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Uno scintillio di mille colori ...

Allo scrittore turco, Orhan PAMUK, il premio Nobel per la Letteratura. Una "analisi" di Barbara Spinelli, e una recensione di Pietro Citati

«È perché le nostre menti moderne sono così precarie, scivolose, che la libertà d’espressione diventa così importante: ne abbiamo bisogno per capire noi stessi, i nostri umbratili, contraddittori, più intimi pensieri; la fierezza e la vergogna che ci abitano»
domenica 15 ottobre 2006 di Federico La Sala
[...] Il mio nome è rosso, che Orhan Pamuk compose nel 1998 (ora in edizione tascabile: Einaudi, traduzione di Marta Bertocchi e Semsa Gezgin, pagg. 456, euro 11,80) è probabilmente il più bel romanzo apparso negli ultimi anni in qualsiasi lingua. è un robusto romanzo realistico: una favola a cui sia l’ Oriente sia l’ Occidente prendono parte: un colorato testo shakespeariano come quelli di Dickens: una nera storia di delitti notturni: una superba architettura intellettuale; un libro di (...)

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> TURCHIA. La paura di Orhan Pamuk. Il Nobel e l’autrice Elif Shafak indicati da alcuni media di essere al servizio di una lobby internazionale: “Critiche ridicole e pericolose”.

lunedì 15 dicembre 2014

La paura di Orhan Pamuk

“Noi scrittori nel mirino, mai visto nulla del genere”

Il Nobel e l’autrice Elif Shafak indicati da alcuni media di essere al servizio di una lobby internazionale: “Critiche ridicole e pericolose”

di M. Ans. (la Repubblica, 15.12.2014)

«C’È una lobby internazionale degli scrittori», strillava qualche giorno fa dalle edicole turche il quotidiano pro governativo Akit. E indicava due reprobi fra gli autori scelti dalle «potenze occidentali» contro le autorità di Ankara: Elif Shafak e Orhan Pamuk. I due più noti intellettuali della Turchia, una con decine di romanzi all’attivo e tradotta in ogni continente, l’altro premiato con il Nobel per la Letteratura, tornati nel mirino.

Ma questa volta non dei nazionalisti, come accaduto in passato, con minacce di morte che li avevano costretti a scegliere di vivere all’estero (Shafak in Inghilterra, Pamuk negli Stati Uniti). Quanto degli stessi cantori dell’esecutivo conservatore islamico di Erdogan, desiderosi di affossarli. «Queste accuse conto noi due - dice a Repubblica Elif Shafak - sono così ridicole, però disturbano anche. Si sostiene che questa lobby letteraria avrebbe scelto alcuni autori di Paesi non occidentali, e per attaccare il governo turco sarebbero stati presi Pamuk e Shafak. L’implicazione è che entrambi, Orhan e io, saremmo pedine delle potenze imperiali».

A leggere l’articolo in questione le espressioni usate contro i due celebri scrittori, tra il meglio che il Paese della Mezzaluna possa offrire in letteratura e anche per la loro lucidità di pensiero e intervento su questioni culturali e sociali, è un concentrato di odio. «Quando parlo o scrivo per un grande giornale straniero - spiega Elif - tra i tantissimi tweet di apprezzamento che ricevo, ce ne sono sempre alcuni negativi, che mi accusano di parlare male della Turchia agli occidentali. Per loro questo è un “affare di famiglia”. Se critichi il governo in turco non si arrabbiano molto. Ma se lo fai su un giornale straniero, specialmente su un quotidiano molto influente, allora si irritano. Questo è il mondo in cui viviamo».

Anche Orhan Pamuk ha un rapporto conflittuale con il proprio Paese. L’unico turco ad aver mai vinto un premio Nobel nei giorni scorsi ha pubblicato il suo ultimo romanzo, uscito per il momento solo a Istanbul e Ankara (“Una stranezza nella mia mente” il titolo in lingua, che sarà pubblicato in Italia nel novembre 2015, e il cui primo capitolo è stato anticipato da Repubblica l’ 8 dicembre scorso).

Per l’occasione ha rilasciato un’intervista al giornale nazionale più diffuso, Hurriyet. E le sue parole non sono state leggere. «Il peggio - ha detto riferendosi alla situazione politica - è che c’è paura. Vedo che tutti hanno paura, questo non è normale: la libertà di espressione è scesa a un livello molto basso». E ha aggiunto: «Molti amici vengono a dirmi che questo o quel giornalista ha perso il lavoro. Ormai gli stessi giornalisti più vicini al potere vengono cacciati. Non ho mai visto nulla di simile da nessuna parte».

In un passato non troppo distante la Turchia ha perseguitato i suoi migliori intellettuali. Basti pensare al caso di Nazim Hikmet, il grandissimo poeta morto in esilio a Mosca nel 1963. Oggi molti spiriti liberi nel Paese, e altrettanti fuori, si augurano che i giorni in cui Orhan Pamuk veniva portato a processo per le frasi dette sui giornali, e i ritratti di Elif Shafak erano bruciati in piazza per quello che scriveva nei suoi libri, siano per l’appunto un’immagine lontana.


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