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Per la pace delle fedi !!!

"NATIVITY": E’ "NATALE"!!! L’ "EPIFANIA": IL "PRESEPE", "GESU’", E I "RE MAGI"!!! IL BUON-MESSAGGIO, I FILOSOFI E LA "FIABA" ... DI PINOCCHIO!!! Due "atei" a confronto: il cattolico Maurizio Schoepflin risponde a una "fortissima" provocazione di Maurizio Ferraris. Con GIOACCHINO, vincono PIRANDELLO e FREUD !!!

LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE DI GESU’ E DEL "PADRE NOSTRO" ... E CONTINUA A "GIRARE" IL SUO FILM PREFERITO, "IL PADRINO".
venerdì 5 gennaio 2007 di Federico La Sala
[...] Se è vero, come è vero, che "costruire il Presepe in casa può rivelarsi un modo semplice, ma efficace di presentare la fede per trasmetterla ai propri figli" e alle proprie figlie; e, ancora, se è vero, come è vero, che "il Presepe ci aiuta a contemplare il mistero dell’amore di Dio che si è rivelato nella povertà e nella semplicità della grotta di Betlemme”, e, che “San Francesco d’Assisi fu così preso dal mistero dell’Incarnazione che volle riproporlo a Greccio nel (...)

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> "NATIVITY": E’ "NATALE"!!! "BABBO NATALE", IL "PRESEPE", "GESU’"!? I FILOSOFI, IL BUON-MESSAGGIO, E LA "FIABA" ... DI PINOCCHIO!!! Due "atei" a confronto: il cattolico Maurizio Schoepflin risponde a una "fortissima" provocazione di Maurizio Ferraris. Vincono PIRANDELLO e FREUD !!!

martedì 5 dicembre 2006

Il dio nascosto e il papa televisibile

Oscillando fra sociologia e filosofia «Babbo Natale, Gesù adulto» di Maurizio Ferraris si chiede «in cosa crede chi crede» oggi. Ma se il cristianesimo è «incredibile» oggi come ieri, perché lo sono le persone della Trinità, è lecito supporre che «credere» nel senso di avere opinioni e «credere» come atto di fede siano la stessa cosa?

di Roberta De Monticelli (il manifesto, 03.12.2006)

Che strano libro, quest’ultimo di Maurizio Ferraris, Babbo Natale, Gesù adulto. In cosa crede chi crede (Bompiani, pp. 151, euro 11). Non si capisce bene se sia serio o faceto, appassionato o scanzonato, teoretico o spensierato. È probabilmente tutto questo, e fa anche ridere - se si riesce a superare il disagio di ridere alle spalle di coloro che della vita hanno fatto dono senza condizioni, a imitazione dell’uomo il cui nome compare in questo titolo un po’ trash e un po’ natalizio. Ma forse anche loro ne riderebbero come ai film di Woody Allen, e cadrebbero dalle nuvole se gli dicessero che è di loro che si parla. Di passione ce n’è, in questo libro, una passione etica, addirittura. C’è lo sconcerto, condivisibile da molti, espresso in questi anni di fronte a quel «ritorno della religione» che è invece, propriamente, la strumentalizzazione politica della religione, la straordinaria pretesa che le leggi dello Stato debbano sancire «verità» accessibili soltanto alla ragione «illuminata dalla fede» (cito il pontefice). La tentazione, insomma, della «religione civile» - o meglio del ritorno alla potestas indirecta dell’istituzione religiosa sulle decisioni politiche. Una tentazione che sembra aver affascinato alcuni uomini di Chiesa, ma anche parecchi uomini di mondo, i cosiddetti «atei devoti». E questo è un primo dubbio: con chi se la prende Ferraris, esattamente? Perché perfino ai suoi più alti livelli la Chiesa è ben lungi dall’unanimità su questo punto.

Qual è la tesi di questo libro? Non è facilissimo identificarla, a causa della continua oscillazione fra una questione sociologica (di fatto, in cosa credono quelli che si dichiarano cattolici oggi in Italia?) e una questione filosofica (di principio, in cosa è possibile credere?). C’è poi anche una questione storica: in cosa si può credere oggi, dato il nostro sapere scientifico e tecnologico, e date le strategie della ragione post-moderna, con il suo scetticismo e il suo relativismo? Allora, andiamo per ordine. Il sapere scientifico e tecnologico non cambia poi molto il quadro. Un Dio che si incarna e muore in croce è altrettanto poco credibile alla ragione antica che a quella moderna: e Ferraris non ha difficoltà ad ammetterlo. E quanto alla ragione post-moderna, condividiamo l’ironia dell’autore nei confronti di quei filosofi che oppongono l’esattezza al cuore e la verità (cosa precisa, dunque violenta, come la scienza) alla carità e alla solidarietà. Veniamo alla tesi sociologica: in cosa crede chi crede oggi? Non nel Dio nascosto, di cui quasi nessuno sa più niente, ma nel Papa televisibile. Joseph de Maistre, secondo il quale il cattolico è tale non perché crede in Dio, ma perché ubbidisce al papa, s’è preso la sua rivincita. Qui però la sociologia finisce, e comincia la filosofia. Non poteva andare diversamente - se capiamo bene - perché non esiste un ambito dello spirito, di cui la fede possa vivere, diverso da quello del potere temporale. L’impostura è nell’incredibile che si dà per credibile, e questa è nel gene del cristianesimo.

Perché è questa, finalmente, la tesi filosofica. Il cristianesimo è incredibile, perché lo sono le tre persone della Trinità. Il Padre, perché se Dio non è una cosa è logicamente impossibile credervi. Il Figlio, perché la resurrezione è empiricamente implausibile. Lo Spirito Santo, perché nessuno ha mai capito cosa sia. Questa tesi presuppone evidentemente che «credere» nel senso di avere opinioni e magari opinioni giustificate, e «credere» nel senso dell’atto di fede, siano la stessa cosa. Ma è lecito presupporre senz’altro questa identità? Dato che Ferraris predilige i «vecchi credenti» ai nuovi, vediamocela con san Tommaso (d’Aquino). A differenza che in un sapere, in cui io credo in base all’evidenza dei motivi, l’intelletto del «credente» «è determinato non dalla ragione, ma dalla volontà». Vale a dire che l’assenso non è assolutamente «dovuto» (come lo è invece di fronte al dato, al vedere), ma è un atto libero, per eccellenza gratuito (in effetti, un dono della grazia, come si dice). Leviamoci subito di mezzo l’obiezione dell’altro Tommaso, quello che non ci crede se non ci mette il naso: come dice il suo grande omonimo, l’Aquinate, egli «altro vide, altro credette. Vide un uomo e confessò Dio». Questo per dire che nessuna prova empirica o fattuale potrebbe mai sostenere l’assenso a un «contenuto» spirituale, non più ieri che oggi («Beati quelli che pur non avendo visto crederanno»).

E che cosa è un contenuto spirituale? Ecco, siccome questo della resurrezione sembra stare molto a cuore a Ferraris, come mai non gli è venuto in mente di verificare se un solo autore cristiano, Paolo compreso, abbia inteso la resurrezione di Gesù come il ritorno a un’esistenza biologica e spazio-temporale? «Infatti così fraintesa la resurrezione non potrebbe affatto essere la salvezza dell’esistenza umana che sta sotto l’incomprensibile (e soltanto sperata) disposizione di Dio» (Karl Rahner). La resurrezione di Gesù è tanto poco (da intendersi come) un fatto biologico nel tempo, quanto poco nel tempo è la creazione secondo Agostino, dal momento che il tempo è il modo d’essere di questo mondo. Ma se dico a Ferraris che, di conseguenza, credere nella resurrezione non rende affatto superflue le cure mediche o l’igiene, faccio la figura del professore che non capisce le battute di spirito, e così confermo la sua tesi che lo Spirito nessuno ha mai capito cosa sia.

Veniamo allora alla tesi logica. Non c’è entità senza identità, ma Dio non ha una condizione di identità afferrabile. E quindi credere in Dio non si può, perché una credenza senza oggetto non è una credenza. Ora, è ben vero che, sempre secondo Tommaso, Dio non è in alcuna delle categorie, vale a dire che la sua natura non è afferrabile in concetti umani. Ma siamo sicuri che l’obiezione logica regga? «Ciò che trascende le categorie disponibili» è una descrizione e dunque una condizione di identità (o di esistenza), e assumere che sia una descrizione vuota è un’altra petizione di principio. Questo concetto di trascendenza assoluta che il neoplatonismo greco lasciò in eredità alle teologie cosiddette del Libro è in effetti la loro molla anti-idolatrica, quella che dovrebbe sottrarre il divino alla presa delle mani umane, cioè di ogni forma di superstizione. A proposito: secondo il Vangelo di Giovanni è proprio il Risorto a dire «noli me tangere» alla povera Maddalena.

Ma infine: se l’atto di fede è libero e non dovuto, che cosa lo distingue dal puro arbitrio? Che cosa lo distingue da «una specie di formicolio», una vaga emozione? Io non credo si possa parlarne con competenza se non sulla base dell’esperienza in questione, che non è tuttavia un’esperienza di fatto, ma di valore. Tanto è vero che una distinzione molto più radicale che quella fra «credenti» e non «credenti» passa fra indifferenza e non indifferenza a questo valore. Sentirlo non è né una vaga emozione né pensare l’impensabile, ma vedere il mondo nella luce di questo valore: si può consentirvi, cioè riconoscerlo come fondamento della propria vita nel mondo (quindi anche del proprio pensiero), oppure non consentirvi, magari per onestissima diffidenza verso se stessi e il proprio sentire. Ferraris fa una domanda che attende risposte, e in questa misura è filosofo, e non dilettante. Ma forse ci insegna anche che lasciare all’indifferenza l’ultima parola sul divino è come parlare della bellezza senza aver mai avuto un’esperienza estetica.


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