DONNE, SCIENZA, E DIRITTI ...

MARGHERITA HACK. La prima donna a dirigere un osservatorio. Una scienziata militante che si batteva per i diritti - a c. di Federico La Sala

Museo nazionale della scienza «Leonardo da Vinci» di Milano: «Il volto e la voce di Margherita Hack sugli schermi del nostro museo»
lunedì 1 luglio 2013.
 

-  Nell’articolo che scrisse il 12 giugno 2012 per l’Unità, in occasione del suo 90° compleanno, l’invito ai giovani ad avere fiducia nel futuro

-  Ho attraversato un secolo con la voglia di vincere

di Margherita Hack (l’Unità, 30.06.2013)

Oggi compio novant’anni. Si può dire che ho vissuto quasi un intero secolo. Anzi, se mi guardo indietro e torno con la memoria fino ai racconti che mi faceva il babbo quando ero piccolina, mi sembra di aver vissuto più d’un secolo. Il babbo mi raccontava della miseria che c’era nel nostro Paese dopo la prima guerra mondiale, dei tanti disordini e degli scioperi continui che resero possibile l’avvento del fascismo.

Tutta la mia infanzia l’ho vissuta sotto il fascismo, per la verità senza capire molto di quello che accadeva. Ricordo le ultime elezioni del ’29: un nostro conoscente ci raccontava che le schede erano semitrasparenti, quelle a favore del fascismo avevano un tricolore disegnato sopra, quelle contrarie erano bianche, cosicché anche quando erano chiuse si vedeva in trasparenza per chi avevi votato.

Ricordo i quaderni di scuola con le frasi del duce: «È l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende», «Credere, obbedire, combattere». E ricordo i temi che ci chiedevano di fare, quasi tutti improntati all’esaltazione della patria fascista. Il sabato si andava a scuola in divisa e si doveva marciare, per noi era un divertimento: meglio marciare che stare seduti sui banchi.

Cosa fosse il fascismo l’ho capito solo nel ’38 con la promulgazione delle Leggi Razziali. All’epoca andavo al liceo e avevo una professoressa di scienze che si chiamava Enrica Calabresi. La vidi sparire da un giorno all’altro, era stata cacciata dalla scuola perché ebrea.

Chi fosse veramente la professoressa Calabresi e che fine avesse fatto l’ho capito solo molti anni dopo. Stavamo registrando una trasmissione tv assieme a Piero Angela alla Specola di Firenze e lì incontrai due studiose che avevano condotto una ricerca. Scoprii così che Enrica Calabresi era una brava ricercatrice che aveva pubblicato già all’epoca una cinquantina di lavori originali di entomologia e che aveva ottenuto il titolo di libero docente, equivalente all’attuale dottorato di ricerca. Poi la lettera in cui si diceva che l’incarico di docenza decadeva in quanto la professoressa era di razza ebraica. La professoressa Calabresi venne arrestata nel 1943 e si suicidò dopo 20 giorni di carcere.

Ricordo gli ultimi tempi prima dello scoppio della seconda guerra mondiale e la speranza che Mussolini ci ripensasse. Poi ricordo la guerra: l’oscuramento, i bombardamenti, le tessere per prendere qualsiasi cosa. Ricordo le grandi ristrettezze in cui vivevamo, si ascoltava Radio Londra per sapere davvero come stavano andando le cose e si tenevano sempre le finestre ben chiuse. Finalmente ho visto il dopoguerra. Il 1945 fu un periodo di grande entusiasmo e di curiosità. Ricordo i giorni del Referendum per scegliere tra repubblica e monarchia: andavamo a fare sondaggi nei seggi per capire come fosse andata. E ricordo quando arrivarono finalmente i risultati: la monarchia, complice del fascismo, se ne andava. Cominciava un periodo di grandi iniziative, di voglia di lavorare e ricostruire. Era un’Italia molto viva.

Bisognerebbe ritrovare l’energia di allora per cavarcela anche oggi. Ho assistito a grandi cambiamenti di costume nel corso della mia vita. Quand’ero giovane c’era una grande differenza tra le classi sociali e si vedeva. Basti pensare che le signore borghesi, anche piccolo borghesi, non uscivano mai senza cappello. Senza cappello andavano le operaie e le donne di servizio.

Negli anni successivi, sotto l’azione di due grandi forze democratiche, il Pci e la Dc, l’Italia avanzò in molti campi. A cominciare dall’istruzione: la scuola media diventò uguale per tutti. Tutti avevano diritto all’istruzione fino a 13 anni e questo riduceva le differenze di classe. Anche il diritto di famiglia è cambiato radicalmente. Ricordo quando nel passato era il marito a scegliere la residenza e la moglie lo doveva seguire. Esisteva il delitto d’onore e la donna veniva punita diversamente dall’uomo e con maggiore severità in caso di adulterio. E poi in questi ultimi anni ho assistito a enormi cambiamenti tecnologici. Sembra poco tempo fa quando negli anni Settanta avevo una collaborazione con il dipartimento di astronomia di Princeton nel New Jersey e ci si scambiava per posta i nastri magnetici. Ci mettevano settimane per viaggiare sull’Oceano e ci dovevamo raccomandare che non venissero fatti passare nello scanner. Oggi si comunica in tempo reale con Internet, si parla e ci si vede in tempo reale. Le distanze sono state quasi eliminate.

Insomma, quello che ho visto è stato un secolo estremamente vivace, con cambiamenti più grandi di quelli avvenuti nei 2.000 anni precedenti. Ora guardo al futuro e sono ottimista. L’Italia ne ha viste tante e si è sempre tirata fuori.

Ai giovani vorrei dare un consiglio: scegliere la professione che interessa di più. Quando dovrete decidere cosa studiare, non pensate solo a cosa vi permette di trovare lavoro, ma a quello che vi piace veramente. Poi fatelo seriamente. Alle ragazze, in particolare, consiglio di avere più fiducia in se stesse e pretendere che i loro diritti vengano rispettati. E, da ex sportiva, voglio dare un ultimo consiglio a tutti: affrontate la vita come s’affronta una gara. Con la voglia di vincere.


La sua ricerca: la luce degli astri sulle bande ultraviolette

di Massimo Ramella (l’Unità, 30.06.2013)

HO AVUTO IL PRIVILEGIO DI LAUREARMI IN FISICA CON MARGHERITA NELL’ORMAI LONTANO 1979. È stata un’esperienza fondamentale per me, sia scientificamente che umanamente. Margherita mi ha insegnato come usare le righe spettrali che si formano negli strati superficiali delle stelle per sondarne la natura fisica.

Mi ha permesso di utilizzare gli allora recentissimi dati ottenuti da telescopi a bordo di satelliti che potevano registrare la radiazione ultravioletta delle stelle. Questa radiazione viene assorbita dall’atmosfera terrestre e, grazie alle osservazioni dallo spazio, stava rivelando proprio in quegli anni fenomeni ancora sconosciuti che si verificano negli strati gassosi più esterni delle stelle. Osservazioni che non avevano ancora trovato la via dei libri di testo e che quindi per me, laureando, avevano un fascino fortissimo, difficile da descrivere.

Margherita mi ha introdotto nella comunità scientifica internazionale, dove ho potuto verificare il prestigio e la considerazione di cui godeva. Anche se ero un novellino, il semplice fatto di essere suo allievo garantiva attenzione. Ma, soprattutto, Margherita è stata il mio punto di riferimento etico e umano per navigare nel mondo della ricerca, un mondo nel quale è facile fare passi sbagliati e perdersi.

Io ho avuto la fortuna di esserle vicino anche in seguito, quando la mia ricerca si era ormai diretta in ambiti nei quali mi ero avventurato da solo, sebbene con il suo generoso incoraggiamento. Molti altri studenti, alcuni dei quali poi divenuti colleghi, devono molto a Margherita. Ricordo ancora le parole con cui il Presidente Napolitano le conferì la nomina a Cavaliere di Gran Croce in occasione della festa per i suoi novant’anni, il 12 giugno del 2012: «Per il costante impegno profuso e quale esempio di straordinaria dedizione e coerenza per le giovani generazioni». Penso che non occorra aggiungere altro.

In questo momento triste, in cui ci pare ancora impossibile dover parlare di Margherita al passato, è importante raccontare anche la sua ricerca astrofisica. Una ricerca che forse non è tanto nota al pubblico più giovane che ha conosciuto Margherita più per la sua attività di divulgatrice e di campionessa di battaglie civili che per le sue ricerche. Margherita è stata un’astrofisica a tutto tondo, ma in particolare un’esperta nell’interpretazione delle caratteristiche degli spettri delle stelle, cioè della loro luce dispersa in un arcobaleno di colori da un prisma o un reticolo.

Per avere un’idea di cosa sia uno spettro, osservate il riflesso della luce del sole, o di una lampada, prodotto dalla superficie di un Dvd: la luce colorata che vedrete è appunto uno spettro. Con la spettroscopia Margherita affrontò problemi come la composizione chimica delle stelle e la loro temperatura e gravità superficiale. L’opera «Stellar Spectroscopy», scritta a Berkeley assieme all’astrofisico Otto Struve, è ancora oggi un classico nello studio delle atmosfere stellari.

Quando mi assegnò la tesi, Margherita stava utilizzando osservazioni effettuate con il satellite chiamato Copernicus che aveva sondato il cielo nella banda ultravioletta, preclusa ai telescopi a terra dall’assorbimento dell’atmosfera terrestre. Le osservazioni ultraviolette sono molto interessanti per lo studio delle stelle perché rivelano fenomeni energetici che avvengono in una zona chiamata «atmosfera esterna» con cui la stella sfuma nello spazio interstellare. I gas dell’atmosfera esterna abbandonano la stella a migliaia di chilometri al secondo e costituiscono una importante perdita di massa di cui i modelli teorici di evoluzione stellare devono assolutamente tener conto.

La prima pubblicazione di Margherita con i dati di questo satellite è del 1974 e appare sulla prestigiosa rivista internazionale Nature.

Le osservazioni dello spazio mettono in luce un altro aspetto importante della ricerca di Margherita: lei spingeva sempre per progettare e costruire nuovi strumenti. Così, negli anni’80, a Copernicus seguì Iue, International Ultraviolet Explorer, un altro satellite che vide Margherita, e molti suoi collaboratori, nuovamente in prima fila e che produsse risultati che ancora oggi hanno un ruolo chiave nell’astrofisica moderna.

* Inaf-Osservatorio Astronomico di Trieste


-  Margherita. Il volto dell’astrofisica
-  È morta Margherita Hack, aveva 91 anni
-  Studiosa di grande valore: è stata la prima donna a dirigere un osservatorio

-  di Cristiana Pulcinelli (l’Unità 30.06.2013)

26 febbraio 2013. «Margherita, hai sentito la storia della carne di cavallo trovata nei tortelli al manzo? Vuoi fare un commento?» «Mah, non saprei che dire. Per me, manzo o cavallo, sempre di cadaveri di bestie innocenti si tratta. Invece vorrei parlare delle elezioni». E giù a cascata: Grillo, il Cavaliere, la sinistra e un elenco puntuale di tutto quello che c’è da fare per il Paese. Ecco Margherita: franca, diretta. Se stavi zitto zitto sentivi, dietro la sua voce roca, anche il suo pensiero: «Te tu sei grulla a parlare di carne quando c’è da rimettere in piedi l’Italia». Naturalmente, aveva ragione lei.

Per quasi due anni ci siamo sentite, io e Margherita, ogni due settimane. Un appuntamento fisso per commentare i fatti degli ultimi giorni. La sua rubrica per l’Unità, “Pan di stelle”, nasceva così: Margherita di che parliamo oggi? E lei, pronta, aveva sempre un tema forte su cui intervenire. Solo una volta mi disse: «Oddio, mi ero dimenticata, ora ho una riunione e tra due ore parto». Silenzio. «Va bene, chiamami tra mezz’ora».

A novant’anni le bastava mezz’ora per leggere i quotidiani, che lei comprava tutti i giorni, e farsi un’idea di come stavano le cose. Poi diceva la sua. Sempre. Con la forza dell’indignazione e la leggerezza di un linguaggio semplice. Erano, le sue, parole in cui molti si riconoscevano, tant’è vero che i suoi articoli pubblicati sul quotidiano on line erano tra i più commentati dai lettori.

Ora Margherita non c’è più: è morta nella notte tra venerdì e sabato nel polo cardiologico dell’ospedale di Cattinara a Trieste dove era ricoverata da una settimana. Dicono che con lei ci fosse Aldo, suo marito da settant’anni. Non si separavano mai, lei e Aldo. Anche ultimamente, quando già non stavano più bene, ma lei ancora girava per l’Italia per tenere conferenze, si presentavano insieme, ognuno sulla sua carrozzella. Così li abbiamo incontrati a fine marzo alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna.

Margherita parlava ai ragazzi di stelle e galassie e Aldo in ultima fila ascoltava quello che chissà quante altre volte aveva sentito dalla sua Marga (così la chiamava). E quando Aldo dava qualche segno di impazienza perché l’incontro si dilungava troppo, Marga sorrideva e gli faceva segno: tranquillo, ora si va. Lei atea, lui cattolico. Lei scienziata, lui letterato. Marga e Aldo si completavano a vicenda. Lei il 12 giugno aveva compiuto novantuno anni. Lui, che ne ha due di più, ora sarà solo.

Anche noi saremo un po’ più soli. Ci mancherà la sua voce, il suo sguardo limpido, la sua simpatia. E quell’intreccio di qualità costruite in una lunga vita. Margherita Hack, infatti, era tante cose. Una sportiva, prima di tutto. Nell’atletica ebbe anche alcuni importanti riconoscimenti: quando aveva vent’anni vinse i campionati universitari nazionali per il salto in alto e il salto in lungo e in seguito arrivò terza in due campionati italiani assoluti. Ma anche con la bicicletta non se la cavava male.

Raccontava che alla fine degli anni 30 per la tradizionale gita di ferragosto decise di andare e tornare da Viareggio in giornata su due ruote: circa cento chilometri di pedalate. E la bici l’avrebbe usata fino oltre gli ottant’anni. Amava anche la pallavolo che continuò a giocare fino a quando «le ginocchia di titanio» non le impedirono di saltare. Diceva che dallo sport aveva imparato molto: a essere più sicura di sé e ad affrontare la vita come si affronta una gara: «Con la voglia di vincere».

Naturalmente, era una scienziata. Astrofisica, per la precisione. Margherita Hack è stata la prima donna italiana a dirigere un osservatorio astronomico, quello di Trieste, alla cui testa è rimasta per 23 anni. Membro dell’Accademia dei Lincei e delle più prestigiose società astrofisiche. Ma era anche una divulgatrice.

La ricordiamo spiegare con pazienza a un pubblico televisivo di qualche anno fa che «l’astronomia è una scienza, l’astrologia una superstizione», e raccontare a bambini di oggi che le stelle non sono niente di immaginifico e romantico, ma semplici palloni di gas che bruciano, come una centrale nucleare, a grande distanza da noi. Grazie alla sua capacità di raccontare, Margherita ha scritto moltissimi libri di divulgazione per adulti e per ragazzi.

Era vegetariana «senza merito», diceva, perché lo erano i suoi genitori. Ma poi l’amore per gli animali e la convinzione che si debba loro restituire il diritto a una vita libera e priva di sofferenze aveva rafforzato la sua scelta di non mangiare carne. Adorava i gatti, di cui si circondava, e i libri che riempivano tutti gli angoli della sua casa triestina.

Amava la politica. Apprezzava le battaglie a viso aperto e ne ha condotte molte contro la corruzione, contro lo spreco di denaro, contro i privilegi. Ma credeva nel dialogo. Da atea, dichiarava: «Ateo e credente possono anche dialogare, a patto che ambedue siano laici, nel senso che rispettino le credenze o le fedi dell’altro senza voler imporre le proprie». La ringraziamo anche per questo.


-  Una scienziata militante che si batteva per i diritti
-  In prima linea, sempre, e non solo per la Ricerca
-  Animalista, ecologista, femminista. Le battaglie per la libertà di culto e l’impegno politico

-  di Pietro Greco (l’Unità, 30.06.2013)

Si è spenta ieri a Trieste Margherita Hack, la «signora delle stelle». Forse il volto più noto della scienza italiana. Certo il più amato. Con lei il Paese perde una grande figura. Anzi, un modello. Uno dei pochi modelli popolari, ma non populisti, in cui gli italiani ancora si riconoscevano. E non solo d’istinto.

Margherita Hack aveva un’indubitabile capacità naturale di entrare in sintonia con le persone. Ma l’immediata simpatia che suscitava non era solo frutto della sua verve tipicamente fiorentina. Era anche e soprattutto il frutto di un «modo di vivere» il suo essere donna di scienza. Margherita era una «scienziata militante», con una fede illuministica nella forza della ragione - della ragione al servizio dell’umanità - che riusciva a trasmettere toccando la mente (e i cuori) di tutti grazie alla sua libertà di pensiero. E alla trasparente, intransigente, rigorosa, generosa, disinteressata coerenza con cui la rappresentava, la sua libertà di pensiero. Suscitando empatia anche quando navigava - e succedeva spesso - contro corrente. È con la sincerità senza calcoli che Margherita Hack, anche a novant’anni, riusciva a parlare ai giovani. A entrare in empatia coi giovani.

E stata una grande donna di scienza, Margherita Hack. Non solo perché è stata una delle prime a rompere «il tetto di cristallo» e la prima donna italiana in assoluto a dirigere un osservatorio astronomico, quello di Trieste. Ma anche e soprattutto perché, nel corso della sua direzione durata dal 1964 al 1987, lo ha trasformato da piccolo osservatorio di provincia in un centro di ricerca di valore internazionale. Lei stessa si è affermata come grande esperta di spettroscopia stellare. È stata una grande comunicatrice, Margherita Hack.

Pochi, come lei, sapeva parlare di scienza catturando l’attenzione dei pubblici più differenti. Ha fondato e diretto per anni una rivista L’Astronomia. Ha scritto sui giornali (è stata una delle collaboratrici più entusiaste e seguire dell’Unità). Ha bucato il video come, forse, nessun altro scienziato italiano. Non mancava davvero occasione di parlare alla radio, con la sua inconfondibile cadenza.

Ha scritto una quantità enorme di libri di successo. Ha fatto teatro. Ha tenuto conferenze, riempiendo sempre le sale. Ciascuna di queste attività - ciascuna di queste qualità - meriterebbe un approfondimento. Tuttavia la dimensione maggiore della sua figura è quella di «scienziata militante».

Capace di uscire dalla «torre d’avorio» e di mettere il suo illuminismo convinto fino all’ingenuità a disposizione di tutte le cause, piccole e grandi, di progresso sociale e civile.

Animalista convinta, circondata da cani e soprattutto gatti, si è battuta per affermare uno stile alimentare rigorosamente vegetariano oltre che contro ogni sofferenza inutile inferta ai suoi amici semoventi.

Atea convinta, si è battuta per il rispetto della libertà religiosa.

Ecologista convinta, si è battuta per le centrali nucleari. Icona delle donne in bicicletta, si è battuta per il diritto a guidare l’auto anche in tarda età se in possesso dei giusti requisiti fisici.

Femminista convinta, non si è mai pianto addosso. I diritti alla parità vanno conquistati con forza e determinazione quotidiana, diceva, da parte delle donne. Tra le cause per cui si è spesa di più c’è quella della ricerca scientifica.

Ma la sua battaglia non è mai stata corporativa. Credeva che la scienza è fonte di progresso intellettuale e civile per tutti. E che i risultati della ricerca, se applicati a beneficio di tutti, sono fonte di progresso sociale ed economico generale.

In questo senso intendeva anche il suo impegno nella comunicazione e a fianco dei comunicatori. Non c’è giornalista scientifico italiano che non ne abbia apprezzato l’impegno, la disponibilità e la modestia. Non c’è giornalista scientifico italiano che non l’abbia considerata un’amica.

Ma Margherita era una militante politica anche in senso tecnico. Ha dato la sua faccia e la sua voce a molti partiti, sempre di sinistra. Si è candidata a mille cariche, dal consigliere comunale e deputato nazionale. Non si è mai seduta su una sedia. Se non quella, forse, di consigliere comunale a Trieste.

Molti, tra i suoi colleghi ricercatori, hanno mosso qualche critica a questa presenza continua di Margherita nella vita pubblica. Esponendoti troppo, non esponi solo te stessa - dicevano - ma anche la scienza. Ma lei alzava le spalle e tirava avanti diritto.

Non ricordavano, i suoi colleghi, che quasi tutti i più grandi uomini di scienza - da Darwin a Einstein, da Russell e Bohr, da Maria a Elena Curie, da Maria Montessori a Rita Levi Montalcini - sono stati «scienziati militanti» e hanno prestato nome, volto e impegno a grandi cause sociali e anche politiche.

Non si accorgevano, i suoi critici (pochi per la verità), che la fiorentina Margherita non faceva diversamente. Non si accorgevano i suoi colleghi che con la sua schietta passione a favore dei più deboli, Margherita ha contribuito a «umanizzare» la scienza. Ovvero, a creare una percezione diffusa che gli scienziati sono uomini. Come gli altri. Spesso migliori degli altri. Un’operazione preziosa, in un paese che non comprende la scienza. Grazie, Margherita.



-  Sul sito Internet del Museo nazionale della scienza «Leonardo da Vinci» di Milano
-  «Il volto e la voce di Margherita Hack sugli schermi del nostro museo»

di Giovanni Caprara (Corriere della Sera, 01.07.2013)

MILANO - Chi entra nel sito Internet del Museo nazionale della scienza «Leonardo da Vinci» può ascoltare Margherita Hack mentre racconta le sue storie celesti. Ma non solo. «Margherita sapeva bene quanto fosse importante comunicare e in particolare con i giovani», nota Fiorenzo Galli direttore generale dell’istituzione milanese. «Nelle nostre sale - aggiunge - la sua voce e la sua presenza hanno animato numerosi incontri che rimarranno nella memoria per gli stimoli che era capace di trasmettere». Arrivava sempre accompagnata dall’inseparabile Aldo, compagno di una vita e pronto alla battuta ironica. «Margherita era la nostra protagonista delle stelle - continua Galli - presentandoci le ultime conquiste dell’astronomia in affollate occasioni che coinvolgevano anche altri illustri protagonisti della scienza: dal genetista Edoardo Boncinelli a Giulio Giorello, dalla spaziale Amalia Ercoli Finzi del Politecnico milanese all’architetto Mario Botta, a Umberto Veronesi». Il direttore la ricorda così: «Ciò che affascinava e coinvolgeva, era la sua capacità di presentare con parole semplici e comprensibili concetti complessi. Non aveva bisogno di grafici, di proiezioni, le bastava la parola. E ascoltandola faceva venire voglia di occuparsi di scienza». Ma la seduzione della scienziata andava oltre l’ambito specifico dell’astronomia. «La semplicità delle sue storie era lo specchio del suo animo e della sua intelligenza. Poco incline a curare l’aspetto esteriore, si preoccupava invece di comunicare il suo pensiero con correttezza. Sosteneva con forza le idee in cui credeva, talvolta controcorrente soprattutto in materia religiosa o politica, senza tuttavia imporre la sua visione e arricchendo il confronto. In un mondo di voltagabbana Margherita non cambiava idea, non modificava il suo modo di vedere adattandolo alle circostanze. In altre parole offriva un valore prezioso in questi momenti: la certezza di idee chiare manifestate con forza». Margherita Hack con la presenza, gli articoli e i libri diventò la scienziata più popolare del nostro Paese avvicinando al suo mondo persone poco aperte alla scienza. «Nonostante ciò - dice Galli - non si è mai costruita un personaggio da vendere, come spesso accade quando la notorietà entra nelle nostre vite.

Margherita era semplicemente se stessa, senza calcoli, sia in pubblico sia in privato, nella casa scavata tra i libri mentre cani e gatti correvano tra gli scaffali, con lei sempre pronta e rispondere alle mille telefonate di chi le chiedeva i pareri più disparati. Le portammo un premio assegnato dal comune palermitano di Isnello, una semplice targa, e i suoi occhi brillavano dalla contentezza: era grata per la riconoscenza che le avevano dimostrato».

Nei prossimi giorni chi varcherà la soglia del Museo Leonardo da Vinci nei grandi schermi della sala d’ingresso troverà l’immagine Margherita Hack che continuerà a parlare della sua vita e delle sue scoperte. «E sarà solo l’inizio di altre iniziative - conclude Fiorenzo Galli - perché non dobbiamo dimenticare una grande donna e una grande scienziata».


SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:

-  ARITMETICA E ANTROPOLOGIA. UNA DOMANDA AI MATEMATICI: COME MAI "UN UOMO PIU’ UNA DONNA HA PRODOTTO, PER SECOLI, UN UOMO" (Franca Ongaro Basaglia)?
-  Non è il caso di ripensare i fondamenti?!

-  CONTRO IPAZIA, IERI E OGGI: NON SOLO IL VESCOVO CIRILLO, MA ANCHE IL VESCOVO COL PALLIO, PAPA BENEDETTO XVI. Materiali sul tema


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