Scoppola, il cattolico che volle il Pd
di Bruno Gravagnuolo (l’Unità, 14 dicembre 2012)
«È la laicità della Chiesa a garantire la sua libertà, non solo la laicità dello stato». Se si volesse racchiudere in un piccolo paradigma sintetico la lezione di Pietro Scoppola, grande storico cattolico scomparso nel 2007, lo si potrebbe fare con le sue stesse parole, citate da Alberto Melloni, tra i protagonisti del Convegno in corso sullo studioso alla Fondazione Sturzo di Roma in Via delle Coppelle. E dedicato a Democrazia e cultura religiosa («Ricordando Pietro Scoppola») Stasera le conclusioni, con interventi di Giuseppe Vacca, Agostino Giovagnoli, Lorenzo Biondi, Giuseppe Tognon, Francesco Bonini e nel pomeriggio Umberto Gentiloni, Carlo Felice Casula ed Emma Fattorini. Mentre ieri, con Melloni, sono intervenuti Andrea Riccardi, Fulvio De Giorgi,Francesco Traniello Niccolò Lipari, Renato Moro, Giuseppe Ignesti, Camillo Brezzi, Iginio Ariemma e Stefano Trinchese.
A parte Vacca e Ariemma, il meglio della storiografia cattolica, ad onorare una figura atipica e controcorrente: cattolico critico e fedele.
Progressista e avverso all’unità politica dei cattolici. Ma anche - e lo ribadiva lui stesso - all’«unità della sinistra», come possibile nocciolo fondante del partito democratico, da lui a lungo voluto e presagito. Un«cattolico a modo suo», come disse Paolo VI nel difenderlo dalla gerarchia ecclesiale, dopo che Scoppola nel 1974 si era schierato per il no al referendum sul divorzio: «Scoppola lasciatelo stare, è un cattolico a modo suo».
E la definizione torna in un libro autobiografico, uno degli ultimi, in cui Scoppola si racconta prima di andarsene. Bene, che cosa è venuto fuori da un confronto così ricco e plurale, di cui è impossibile riassumere ogni voce?
Questo, a noi è parso, e proprio nel segno della citazione iniziale: Scoppola, al suo modo finissimo e tollerante - attento alle distinzioni laiche - oltre che studioso, era una sorta di riformatore religioso, prima che politico. Nel senso che da una riforma del «religioso» e del sentimento religioso, si aspettava una «renovatio» anche politica. Che significa? Nient’altro che questo: la coscienza religiosa, ripensata come sfera della libertà personale e dell’incontro solidale tra persone - nel solco della fede - doveva rinnovare la politica. Fecondare la libertà di tutti, la partecipazione e l’eguaglianza, E generare, per questa via, coesione sociale.
Ma tutto ciò non era un astratto filosofema ideologico. Era il filo conduttore di tutti i campi storiografici e delle battaglie politiche che Scoppola - tra i fondatori «valoriali» del Pd - ha arato in prima persona.
Vediamone alcuni. Il «modernismo» cattolico ad esempio, quello di Ernesto Bonaiuti, pensatore scomunicato e avversato da destra e da sinistra. Occasione mancata quella ripulsa, di una «secolarizzazione salutare». Che avrebbe potuto per Scoppola rilanciare la Chiesa nel 900, invece di vederla fintamente egemone, e di fatto subalterna al fascismo (un giudizio coraggioso, espresso in Chiesa e fascismo del 1961).
E poi dopo il fascismo, ecco De Gasperi. Erede di un popolarismo di centro che guarda a sinistra, quello del primo Don Sturzo. De Gasperi è oggetto privilegiato in Scoppola, per la sua «energia costituente». Per la capacità di tenere unita l’Italia dopo le macerie e nella guerra fredda, malgrado le asprezze. Dunque l’idea di un interclassismo progressista e inclusivo. Che dialoga, si «contamina» e incontra l’altro, senza steccati.
Un De Gasperi corretto da Aldo Moro. Infine il Pd, che Scoppola sognò e volle. Come partito «post-tradizionale», non strutturato ma anti-populista. Con i cattolici a far da lievito. Oggi il Pd c’è. E benché forse non sia in tutto e per tutto come lo sognava, certo Scoppola ne sarebbe contento. E lo animerebbe da cattolico, «a modo suo».