Squilibrio planetario

Il Nobel per la pace, ESQUIVEL: "occorre disarmare la ragione armata modificando il nostro modo di pensare".

La violenza strutturale può essere contrastata.
domenica 25 giugno 2006.
 
«Si può perdonare, ma non si dovrebbe mai dimenticare. I popoli che dimenticano le violazioni subite patiranno col tempo conseguenze ancora peggiori. Questi popoli scompaiono. Si può perdonare, ma cercando verità e giustizia. Al contempo, occorre far attenzione. Non ci si può battere in nome del fanatismo e non ho mai creduto alle guerre sante o alle guerre giuste. Tutte le guerre conducono alla distruzione e alla morte».

Parla il Nobel per la pace: «Oggi il dominio è più culturale che economico»

Esquivel: «Disarmiamo la ragione»

«Le nostre società devono saper scorgere la presenza di Dio, come ci ha mostrato san Francesco»

Da Parigi Daniele Zappalà (Avvenire, 24.06.2006)

«Mia nonna era un’india guaranì e mi insegnò ad ascoltare il silenzio. Se si sa ascoltare il silenzio, si può ascoltare anche il silenzio di Dio». Sul suo "albero della vita" personale, il pacifista argentino Alfonso Pérez Esquivel ha appeso il ricordo di quest’insegnamento lontano ricevuto molti decenni prima dell’impegno a favore dei diritti umani in tutta l’America latina, dell’isolamento in prigione, del successivo riconoscimento internazionale nel 1980 col Nobel. A 75 anni, lo scultore divenuto militante contro le dittature continua a scrivere le sue lettere aperte «non solo ai potenti della Terra, ma anche ai bambini, ai giovani, agli anziani, alle comunità per tentare di stabilire con loro un dialogo». Lo incontriamo a Parigi, in occasione del Salone internazionale delle iniziative di pace, evento a cui Esquivel è molto legato.

Negli anni Settanta e Ottanta, lei ha contribuito alla "svolta" dell’Onu verso i diritti umani. In questi ultimi decenni, ha visto progressi importanti?

«Le Nazioni unite hanno avanzato attraverso tre generazioni di diritti. Prima, quello alla vita e alla libertà. Poi, i diritti culturali, economici e politici. Infine, il diritto all’emancipazione dei popoli e allo sviluppo. Oggi, osserviamo ancora violazioni flagranti e molto note come quelle in Iraq, dove sono stato, o a Guantanamo. Ma i diritti umani sono anche molto più di questo. Riguardano i bambini che muoiono di fame o di malattie curabili, così come i Paesi dove non esiste il diritto dei popoli e regnano la povertà e lo sfruttamento soprattutto di donne e giovani. Tutto questo provoca situazioni di violazione e chi viola è sempre lo Stato, non solo nel caso delle dittature militari. Mi riferisco anche a quei sistemi che si dicono democratici, ma dove molti violano i diritti umani».

Una sfida ancora universale, quella democratica...

«Se le guardiamo dal punto di vista dei diritti umani, molte democrazie sono oggi più formali che reali. L’esempio più chiaro mi sembra il problema dell’acqua come bene sociale. Si tratta di un bene dell’umanità che non dovrebbe essere privatizzato. Si può vivere senza oro o petrolio, ma non senz’acqua. L’altro grande problema è la devastazione dell’ambiente dovuta all’atteggiamento di molte imprese che privilegiano il capitale finanziario su quello umano. Ciò implica la questione del potere che sta oggi sempre più in mano a grandi conglomerati internazionali che superano anche gli Stati. Molti popoli sono rimasti a lungo spettatori, ma cercano oggi in diversi Paesi di tornare protagonisti. In America latina, lo mostrano i movimenti delle donne, le rivendicazioni degli indios, ma anche l’impegno dei giovani per i diritti umani».

Lei è in prima linea proprio nella difesa dei popoli indigeni. Cosa possono insegnarci?

«Moltissimo, dato che detengono un sapere millenario. Innanzitutto, il rispetto verso la nostra madre Terra in nome di un equilibrio. Viviamo in un mondo in cui la violenza ha prodotto uno squilibrio planetario e i popoli originari hanno conservato il senso dell’equilibrio al livello della singola persona, delle relazioni nella società, del pianeta così come verso il cosmo e verso il trascendente. L’equilibrio della vita, dunque. Possono aiutarci a sfuggire alla violenza e all’ambizione odierna di una parte dell’umanità. Proprio quella che si sta trasformando in una piaga per il pianeta, dato che lo sta distruggendo. Occorre disarmare la ragione armata modificando il nostro modo di pensare".

Lo squilibrio, a suo parere, è più culturale che economico. Perché?

«Sì, mi sembra che il dominio è oggi soprattutto culturale. Ma quando ciò non investe tutto il processo economico e militare, quando emerge invece in una società una cultura di pace e della non violenza, questa violenza strutturale può essere contrastata. Oggi, si cerca di imporre il pensiero unico e per resistere i popoli debbono attingere alle proprie risorse profonde, culturali e spirituali. Occorre per questo saper preservare i propri valori».

Spitualità, diceva... «È fondamentale saper scorgere la presenza di Dio in ciascuno e nelle nostre società. A mostrarcelo è il messaggio di san Francesco, delle figure evangeliche, ma anche la dimensione ecumenica e il rapporto ad esempio col buddismo o l’islam. Ciascuno può provare un sentimento molto profondo che gli permette di donare e di condividere, non di appropriarsi di qualcosa. Religione vuol dire all’origine unione, non divisione».

Nelle lotte per i diritti civili e nel pacifismo odierni, c’è abbastanza posto per il perdono?

«Si può perdonare, ma non si dovrebbe mai dimenticare. I popoli che dimenticano le violazioni subite patiranno col tempo conseguenze ancora peggiori. Questi popoli scompaiono. Si può perdonare, ma cercando verità e giustizia. Al contempo, occorre far attenzione. Non ci si può battere in nome del fanatismo e non ho mai creduto alle guerre sante o alle guerre giuste. Tutte le guerre conducono alla distruzione e alla morte».

Le figure storiche dei diritti umani sono ricordate anche per il loro coraggio. Che tipo di coraggio le sembra oggi più indispensabile?

«Quello della vita quotidiana. Le grandi rivoluzioni si fanno in realtà tutti i giorni. Nelle nostre famiglie, coi nostri amici, nella società, nel mondo. Il più grande coraggio è questa capacità di costruire la pace in ogni momento».


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