete la mia casa per i bambini". L’ultimo appello del maestro della neuropsichiatria infantile, oggi gravemente malato, perché non venga smantellato il suo Istituto

L’INFANZIA SORRIDENTE, LA SOCIETA’ DI "ERODE", E L’ULTIMO APPELLO DI GIOVANNI BOLLEA. Un suo testo su "come nasce il sorriso" e una nota di Leonetta Bentivoglio - a c. di Federico La Sala

«Grazie al lavoro di Bollea, l’Italia conta su numerosi centri di Neuropsichiatria Infantile. Sarebbe terribile togliere autonomia al cuore di questa mappa, cioè all’istituto romano che porta il suo nome»
domenica 23 gennaio 2011 di Federico La Sala
[...] Narrava qualche tempo fa il padre della Neuropsichiatria Infantile italiana Giovanni Bollea: «Ho incontrato un albero grande e grosso. Ci siamo guardati e lui mi ha detto: siamo entrambi alla fine». Ora che sul bilico della fine c’è davvero, Bollea, 97 anni compiuti in dicembre, sfida la morte con un’energia miracolosa. E dalla sua agonia lancia un appello per la salvaguardia e l’indipendenza dell’Istituto neuropsichiatrico romano da lui fondato: è questa la sua ultima, importante (...)

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> L’INFANZIA SORRIDENTE, LA SOCIETA’ DI "ERODE" ---- MEMORIA. Janusz Korczak e suoi piccoli orfani (di Amadigi di Gaula)

venerdì 21 gennaio 2011

TEMPI MODERNI/IL GIORNO DELLA MEMORIA

I protagonisti / Il viaggio della morte

Janusz Korczak e suoi piccoli orfani

di Amadigi di Gaula

"Dite: è faticoso frequentare i bambini. Avete ragione. Poi aggiungete: perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli. Ora avete torto. Non è questo che più stanca. E` piuttosto il fatto di essere obbligati a innalzarsi fino all`altezza dei loro sentimenti. Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi. Per non ferirli”. (Janusz Korczak)

Janusz Korczak, il cui vero nome era Henrryk Golddszmit, era nato a Varsavia il 22 luglio 1878 da una famiglia ebraica. Medico ed educatore, si era impegnato, fin dal 1911, ad assistere i bambini orfani (ebrei e non ebrei), legando a tale attività il senso della sua esistenza. Divenuto a Varsavia direttore dell’orfanatrofio di via Krochmalna, nel 1940 fu costretto a trasferirsi con i suoi piccoli assistiti entro il recinto del ghetto della capitale polacca.

Qui, mai dimentico di trasmettere ai piccoli allievi i più alti valori umanistici nei quali credeva, a cominciare dal senso di responsabilità e dal rispetto della dignità umana, si troverà ad affrontare difficoltà estreme, quali quelle di sfamare i suoi assistiti, di tutelarli dalle malattie, di difenderli dall’inedia e dalla denutrizione.

Quando, il 6 agosto 1942, giunse l’ordine di evacuazione con destinazione Treblinka, Korczak e la sua assistente Stephania Wilczynska rimasero fino all’ultimo fedeli al loro modello di vita: “vestirono i bambini con i loro abiti migliori, diedero a ognuno un sacchetto e dissero che avrebbero fatto un viaggio. Confluirono così nel piazzale della Umschlagplatz: Korczak, con un bimbo in braccio, diresse il canto dei bambini, mentre questi, procedendo in fila ordinata, si ricongiungevano con gli altri ebrei” (Dizionario dell’olocausto, Einaudi, Torino 2004).

A gettare un po’ di luce su questo straordinario episodio di dignità estrema ci soccorre la testimonianza di Emmanuel Ringelblum, il celebre resistente del ghetto, il quale a sua volta scrive: “L’eroismo del dottor Korczak, di Koninski, di Janowski, che non hanno voluto abbandonare i piccoli dei loro ospizi. Korczak ha diffuso il principio morale secondo cui all’Umschlag dovevano andare tutti insieme [i piccoli insieme ai direttori degli ospizi]. Ci sono stati direttori di ospizio i quali sapevano benissimo che cosa li attendesse all’Umschlagplatz, ma hanno sostenuto che in un momento così cruciale avevano il dovere di non lasciar partire i bambini da soli, bensì di andare alla morte con loro” (I sepolti di Varsavia, Il Saggiatore, Milano 1965). Una informazione ancor più circostanziata ci offre la testimone oculare Mary Berg, la quale, nel suo diario, così descrive l’episodio: “Pochi giorni fa [6 agosto 1942, n.d.r.], affacciati alle finestre della Pawiak, abbiamo visto i tedeschi circondare la casa. File di bambini che si tenevano per mano sono cominciati ad uscire. C’erano tra loro creaturine di due o tre anni; i più grandi arrivavano forse a tredici. Ognuno portava in mano un fagotto e indossava un grembiule bianco.

Camminavano a due a due, calmi, sorridendo, senza sospettare nemmeno lontanamente la loro sorte. Il corteo era chiuso dal dottor Korczak che badava a mantenere i bambini sulla carreggiata. Ogni tanto, carezzando paternamente un bambino sulla testa o sul braccio, raddrizzava la fila. Portava alti stivaloni, una giacca d’alpagas e un berretto blu della marina, il cosiddetto berretto Maciejowka. Camminava con passo fermo, accompagnato da uno dei dottori dell’asilo in camice bianco. La triste processione è sparita all’angolo delle vie Dzielna e Smocza, dirigendosi verso via Gęsia, dove si trova il cimitero. Al cimitero tutti i bambini sono stati fucilati. I nostri informatori ci hanno anche detto che il dottor Korczak è stato costretto ad assistere alle esecuzioni e che lo hanno fucilato per ultimo” (Il ghetto di Varsavia, Einaudi, Torino 1991).

A parziale rettifica di questa testimonianza, il curatore del libro della Berg, Frediano Sessi, in una nota a piè di pagina cita un passo tratto dall’articolo di Marek Rudnicki, L’ultima strada di Janusz Korczak, apparso sul “Tigodnik Powszechny”, Settimanale Universale, il 6 novembre 1988. In esso è scritto: “Il 6 agosto 1942, alle ore dieci, Janusz Korczak è visto in via Dzielna 16, con i suoi bambini e alcuni collaboratori - fra cui Stefania Wilczynska, la sua più stretta assistente -, pronto al-l’‘ultimo viaggio’. Il mesto corteo cammina lentamente, i bambini sono in fila per quattro, e raggiunge via Dzielna 31 sede dell’orfanatrofio comunale che il dottor Korczak visitava più volte la settimana. Sono i bambini di questo orfanotrofio, e non quelli della Casa degli Orfani, che Mary Berg vede dalle finestre sul retro della Pawiak. Dopo il passaggio in via Dzielna 31, i bambini sono circa duecento. Alle ore dodici, il corteo giunge nella Umschlagplatz. Qui un funzionario della Judenrat tenta inutilmente di impedire la deportazione del gruppo di Korczak (N. Remba). Alle ore sedici salirono sul convoglio diretto a Treblinka. I bambini e gli adulti che non morirono durante il percorso, vi saranno fucilati, per ordine di Christian Wirth, il 7 agosto. Secondo la testimonianza che riferiamo, Korczak stesso morì in treno di dolore”.

* Articolo 33 n. 1-2/2011 - Edizioni Conoscenza: http://www.edizioniconoscenza.it/rivista.asp?id=145


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