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Filosofia, Antropologia, e Letteratura....

A CLAUDE LÉVI-STRAUSS (CENTO ANNI IL 28 NOVEMBRE 2008). E AL SUO LAVORO "TRISTI TROPICI" - UN’OPERA UNICA, ASSOLUTA. Una nota di Antonio Gnoli - a cura di pfls

Sotto quel caos di emozioni e di avventure, regna un ordine nascosto, un sapere che fa appello alle semplici regole dello strutturalismo.
venerdì 23 maggio 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Lévi-Strauss trascorse diversi anni nelle foreste del Mato Grosso. Vi giunse nel 1935 e ripartì nel 1939. Su quell’esperienza lasciò per anni calare il silenzio. Non una parola che ricordasse le difficoltà, i rischi, i timori, che gli incontri con civiltà indigene, remote e incontaminate gli avevano procurato. Poi, quindici anni più tardi, decise di raccontare quello che aveva visto e vissuto. E ne venne fuori Tristi Tropici, un’opera unica. Assoluta, come possono esserlo quei libri (...)

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> A CLAUDE LÉVI-STRAUSS (CENTO ANNI IL 28 NOVEMBRE 2008). E AL SUO LAVORO "TRISTI TROPICI" - UN’OPERA UNICA, ASSOLUTA. ----La buona critica passa per lo straniamento. Implica la produzione di punti di vista che permettono sguardi alternativi, spiazzamenti di prospettiva (di Alberto Burgio).

sabato 6 settembre 2008

ANTROPOLOGIA · Un saggio critico di Mondher Kilani

Vittime sacrificali sull’altare della pace

di Alberto Burgio (il manifesto, 06.09.2008)

La buona critica passa per lo straniamento. Implica la produzione di punti di vista che permettono sguardi alternativi, spiazzamenti di prospettiva. In questo senso la buona critica è rovesciamento , proprio come la dialettica. Un esempio di buona critica è l’ultimo libro di Mondher Kilani, antropologo culturale, professore a Losanna, noto al pubblico italiano soprattutto per avere collaborato con René Gallissot e Annamaria Rivera alla nuova edizione (2001) de L’imbroglio etnico , tra i più lucidi contributi della recente letteratura antirazzista. Argomenti di Guerra e sacrificio sono le pratiche sacrificali, i loro contesti e i loro corredi simbolici.

La tesi centrale è netta: l’assunto corrente secondo il quale i sacrifici sarebbero appannaggio delle culture «primitive» è destituita di fondamento. I sacrifici persistono nella pratica sociale e politica della modernità. Non sono alcunché di primordiale. Non costituiscono eredità dell’arcaico. Rappresentano a pieno titolo liturgie della civilizzazione.

Menzogna e dissimulazione

Tra civilizzazione e violenza sussistono insomma relazioni non meno intime di quelle che caratterizzano le culture premoderne. Ed è subito evidente qui un primo nesso tra sacrificio e razzismo, che l’ideologia corrente rappresenta come «barbarie» e che è invece un portato della modernizzazione. Quanto alle violenze sacrificali, Kilani osserva che è semmai tipico delle culture «primitive» disporre pratiche compensatorie della violenza perpetrata nei confronti delle vittime, animali compresi.

E i conti tornano, se pensiamo che l’empatia col vivente (la pitié ) è un tratto cruciale dell’antropologia positiva di quel formidabile critico della modernità che fu Jean-Jacques Rousseau. A ben guardare, oggi i sacrifici dilagano. Costituiscono aspetti essenziali della costituzione materiale della politica, purché li si sappia riconoscere al di là di rappresentazioni rituali necessariamente mutanti. Si apre così il discorso centrale dell’analisi: la questione del rapporto tra sacrificio e guerra, che l’antropologia apologetica (eurocentrica) suole impostare in termini alternativi (e autoassolutori).

Anche a questo proposito la critica opera un rovesciamento, suggerendo di leggere nel conflitto bellico l’ apoteosi del sacrificio e demistificando le retoriche della guerra come strumento di giustizia o di democrazia. Emergono a tal fine insospettati elementi di continuità tra guerra e sacrificio e denominatori comuni, a cominciare dalle strategie di dissimulazione tese ad accreditare la guerra quale mezzo di pace, così come il sacrificio reclama per sé funzioni conciliative e riparatorie.

Kilani dedica al tema pagine importanti e convincenti, concentrate su un aspetto-chiave del discorso pubblico - il paradossale gioco linguistico tra menzogna e dissimulazione - scandagliato a fondo e con originalità anche da un bel libro uscito in questi giorni presso DeriveApprodi, La fabbrica del falso di Vladimiro Giacché ( il manifesto del 30 Luglio).

Vittime senza diritti

Non sottraendosi alla sfida di produrre un’ipotesi definitoria coerente con il proprio lavoro critico, Kilani propone di considerare sacrificio ogni violenza che laceri un quadro di regole per negare diritti alla vittima e de-umanizzarla. Torna qui il nesso con il razzismo (che è, nella sua essenza, disumanizzazione). Ma soprattutto il sacrificio - cifra della guerra - diviene così una chiave per leggere la stessa violenza immanente ai processi sociali e alle logiche della riproduzione.

Cos’altro sono, se non vittime di liturgie sacrificali all’altezza dei tempi, gli scarti che le nostre società riproducono in continuazione, i soggetti a vario titolo esclusi dalla cittadinanza e per questa via di fatto de-umanizzati? Lungi dal rimanere confinata nella rassicurante oleografia dell’arcaico, la «ragione sacrificale» rivela così tutta la propria inquietante attualità. Forse non è un caso che leggendo questo libro vengano alla mente svariati episodi del nostro passato recente.

Come non rammentare, per far solo esempio, il ruolo svolto dal sacrificio nel lessico politico-economico coniato in occasione della conversione compatibilista del sindacato, che affidò alla moderazione salariale (ai «sacrifici», appunto) il compito di garantire lo «sviluppo» del Paese, cioè un gigantesco drenaggio di ricchezza in pro dei redditi da capitale, azzerando via via tutte le conquiste strappate dal movimento operaio tra gli anni Sessanta e Settanta? Sacrifici, dunque, quali messe in scena nobilitanti della violenza bellica, politica e sociale della modernità «avanzata».

Nondimeno, Kilani affida testardamente alla politica il compito di neutralizzare la violenza sacrificale riattivando la dimensione razionale del dialogo e del negoziato. Introducendo il libro, Annamaria Rivera gli obietta che tale riscatto della politica implicherebbe tuttavia il ripudio della sintassi guerresca («la logica dell’opposizione amico/nemico») che sembra ormai pervaderla.

Il discorso si apre qui, come ognun vede, su scenari teorici di smisurato rilievo. Evocarli è l’ultimo merito di questo libro. Che ci ha fatto venire in mente - potenza dell’inattuale - quella pagina del Libro delle svolte in cui il grande e dimenticato Bertolt Brecht definisce i classici (Marx, Engels e Lenin) «i più compassionevoli tra tutti gli uomini» proprio perché «non esitavano a contrapporre la violenza alla violenza».

LIBRI , MONDHER KILANI , GUERRA E SACRIFICIO, DEDALO , PP. 168 , EURO 15


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