PROMETEO, IL PIU’ GRANDE SANTO E MARTIRE DEL CALENDARIO FILOSOFICO (Karl Marx, 1841)

ESCHILO, DA RILEGGERE. Il coraggio di Prometeo contro Zeus, il despota che domina «oltre ogni legge». Una nota di Paola Casella - a c. di Federico La Sala

La contrapposizione fra Zeus e Prometeo è ancora oggi di eccezionale forza drammaturgica, perché rappresenta l’eterno contrasto fra la volontà di dominio del potere e la determinazione dell’individuo a mantenere salva la propria dignità.
domenica 25 marzo 2012.
 

Il coraggio di Prometeo e l’intolleranza di Zeus

Così Eschilo racconta il supplizio del titano

di Paola Casella (Corriere della Sera, 21.03.2012)

«Fu mia, quella scelta». In questa dichiarazione sta la singolarità della tragedia Prometeo incatenato, nella decisione cosciente e autonoma del suo protagonista di sfidare Zeus, prima rubandogli il fuoco per regalarlo agli uomini, poi rifiutandosi di rivelare al sovrano dell’Olimpo un’informazione sul suo futuro: «Io non dirò chi deve rovesciare Zeus dal suo potere».

Eppure quella rivelazione procurerebbe a Prometeo la libertà dal supplizio al quale Zeus l’ha costretto: incatenato a una roccia ai confini del mondo, con un’aquila che ogni giorno arriva, puntuale, a squarciargli le carni per divorargli il fegato. «Io non mi piegherò», ripete Prometeo, riaffermando quotidianamente la sua dignità di irriducibile. «Io sapevo questo, tutto questo», ribadisce colui il cui nome significa «presago». «Ho voluto il mio peccato: e non lo smentirò».

Eschilo costruisce il Prometeo incatenato, elemento di una trilogia i cui altri componenti, Prometeo portatore di fuoco e Prometeo liberato, sono andati in gran parte perduti, come l’espressione di una volontà libera, invece che come la realizzazione di un fato incontrovertibile e arbitrario.

L’autore struttura la tragedia attraverso la polarizzazione simmetrica di due personalità contrapposte: da una parte Zeus, intollerante a qualsiasi forma di dissenso, il despota che domina «oltre ogni legge»; dall’altra Prometeo, costituzionalmente incapace di accettare imposizioni dall’alto e sempre pronto a sfidare l’autorità, a qualunque costo: un martire che va incontro al suo destino con piena consapevolezza, rifiutando di «parlare» per ottenere la clemenza del dittatore.

La modernità di Prometeo sta nella sua valenza di campione dei sottoposti, tanto più eroico (e pericoloso) per via della sua appartenenza alla stirpe divina: è un titano, «cugino» di Zeus, che era figlio di Crono. La contrapposizione fra Zeus e Prometeo è ancora oggi di eccezionale forza drammaturgica, perché rappresenta l’eterno contrasto fra la volontà di dominio del potere e la determinazione dell’individuo a mantenere salva la propria dignità.

Non è un caso che la cultura popolare abbia spesso attinto al mito di Prometeo per rappresentare un certo tipo di eroismo iconoclasta e una certa aspirazione degli uomini a superare i propri limiti: da ultimo l’atteso kolossal fantascientifico di Ridley Scott, che si intitolerà proprio Prometheus.

Le arti figurative hanno rappresentato Prometeo nell’atto sia di donare il fuoco agli uomini, sia di subire il martirio che punisce il suo gesto.

Anche la musica, da Beethoven a Liszt, da Fauré a Nono, ha attinto a quel mito a piene mani, per non parlare della letteratura: non dimentichiamo che il titolo completo del romanzo di Mary Shelley, storia di uno scienziato che vuole farsi Dio «creando» un essere mostruoso, era Frankenstein, o il moderno Prometeo.

Ma se da un lato Eschilo fa del suo eroe un simbolo della ribellione a ogni autorità assoluta, dall’altro è abbastanza scaltro, drammaturgicamente parlando, da renderlo speculare a Zeus.

Oltre all’affetto, Eschilo evidenzia la condiscendenza di Prometeo verso gli uomini, «indifesi e muti come infanti» che, prima di lui, «avevano occhi e non vedevano». Ciò che maggiormente pesa al portatore di fuoco è la solitudine alla quale lo costringe il supplizio, e l’azione, in questa tragedia che vede il proprio eroe costretto all’immobilità, consiste esclusivamente nel viavai di una serie di interlocutori cui Prometeo può manifestare la propria sofferenza e il proprio sdegno: cui può raccontare di sé.

L’amor proprio di Prometeo, pericolosamente vicino a quella hybris cui la tragedia greca riserva sempre una punizione esemplare, diventerà dunque il «difetto fatale», e lo stratagemma drammaturgico, che consentirà a Eschilo di offrire, nel Prometeo liberato, una via d’uscita al reciproco incatenamento di Prometeo e Zeus.

L’intransigenza di entrambi i personaggi si stempererà per consentire la conciliazione, secondo un iter già preannunciato dallo stesso Prometeo nell’Incatenato, laddove, parlando di Zeus, dice: «Verrà incontro ansioso alla mia ansia, vorrà legarsi con me d’amicizia».

Proprio in questo anelito reciproco, nella sofferenza che causa ad entrambi il ritrovarsi su fronti opposti, sta infatti un’altra componente essenziale della tragedia: da una parte Zeus ingannato dal suo leale alleato, nonché membro della sua stessa stirpe; dall’altra Prometeo che vede tradito da Zeus il proprio senso profondo di giustizia, e per questo gli sottrae potere consegnandolo ai suoi sudditi «immeritevoli», noi uomini.


-  La spinta verso il progresso

-  Corriere della Sera, 21.03.2012

Uno dei paradigmi più antichi della lotta umana contro le forze ostili della natura e la tirannia del destino, è la figura del titano condannato da Zeus per aver rubato il fuoco. Il settimo volume della collana è appunto il Prometeo incatenato di Eschilo, che esce domani assieme al «Corriere» (al prezzo di un euro più il costo del quotidiano) con una introduzione inedita di Edoardo Boncinelli.

E lo sguardo del genetista, oltre a sottolineare la fortuna del personaggio nella storia, ad esempio tra i Romantici, vaglia il mito anche sotto una luce insolita, quella della spinta al progresso e del rapporto cultura-natura. Così Prometeo «incarna la nostra evoluzione culturale», scrive Boncinelli, rispetto «al secolare processo dell’evoluzione biologica che ci accomuna a tutte le altre specie viventi».

Non stupisce che il titano sia divenuto simbolo dell’aspirazione umana a sfidare la propria condizione: «Un dio, e dei più antichi - spiega Boncinelli - che riesce ad assurgere a simbolo dell’uomo», e lo fa nei toni drammatici e umani della tragedia eschilea. (i.b.)


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