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Italia: "Gomorra"!!!

Forza Destra, Forza Sinistra, Forza "Pd", "Forza Vaticano", "Forza Italia"!!! A furia di "forza", l’Italia è diventata sempre più povera - povera povera, in tutti i sensi!!! Un commento sui dati ISTAT e sulla "salita" in politica di Montezemolo - a cura di pfls

sabato 26 maggio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Certo, la politica è fragile, confusa, e un po’ corrotta, ma la verità è un’altra: l’Italia manca di una presenza autorevole del «pubblico» e delle scelte di politica economica che non possono essere delegate - lo diceva anche Keynes - ai privati. In questo non c’è nostalgia dello statalismo, ma la richiesta di soggetti pubblici - anche istituzionali - che ascoltino e cerchino di soddisfare le necessità di chi non vive, ma sopravvive. Non riducendo l’attenzione a carità pubblica. Per (...)

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> Forza Destra, Forza Sinistra, Forza "Pd", "Forza Vaticano", "Forza Italia"!!! A furia di "forza", l’Italia è diventata sempre più povera, povera - in tutti i sensi!!! Un commento sui dati ISTAT e sulla "salita" in politica di Montezemolo - a cura di pfls

sabato 26 maggio 2007

Benedetto XVI e il nostro Paese

Parla dell’Italia come chi la conosce meglio di noi

di Dino Boffo (Avvenire, 25.05.2007)

Non è più un papa nuovo. Benedetto XVI parla ai vescovi italiani come chi si sente, a suo modo, dentro a questa Chiesa, della quale è primate, oltre che pontefice. La conosce ormai in modo personale. E può dire, come ha fatto ieri all’assemblea della Cei, di conoscere personalmente ciascuno dei nostri vescovi. Li ha ricevuti - nei mesi addietro - a casa sua, ad uno ad uno, nel corso delle visite ad limina, e ora annota: «Così ho imparato la geografia esteriore, ma soprattutto la geografia spirituale della bella Italia». Questi contatti nel segno dell’«amicizia» e della «comunione», aggiunge, sono stati «per me un grande conforto e un’esperienza di gioia». E quasi scambiando i ruoli, si dice lui «confermato nella certezza che in Italia la fede è viva e profondamente radicata»: qui «la Chiesa è una realtà di popolo, capillarmente vicina alle persone e alle famiglie». Spiegherà poi ancor meglio, dando atto delle diverse situazioni e delle «molteplici eredità», che «la fede cattolica e la presenza della Chiesa rimangono però il grande fattore unificante di questa amata nazione ed un prezioso serbatoio di energie morali per il futuro».

È l’occhio del papa straniero che riesce a vedere quel che noi italiani non vediamo. Ma lungi dal lusingare, egli chiede che si tenga conto delle «difficoltà già presenti» e delle «insidie che possono crescere» e sono il portato «di una cultura improntata al relativismo morale, povera di certezze e ricca invece di rivendicazioni non di rado ingiustificate». Così sollecita più formazione per tutti, più catechesi («una catechesi sostanziosa»), più tensione alla santità, più cura delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, più tensione missionaria («ad gentes e tra noi»), più attenzione alle povertà visibili e a quelle nascoste, tramite il volontariato e la Caritas, più apertura ai giovani. Il suo è apparso un parlare sicuro, senza astrattezze o esitazioni. Per cinque volte ha alzato gli occhi dal foglio, integrando il tes to con spunti ulteriori e tutti molto interessanti.

Era la terza volta, ieri, che parlava al nostro episcopato, e si può ragionevolmente intravedere come ci sia ormai una dinamica di continuità. La stessa continuità che il papa voleva probabilmente segnalare lunedì scorso, quando - notizia circolata sulla stampa - ha invitato a pranzo il nuovo e il vecchio presidente della Cei, insieme al segretario generale. Anticipo di un discorso che giovedì quindi ha sviluppato dinanzi a tutti i vescovi e idealmente a tutte le nostre comunità, come peraltro era già avvenuto in ottobre, quando a Verona intervenne al convegno delle Chiese d’Italia. E infatti, le parole di ieri erano volutamente il seguito di quelle veronesi: «Si tratta ora di proseguire il cammino, per rendere sempre più effettivo e concreto quel "grande sì" che Dio in Gesù Cristo ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza».

Benedetto XVI sente i vescovi italiani vicini a sé. Gliel’aveva assicurato nel saluto iniziale l’arcivescovo Bagnasco, ma è stato il Papa stesso ad ammetterlo espressamente quando ha citato la Nota approvata a marzo dal Consiglio permanente riguardo alla famiglia e ai tentativi di varare nuovi tipi di unione. Si è trattato - ha detto - di «una chiara testimonianza» del bene comune, per la quale vi siete mossi non solo nel cordiale rispetto delle distinzioni tra Chiesa e politica, ma anche «in piena sintonia con il costante insegnamento della Sede Apostolica». Insomma, nessuno provi a contrapporci, è sembrato dire. Nello stesso tempo, ha espresso un’eloquente considerazione per l’impegno del laicato cattolico che ha dato prova di sé nella grande manifestazione del 12 maggio. Quel giorno - si sa - egli era in Brasile, ma il suo sguardo evidentemente si allungava fino ai bordi di piazza San Giovanni, dove era in scena «una grande e straordinaria festa di popolo, che ha confermato come la famiglia stessa sia profondamente radicata nel cuor e e nella vita degli italiani».

Non erano scontati questi accenni all’attualità. Se li ha fatti, devono avere un loro peso, e sarebbe strano ignorarli. Che a Firenze, praticamente nella stessa ora, il presidente Napolitano avvertisse i partecipanti all’attesa Conferenza sulla Famiglia che è bene dare un ascolto «attento» e «serio» alle «preoccupazioni» e ai «contributi» della Chiesa, questo davvero non era previsto, e tuttavia è suonato come segnale importante di concordia. Un tratto che ha reso ancor più significativa la giornata di ieri.


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