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PER UNA SVOLTA UMANA E CULTURALE: SVEGLIARSI, SUBITO !!! PRODI DIFENDE LA FINANZIARIA E LANCIA L’ALLARME : Il Paese è impazzito, non pensa più al futuro!

martedì 14 novembre 2006 di Federico La Sala

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domenica 12 novembre 2006

ASSEDIATO. IL NO DEL MINISTRO FERRERO AL DECRETO SULLA PREVIDENZA INTEGRATIVA È SOLO LA GOCCIA CHE HA FATTO TRABOCCARE IL VASO

Palazzo Chigi, i giorni della follia

Cortei, congiure, sabotaggi le spine nel fianco del premier

di Riccardo Barenghi (La Stampa, 12/11/2006)

ROMA. Non è stata una frase dal sen fuggita, dettata dalla rabbia, dalla stanchezza, dal nervosismo, da tutto insieme. No, è stata un’uscita preordinata, programmata, decisa il giorno prima, venerdì, alla fine di una settimana piuttosto difficile per il governo, conclusa dal ministro Ferrero che vota no al decreto sulla previdenza integrativa. Ecco allora che dopo la riunione del Consiglio dei ministri, Prodi riunisce il suo staff e gli annuncia che la sua pazienza ha raggiunto il limite di guardia. Non ne può più, il premier, non sopporta più critiche, attacchi, dissociazioni, proteste, lamentele, manifestazioni, punture di spillo o scontri aperti. Non ne può più di quel che accade nel Paese e anche di quel che accade in Parlamento, soprattutto nelle file della sua maggioranza. E comunica ai suoi che d’ora in poi lo avrebbe detto, segnalato, avrebbe parlato in pubblico per dire appunto che la sua pazienza si è esaurita. Così nasce la frase sull’impazzimento del Paese.

(Quasi) tutti contro Il quale Paese, a vederla come la vede il presidente del Consiglio, ha cominciato ad impazzire già a luglio, quando tassisti, farmacisti e professionisti protestavano contro il decreto Bersani sulle liberalizzazioni. Loro protestavano e c’era chi, come l’economista Francesco Giavazzi, le cui tesi cominciavano ad essere applicate (sempre secondo Prodi), protestava pure lui scrivendo sul Corriere della Sera che era troppo poco, bisognava fare di più. Via via la schiera degli «impazziti» è cresciuta, a parte i suddetti si segnalano in ordine sparso: imprenditori, sindaci, professori, rettori, scienziati, precari, infermieri, avvocati, notai, artigiani, autonomi vari, economisti, editorialisti, giornali (anche stranieri), parlamentari, ministri, viceministri, sottosegretari... Mancano gli operai e gli studenti, ma non si sa mai un domani.

Un crescendo rossiniano insomma, che si è concentrato ovviamente sulla nuova legge finanziaria. Prima che il governo la approvasse e, soprattutto, subito dopo. A Palazzo Chigi non parlano di complotto ma certo si dicono sconcertati dal metodo. «Ma come - spiegano - noi abbiamo inaugurato un metodo diverso dal passato, invece di chiuderci nelle nostre stanze e presentare poi la Finanziaria l’abbiamo discussa con tutti, dagli industriali ai sindaci, dai sindacati agli artigiani, abbiamo aperto tavoli con chiunque, c’è il povero Enrico Letta che tra un po’ lo ricoveriamo, e questi che fanno? Escono dall’incontro e sparano a zero. Non capiscono, anzi non vogliono accettare la filosofia del nostro governo, che è quella di fare una Finanziaria di partenza, in cui ognuno concede un po’ per poi ripartire negli anni seguenti. Niente da fare, la logica è sempre quella del not in my backyard».

Significa «non nel mio giardino», e Prodi lo scrisse rispondendo sul Corriere della Sera a un articolo dell’ex direttore dell’Economist, Bill Emmott, che lo attaccava proprio perché non faceva abbastanza. Spiegando che la logica che si era trovato di fronte era appunto questa: se volete tagliare, tagliate pure, ma non a casa mia. Tagliate l’erba del vicino. E questa logica, secondo Prodi, sarebbe appunto la logica di un paese impazzito.

Raccontano a Palazzo Chigi che ci furono incontri anche «a muso duro, per esempio con Luca di Montezemolo e i vertici della Confindustria. Gli industriali erano contenti per il cuneo fiscale ma non volevano accettare le nuove norme del Tfr. Alla fine gli fu detto chiaro e tondo, proprio da Prodi al direttore generale Maurizio Beretta, che allora si tornava indietro: voi vi tenete il Tfr e noi ci teniamo il cuneo. La Confindustria fece una rapida marcia indietro, mollò il Tfr e si prese il cuneo». Anche i sindaci gli hanno fatto venire parecchi «mal di testa» (così li chiamano), in particolare il torinese Sergio Chiamparino quando ha minacciato di consegnare le chiavi della città al premier e quando ha protestato perché l’Expò era stata assegnata a Milano. A Prodi è sembrato «un masaniello che difendeva solo il suo orticello».

La dis-Unione Per non parlare poi della sua Unione (chiamiamola così) e dei suoi ministri. Già qualche mese fa disse che lui si sentiva la badante della sua maggioranza, ma oggi la situazione è peggiorata. Intanto perché «questa storia che lui sarebbe ostaggio della sinistra radicale è una bufala, basta leggere quel che ha appena detto Cossiga» (che certo non risulta essere amico di Prodi).

Ma ormai è diventato un luogo comune, alimentato da giornali e commentatori, che finisce per provocare reazioni nervose del premier. Per la cronaca, ci vengono segnalate le uscite di Rutelli e Fassino sulla fase 2 del governo, il timone riformista insomma, nonché il piano sulle liberalizzazioni presentato l’altro giorno dal leader della Margherita. Prodi, «che neanche lui è olimpico e sereno», non ha amato nemmeno l’offensiva di Rifondazione contro i progetti del ministro Lanzillotta, e tantomeno le uscite di Ferrero, col quale «il rapporto è dialettico» (un eufemismo, in altre parole se ne dicono di tutti i colori).

La guerra dei boatos Insomma Prodi pensa che le cose che fa sono quelle giuste, che il paese ha bisogno di una cura a lungo termine, che oggi è il momento di tagliare e risparmiare, e che tutti debbano contribuire «pro quota» per poterci rimettere in carreggiata domani. Soprattutto pensa che il suo governo debba avere il respiro dell’intera legislatura e che quindi anche la politica economica debba seguire questo passo lungo. Ma gli altri, imprese, categorie, lobby, politici, cittadini sparsi, no. Non lo capiscono o non vogliono capirlo, pensano al loro particulare e non guardano all’insieme e «al futuro». Gli stessi boatos che in Parlamento e sui giornali, un giorno sì e l’altro pure, parlano del che fare se cade Prodi, non alleggeriscono la tensione del premier. «Ha ragione Berlusconi quando dice che qualcuno nell’Unione sta pensando a governi di larghe intese o cose del genere - spiegano gli uomini del presidente -; d’altra parte la nostra classe politica ha ancora la cultura di chi pensa che un premier si butta giù con un battito di ciglia. Ma una cosa è pensarci, tutt’altra metterlo in pratica». Lui ovviamente non vuole sentire nemmeno parlare di inciuci con l’opposizione, quando dice che «non sono l’uomo per tutte le stagioni» si riferisce proprio a questa ipotesi. Gli danno fastidio i boatos, «provocano un altro mal di testa, un’instabilità che però è più psicologica che sostanziale. Certo, quando la mattina legge sui giornali i retroscena che raccontano di chi, come e quando lo farà fuori, non è che poi va a lavorare sereno. Dopo di che, se analizziamo la situazione ci rendiamo conto che il complotto non c’è.

Poi, diciamolo francamente, se D’Alema e Berlusconi vogliono fare un governo di larghe intese, possono farlo, i numeri ce li hanno. Ma Prodi non crede che lo faranno».

Non ci crede ma ci soffre. Si sente deluso dalla sua maggioranza, o almeno da tutti quelli (e sono tanti) che «sparano a zero prima ancora di leggere le carte», dai suoi ministri che prima approvano e poi protestano, da Montezemolo e dalla Montalcini, dai giornali che lo attaccano, dal paese insomma che non lo capisce. Praticamente un incompreso. Per carità, negano i suoi, «non ha affatto la sindrome dell’incompreso. Semmai dell’incazzato. Diciamo pure che la sua è una sana e sonora incazzatura».


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