ABBAZIA FLORENSE/ La politica inizia a muoversi.
Appello di Infiltrato a vescovo e casa di riposo
di Emiliano Morrone *
Ieri si è tenuto a San Giovanni in Fiore (Cosenza) il consiglio comunale sulla casa protetta per anziani ubicata nell’Abbazia florense. A lungo dormiente, la vicenda è stata sollevata da Infiltrato e dal Comitato civico che si batte per la tutela dell’edificio, del XIII secolo.
Quello dell’Abbazia florense - restauro pagato dall’Ue fermo da anni, crepe, interessi privati e degrado imperdonabile - non è un caso locale, ristretto, di provincia. Lo hanno capito molto bene i nostri lettori e quanti, grazie alla rete, hanno conosciuto l’importanza del monumento e di Gioacchino da Fiore.
Il sapere del profeta è espresso dai quattro rosoni circolari sopra l’abside, che una grave lesione attraversa nel silenzio del potere. Una ferita al cuore della storia, che precede e segue Dante Alighieri, il quale colloca Gioacchino nella luce del Paradiso, con un significato ben più alto del nozionismo scolastico, della catechesi letteraria.
Gioacchino era un uomo di spirito, severo e visionario; uno che immaginava la giustizia in questo mondo, in questa vita; un monaco, non un vescovo, che oggi avrebbe bastonato banchieri e potenti del pianeta.
Gioacchino pensava alla giustizia come risultato dell’armonia generale e della responsabilità di ciascuno, in un sistema contrario all’odierno asservimento collettivo, frutto del capitalismo disumano, selvaggio, ingannevole e vorace. Gioacchino sarebbe stato il riferimento di una rivoluzione che avrebbe incluso, se non avessimo avuto una lunga e schifosa ambiguità nello Stato, i martiri siciliani della libertà. Mi riferisco a Giovanni Falcone, a Paolo Borsellino e agli agenti saltati in aria per le bombe del ‘92.
Jorge Luis Borges avrebbe fatto di Gioacchino un personaggio onnipresente, raccontandoci della sua influenza in Messico o nella fabbrica della Sistina; nei viaggi di Cristoforo Colombo o nelle inquietudini di Martin Heidegger.
Gioacchino e l’Abbazia florense sono anche un bel un pezzo di storia della Calabria, di questa terra violentata dall’affarismo, della sua gente costretta a sopportare, a ingoiare veleni quotidiani, a nutrirsi di paure e promesse. A infossare la dignità e la verità.
La Calabria è il luogo del possibile, dell’infinitamente possibile: dove il male s’innesta nel bene e non c’è mai una distinzione netta, nonostante l’opera di coraggiosi incorruttibili; come Nicola Gratteri, Pierpaolo Bruni, Renato Bellofiore, Giacomo Saccomanno, Jacopo Rizzo, Orfeo Notaristefano, Mauro Minervino, Domenico Monteleone, Roberto Bonina e Angela Napoli.
La Calabria è la regione dell’arretratezza: i treni procedono come la speranza popolare, fiacca, azzoppata o soppressa. Ma è pure la regione in cui si può speculare più facilmente, grazie alle connivenze, al teatro delle istituzioni e all’accettazione della meschinità furba come motore dell’economia.
La vicenda dell’Abbazia florense, offesa, martoriata, predata, è lo specchio della Calabria in croce, agonizzante, affidata a funzionari pubblici che pensano ai cazzi loro e, nella migliore delle ipotesi, sono talmente stanchi da abbandonarsi al solitario del pc.
Infiltrato ha documentato irregolarità e complicità, comportamenti immorali o imbarazzanti di politici, pastori della fede, dirigenti e imprenditori coinvolti. Ieri, finalmente, dopo tutto il casino seguìto alle nostre inchieste, il Consiglio comunale di San Giovanni in Fiore si è riunito per rispondere pubblicamente.
Luigi Astorino (Pdl), presidente del civico consesso, ha rassegnato le dimissioni dalla casa di riposo della San Vincenzo De’ Paoli srl, dove faceva il medico. Un atto dovuto, per il quale restituiamo ad Astorino, qualora a noi si fosse rivolto, le accuse di «gogna mediatica» nel suo intervento. Altri non avrebbe lasciato quell’incarico, ne siamo certi. Per questo apprezziamo la decisione di Astorino, che, con 9 voti contrari, 6 favorevoli e una scheda bianca, ha evitato la sfiducia; non proponibile secondo un parere dirigenziale letto in consiglio.
Il sindaco Antonio Barile (Pdl) ha illustrato gli atti del municipio sulla casa di riposo, riferendo di irregolarità gravissime ai tempi dell’amministrazione precedente (allora sindaco era il socialista Antonio Nicoletti, ndr). Poi ha chiesto ai responsabili dell’Ufficio tecnico e dell’Ufficio commercio di sanare con i dovuti provvedimenti. Ciò ridefinirà la situazione amministrativa della San Vincenzo De’ Paoli srl, che da cinque anni sta in un’ala dell’Abbazia florense senza pagare un che al legittimo proprietario, il Comune.
In consiglio si è discusso anche dei lavoratori e degli anziani della casa di riposo, problema che tocca risolvere anzitutto ai gestori, i quali non hanno mai voluto dialogare - secondo le carte - con il municipio, obiettando titolo legittimo.
Proprio ieri, Infiltrato ha riportato prova di contatti passati tra un titolare della casa di riposo, assolto, e un boss della ‘ndrangheta. La vicenda non si riferisce alla San Vincenzo De’ Paoli srl, sia chiaro. Restano quei contatti, veri come è vera l’innocenza di un bambino. Quei contatti, penalmente superati, contengono una grande possibilità civile, cioè ricordare tutti insieme, ai mafiosi vaccari o signori, che la morte non cancella l’ardore di giustizia né la lotta contro abusi e prepotenza.
C’è una coscienza. Ciascuno ha una coscienza e un cuore, che viene prima delle verifiche della Procura, della Regione o dell’Ufficio tecnico.
Mi rivolgo, allora, al vescovo di Cosenza, Salvatore Nunnari, e poi ai gestori della casa di riposo. Io non sono un giudice, né di uomini né di anime. Chiedo loro di uscire pubblicamente, di collaborare perché si restituisca l’Abbazia florense alla comunità, non solo locale. Chiedo un atteggiamento costruttivo, perché questo è possibile; lontani livori, rancori e procedimenti di sorta.
Chiedo loro, ciascuno per il suo ruolo, di non sentirsi sotto accusa, ma di cogliere adesso la possibilità di partecipare al recupero dell’Abbazia di Gioacchino da Fiore. Sarebbe un risultato corale. La politica, di là da beghe e bandiere, ha già principiato.
Dimenticata la beatificazione di Gioacchino
di Federica Orlando ("La Voce di Fiore", numero 1 - maggio 2013)
Molto rumore. Poi nulla. Ogni volta parecchie le parole, ma poca la concretezza. Il tanto chiacchierato Gioacchino da Fiore, con la sua Abbazia florense e il suo centro storico, nulla ancora riesce contro l’indolenza umana, specie sangiovannese. Di fatti, San Giovanni in Fiore (Cs) ed i suoi cittadini molto si vantano di misticismo, religiosità e cultura per merito di un abate tanto illustre, eppure troppo poco si mobilitano e si espongono per la valorizzazione di questo patrimonio per l’umanità tutta.
La pratica di beatificazione, oramai da anni, giace sotto mucchi di carte. È ferma in Vaticano. Qualcuno ha promosso tale causa e molti sono gli studiosi del monaco calabrese, ma nessuno si è indignato o applicato per coinvolgere i cittadini nell’importanza di uno sviluppo significativo di questo primo passo del processo di canonizzazione. O quasi.
Al gruppo adulti di Azione cattolica “Monsignor Umberto Altomare”, infatti, si deve riconoscere l’impegno profuso nell’istituzione di un gruppo di preghiera, avente lo scopo di promuovere il culto di Gioacchino. «Di lunedì sera è possibile partecipare agli incontri istituiti in abbazia per pregare il servo di Dio, profeta dello Spirito Santo» fa sapere Caterina, membro della comitiva. «Come si può pretendere che i fedeli vengano a San Giovanni in Fiore, chissà da dove, per conoscere questo spirito profetico se noi, per primi, ignoriamo la sua figura poliedrica?» chiede proprio don Germano, assistente spirituale della compagnia, durante la processione della Madonna della Sanità, del 12 maggio scorso. Tra gli aderenti al progetto di (ri)scoprire il mistico, forte è l’auspicio di imparare a rivolgersi nella preghiera anche alla figura dell’ancora non beato da Fiore.
Il cammino, tuttavia, è disseminato di difficoltà da parte delle istituzioni e non solo. Già papa emerito Benedetto XVI si era espresso con scetticismo e criticismo in merito all’opera di Gioacchino: la «teologia politica» del profeta non può che restare fuori della Chiesa poiché base dell’hegelismo e del marxismo.
La spiegazione di questa dura esclusione, in realtà, sarebbe da ricercare nell’innovazione rappresentata dalla dottrina gioachimita; l’abate credeva nella giustizia in questa terra, prima che nell’altro mondo. Chiunque avrebbe potuto ricevere la grazia e viverla in questo mondo.
Forza rivoluzionaria, questa, che sembra quasi una bestemmia agli occhi di tutto l’apparato religioso cristiano poggiante su precisi dogmi, adibiti a durare in eterno a quanto pare. Anche, a discapito della giustezza e della coerenza della dottrina trinitaria gioachimita.
E, mentre c’è chi dedica pagine intere dei propri lavori letterari o della propria vita a questa personalità singolare, molti sono i cittadini sangiovannesi che ignorano, in parte o totalmente, le teorie gioachimite ed il mito di fondazione della loro città. Proprio queste ultime sono, tuttavia, la base da cui ripartire per acquisire un profondo senso di appartenenza agli eccezionali luoghi dell’abate e riuscire, poi, ad esportare tutte le ricchezze culturali e non insite in essi.
Federica Orlando
PER GIOACCHINO DA GIORE, PER L’ABBAZIA FLORENSE, PER SAN GIOVANNI IN FIORE .....
Un invito al vescovo Nunnari e al vescovo Bonanno.
CHIARISSIMI VESCOVI
Accogliete in spirito di evangelica carità ("charitas") le sollecitazioni di Emiliano Morrone a fare chiarezza. Altro che minacce: uscite dalla confusione e dalla "minorità" gerarchica!
ISTANZE EVANGELICHE O "RAGIONI DI STATO"?! COSA AVETE SCELTO IERI, E COSA SCEGLIETE OGGI, ORA?!:
La vita e la verità stanno sulla via di Gesù ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8) non su quella di Benedetto XVI ("Deus caritas est", 2006). Riconsiderate non solo la lezione di Gioacchino da Fiore, ma anche di Francesco da Paola !!! Pensate con la vostra testa e con il vostro cuore e ... uscite dal gregge "mammonico"!
Siate veri testimoni di Cristo e del suo Dio e non del "Dominus Iesus" e del "Deus caritas" ratzingeriano!
Siate all’altezza di voi stessi, e del vostro compito ....
O VOLETE ANCHE VOI SPEGNERE IL LUMEN GENTIUM ... PER "RAGIONI DI STATO"?!
PER LA CHIESA, PER L’ITALIA, E PER L’ABBAZIA DI GIOACCHINO DA FIORE!
QUESTO IL MIO INVITO, E IL MIO AUGURIO ....
In fede, speranza, e carità
Federico La Sala
Decalogo per politici
Il Papa ammonisce i politici cattolici, mentre la Santa Sede tuona contro scandali e abusi nella vita pubblica italiana
di Giacomo Galeazzi *
Decalogo papale ai politici cattolici, mentre la Santa Sede tuona contro scandali e abusi nella vita pubblica italiana. Il Papa indica i «precetti irrinunciabili» ai leader dell’Internazionale democristiana, ricevuti in udienza a Castel Gandolfo con il presidente Pier Ferdinando Casini. Prima bacchetta i partiti cattolici («vanno difesi la vita e il matrimonio tra uomo e donna»), poi esorta i politici a recuperare credibilità: «Il giudizio è severo per chi sta in alto, non seguite il mercato ma il bene comune». La crisi economica globale nasce dall’assenza di «un fondamento etico» in campo economico e la risposta dei governanti non deve basarsi sulla difesa della dignità umana. Perciò Benedetto XVI invoca un nuovo impegno pubblico senza «ripiegamenti», mentre «false tesi sui temi etici ingannano gli uomini di oggi». L’umanità si circonda di «maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole».
In particolare il Pontefice ribadisce il no della Chiesa all’aborto e all’eutanasia. Il rispetto della vita in tutte le sue fasi, dal concepimento fino al suo esito naturale (con conseguente rifiuto dell’aborto procurato, dell’eutanasia e di ogni pratica eugenetica) è un impegno che si intreccia con quello del rispetto del matrimonio, come unione indissolubile tra un uomo e una donna e come fondamento a sua volta della comunità di vita familiare, raccomanda il Papa. È nella famiglia, fondata sul matrimonio e aperta alla vita, che la persona sperimenta la condivisione, il rispetto e l’amore gratuito, ricevendo (dal bambino al malato, all’anziano) la solidarietà che gli occorre. E’ la famiglia a costituire il «principale e più incisivo» luogo educativo della persona, attraverso i genitori che si mettono al servizio dei figli per «aiutarli a trarre fuori il meglio di sè». La cellula originaria della società è la radice che «alimenta non solo la singola persona, ma anche le stesse basi della convivenza sociale».«Vergogna» per lo spreco di danaro pubblico. «Intollerabili» gli abusi sulla gestione dei fondi ai partiti.
Non assiste inerme la Chiesa italiana alle ultime vicende di scandali legati alla gestione dei soldi pubblici ed esplose in particolare con le spese pazze di consiglieri e assessori Pdl della Regione Lazio - ora al vaglio della magistratura -, e per bocca di due suoi esponenti di primo piano quali il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, e il vicario del Papa per la diocesi di Roma, cardinale Agostino Vallini, emette una ferma condanna. A prendere la parola per primo è proprio il cardinale di Roma, città teatro delle cene a ostriche e champagne e delle sontuose feste in toga greco-romana che hanno fatto da cornice alle accuse di peculato mosse all’ex capogruppo Pdl al consiglio regionale laziale, Franco Fiorito, e da lui rilanciate ad altri membri del Pdl locale fino allo scontro con la governatrice Renata Polverini. Per il cardinale la misura è colma. «Non comprendo - spiega in un’intervista al settimanale diocesano Roma Sette - che i sacrifici non possano essere più equamente distribuiti con il sostegno del potere legislativo, mentre assistiamo al persistere di privilegi di corporazioni, a scandali ed abusi di denaro pubblico che sono intollerabili».
La gestione quantomeno allegra del denaro pubblico indigna Vallini che attraverso le strutture socio-caritative della sua diocesi conosce bene la difficile realtà delle famiglie che, incalzate dalla crisi, non arrivano a fine mese. Problemi a cui richiama fortemente la politica. «Se non c’è una ripresa di senso morale individuale e collettivo in termini di giustizia e di solidarietà sociale - afferma -, le leggi non bastano o non sono equilibrate». La priorità va data al dramma della disoccupazione. «Dove non c’è lavoro - osserva -, non c’è futuro, e le conseguenze le conosciamo tutti: delusione, scoraggiamento, non di rado depressione, rabbia, o peggio». «Non manco mai - aggiunge - di sollecitare i responsabili delle istituzioni, in forma rispettosa e chiara, di fare di tutto perchè vi sia una maggiore equità sociale. Comprendo che la grave crisi economica abbia richiesto alle famiglie sacrifici assolutamente straordinari; non comprendo - ribadisce - che i sacrifici non possano essere più equamente distribuiti con il sostegno del potere legislativo».
L’indignazione da Roma rimbalza a Genova, dove l’arcivescovo della Città della Lanterna e capo dei vescovi italiani, Bagnasco, rincara la dose. La sua è una condanna senza mezzi termini: lo spreco di danaro pubblico, tuona, «è una cosa vergognosa». «Le ristrettezze devono farci stringere gli uni agli altri con maggiore bontà», ha aggiunto: «pensare solo a noi stessi sarebbe egoista e miope». Intervengono poi anche i gesuiti che - con padre Michele Simone, vicedirettore della Rivista della Civiltà cattolica, intervistato dalla Radio Vaticana - allargano lo sguardo dagli scandali del Lazio alla più generale crisi che investe la politica. «È un momento difficile - afferma - perchè l’elemento molto negativo è, oltre il discredito nei confronti dei partiti, anche l’incapacità dei partiti di reagire in maniera significativamente incisiva». «Il discredito nei confronti dei partiti - aggiunge - sarà un elemento che peserà nelle prossime non lontane elezioni».
La notizia shock
Il Papa si dimette, sorpresi i vescovi calabresi
Nunnari: «Ci aveva dato appuntamento a maggio»
Il 21 e il 23 gennaio Benedetto XVI aveva incontrato i presuli della Calabria in visita "ad limina apostolorum". L’arcivescovo di Cosenza racconta: «Nulla lasciava pensare a questa sua scelta e ci ha detto che avrebbe parlato ancora nell’assemblea della Cei»
di ANDREA GUALTIERI é
STAVOLTA, ed è la prima volta nella storia, si sa già quando inizierà la fase di sede vacante in Vaticano. La Chiesa è travolta dalla novità di un Papa che annuncia le sue dimissioni e fissa giorno e ora in cui lascerà l’appartamento al terzo piano del palazzo apostolico: sarà il 28 febbraio alle 20. L’annuncio dato da Ratzinger stamattina durante il concistori è una svolta che ha disorientato anche le chiese locali, tramortite dalla perdita di un punto di riferimento. E in Calabria l’incredulità è amplificata dalla testimonianza dei vescovi che pochi giorni fa sono stati ricevuti da Benedetto XVI per la visita ad limina apostolorum che periodicamente richiama in Vaticano i pastori delle varie zone del mondo per riferire delle questioni delle loro diocesi.
Racconta monsignor Salvatore Nunnari, arcivescovo di Cosenza: «Certo, non l’ho visto in piena salute, ma nulla faceva trasparire un simile proposito. Addirittura ci aveva dato appuntamento a maggio, quando avrebbe parlato a tutti i vescovi nell’ambito dell’assemblea Cei al termine delle visite di tutte le conferenze episcopali delle regioni italiane». Nessuna immagine di un Papa pronto a fare le valigie, insomma. Anzi, Benedetto XVI si è «molto interessato alle vicende calabresi». Ai presuli ha poi regalato una croce pettorale, le coroncine del rosario. E a tutti ha riservato un congedo sorridente.
E ora? «Ora per la Chiesa c’è la novità di trovarsi con un "Papa emerito" e con l’evento di una rinuncia alla quale nessuno può opporsi perché - spiega ancora Nunnari - quando un vescovo o un parroco chiedono di fare un passo indietro c’è sempre qualcuno che può dire di no, ma con il Papa questo non è possibile». Le parole che l’arcivescovo di Cosenza riserva a Benedetto XVI sono di grande ammirazione: «Questo è il gesto ultimo di un uomo libero. Ratzinger ha sempre parlato con grande sincerità. Da cardinale ha avuto il coraggio di denunciare "lo sporco" che c’è nella Chiesa. Ora se ne va con questo gesto di grande libertà interiore».