La bussola del Presidente
di Mario Monti *
Il Presidente della Repubblica non guida la politica del Paese. Ma può, restando nei suoi poteri, esercitare una leadership. Con essa, può offrire orientamento ai cittadini e al mondo politico.
Ascoltando il messaggio di Giorgio Napolitano, sapevo di non potermi attendere l’annuncio di decisioni. Cercavo una cosa più rara e importante, in un momento così confuso: l’orientamento, una visione nella quale riconoscersi, sull’Italia, la crisi, la politica. La visione mi è parsa nitida e forte. Ne ho colti quattro capisaldi.
L’atteggiamento. A fine 2008 il Presidente indicava «l’atteggiamento da tenere dinanzi alla pesante crisi»: dobbiamo considerarla come «grande prova e occasione per aprire al Paese nuove prospettive di sviluppo». Rispetto a questo metro di valutazione, il suo giudizio dopo un anno appare incoraggiante, ma non soddisfatto. Grazie al «serio sforzo» compiuto dalla comunità internazionale e da quella italiana - «Paese» e poteri pubblici - «guardiamo con fiducia, con più fiducia del 31 dicembre scorso, al nuovo anno». Ma sulle politiche per dare all’Italia nuove prospettive di sviluppo, «il discorso resta ancora interamente aperto».
Il Paese. Risiede sul colle più alto, il Presidente, ma è un attento osservatore delle realtà locali. Ed è «guardando a quel che si è mosso nel profondo del nostro Paese» che nutre una fondata fiducia. «Nel tessuto più ampio e profondo della società si è reagito alla crisi con intelligenza, duttilità, senso di responsabilità».
Con garbo, Napolitano sembra invitare i protagonisti della politica a posare anch’essi lo sguardo un po’ più in basso: «In realtà, non è vero che il nostro Paese sia diviso su tutto: esso è più unito di quanto appaia se si guarda solo alle tensioni della politica».
La politica. Se il suggerimento verrà colto, si potrà avere «un ritorno di lucidità e di misura nel confronto politico», che gioverebbe alle stesse forze politiche. «Esse- diceva il messaggio di un anno fa - possono guadagnare fiducia solo mostrandosi aperte all’esigenza di un impegno comune, ed esprimendo un nuovo costume».
Predica inutile? Non proprio. «Lo so bene - osserva Napolitano (con elegante understatement, se si pensa agli attacchi personali che ha ricevuto da più parti) - abbiamo vissuto mesi molto agitati sul piano politico, ma ciò non deve impedirci di vedere come si sia operato in concreto da parte di tutte le istituzioni, realizzandosi, nonostante i forti contrasti, anche momenti di impegno comune e di positiva convergenza».
Le riforme. L’impegno comune è necessario per le riforme, chieste con vigore dal Presidente: quelle istituzionali e quelle, «da non rinviare», nel campo economico e sociale. «L’economia italiana deve crescere di più emeglio che negli ultimi quindici anni: ecco il nostro obbiettivo fondamentale». Egli registra positivamente le riforme annunciate dal governo sugli ammortizzatori sociali e sul fisco. Invita a presentare «un’analisi e una proposta d’insieme».
Quello di Napolitano non è un discorso di politica economica. Ma i temi sui quali sollecita l’azione - il Mezzogiorno, i giovani, l’equità sociale - sono legati da una stringente logica economica. Senza risultati su questi fronti, l’Italia sarebbe frenata nella crescita. E non riuscirebbe neppure ad essere un’«economia sociale di mercato», per mancanza di «sociale» e conseguente rigetto del «mercato».
Mario Monti
* Corriere della Sera, 02 gennaio 2010
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
Napolitano: "Fine anticipata legislatura mi ha rammaricato e preoccupato" Nel discorso in occasione degli auguri di fine anno alle alte cariche dello Stato, il presidente lancia pesanti rimproveri alle forze politiche: "Imperdonabilmente grave fallire la prova della riforma elettorale" *
ROMA - Anche se si va verso lo scioglimento delle Camere "con una lieve anticipazione rispetto alla scadenza naturale", "brusca è stata di certo l’accelerazione impressa" dall’annuncio delle dimissioni del premier Monti. Lo ha affermato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano durante la cerimonia per lo scambio degli auguri con le alte cariche dello Stato al Quirinale.
L’incarico al prossimo premier. "Avevo rivolto un invito ad una costruttiva conclusione della legislatura nella convinzione del grande e decisivo valore per l’Italia della continuità e stabilità, spesso trascurato in storia repubblicana", ha detto ancora il capo dello Stato, sottolineando come la conclusione "non piena in extremis" della legislatura ha suscitato "rammarico e preoccupazione per il suo brusco esito finale". Inoltre, altra conseguenza delle dimissioni del governo Monti, ha osservato il presidente, è che "mio malgrado toccherà a me dare l’incarico al nuovo governo".
Guai a bruciare recupero di fiducia. "Stiamo passando un guado molto faticoso, per portare l’Italia fuori dal pantano di un soffocante indebitamento pubblico, per giungere a porre lo sviluppo del Paese su fondamenta più solide, in tutti i sensi, più equilibrate, per guadagnare in dinamismo e coesione", ha ricordato Napolitano. Secondo il presidente "i giudizi per i risultati ottenuti" dal governo Monti "possono divergere ed è possibile che si facciano più divergenti nel fuoco della battaglia elettorale" e proprio per questo "voglio mettere in guardia perché in quel fuoco polemico non si bruci il recupero di fiducia nell’Italia che si è manifestato nella comunità internazionale e nei mercati". "Attenzione - ha avvertito ancora - è in gioco il Paese, il nostro comune futuro e non solo un fascio di voti per questo o quel partito".
Il cammino in Europa. E il futuro per il Quirinale non può che essere nel segno dell’Europa. In vista delle elezioni "a ogni forza politica spetterà il dovere della proposta e l’onere di provarne la sostenibilità, ma non mi pare eccessivo dire che se su molti temi importanti resta intatta la competizione e la distinzione, per la posizione dell’Italia in Europa il cammino è segnato e definito", ovvero quello di "un’Europa che avanza verso una piena integrazione economica e politica".
Una legislatura perduta. Napolitano ha espresso quindi tutto il suo rammarico per il fallimento del cambio di sistema elettorale. E’ stato "imperdonabilmente grave fallire la prova della riforma elettorale del 2005", ha accusato. Più in generale secondo Napolitano da un punto di vista delle riforme quella che si avvia a conclusione è stata "una legislatura perduta", in cui "anche modeste iniziative mirate sono naufragate". "Avviandosi e consolidandosi un clima più disteso nei rapporti politici speravo in un sussulto di operosità riformatrice del modo di essere dei partiti, del loro rapporto con i cittadini - ha ricordatoil capo dello Stato - ma sono state aspettative troppo fiduciose o avanzate, contro le quali si è fatto sentire tutto il peso di resistenze e antichi ostacoli radicati". Questa incapacità della politica di riformarsi, ha aggiunto Napolitano, ha fomentato "il corso limaccioso dell’antipolitica e del qualunquismo istituzionale", aggravato dagli "indegni abusi di denaro pubblico" perpetrati "da eletti nei consigli regionali".
I compiti per il futuro. Nella legislatura che verrà, ha ammonito ancora, "serve una nuova stagione di rigore e un nuovo slancio di laboriosità e unità, serve un lavoro di lunga lena" e i "prossimi 5 anni sono un tempo congruo per il cambiamento e le riforme che servono all’Italia". Tra le molte cose da riformare, Napolitano ha citato in particolare il sistema carcerario. Ci sono "opposizioni e ripensamenti" che rimettono "in forse la legge approvata dalla Camera sulle pene alternative" al carcere e "sta per scadere tempo utile per approvarla al Senato", ha avvertito. "Con quale senso di responsabilità e umanità ci si può sottrarre a un minimo sforzo", si è chiesto il capo dello Stato, per affrontare la "vergognosa realtà carceraria che macchia l’Italia".
La difesa della Consulta. Dopo le accese polemiche dei giorni scorsi per l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, Napolitano nel suo messaggio ha citato anche il rapporto con la magistratura. "Ai magistrati di tutta Italia, da Palermo alla grandi città del Nord, diciamo: andate avanti e fino in fondo con professionalità e rigore, con rispetto delle competenze e dell’equilibrio dei poteri. Siamo così limpidamente al vostro fianco". Dal presidente è arrivata poi anche una stoccata per chi, come Silvio Berlusconi e il pm Ingroia, nei giorni scorsi ha criticato la Consulta. "Al vertice delle istituzioni di garanzia c’è la Corte costituzionale - ha sottolineato - la cui composizione è stata voluta proprio a suggello della sua irriducibile indipendenza da ogni parte politica". Per questo le alte cariche dello Stato devono "esigere assoluto rispetto per l’istituzione, la sua storia, i suoi giudici, devoti all’altissimo ruolo della Corte".
* la Repubblica, 17 dicembre 2012
Rinnegato l’impegno a votare la legge di stabilità.
di RAR *
************************
Legge di stabilità, il Pdl prende tempo
Il Pd: vogliono prolungare la legislatura
Il Pdl chiede più tempo per esaminare la legge e il decreto sulla raccolta delle firme.
(Il Messaggero del 18 dic. 2012)
************************
Scoperto il trucco tipicamente berlusconiano, Monti dovrebbe rassegnare le dimissioni nelle mani del Capo dello Stato.
Il governo Monti è già stato sfiduciato dal PdL ma con l’impegno dello stesso PdL di votare il Patto di Stabilità, ora l’impegno viene meno con la scusa di approfonditi ed esami, mentre è chiaro che temono le votazioni che li ridurrebbe al grado di insignificanti comparse, mentre in atto hanno la maggioranza relativa con la quale esercitano il ricatto, rimasto il solo mezzo nelle mani dell’ex premier.
E’ molto probabile che sperano di arrivare alle elezioni del Capo dello Stato e imporre Berlusconi con la maggioranza che si ritrovano, alla quale vanno aggiunti i voti della Lega che difficilmente supererà il quorum in elezioni anticipate e non entrerà in Parlamento.
Per quanto riguarda il Patto di stabilità si ricorra all’esercizio provvisorio... non sarebbe la prima volta.
Berlusconi spera di recuperare tempo per poter dilatare la campagna elettorale, resosi conto che i suoi interventi nelle sue TV non hanno prodotto altro che un fisiologico spostamento insignificante di voti.
E’ chiaro che B. non aspira ad una campagna elettorale, ma vuole uno scontro destabilizzante, per tornare sui temi della grande coalizione dove potrebbe esercitare i suoi ricatti e le sue corruzioni. B. non accetterà mai un isolamento democratico, non glielo consente la sua convinzione (ma solo sua) di essere una grande statista.
Intervenga adesso il PPE licenziando il Pdl dal loro raggruppamento.
* Rosario Amico Roxas
Legge di stabilità, il Pdl chiede tempo
Pd: “Vogliono allungare la legislatura”
Via libera della commissione alle risorse per i Comuni: 150 milioni.
Ma l’approdo in Senato slitta ancora
Cicchitto: «Il testo è stato arricchito,
adesso va esaminato».
Franceschini
parla di «atteggiamento dilatatorio» *
Roma. I partiti pensano alle prossime elezioni politiche e regionali, ma intanto la legge di stabilità non ha ancora terminato il suo iter parlamentare. L’approdo nell’aula del Senato slitta a domani, con il governo che ha posto la fiducia come anche alla Camera (in terza lettura). Non ci sarà il consueto decreto legge milleproroghe di fine anno. Le proroghe, secondo quanto si apprende dal governo, entreranno nella legge di stabilità.
Il Pdl chiede che possano essere esaminati con attenzione sia il decreto sulla raccolta delle firme per le elezioni che la legge di stabilità. Provvedimento quest’ultimo che, osserva Fabrizio Cicchitto, «il Senato ha arricchito di molti elementi». Un atteggiamento che il Pd con Dario Franceschini definisce «dilatorio». «Il Pdl ha chiaramente un atteggiamento dilatorio. Punta ad allungare la durata della legislatura, anche se di qualche giorno, andando contro -sottolinea Franceschini- il percorso indicato dal presidente della Repubblica». La legge di stabilità, attacca l’esponente del Pd, «arriva tardi perché, una volta saputo delle dimissioni di Monti, il Pdl e Schifani hanno rallentato il percorso». Franceschini quindi conferma «l’impegno del Pd ad approvare i decreti nei tempi annunciati». Entro quindi la settimana. Per Cicchitto, però, «c’è un limite a tutto. Vogliomo approvare il decreto che riguarda le elezioni a Camere sciolte?». E per quanto riguarda la legge di stabilità, il capogruppo del Pdl dice che, viste le modifiche apportate al Senato, «posto che voteremo a favore, il tempo per esaminare il testo, sia in commissione che in aula, ce lo vogliamo prendere». Sulla questione posta dal Pdl, si riferisce, è intervenuto anche Gianfranco Fini durante la capigruppo: sul decreto per la raccolta delle firme, ha detto, servono tempi molto rapidi per dare certezza al provvedimento elettorale.
In attesa dell’appuntamento di domani, questa mattina è stata raggiunta l’intesa sulle risorse ai Comuni. Avendo trovato ulteriori 150 milioni di euro, i tagli verranno ridotti complessivamente di 400 milioni. Questi ultimi beneficeranno anche di 20 milioni di un mini-fondo per premiare i virtuosi che hanno adottato bilanci sperimentali, 180 milioni per la flessibilità alle amministrazioni che hanno fino a 5mila abitanti e 600 milioni per tutte. L’accordo tra Parlamento, governo e Anci, per alleggerire la stretta del patto di stabilità interno per gli Enti locali per un totale di 1,4 miliardi di euro, è stato tradotto in un emendamento. La copertura - si legge nella relazione tecnica - arriva, in termini di saldo netto e quindi di competenza, dall’utilizzo dei crediti iva per le imprese e, sul fronte dell’indebitamento netto e fabbisogno e quindi della cassa, dall’utilizzo del fondo per le compensazioni finanziarie a legislazione vigente. Non solo. Questa mattina la Commissione Bilancio ha dato anche l’ok al Milleproroghe, inserito via emendamento nella Legge di Stabilità. Tra le norme “passate” quella che proroga di 6 mesi (a giugno) lo stop agli sfratti e quella che estende i contratti dei precari della pubblica amministrazione fino al 31 luglio, ma anche la riserva del 40% in favore dei lavoratori precari nei concorsi pubblici.
* La Stampa, 18/12/2012
VERSO IL VOTO DEL 2013
Napolitano riceve Monti al Colle: “Sarà il premier a fare chiarezza”
Il pressing di Berlusconi e Alfano
ROMA «Se l’incontro ha fatto chiarezza lo deve dire lui e lo dirà lui». Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lasciando il Senato, risponde così ai giornalisti che gli chiedevano del faccia a faccia di stamane con il presidente del Consiglio Mario Monti.
La domanda specifica rivolta dai cronisti al Capo dello Stato è se l’incontro di stamane con il presidente del Consiglio abbia fatto chiarezza su quello che ci attende nei prossimi giorni. Napolitano ha parlato questa mattina con il premier. Con tutta probabilità si è parlato anche della possibilità che il premier si candidi alle elezioni. Il Presidente della Repubblica non ha mai preso posizione su questa eventualità. Dopo il vertice non c’è stato nessun comunicato ufficiale, solo la frase sibillina di Napolitano: «Sarà Monti a fare chiarezza». Quindi ora la palla passa al Professore, che potrebbe però aspettare la conferenza stampa del 21 dicembre per sciogliere la riserva.
Intanto dal Pdl cresce il pressing su Monti. «L’Italia dei moderati è maggioranza nel paese. Nell’attuale contesto, se lo riterrà, il professor Mario Monti potrà essere il federatore di quest’area. Egli condivide i miei, i vostri, i nostri stessi ideali: quelli della grande famiglia dei Popolari europei», scrive Silvio Berlusconi nel messaggio al convegno “Italia Popolare” mentre a Roma il premier incontrava Napolitano al Quirinale. «Se Monti accettasse l’invito che più volte gli ho rivolto, da ultima a Bruxelles di fronte alla platea del Ppe, non sprecheremo certo un’occasione storica», spiega Berlusconi.«Come nel ’94, però - aggiunge il leader del Pdl - per centrare l’obiettivo della vittoria occorre uscire dagli schemi vecchi e logori, rompere le barriere che si oppongono all’innovazione, mettere in collegamento storie e culture diverse. Dobbiamo rafforzare e ribadire l’unità del nostro partito - rilancia il Cavaliere - , nato dalla volontà di riunire storie e culture diverse la cui divisione, in passato, ha consentito alla sinistra di prendere il potere. È un errore che dobbiamo impegnarci a non ripetere. L’unità del nostro movimento è la premessa per costruire un’aggregazione più vasta».
Sul tema è tornato anche il segretario del Pdl Angelino Alfano: «Ci sono circostanze che la storia offre che possono essere irripetibili» ha detto. «Ora Berlusconi che è candidato dice che noi siamo disponibili a dire che, se Monti ha una capacità aggregatrice maggiore di chiunque altro, la chance che nel 94’ era di Berlusconi ora tocca a Monti raccoglierla. Ci sono due strade per vincere: unire i moderati con la guida di Mario Monti o, se il presidente Monti non si riterrà pronto a cogliere questa occasione che la storia gli consegna, saremo noi capaci di ricostruire l’area» dei moderati «per vincere». Poi, facendo riferimento a Casini: «La nostra grande famiglia europea del Ppe è una famiglia che ha identità di valori, amici ed avversari: questi ultimi stanno tutti a sinistra. Lo dico per chiarire le idee a qualche amico italiano che aderisce al Ppe e immagina di fare governi con la sinistra. Si è popolari europei anche per le alleanze. La sinistra sta dall’altra parte».
Intanto c’è grande fermento in casa Pdl. Alfano con la sua partecipazione ha “disinnescato” il convegno del movimento di Alemanno, Italia Popolare. Il sindaco di Roma è in sintonia con l’ultimo Berlusconi: «Monti potrà essere il nostro interlocutore, l’obiettivo è di tenere tutti insieme perché la sinistra non passi. È fondamentale capire che ci vuole unità di tutto il centrodestra, senza far prevalere le divisioni, ma con un programma e indicazioni chiare e un’alternativa alla sinistra. Pensiamo che Monti possa essere la persona che aggrega tutto questo». L’unico punto di frizione resta la possibile alleanza con la Lega. Il cavaliere ci crede, Maroni per ora declina, e Alemanno scava il solco: «Come sindaco di Roma sono stanco di insulti a Roma e all’Italia. È una condizione chiara per un’eventuale alleanza con la Lega Nord».
Prende forma intanto la fronda Pdl che chiedeva le primarie: «Vogliamo un luogo giusto dove batterci per le nostre idee e per il rinnovamento del paese. Se quel luogo è il Pdl ci batteremo con lui ma lo vogliamo sapere subito. Altrimenti siamo pronti a costruire altro con chiunque vorrà starci». è l’ultimatum lanciato da Giorgia Meloni nel suo intervento a chiusura della manifestazione organizzata con Guido Crosetto (Le primarie delle idee) nel giorno in cui il Pdl avrebbe dovuto celebrare la consultazione poi stoppata da Berlusconi. «Noi oggi scegliamo un altro centrodestra perché quello che c’è - dice Meloni - non va bene e non vogliamo accontentarci. Vogliamo un centrodestra in cui Scajola e le sue case, chi è accusato di mafia e chi ruba migliaia di euro non si autosospenda, ma venga cacciato fuori». Meloni ribadisce che la prospettiva politica tracciata non può essere né con Monti né con Berlusconi la cui candidatura sarebbe «un errore decisivo». «Non serve Monti - afferma - per dire questo a Berlusconi». Meloni, candidata insieme a Guido Crosetto alle prima del centrodestra che non si sono celebrate riafferma la bontà di questa scelta proprio oggi «in cui nel centrosinistra ha perso il rinnovamento. Noi avremmo potuto introdurre partecipazione e rinnovamento».
* La Stampa, 16/12/2012
I quattro valori che ridaranno fiducia agli italiani
di Bruno Forte (Il Sole 24 Ore, 16 settembre 2012)
Quali priorità proporsi per salvare l’Italia? Partendo dalla mia vicinanza alla gente e alla luce del primato del bene comune, da cercare al di sopra di ogni interesse di parte, ne indicherei quattro: rigore, sviluppo, solidarietà e verità. A chi saprà tendere a queste mete in maniera credibile, senza false promesse o menzogne rassicuranti, mi sembra che gli Italiani potranno guardare con fiducia per il loro domani.
Se questa "quadratura del cerchio" apparirà irrealizzabile a sguardi di corta misura, si presenterà invece possibile a quanti sapranno mettersi in gioco con retta coscienza al servizio degli altri. Anzitutto, c’è ancora bisogno di rigore: la parola rimanda a uno stile di serietà, di competenza e di onestà nell’affrontare i problemi, e insieme alla libertà necessaria da calcoli personali o di gruppo per chiedere sacrifici a tutti in proporzione alle possibilità di ciascuno. È lo stile cui - poco più di un anno fa - le maggiori forze politiche rappresentate in Parlamento riconobbero si dovesse far ricorso per evitare il baratro che andava spalancandosi nell’immediato futuro per il Paese.
A chi avesse memoria corta, basterebbe ricordare l’eloquenza dei fatti: l’invito autorevole del Capo dello Stato ai grandi Partiti perché facessero la scelta responsabile di affidare a un gruppo di tecnici, capeggiato con autorevolezza da Mario Monti, le sorti collettive, non sarebbe stato accolto da protagonisti palesemente restii a rinunciare alla ribalta e notoriamente inclini alla litigiosità, se la gravità della situazione non fosse stata avvertita da tutti con urgenza assoluta.
A distanza di dodici mesi, la via del rigore resta ardua, ma è la sola che potrà dare frutti: aver evitato il baratro, essere riusciti a restituire all’Italia credibilità internazionale, aver offerto ai cittadini una preziosa iniezione di fiducia nello Stato, mi sembra merito non da poco. Vanificare tutto questo per sete di potere o interessi estranei al bene comune mi sembra logicamente inaccettabile e inaffidabile sul piano morale.
Al rigore va coniugato lo sviluppo: il coro di consensi su questo secondo punto, già a qualche mese dall’avvio dell’esperienza del governo dei tecnici, è stato così ampio da risultare assordante. Rifuggendo dai populismi delle richieste "tutto e subito", bisogna riconoscere che i tempi di realizzazione di questa seconda meta sono andati allungandosi: ne è ragione la contingenza internazionale e soprattutto la crisi di fiducia innescata nelle istituzioni europee a causa della scarsa volontà comune di passare da un’Europa della sola economia a un’Europa politicamente unita, rilevante sul piano mondiale a partire da unità di opzioni e di mete cui tendere.
L’allungarsi dei tempi della ripresa grava come un macigno sulla vita quotidiana di moltissimi lavoratori e delle loro famiglie. Non si può far colpa, tuttavia, a chi guida una nave su mari in tempesta di non riuscire a raggiungere il porto nei tempi possibili in condizioni normali. Senza fiducia, tenacia e corresponsabilità, senza una generosa partecipazione di tutti coloro che possono concorrere a rimettere in moto la produzione, dalla crisi non si potrà uscire. Aspettarsi tutto da una bacchetta magica o peggio dalle promesse di un imbonitore è insensato. Il tempo necessario per lo sviluppo è condizione eticamente sostenibile, oltre che tecnicamente necessaria, sulla quale non bisogna chiudere gli occhi. Se ognuno fosse pronto a fare la sua parte con generosità e audacia, la barca si rimetterebbe in sesto in tempi più brevi. L’appello alle coscienze di chi può investire in impresa e di chi - come il sistema bancario - può contribuire a dare respiro e fiducia a chi investe, non ammette scusanti.
In questo quadro, un terzo termine viene a profilarsi con indilazionabile urgenza: la solidarietà. Nell’ora della crisi, nella stagione della cinghia stretta e della sobrietà riscoperta come via inevitabile, c’è chi rischia di pagare un prezzo troppo alto, superiore alle possibilità di sostenerlo: i poveri, i socialmente deboli, i senza lavoro, in particolare i giovani cui in misura così alta sono ogginegate possibilità di realizzazione lavorativa dignitosa e stimolante, devono essere al primo posto nell’agenda degli interventi da compiere. Lo stato sociale non può essere smantellato: i tagli agli sprechi vanno fatti, a cominciare dai piani alti degli stipendi e delle spese ("in primis" nei costi della politica!), ma non si può far pagare il conto della crisi a chi è più debole. Chi ha di più sia pronto a dare di più, e chi governa incoraggi e stimoli una simile ridistribuzione delle risorse e della partecipazione di ciascuno alla costruzione della casa comune.
C’è infine una quarta parola che vorrei evocare come necessaria alla rinascita del Paese: la verità. Ce n’è bisogno più dell’aria che respiriamo: l’orgia della frivolezza di un non lontano passato, fatto di consumi e di spese superiori alle nostre tasche, deve essere cancellata per sempre. Occorre chi tenga i conti in regola e non nasconda ai cittadini le difficoltà, i limiti, le possibilità in gioco. C’è bisogno di chi dica la verità anche a prezzo dell’impopolarità e della critica. Soprattutto, va isolato chi ricorra a facilonerie o addirittura a menzogne come arma di lotta politica. Occorrono protagonisti liberi da interessi personali o di "lobbies", pronti a pagare di persona il prezzo necessario per il bene di tutti.
Alla competenza e all’onestà, questi protagonisti dovranno coniugare una forte carica ideale, fatta di amore per gli altri e per la grande famiglia che è il Paese da servire. Questa carica viene da una vita interiore avvezza all’ascolto e al confronto con la verità, che chiede di essere servita con purezza di cuore. A questo stile ci aveva riabituati l’attuale "leadership" del Paese e grave sarebbe tornare al passato. A tutti è chiesto un rinnovato impegno di passione politica, animato dal primato dell’etica, senza cedimenti alle tentazioni del l’anti-politica.
Il premier Monti e il suo “Avvenire” politico
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 16 dicembre 2012)
L’avvenire di Monti si legge su Avvenire. Mentre l’Italia politica si scervella sulle prossime mosse del premier, il giornale dei vescovi riporta - unico tra i media - le parole dirette di Monti sui suoi progetti, le sue alleanze, il suo favore per un Centro riformista alternativo al Pd.
Sul quotidiano dei vescovi i giornalisti Arturo Celletti e Marco Iasevoli scrivono che dopo il vertice di Bruxelles, “lontano da telecamere e taccuini”, Mario Monti “prende fiato e rilancia la sua azione politica”. Non sono parole di chi si ritira a febbraio. “La mia bussola è l’europeismo, il mio progetto è completare una stagione di riforme e restituire luminosità all’Italia...”. Frasi di un leader politico, che detta il programma per il suo schieramento.
CHE IL GOVERNO di Monti fosse “tecnico” è una favola a cui hanno creduto soltanto coloro che amano lasciarsele raccontare. Il governo del premier è stato politicissimo nelle sue scelte, nelle sue rinunce, nelle sue omissioni. Ma qui - e nel seguito della testimonianza verbale riportata da Avvenire - assistiamo alla trasformazione in diretta del premier super partes in uno stratega della campagna elettorale. Assistiamo al colloquio a quattr’occhi tra Bersani e il premier. “Presidente, noi la proporremmo per il Colle”, gli dice il segretario del Pd. Replica Monti e Avvenire riporta testualmente: “C’è un lavoro da finire, di cui avverto la responsabilità. Le riforme vanno completate”.
E si arriva al capitolo Berlusconi. Monti detta: “Non potrei mettermi a capo di una coalizione disomogenea, in cui chi vuole sinceramente le riforme convive con chi le ostacola. Non è questo il mio progetto...”.
Senza giri di parole il premier aggiunge: “È il momento di mettere ogni cosa in chiaro: io non rappresento la continuità con Berlusconi. Abbiamo un’idea diversa di Italia, di Ppe, di area moderata. E non mi presterò mai alle logiche del consenso”. Altrimenti il “mio impegno, non rappresenterebbe nulla di nuovo”. Veramente non avevamo ascoltato il premier usare in Parlamento parole di così netta ripulsa del suo predecessore. Ma questo si può capire, era il governo di emergenza... Da leader in pectore dello schieramento “Monti for President”, il premier mette paletti: “Non è possibile aprire le porte a chiunque”.
La squadra di Mario, così come lui la delinea, mira a emarginare definitivamente Berlusconi, impedendogli di pesare sul futuro governo, e mettere invece insieme il Pdl “responsabile”, l’Udc e Montezemolo. Con le sue parole: “C’è spazio per la società civile e il rinnovamento, ma anche per la buona politica , per coloro che hanno sostenuto senza esitazioni questo governo, per gli europeisti convinti, per chi non opporrà resistenze corporative alle riforme di cui ha bisogno il Paese”.
Nella sfera di cristallo di Avvenire, che non indulge abitualmente a fantasiose ricostruzioni e che con queste dichiarazioni in diretta diventa canale privilegiato di un’operazione politica - che vede i vertici ecclesiastici interessatissimi a costruire un baluardo contro il possibile avvento di un governo a guida Bersani - vediamo il premier volere un progetto (sono parole sue) “serio, realista, riformista”. Altrettanto sue sono le parole, che definiscono questo progetto epurato dalle pulsioni di destra anti-europea e “alternativo alla sinistra”.
E qui si possono chiudere i taccuini e tirare le somme. Attraverso il giornale dell’episcopato apprendiamo che Monti è pronto a dare il patronato a una lista, che lo candida presidente (o se proprio non ci si riesce, allora una lista Udc, una Montezemolo e una del Pdl smacchiato, convergenti sul suo nome). I vertici ecclesiastici tifano e premono disperatamente per questa soluzione - in diretta connessione a livello europeo con i leader del Ppe - perché sanno che l’Udc e Montezemolo da soli, agitando l’indefinita “agenda Monti”, non sfondano elettoralmente. Perché non riescono nemmeno a copiare l’agenda sociale dell’ultimo Messaggio per la pace di Benedetto XVI.
Il segretario del Pdl Alfano si precipita dal cardinale Ruini per riaccreditare la sua parte politica. Ruini è responsabile della Cei per il “Progetto culturale”, ha scritto un recente libro “Intervista su Dio”, perché ritiene che la questione-Dio sia un discrimine per la società moderna. Dovrebbe avere altri obiettivi. Ma intanto accetta che si sappia dappertutto che tratta con un leader partitico e ne “incontro altri” in vista delle elezioni.
Monti ha sempre considerato e trattato le gerarchie cattoliche come un potere forte su cui appoggiarsi. Ultimo regalo il non avere indicato come causale dell’8 per mille statale l’“aiuto ai terremotati dell’Emilia” per non entrare in concorrenza con l’8 per mille ecclesiastico. Per salvare le apparenze il premier (leggiamo su Avvenire) fa sapere: “ Non diventerò mai uomo di parte, non sarò organico ad alcun partito e ad alcuna ideologia politica”.
Fragile foglia di fico. La differenza tra capeggiare una lista o uno schieramento politico è piuttosto evanescente. Si spiega così l’ira di D’Alema. Ancora pochi giorni e l’ultimo velo cadrà. Venerdì Mr. Monti-bis si manifesterà: “Indicherò un’agenda precisa, con quella dovranno misurarsi tutti quelli che ci stanno”.