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Memoria. "Meditate che questo è stato" (Primo Levi)

AUSCHWITZ, QUEL GIORNO - di Luigina D’Emilio - selezione a cura del prof. Federico La Sala

Primo Levi, La tregua: "La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles ed io i primi a scorgerla (...)"
sabato 28 gennaio 2006 di Emiliano Morrone
[...] Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi (...).
Non salutavano, non sorridevano, apparivano oppressi, oltre che da pieta’, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e (...)

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> AUSCHWITZ, QUEL GIORNO ---- Shlomo Venezia se n’è andato a 88 anni. Era nato a Salonicco dove, fino all’arrivo della furia nazista, viveva una delle più grandi e antiche comunità ebraiche d’Europa, annientata nei campi di sterminio (di Elena Loewenthal)

martedì 2 ottobre 2012

Addio a Shlomo Venezia, vittima due volte del nazismo

di Elena Loewenthal (La Stampa, 2 ottobre 2012)

Shlomo Venezia se n’è andato a 88 anni. Era nato a Salonicco dove, fino all’arrivo della furia nazista, viveva una delle più grandi e antiche comunità ebraiche d’Europa, annientata nei campi di sterminio. «Tutto mi riporta al campo. Qualunque cosa faccia, qualunque cosa veda. Non si esce mai per davvero dal Crematorio», ripeteva spesso.

Se, come diceva Primo Levi, i sopravvissuti non hanno conosciuto la Shoah fino in fondo perché sono sfuggiti a quel destino di annientamento, Shlomo Venezia vi fu più vicino che mai: i tedeschi lo destinarono infatti al Sonderkommando, la squadra di prigionieri incaricata di condurre i convogli di ebrei alla distruzione. «A loro spettava mantenere l’ordine fra i nuovi arrivati che dovevano essere introdotti nelle camere a gas; estrarre dalle camere i cadaveri; cavare i denti d’oro dalle mascelle; tagliare i capelli femminili; smistare e classificare gli abiti, le scarpe, il contenuto dei bagagli; trasportare i corpi ai crematori e sovraintendere al funzionamento dei forni; estrarre ed eliminare le ceneri», scrive Levi ne I Sommersi e i Salvati.

Nell’universo dello sterminio, non c’è stata forse un’esperienza più terribile, più «completa». Nessuno ha conosciuto la macchina di Auschwitz meglio di loro, più da vicino. In pochissimi sono sopravvissuti alle squadre del Sonderkommando che si avvicendavano nel campo perché venivano eliminate a ritmo regolare, e per molto tempo nessuno di loro se l’è sentita di parlare perché pareva impossibile riuscire a raccontare una realtà così follemente crudele: «Non dovete credere che noi siamo dei mostri: siamo come voi, solo molto più infelici», scrive ancora Primo Levi dialogando con uno di loro.

Per decenni il tormento ha costretto al silenzio anche Shlomo Venezia. Insieme alla moglie mandava avanti un negozietto di souvenir per turisti a Roma. All’inizio degli anni 90 ha cominciato a testimoniare e da allora l’ha fatto con tenacia e schiettezza, senza negare a chi lo ascoltava nulla dell’orrore che aveva vissuto. Raccontava l’inferno nel modo più diretto possibile e così aveva fatto anche per Roberto Benigni, che l’ha avuto come consulente preparando il suo film La vita è bella.

Da allora Venezia era stato nelle scuole, aveva testimoniato in pubblico, alla televisione. Parlava con una forza sconcertante, con un’energia vitale che rendeva ancor più obbrobrioso il confronto con la morte di massa di cui raccontava. E’ stato un testimone unico non solo perché veniva da quel buco nero dell’inferno, non solo perché lui dentro le camere a gas e nel forno crematorio ci era entrato migliaia di volte: anche per il coraggio di una parola franca, vibrante, senza eufemismi. Nel 2007 ha messo per iscritto la sua testimonianza in un libro intitolato «Sonderkommando Auschwitz» e pubblicato da Rizzoli


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