Inviare un messaggio

In risposta a:
Cosa accadrà quando morirà Fidel?

CUBA IN BILICO TRA DUE EPOCHE. Condizioni di vita e speranze dei cubani, oggi. La sintesi di un’indagine sul campo (primavera 2007) di Barbara Meo Evoli - a cura di pfls

venerdì 31 agosto 2007 di Maria Paola Falchinelli
Cosa pensano i cubani del regime in cui vivono? Vogliono che cambi? Sono liberi di pensare ció che vogliono?
Come vedono il mondo al di fuori della loro isola?
L’indagine si fonda sui dati raccolti nella primavera del 2007 intervistando, sia nella capitale che nell’entroterra, piu’ di 100 cittadini cubani di tutte le professioni ed eta’: dal maestro di scuola elementare allo spazzino, dallo studente universitario al medico, dall’indigente al musicista, dal contadino al custode di una (...)

In risposta a:

> CUBA -- Hasta siempre Fidel. Il Comandante che ha fatto una rivoluzione senza perderla (di Gianni Minà)

domenica 27 novembre 2016

Il Comandante che ha fatto una rivoluzione senza perderla

Hasta siempre Fidel. Ha lasciato un paese in condizioni migliori di quando lo ha liberato dal dittatore Batista

di Gianni Minà (il manifesto, 27.11.2016)

Con un esempio palese di assoluta discrezione venerdì se ne è andato da questo mondo il Comandante Fidel Castro, l’unico, nel mondo moderno, che abbia fatto una rivoluzione e non l’abbia persa.

L’unico leader che abbia lasciato un paese in condizioni migliori di quando ha rischiato la pelle per liberarlo dalle prepotenze del dittatore Fulgencio Batista, uno che governava sotto braccio alla mafia.

È singolare che queste realtà, inconfutabili per l’America Latina (Piano Condor, desaparecidos) non siano ancora adeguatamente riconosciute e ricordate da una parte del mondo occidentale che pure, in questi ultimi anni, ha toccato tetti inauditi di empietà perseguitando esseri umani come noi e riempiendosi la bocca con le parole «libertà» e «democrazia», quando in realtà il loro unico «merito» era di essere nati nel posto giusto, al momento giusto.

Questa logica invece era stata ben chiara, fin dal tempo delle insurrezioni studentesche, per il giovane avvocato Fidel Castro tanto che, arrestato per le sue sedizioni, si era difeso da solo in tribunale con una frase che avrebbe fatto epoca: «La storia mi assolverà».

In realtà è più che disonesto, da parte dei farisei di casa nostra (i cosiddetti riformisti) ignorare che Cuba ha pagato, per la testardaggine del suo Comandante, un prezzo altissimo con l’assurdo embargo che dura da più di 55 anni. E questo solo per aver rivendicato il diritto di autodeterminazione del proprio popolo scegliendo un sistema che non piaceva agli Stati uniti. Insomma una punizione di assoluta prepotenza.

Questo meccanismo perverso ha significato però che il 70% degli attuali cittadini dell’isola sia cresciuto schiacciato, per molto tempo, dalla repressione dell’embargo nordamericano.

Non è sorprendente dunque che questa resistenza fosse il peccato che qualcuno continuava (e continua) a imputare a Fidel Castro malgrado da 10 anni fosse uscito di scena a causa della salute precaria.

Eppure non è un mistero che quasi tutti i premier e i capi di Stato latinoamericani, da anni, facessero sempre, di ritorno dai meeting del nord (Onu, multinazionali) uno scalo a La Havana per sentire il parere del Comandante sul riscatto dell’America Latina e sul futuro da scegliere nonostante le politiche criminali del Fondo Monetario Internazionale o della Banca Mondiale o della Borsa di New York.

C’è addirittura chi è convinto che il ritiro di Fidel abbia messo in crisi l’evoluzione di alcuni processi politici e sociali di altri paesi del sud del pianeta. Non sorprende quindi che, in quasi tutto il mondo, la notizia della sua dipartita è stata trattata con assoluto rispetto, tranne forse da alcuni gruppuscoli di Miami, quelli che hanno favorito il terrorismo organizzato in Florida e messo in atto a Cuba, come Posada Carriles che continua a passeggiare tranquillamente per Miami. Sarebbe ora, anzi, che qualcuno chiedesse la verità agli stessi Stati uniti.

E non è un caso che proprio la Chiesa, coerente con l’atteggiamento di Papa Francesco contro la violenza e la guerra, abbia scelto di impegnare la propria diplomazia per la soluzione di complicate situazioni ferme da tempo scegliendo, due volte, come luogo di pace, proprio Cuba.

Non nascondo che come cittadino del globo, in caccia di verità, ancor prima che come giornalista, io senta ora la mancanza di un protagonista della storia che i critici diranno che ha spesso sbagliato, ma nello stesso tempo si è sacrificato per rispettare i diritti e la dignità di tutti.

Se ne deve essere accorto anche il Papa quando un anno fa è andato in visita privata da Fidel, accompagnato solo da un monsignore e di conseguenza fornendo al mondo un esempio tangibile di sensibilità.

Quella sequenza che ho inserito nel film-documentario «Papa Francesco, Cuba e Fidel» testimonia una tenerezza emozionante. Il Pontefice prendendo la mano di Fidel lo ha esortato: Ehi, de vez en cuando tirame un Padre Nuestro («Qualche volta lanciami un Padre Nostro») ricevendo come risposta dallo stesso Fidel un inatteso: Lo recordaré («Me ne ricorderò»).

Quando 30 anni fa, una combinazione della vita, favorita da Gabriel Garcia Marquez e Jorge Amado (giurati al Festival del Cinema de La Habana), mi permise di conoscere Fidel Castro, mi resi conto subito della personalità di questo protagonista della storia.

Con una ovvia gentilezza gli chiesi prima dell’intervista se, come tutti i capi di Stato, desiderasse conoscere in anticipo le domande. Fu drastico: «No. Con la storia che abbiamo, possiamo aver paura delle parole?».

L’intervista, concessa successivamente, durò 16 ore e fu pubblicata con due prologhi, uno di Garcia Marquez e l’altro di Jorge Amado.

Durante la visita di Papa Francesco a Cuba, a settembre del 2015, ho visto il 90enne Fidel a sorpresa in sedia a rotelle, ma lucidissimo. Qualcuno gli aveva detto che con una troupe stavamo documentando quell’incontro inatteso e pieno di speranze. Ci convocò nella sua villetta e, oltre a spiegarci l’imbarazzante situazione dell’Europa sul problema dei migranti e dei diseredati, si espresse con molto entusiasmo riguardo al Pontefice argentino: «Il suo modo di essere non mi stupisce per niente - spiegò - perché essenzialmente si tratta di una persona molto onesta, molto sincera e disinteressata». È stata l’ultima volta che l’ho visto.

Avevo la promessa di andare, a metà dicembre, al «Festival del Cinema de La Habana» e di portargli una copia del documentario. Non ho avuto tempo di farlo, ma mi ha colpito, qualche mese dopo, il suo intervento al congresso del partito. Non tanto la frase: «Presto compirò 90 anni. Non mi aveva mai sfiorato una tale idea e non è stato il frutto di uno sforzo, è stato il caso. Presto sarò come tutti gli altri, il turno arriva per tutti».

Mi ha emozionato questa affermazione piena di speranza: «Rimarranno le idee dei comunisti cubani come prova che questo pianeta, se si lavora con fervore e dignità, è in grado di produrre i beni materiali e culturali di cui gli esseri umani necessitano... Alla gente dobbiamo trasmettere che il popolo cubano vincerà».


Fidel Castro: «Io sono la rivoluzione». Quell’ultima intervista concessa a Oliver Stone

      • Ripubblichiamo questo colloquio straordinario uscito il 2 ottobre del 2003 sull’Espresso, in cui il regista americano incontrava il leader cubano. Una confessione a tutto campo. Sull’America, l’11 settembre, i diritti civili, l’embargo, il comunismo. E sul suo destino

di Oliver Stone l’Espresso 26.11.16:


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: