Politica

Berlusconi spera nel referendum per mandare all’aria il nuovo governo, dopo l’inutile controllo dei voti - di Verderami

sabato 20 maggio 2006.
 

Silvio, la voglia di spallata e il referendum

Fra un mese Silvio Berlusconi vorrebbe sottoporre Romano Prodi a un altro voto di fiducia, non più nelle aule del Parlamento ma nelle urne, per il referendum sulla riforma costituzionale. E non c’è dubbio che il Cavaliere consideri l’appuntamento del 25 e 26 giugno l’ultima occasione di «dar subito la spallata» al capo del governo e al suo esecutivo.

Solo vincendo a giugno Berlusconi potrebbe ancora sperare di render breve la legislatura, di garantirsi la leadership nel Polo e la ricandidatura a palazzo Chigi. Ma la medaglia ha un rovescio che potrebbe costargli caro, perché in caso di sconfitta consentirebbe a Prodi di togliersi finalmente di dosso i panni del vincente dimezzato, di esultare come non potè il 10 aprile, e di dispiegare la strategia del «fuoco lento»: «Partiamo, iniziamo a governare, e superato lo scoglio del referendum - ha spiegato ai suoi il Professore - quelli dall’altra parte si sfilacceranno, e magari si romperanno». A «fuoco lento», con i parlamentari della Cdl demoralizzati e non più impegnati nella battaglia quotidiana in Parlamento, anche la navigazione al Senato si farebbe meno insidiosa per il premier.

Il Cavaliere è consapevole del rischio, e come Gianfranco Fini considera «fondamentale» l’appuntamento. Perderlo vorrebbe dire perdersi, visto che nella Lega sono troppo forti le spinte centrifughe, e chissà per quanto tempo Umberto Bossi riuscirà ancora a gestirle. La scorsa settimana c’è stata una piccola anticipazione di quanto potrebbe accadere nel Polo in caso di sconfitta: al momento di salire al Quirinale, i dirigenti del Carroccio hanno avvisato gli alleati che sarebbero andati da soli alla consultazione con il capo dello Stato. E c’è voluta una faticosa trattativa, incentrata sulla creazione di un Comitato referendario per il Sì, per mettere un cerotto sulla ferita: alla fine la delegazione leghista ha accettato di non rilasciare dichiarazioni dopo l’incontro con Giorgio Napolitano, e - al pari degli altri capigruppo della Cdl - ha lasciato a Berlusconi il compito di esternare. Quanto potrebbe durare la coalizione in queste condizioni, dopo un’eventuale bocciatura della riforma costituzionale? Poco.

Ecco perché tutti riconoscono al referendum un valore politico, anche nell’Unione. E c’è un motivo se Prodi ha inserito nel discorso per la fiducia un passaggio su quella consultazione popolare. «Noi per durare cinque anni dobbiamo vincere a giugno»: sono parole di Francesco Rutelli, rivelatrici della portata della sfida, e sintomo anche di un certo nervosismo che affiora nella maggioranza. Sarà infatti vero che a fine giugno l’affluenza alle urne è di solito bassa, e che dunque il Polo potrebbe venirne penalizzato.

Ma dopo l’esperienza di aprile si capisce la prudenza del vicepremier: siccome Berlusconi chiederà ai suoi elettori «un voto per la rivincita», e siccome «noi siamo impegnati a mettere in moto la macchina del governo», chi potrebbe escludere una sorpresa? Insomma, la sfida del referendum «dipenderà dalla capacità di mobilitazione» dei due schieramenti. E il Cavaliere, che si gioca tutto, è pronto a un’altra azione di forza. Per martedì ha convocato un vertice della Cdl in modo da preparare il Comitato per il Sì. E forse in quella occasione presenterà il primo sondaggio. Raccontano sia «ottimista» e pronto a mobilitare le sue televisioni, perché confida nella «reazione dell’elettorato dopo l’atteggiamento disgustoso tenuto dalla maggioranza in questo primo mese».

Solo una cosa, dicono, lo impaurisce: «Ho paura che gli alleati non siano convinti della possibilità di vincere, e si comportino come alle Politiche, quando a crederci ero solo io». Eppure Fini sta già mobilitando il suo partito, e anche l’Udc si appresta a muoversi in sintonia: il segretario centrista Lorenzo Cesa ha convocato gli stati generali del partito per il 30 aprile, e sottolinea ciò che Pier Ferdinando Casini dice, e cioè che «la nostra priorità è tenere unita la Cdl, oltre al fatto che sarebbe incoerente sganciarsi dopo aver votato per ben quattro volte in Parlamento la riforma». È un segnale verso l’ex segretario Marco Follini, che insieme a Bruno Tabacci si appresta a costituire un Comitato per il No, «con l’obiettivo di aprire dopo una stagione costituente».

Per Berlusconi è l’ultima chance, per Prodi una sconfitta a giugno metterebbe a rischio il suo primato nell’Unione, a prescindere dall’intenzione del Cavaliere di chiedere subito le sue dimissioni. Insomma, la partita delle Politiche vivrà con il referendum i tempi supplementari. E la sfida stavolta non ammette il pari.

Francesco Verderami

www.corriere.it


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