FILOSOFIA E ANTROPOLOGIA. Esistenza, trascendenza, e senso dell’oltre (IV parte). Un breve saggio - di Franco Toscani

martedì 13 gennaio 2015.

I - II - III - IV parte

4. Esistenza e senso dell’oltre.

Credo che la filosofia e la teologia più avvertite della nostra epoca non possano eludere una rinnovata riflessione, al di là di ogni schema tradizionale, sul rapporto fra esistenza e trascendenza, direzione verso l’ulteriorità di senso. Direi anche: oltre l’umanismo, verso un nuovo senso dell’umano. E’ un discorso che vede l’intreccio profondo, indissolubile fra immanenza e trascendenza, l’immanenza nella trascendenza e la trascendenza nell’immanenza.

L’esistenza (da ex-sisto) sta a indicare l’esposizione, lo star fuori dell’esser-ci - il quale non è padrone del suo -ci - nell’Aperto (das Offene), è caratterizzata da una costitutiva apertura al mondo. Possiamo parlare di circolarità fra esistenza e trascendenza, nel senso che non si dà esistenza senza trascendimento, senza tensione alla trascendenza, così come la trascendenza risulta vuota e inconsistente senza il rinvio necessario all’esistenza.[1]

Riflettendo criticamente sull’opera di Karl Jaspers, Franco Fergnani suggerisce una interpretazione della "trascendenza intesa come la controparte di quel malessere e di quella indigenza d’essere da cui l’esistenza è affetta. L’esistenza è stretta nei suoi confini, impigliata nelle sue contraddizioni, irriducibilmente finita come lo provano le situazioni-limite in cui si scontra e che pure le sono interne. Ma limite significa ’c’è dell’altro, c’è un altro’. Il limite è ancora immanenza ma insieme è indice di trascendenza. Allora l’esistenza rimanda alla trascendenza come a ciò che manca all’esistenza, con quella pienezza e completezza e perfezione d’essere che l’esistenza non è. La trascendenza sarà l’istanza irrelativa richiesta dalla finitudine e temporalità dell’esistenza. O meglio, il suo correlato, la sua ideale antitesi, la sua conferma in negativo: quell’Incondizionato kantianamente pensabile ma non conoscibile che include tutto ciò che l’esistenza non è e non può. Sulla linea di quest’interpretazione si arriverebbe a concludere che la trascendenza è il termine di riferimento ’trascendentale’ dell’esistenza di cui quest’ultima ha bisogno per la propria connotazione.

Questo a nostro avviso è il modo plausibile per far valere un principio di trascendenza che si mantenga rigorosamente immune da compromissioni teologico-dogmatiche e che d’altra parte non si identifichi con l’autotrascendersi dell’esserci che è già da sempre aperto al mondo, che è sempre al di là di ciò che è di fatto e che esiste en-avant-de-soi-même nel commercio con gli enti intra-mondani. La trascendenza come autotrascendersi verso il mondo è una grandissima conquista del pensiero contemporaneo, e in particolare una grande conquista della filosofia dell’esistenza nelle sue versioni ’atee’ ".[2]

In gioco qui è il rapporto dell’uomo con l’alterità, con l’altro-da-sé, un rapporto che è fondamentale, perché rammenta all’uomo continuamente il suo ruolo e la sua collocazione, il senso del limite e della misura, il senso essenziale del destino.

Sulle tracce della Existenzphilosophie novecentesca e ripensandone criticamente l’eredità, anche a noi sembra importante sottolineare l’esigenza di legare strettamente l’esistenza al senso della possibilità, di fondare autenticamente la libertà umana, di garantire l’essenzialità dell’apertura dell’esistenza alla trascendenza.

Già, ma di quale trascendenza si tratta? Come intenderla? La intendiamo nel senso di una positivizzazione e di una sostanzializzazione della trascendenza, nella direzione della teologia dogmatica, del Dio super-Ente, del summum Ens o Ens perfectissimum della tradizione metafisica classica?

Oppure nella direzione di un’ulteriorità di senso, di un senso dell’oltre che rifiuta ogni fissazione, cristallizzazione dogmatica e sostanziale, ogni positivizzazione?

A nostro avviso pare quest’ultima la direzione più fruttuosa e stimolante. Un esempio e una testimonianza di essa ci sembra la tensione al "Dio assente" o la tematica dell’assenza di Dio quale si manifesta - in maniera suggestiva, ma non risolutiva e non esaustiva - nel pensiero di Mario Ruggenini.[3]

In una sua riflessione sull’identità dell’io, dell’alterità e di Dio, William Blake (1757-1827) rileva di aver cercato la propria anima e di non averla trovata, di aver cercato Dio e di non averlo trovato, di aver cercato suo fratello e di aver "trovato" così tutti e tre.

Sembra fargli eco nel pensiero contemporaneo Emmanuel Lévinas quando ammette di non potere conoscere sé stesso prima di incontrare l’altro.

Su ciò si veda anche il Vangelo di Matteo (25, 31-46), in cui possiamo leggere fra l’altro: "In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. (...) In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me" (Mt 25, 40-45).

Credo che potremmo accontentarci di ritrovare qualcosa dell’identità dell’io, degli altri e, con questi "ritrovamenti", di dirigerci insieme agli altri verso quell’ulteriorità di senso della verità che è indispensabile all’esistenza fertile di tutti e che alcuni ritengono di poter riassumere col termine "Dio".

Propria della poesia, dell’arte e del grande pensiero è la capacità - come ben sapeva Julio Cortázar - di introdurre vertiginose brecce nella realtà, per aiutare tutti gli esseri umani ad affacciarsi sull’alterità.

La consapevolezza della ricchezza a noi accessibile valorizzando e coltivando il senso dell’oltre ci può condurre ad assumere un atteggiamento caratterizzato dal dépaysement, dalla ξενιτεία, ossia da un costante e fertile spaesamento, da un fecondo spiazzamento rispetto a tutte le abitudini consolidate e ai risultati già acquisiti (o che crediamo di avere già acquisito).

E’ questo spaesamento circa la verità da noi non posseduta e impadroneggiabile che ci fa camminare fruttuosamente in direzione di essa.

Piacenza, gennaio 2015


NOTE:

[1] Sul senso diverso della trascendenza e del trascendimento nel pensiero di Jaspers e in quello di Heidegger si veda fra l’altro la parte quarta, intitolata "Réflexions critiques: possibilité d’une philosophie de l’existence", in M. Dufrenne-P. Ricoeur, Karl Jaspers et la philosophie de l’existence, Editions du Seuil, Paris 1949, pp. 363-372.

[2] F. Fergnani, Mondo, esistenza, trascendenza nella filosofia di Karl Jaspers, Unicopli, Milano 1980, p. 122.

[3] Cfr. M. Ruggenini, Il Dio assente. La filosofia e l’esperienza del divino, Bruno Mondadori, Milano 1997.


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