Cosa accadrà quando morirà Fidel?

CUBA IN BILICO TRA DUE EPOCHE. Condizioni di vita e speranze dei cubani, oggi. La sintesi di un’indagine sul campo (primavera 2007) di Barbara Meo Evoli - a cura di pfls

venerdì 31 agosto 2007.
 

Condizioni di vita e speranze dei cubani nel 2007.

Cuba in bilico fra due epoche

di Barbara Meo Evoli *

-  Cosa accadrà quando morirà Fidel?
-  Cosa pensano i cubani del regime in cui vivono?
-  Vogliono che cambi?

Di fronte a tali quesiti, molti cubani, senza conoscere il proprio interlocutore, si limitano a inarcuare le sopracciglia, qualcuno si alza e se ne va, altri gentilmente cambiano discorso. Non si sa mai che la risposta giunga ad orecchie con potere decisionale nel campo lavorativo... e se la risposta non dovesse piacere? Ciò equivarrebbe alla perdita del posto di lavoro. Ci si trova di fronte a un’autocensura sul proprio pensiero spesso mascherata da un “non so”. Spesso si è costretti a mascherare la propria identità di giornalista per non ottenere dai cubani delle opinioni che ricalchino le posture dell’autorità.

Fidel Castro ha compiuto 81 anni ed a un anno dalla sua uscita di scena per causa di un intervento chirurgico che ha determinato la delega dei suoi poteri al fratello Raul, Cuba sta ancora là. Non si è convertita al capitalismo. Secondo l’indagine condotta nella capitale e in varie province dell’Isola nel giugno del 2007, alla domanda «Che succederà quando morirà il lider maximo?», il 76% dei cubani ha risposto che non accadrà nulla, e in questa fetta della popolazione sono compresi sia i fidelisti che gli oppositori al regime. Il 13% ha affermato che ci saranno disordini per le strade e l’11% ha affermato che non ne ha la piu pallida idea.

Inoltre, secondo la maggior parte dei cubani convinti che subito dopo la scomparsa di Fidel tutto continuerà ad essere come prima, bisogna rilevare che vi saranno dei cambiamenti a lungo termine nel sistema, ma avverranno di forma indolore. Chi pensa invece che vi saranno manifestazioni di indisciplina civile nelle città è anche convinto che la situazione sarà rapidamente controllata dalle forze dell’ordine perché «Tutto è già stato previsto dall’autorità». Partendo dalla considerazione fatta dagli stessi isolani che cambiamenti radicali prima della morte di Fidel non possano avvenire, il quesito posto questa volta riguarda cosa i cubani vorrebbero che cambi o non cambi nel sistema. Il 21% degli intervistati auspica per un passaggio al capitalismo. Questi cubani denunciano la bassa qualità dei servizi prestati dallo Stato, pur essendo consapevoli che nell’Isola nessuno muore di fame e a tutti è garantita educazione e sanità. La metà di questi cubani è a favore di un passaggio a un’economia di mercato in vista di migliori condizioni economiche, invece l’altra metà giustifica la sua scelta per mancanza di libertà e democrazia. Tra coloro che si sono espressi in tal senso, solo una piccola parte è a favore di un sistema capitalista sul modello neoliberale statunitense, la restante parte maggioritaria si proietta verso il modello della socialdemocrazia europea.

La Havana, dove si concentra un quinto della popolazione cubana, raccoglie la maggior parte degli oppositori al regime, denominati cinicamente dai fautori del sistema “gusanos”, ossia virus. Altri 2 milioni di cubani, che rappresentano poco meno di un quinto della popolazione residente nell’Isola, sono emigrati all’estero. Tra questi la maggior parte non appoggia il sistema vigente nella propria patria natia. In Florida infatti si concentra la famosa mafia cubano-americana che dagli anni sessanta ad oggi ha diretto una lotta clandestina contro il sistema castrista.

Una parte rilevante della popolazione, il 32%, pensa e desidera che il sistema rimanga identico al presente e non aspira a nessuna modificazione significativa neanche nel lungo termine. Questa parte della popolazione si trova in via maggiore ubicata fuori dalla capitale nelle campagne e nelle cittadine delle province. L’Oriente dell’Isola appoggia firmemente il fratello di Fidel, Raùl Castro, mentre l’Occidente è segnatamente fidelista.

D’altro canto, quasi la metà degli intervistati, il 47%, crede nel sistema socialista e vuole che si perpetui, ma, riconoscendone lucidamente i difetti, propone dei cambiamenti netti. La maggiore insofferenza che si rileva e la necessaria modifica al sistema attuale che ne fanno discendere i cubani riguarda la moneta e i salari. Questi cubani “critici”, non volendo usare il termine “dissidenti” in cui loro stessi non si riconoscono, non richiedono il cambiamento del sistema elettorale nè la pluralità di partiti, ma un miglioramento, in generale, della situazione economica del paese e, in particolare, dei servizi statali prestati ai cittadini.

Bisogna considerare che i salari vanno dai 225 pesos cubani di uno spazzino ai 550 di un medico, tenendo conto che con un peso si compra un pacchetto di noccioline per la strada o due corse d’autobus. Le uniche due monete che circolano attualmente legalmente a Cuba sono il peso cubano e il peso convertibile. La Banca Centrale di Cuba stabilisce il cambio ufficiale per cui 24 pesos cubanos equivalgono a 1 peso convertibile (C.U.C.), mentre 1 dollaro americano, secondo una risoluzione dell’aprile del 2005, corrisponde a 0,80 C.U.C.

Facendo un rapido calcolo, quindi, il salario di un medico si aggira sui 20 C.U.C. (un po’ più di 20 dollari) mensili con cui si può comprare, per esempio, unicamente un paio di scarpe, o 10 scatole di salsa di pomodoro e 10 lattine di birra. È naturale quindi che la maggior parte della popolazione per vivere in condizioni dignitose si è dovuta obbligatoriamente ingegnare con delle pratiche ai limiti della legalità, però tollerate dallo Stato.

Per esempio il venditore del magazzino statale che dispensa i prodotti della canasta basica, si appropria di parte dei prodotti e li vende separatamente “en bolsa negra” (in una busta nera) a un prezzo maggiorato, intanto il poliziotto di quartiere è ben a conoscienza dell’illecito introito del venditore, ma tace poiché a lui il prezzo dei prodotti non viene maggiorato. E cosí funziona in tutti i settori, dal calzolaio, al medico, al professore universitario, all’operaio, tutti si arrangiano sottraendo allo Stato quel necessario per sopravivvere. Ed è un circolo vizioso difficile da fermare.

Per quanto riguarda i vestiti, a parte in pochi negozi, è possibile comprarli unicamente in C.U.C. e ciò vale anche per molti prodotti alimentari, come tutti i frutti non esotici e la carne bovina. Ciò significa che a chi non entrano C.U.C. tocca mettere da parte per poter comprare 1 peso convertibile con 25 o 26 pesos, per alla fine poter acquistare una maglietta.

Andando quindi a vedere cosa hanno realmente in tasca i cubani, 1 C.U.C. (con il quale si può comprare un succo di frutta in scatola) per un maestro di scuola elementare corrisponde alla decima parte del proprio salario. Quando un custode di un albergo può ricevere facilmente in una giornata 20 C.U.C. di mance per il semplice fatto di portare le valige ai turisti stranieri, possessori di euro o dollari.

Di conseguenza, per il differente potere acquisitivo delle due monete, nasce una grande differenza sociale tra chi possiede solo pesos cubani e chi possiede pesos convertibili, perché a conttatto con il turismo o perché tiene un parente all’estero che invia valuta (euro o dollari americani). I cubani dicono infatti «Hay que tener F.É.» per dire «Hay que tener Familia en el Extranjero» (Bisogna avere dei parenti all’estero). La tanto proclamata uguaglianza quindi scompare con la stampa di due monete a cui hanno accesso strati diversi della popolazione.

Dunque la richiesta dei cubani, che appoggiano il proprio sistema però con approccio critico, è quella di emettere una sola moneta per tutti, che sia la stessa con cui vengono pagati i salari che con cui si comprano le mercanzie. Unificata la moneta, i cubani pretendono inoltre una riubicazione della piramide salariale, poichè il facchino di un albergo e il piccolo commerciante alimentare di prodotti in C.U.C. attualmente guadagnano molto di più di un ingegnere o di un professore universitario.

Il secondo grande desiderio dei cubani è quello che sia garantita la libertà di viaggio. Se ai cubani fosse permesso uscire liberamente dall’isola la maggior parte afferma che tornerebbe nel proprio paese dopo aver avuto la possibilità di vedere il mondo al di fuori. Ma questa richiesta si fonda su un falso presupposto: che sia l’autorità cubana a negare il permesso d’uscita dal paese.

Questa convinzione è largamente diffusa nella popolazione inconsapevole che la negativa ai visti proviene dalle ambasciate dei paesi stranieri, non da Cuba, il cui ufficio di emigrazione effettua semplicemente un controllo sugli spostamenti dei cittadini e impone pesanti tasse per la loro uscita dall’Isola.

Il terzo grande cambio si concreta in una riforma costituzionale, ossia la concessione della totale libertà di espressione, di conoscenza e di stampa. Anche se convinto fidelista, il cubano non esprime pubblicamente le proprie critiche, seppur costruttive, a una manovra dell’autorità. Poichè teme una contromisura nei suoi confronti.

Questo tipo di cubano soffre della mancanza di libertà di pensiero ma è certo che se si desse la possibilità al canale televisivo clandestino di Miami diffuso dai “gusanos” espatriati di emettere liberamente o all’opposizione di stampare giornali, il cubano socialista non cambierebbe opinione rispetto al sistema in cui vive, anzi sarebbe più convinto delle proprie idee.

Tale cubano, inoltre, è ben cosciente che lo strumento utilizzato dalla Rivoluzione del 1959 ad oggi per controllare il pensiero degli abitanti dell’Isola è stato il sistema dei Centri di Difesa della Rivoluzione (CDR).

Tali centri, istituiti con la vittoria della Rivoluzione, costituiscono una rete che copre l’intero paese senza lasciare scoperto neanche un appezzamento di terra di campagna, né un vicolo di un villaggio. Nelle città ve ne è uno in ogni isolato, controllato a sua volta da un CDR di livello gerarchicamente più alto e con competenza su una maggiore superficie, e così via fino ad arrivare alla vetta della piramide dei CDR che comunica con la polizia e l’autorità centrale. In questi centri i presidenti conoscono a menadito la vita di ogni abitante della zona di loro competenza e si impegnano a dirigerli sempre sulla retta via dell’ortodossia, ciò determinando una supervisione generale dell’autorità sulle opinioni dei cubani e costituendo senza dubbio uno degli elementi che ha permesso il perpetuarsi del sistema.

Un’altra grossa critica è mossa contro la discriminazione fra cubano e straniero. Lo straniero affermano, sia che sia turista o che sia studente, è principe nell’isola e gode di un migliore trattamento rispetto al cubano. Per quanto riguarda il turista, un trattamento privilegiato si può intendere visto che l’economia cubana dipende dall’industria del turismo, ma che lo studente abbia garantito un miglior letto e miglior cibo è ingiusto, considerano. È un prezzo troppo alto da pagare per la causa internazionalista. Il popolo cubano si sente messo in secondo piano dai propri governanti e auspica un investimento maggiore a favore in primis dei cittadini cubani. Si sente orgoglioso di accogliere studenti stranieri o inviare medici in tutto il mondo, ma considera che prima di queste due azioni tanto nobili bisognerebbe risolvere tutti i problemi a casa propria.

Un’ulteriore richiesta consiste in un cambiamento strutturale: che quadri e dirigenti che hanno partecipato alla Rivoluzione siano rimpiazzati da giovani. I cubani sono consapevoli che questi uomini del regime hanno ben svolto il loro lavoro ai loro tempi ma sostengono che nel 2007 dovrebbero ritirarsi di scena e dare voce e potere ai giovani d’oggi. Questa manovra inolte sarebbe tesa a dissuadere i giovani ad abbandonare l’isola. La metà dei giovani infatti nutre il desiderio di almeno vivere un periodo della propria vita fuori da Cuba, nonostante tra questi la maggior parte appoggi il sistema.

Infine, un’altra necessità che avvertono i cubani “critici” riguarda il trasporto, essi sanno bene che fondamentalmente l’assenza di mezzi e di energia è dovuta al blocco economico che grava su Cuba da più di 40 anni, ma aspirano per lo meno a non dover aspettare per un’ora e mezza l’autobus per andare al lavoro. Si chiedono inoltre se la mancanza di trasporti fra le varie città dell’isola sia dovuta solo alle difficoltà economiche che affronta il paese o anche a controlli governativi sugli spostamenti dei cittadini nell’isola.

I cubani “critici”, i quali dall’Isola saranno quelli che in parte decideranno del futuro di Cuba dopo la morte di Fidel, sono orgogliosi di aver resistito al periodo speciale dopo il crollo del muro di Berlino, sono orgogliosi della storia unica del proprio paese, sono orgogliosi di aver resistito agli attacchi dell’imperialismo yankee ma stanno arrivando ai limiti delle proprie forze. Si richiede loro una battaglia diaria contro il cosidetto “impero del male” e tutte le tentazioni del capitalismo, ma il serbatoio di resistenza di un popolo non è infinito, i cubani stanno perdendo la forza di lottare.

Barbara Meo Evoli

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Barbara Meo Evoli é una giovane giornalista free-lance. Laureata in giurisprudenza (Tesi: L’obbligo di cooperazione degli Stati con la Corte penale internazionale), ha lavorato come analista internazionale presso il Ministero della presidenza venezuelano, in qualitá di responsabile dell’area America Latina.


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