PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO. ANCORA NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN !!!

LA FILOSOFIA "DANNOSA" PER LA DEMOCRAZIA: RORTY NON AVEVA TUTTI I TORTI. Una riflessione di Franca D’Agostini su una crisi epocale - a c. di Federico La Sala

Rorty arrivava al punto di dire che la filosofia è «dannosa» per la democrazia. Oggi la dichiarazione sembra perlomeno enigmatica, essendo diventato chiaro (specie in Italia) che il danno consiste in tutt’altro.
venerdì 12 aprile 2013.
 

Il futuro della democrazia: torniamo a Socrate

-  Il pensiero nel senso socratico è l’unica arma che abbiamo per inseguire la felicità personale e collettiva
-  La capacità di argomentare e di ragionare lega il socratismo alla democrazia
-  Le parole di Heidegger: «Ciò che più ci dà da pensare è che non abbiamo ancora incominciato a pensare»

di Franca D’Agostini (La Stampa, 11.04.2013)

Forse l’idea più assurda che sia stata sostenuta nella filosofia del Novecento è l’idea dell’incompatibilità di filosofia e democrazia. A sostenerla esplicitamente è stato Richard Rorty, il filosofo dell’ironia e della filosofia post-filosofica, ma con più o meno esplicita convinzione, anche molti altri, niente affatto rortyani, l’hanno caldamente condivisa. Rorty arrivava al punto di dire che la filosofia è «dannosa» per la democrazia. Oggi la dichiarazione sembra perlomeno enigmatica, essendo diventato chiaro (specie in Italia) che il danno consiste in tutt’altro.

Già, ma quale filosofia? Il termine è sempre stato piuttosto vago, e oggi sembra esserlo ancora. Da qualche tempo però circola l’idea che il socratismo, ovvero quel tipo di pratica intellettuale esercitata da Socrate, sia il tipo di filosofia che non solo non è dannosa, bensì è utile anzi forse essenziale in democrazia. A sostenere una versione influente di questa idea è stata Martha Nussbaum, in vari scritti. Però per Nussbaum quel che serve del socratismo è anzitutto «la vita esaminata», che ci porta al «rispetto» e alla «comprensione» degli altri: vale a dire la capacità di capire i bisogni, le speranze, in una parola l’interiorità, altrui. Certamente, il paradigma socratico prevedeva anche questo: secondo alcune interpretazioni (per esempio quella di Giovanni Reale) è Socrate l’inventore dell’anima, o anche dell’interiorità pensante.

Ma questa figura di Socrate sembra un po’ tenue, e comunque troppo gentile per essere utile nella sfida che la vita democratica presenta ogni giorno. Certo l’appello a pensare, riflettere, e tenere conto degli altri, è buona cosa: ma davvero tutto sta solo lì? Davvero l’ironico pensatore che condannato a morte prende in giro i suoi giudici è destinato a funzionare storicamente come questa specie di gentile signore benpensante, e sostenitore del buon pensiero?

Credo di no. Anzi rovescerei l’ipotesi. Ciò che veramente lega il socratismo alla democrazia credo sia anzitutto l’arte dialettica, come arte di pensare e ragionare e argomentare, che Socrate condivideva con i sofisti, contrapponendosi però al modo narcisistico e formalistico in cui loro la esercitavano, e lanciando il primato dei concetti di bene , vero (to alethes), reale nel lavoro del pensiero.

Era questo in definitiva ciò che di Socrate fu il primo tratto riconosciuto, nelle opere di Platone. E il termine «filosofo» entra definitivamente nell’uso, nella lingua greca, nel IV secolo a. C., proprio in relazione a questa sottile ma decisiva differenza tra Socrate e i sofisti. Socrate è filosofo in quanto argomenta e pensa «bene» con abilità e scioltezza, come i sofisti, e come loro esercita il pensiero critico e scettico, ma a differenza dei sofisti argomenta in funzione del vero, e del bene, perché sa che questa è la prima fonte dell’ eudemonia, la felicità propria e altrui.

Nell’aprire i lavori di Biennale Democrazia, Zagrebelsky lancia un’idea che più socratica non potrebbe essere: la felicità del pensiero. In effetti è proprio questa l’idea che i filosofi attraverso i tempi hanno ripetuto: la vita filosofica, la vita del pensiero, è la più felice.

Nietzsche odiava questa idea, perché la interpretava come rifiuto dell’energia della vita biologica, e rifugio in una forma di astratto e malato intellettualismo. Dimenticava che tra i continuatori di Socrate vi furono i cirenaici, grandi teorici del primato del piacere, e i cinici, nemici dell’intelletto al potere.

Ma soprattutto dimenticava una questione assolutamente semplice, banale, pragmatica: che il pensiero nel senso socratico è l’unica arma di cui disponiamo, in democrazia, per inseguire la felicità personale e collettiva. E possiamo usarlo bene (per il bene proprio e altrui), o male (scambiando per bene quel che è male, per noi stessi e/o per gli altri). Ma Nietzsche non era certo un democratico, né pretendeva di esserlo.

Se teniamo conto di tutto questo, emerge il punto principale, che Nussbaum e gli altri socratici contemporanei non osano dire: che la democrazia è filosofia al potere. Non il potere dei filosofi (errore di Platone), e neppure della disciplina accademica o scienza chiamata filosofia (errore di Hegel), bensì proprio e solo potere di quel pensiero critico, scettico e dialogico che a partire da Socrate si chiamò appunto filosofia. Se non ha potere quel pensiero, quella pratica, per tutti gli individui del demos, politici inclusi, la democrazia diventa un gioco ridicolo, di cui devono occuparsi i pubblicitari o i consulenti d’immagine. Oppure diventa un caos di interessi divergenti, che confliggono senza senso e senza giustizia. O diventa il grande e insulso teatro in cui si sbizzarriscono falsificatori e manipolatori di ogni genere.

La buona notizia è che la filosofia si impara: era questa la grande scoperta della paideia greca. E in effetti bisognerebbe incominciare dalle scuole elementari a impratichirsi con il socratismo, con tutte le sue formule: il concettualismo e il metodo delle definizioni (saper usare bene le parole e i concetti), l’ironia e la coscienza della propria ignoranza (mettere in ridicolo gli snob, e non credersi migliori degli altri), il gioco dialettico e dialogico che guida la ricerca del bene proprio e altrui (imparare a discutere e ad ascoltare), vedere e conoscere il mondo delle idee (saper immaginare mondi possibili, migliori).

«Ciò che più ci dà da pensare, diceva Heidegger, è che non abbiamo ancora incominciato a pensare». Forse per questo è così difficile realizzare la democrazia: non abbiamo ancora incominciato a essere davvero democratici, che vuol dire: a essere liberi nel pensiero. Ma questa non è una nostra colpa: in fin dei conti la democrazia è una giovane creatura della nostra specie. Dopo la parentesi greca, il pensiero democratico, lo sappiamo, ha avuto vita difficile, ed è solo nell’Ottocento che il demos, il vero portatore del socratismo, ha incominciato ad affacciarsi nella storia, e diventare protagonista.


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