Verso il capitalismo linguistico
Quando le parole valgono oro
di Fréderic Kaplan (Le Monde Diplomatique - novembre 2011, pag. 28)
traduzione dal francese di José F. Padova *
Frédéric Kaplan, ricercatore presso l’Ecole polytechnique fédérale di Losanna, autore de La Métamorphose des objets, FYP Editions, Limoges, 2009, e, con Georges Chapouthier, di L’Homme, l’Animal et la Machine, CNRS Editions, Paris, 2011.
Il successo di Google si basa su due algoritmi: l’uno, che permette di trovare pagine che rispondano a determinate parole, l’ha reso popolare; l’altro, che attribuisce a queste parole un valore commerciale, l’ha reso ricco. Il primo di questi metodi di calcolo, elaborato da Larry Page e Sergei Brin quando ancora preparavano le tesi di laurea all’Università Stanford (California), consisteva in una definizione nuova della pertinenza di una pagina Web in risposta a una data domanda.
Nel 1998 i motori di ricerca erano certamente già capaci di registrare in un elenco le pagine che contenevano la o le parole richieste. Ma la classificazione si faceva sovente in modo semplice, contabilizzando il numero di evenienze dell’espressione cercata. A mano a mano che la Rete si estendeva, i risultati proposti agli internauti diventavano sempre più confusi. I fondatori di Google proposero di calcolare la pertinenza di ogni pagina partendo dal numero di link ipertestuali che a quella data pagina puntavano - un principio ispirato da quello che garantisce da molto tempo l’individuazione degli articoli accademici. Più Internet s’ingrandiva, più l’algoritmo di Page e Brin affinava la precisione delle sue classificazioni. Questa intuizione fondamentale permise a Google di diventare, dagli inizi del 2000 in poi, la prima porta d’entrata di Internet.
Quando molti osservatori si domandavano come la società californiana avrebbe potuto monetizzare i suoi servizi, l’invenzione di un secondo algoritmo ha fatto di essa una delle imprese più ricche del mondo. Ogni volta che un internauta fa una ricerca, Google propone effettivamente numerosi link, associati a brevi pubblicità testuali, verso siti di imprese. Questi avvisi sono presentati prima dei risultati propriamente detti della ricerca.
Gli inserzionisti possono scegliere le espressioni o le parole-chiave alle quali vorrebbero vedere associata la loro pubblicità. Essi pagano solamente quando un internauta clicca effettivamente sul link proposto per accedere al loro sito. Allo scopo di scegliere quali pubblicità presentare per una data ricerca l’algoritmo propone un sistema di asta a puntate [ndt.: enchère è l’asta, la vendita all’incanto] in tre stadi.
Puntata su una parola-chiave. Un’azienda sceglie un’espressione o una parola, come «vacanze», e definisce il prezzo massimo che sarebbe disposta a pagare se un internauta arrivasse fino a essa con questo tramite. Per aiutare gli acquirenti di parole, Google fornisce una valutazione dell’importo della puntata da proporre per avere buone chance di figurare sulla prima pagina di risultati. Gli acquirenti possono limitare la loro pubblicità a date o luoghi specifici. Ma attenzione: come lo si constaterà, il fatto di avere la puntata più alta non garantisce di essere i primi sulla pagina.
Il calcolo del punteggio di qualità della pubblicità. Google attribuisce a ogni annuncio, su una scala da uno a dieci, un punteggio, in funzione della pertinenza del suo testo con la richiesta dell’utilizzatore, della qualità della pagina messa in posizione avanzata (interesse del suo contenuto e rapidità di caricamento) e del numero medio dei clic sulla pubblicità. Questo punteggio misura a quale punto funziona la pubblicità, assicurando contemporaneamente buoni ricuperi di denaro a chi annuncia e ingenti guadagnio a Google, che incassa soldi soltanto se gli internauti scelgono effettivamente di cliccare sul link proposto. L’algoritmo esatto che stabilisce questo punteggio resta segreto e modificabile a piacere da parte di Google.
Il calcolo della precedenza [rango]. L’ordine nel quale le pubblicità appaiono è determinato da una formula relativamente semplice: il rango è la puntata moltiplicata per il punteggio. Una pubblicità che ha un buon punteggio può così compensare una puntata più debole e porsi davanti. Qui Google ottimizza le sue chance che l’internauta clicchi sulle pubblicità proposte. Questo gioco di offerte all’asta è ricalcolato per ogni richiesta di ogni utilizzatore - milioni di volte al secondo! Questo secondo algoritmo ha fornito all’azienda di Mopuntain View la graziosa sommetta di 9,72 miliardi di dollari per il terzo trimestre 2011 - una cifra in crescita del 33% in rapporto al medesimo periodo dell’anno 2010 (1).
Il mercato linguistico così creato da Google è già globale e multilingue. A questo titolo, la Borsa delle parole che gli è affiancata dà un’indicazione relativamente giusta dei grandi movimenti semantici mondiali. La società propone d’altra parte strumenti semplici e divertenti per esplorare una parte dei dati che essa raccoglie sull’evoluzione del valore delle parole. In questo modo possiamo vedere come le fluttuazioni del mercato siano segnate dai cambiamenti di stagione (le parole «sci» e «abbigliamento per la montagna» hanno maggior valore in inverno, «bikini» e «crema solare» in estate). I flussi e riflussi del valore della parola «oro» testimoniano lo stato di salute finanziaria del pianeta. Google evidentemente guadagna molti soldi sulle parole per le quali è forte la concorrenza («amore», «sesso», «gratuito»), sui nomi di persone celebri («Picasso», «Freud», «Gesù», «Dio»), ma anche in settori linguistici nei quali la speculazione è minore. Tutto ciò che può essere nominato può dare luogo a una puntata.
Google è riuscito a estendere il dominio del capitalismo alla lingua stessa, a fare delle parole una merce, a fondare un modello commerciale incredibilmente redditizio sulla speculazione linguistica. L’insieme dei suoi altri progetti e innovazioni tecnologici - che si tratti di gestire la posta elettronica di milioni di utenti o di digitalizzare l’insieme dei libri mai pubblicati sul pianeta - possono essere analizzati con questa lente. Che cosa temono i protagonisti del capitalismo linguistico? Che la lingua scappi loro di mano, che vada in pezzi, si «disortografizzi», diventi tale che sia impossibile metterla in equazioni. Quando un motore di ricerca corregge al volo una parola che avete scritto in forma non corretta non vi rende solamente un servizio: il più delle volte trasforma un materiale senza grande valore (una parola scritta male) in una risorsa economica direttamente redditizia.
Quando Google prolunga, integrandola, una frase che avete cominciato a battere nel riquadro di ricerca non si limita a farvi guadagnare tempo: vi riporta nel campo della lingua che sfrutta, vi invita a imboccare la strada statistica tracciata dagli altri internauti. Le tecnologie del capitalismo linguistico spingono quindi per la regolarizzazione della lingua. e più ricorreremo alle protesi linguistiche, permettendo agli algoritmi di correggere e integrare le nostre frasi, più questa regolarizzazione sarà efficace.
Non sono teorie del complotto: Google non ha intenzione di modificare intenzionalmente la lingua. La regolarizzazione qui evocata è semplicemente un effetto della logica del suo modello commerciale. Per riuscire nel mondo del capitalismo linguistico è necessario cartografare la lingua meglio di quanto sappia farlo oggi qualsiasi linguista. Anche qui Google ha saputo costruire una strategia innovativa sviluppando un’intimità linguistica senza precedenti con i suoi utilizzatori.
Ogni giorno noi ci esprimiamo un po’ più attraverso una delle interfacce della società, non semplicemente quando facciamo una ricerca, ma anche quando scriviamo una lettera elettronica con Google Docs, quando segnaliamo un’informazione sulla rete sociale Google + e perfino oralmente, attraverso le interfacce di riconoscimento vocale che Google integra nelle sue applicazioni mobili.
Ogni giorno siamo milioni che scrivono e parlano suo tramite. Ecco perché il modello statistico multilingue che Google affina in permanenza e verso il quale tenta di riportare ogni richiesta è molto più aggiornato del dizionario pubblicato annualmente dai nostri accademici della lingua. Google segue i movimenti della lingua minuto per minuto, perché per primo vi ha scoperto un minerale di straordinaria ricchezza e si è dotato dei mezzi necessari per sfruttarlo.
La scoperta di questo territorio del capitalismo, finora ignorato, ha aperto un nuovo campo di battaglia economica. Google certamente beneficia di un importante anticipo, ma i rivali, avendo compreso le regole di questa nuova competizione, finiranno per invadere l’orizzonte. Regole alla fine abbastanza semplici: noi abbandoniamo un’economia dell’attenzione per entrare in un’economia dell’espressione. La sfida non è più tanto quella di captare gli sguardi, quanto di diffondere attraverso i media la parola e lo scritto. I vincitori saranno coloro che avranno potuto sviluppare relazioni linguistiche intime e durevoli con un gran numero di utilizzatori, per modellare e flettere la lingua, creare un mercato linguistico controllato e organizzare la speculazione sulle parole. L’utilizzazione del linguaggio è ormai l’oggetto di tutte le brame. Nessuno dubita che basterà poco tempo perché la lingua materna stessa se ne trovi trasformata.
(1) Google, terzo trimestre 2011: $ 9,720 miliardi di reddito lordo, $ 2,730 miliardi di guadagno netto.
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NOTA DEL TRADUTTORE:
Il Mida-Google ha toccato e trasformato in oro le parole, racconta Le Monde Diplomatique: un motivo in più per farla finita con questo capitalismo, che non è soltanto finanziario ma anche "letterario" o "glottologico" e comunque sta mercificando ignobilmente le lingue. Il bello è che anche chi, come chi scrive, questo tipo di società non lo vuole proprio, inconsapevolmente collabora, eccome, con uno degli inquinatori ogni volta che clicca Google. In sé, i motori di ricerca sul Web sono utili, aiutano l’internauta, ma ancor più chi ha saputo identificare la fonte dei soldi.
Questo articolo esce poco prima che sulla stampa italiana il prof. Massimo Marchiori, l’inventore dell’algoritmo-base di Google, da Padova dove ora insegna annunciasse la prossima uscita di un nuovo motore, chiamato Volunia.
Marchiori ha detto: "se Google usa la clava, noi opereremo con il fioretto. Emergeremo grazie alla differenza del nostro motore. E perché Volunia sarà davvero utile alla gente".
Qualche notizia in più su:
http://www.tomshw.it/cont/news/volunia-il-motore-di-ricerca-italiano-che-sconfiggera-google/34587/1.html
e
http://vitadigitale.corriere.it/2011/11/17/volunia-motore-ricerca-italiano-google-marchiori/
Quindi, oltre ad aspettare che l’enigma Monti si sciolga con i primi provvedimenti di governo, aspetteremo anche lo svelamento dell’enigma-Volunia. Voglia il cielo che entrambi mantengano ciò che promettono.
JFPadova
Penso che non sia Google il problema, ma il capitalismo e l’insostenibile ’leggerezza’ delle persone. Chi vive e agisce all’interno di un sistema di questo tipo facilmente si adegua al modello. L’idea del servizio motore di ricerca è ottima, ma declinandosi nelle azioni concrete subisce una trasformazione diabolica. Da chi dipende ?
Fa bene Kaplan a denunciare il meccanismo perverso, tuttavia tralascia qualcosa. Google non è l’unico a mercificare la lingua, prima di lui lo hanno fatto tutte le aziende pubblicitarie, ma anche il nostro caro Silvio, che delle parole Milan e Forza Italia ne ha fatto un business e uno strumento di potere. E cosa vogliamo dire della parola Champagne brevettata nel 1844, non certo per sottolinearne la qualità. Ci sono anche molti esempi nostrani.
Sia chiaro non intendo difendere Google, ma sottolineare che l’articolo di Kaplan a me sembra un po’ imcompleto. Trovo che il furto di una parola sia meno grave dell’intrusione a piedi uniti e occulta nella vita delle persone. E’ vero che Google sfrutta un algoritmo per carpire informazioni, ma è anche vero che il protocollo (l’http) di trasferimento dei dati consente a Google di accedere ai nostri click. I dati che passano tramite http non sono crittati e quindi facilmente intercettabili e leggibili da parte di chiunque, a differenza di quanto avviene con la sua variante piu’ sicura denominata HTTPS. Perchè ? Comprendo la porcata, ma ribadisco che in un sistema retto dal capitalismo il profitto è legge.
Google fornisce tutti i servizi possibili, dal motore di ricerca alla posta elettronica, dalle mappe al servizio documenti, dalla consultazione dei libri alle traduzioni, alle informazioni e alla televisione. Praticamente potrebbe volendo, e lo fa da tempo, sapere tutto di noi. Per invogliarci a fornire più informazioni ci ha regalato anche un nuovo browser: Chrome, ampiamente utilizzato e pubblicizzato. Pertanto la mia domanda è semplice: "Perchè invece di soffermarsi solo sulle parole non mettere al corrente le persone ribadendo che ogni qualvolta ci colleghiamo ad Internet siamo immediatamente identificabili attraverso un numero (IP) e grazie al GeoTagging individuabili in ogni parte del mondo, questo lo sanno anche gli ideatori di Volunia.
Prova a cliccare qui http://www.wikimapia.org incredibilmente comparirà la mappa di milano con tanto di coordinate che puoi leggere nella barra degli indirizzi. Perchè proprio milano e non Roma o Napoli, in fondo è sempre Italia. Pensa agli aspetti positivi di questa tecnologia, ma pensa anche a quanto potrebbe essere negativo tutto ciò. Da chi dipende il prevalere degli aspetti positvi o negativi?
Ogni nostro click, non solo su Google, è un’ informazione monetizzabile che consente agli interessati di conoscere i nostri interessi a 360 ° e venderli alle aziende che predisporranno le opportune "gabbie".
Per concludere Kaplan non ha considerato un fenomeno strettamente legato allle tecnologie dell’informazione: la velocità. Nello spazio virtuale le novità prosperano con una velocità notevole e ciò contribuisce a creare un meccanismo di autoregolamentazione. Ogni qualvolta un servizio o un programma incomincia a prosperare a dismisura sembra intervenire tale meccanismo che pian piano sposta l’attenzione degli utenti su altri servizi a discapito di quelli dominanti. Così è stato per Internet Explorer di Microsoft, che oggi registra un calo notevolissimo rispetto agli anni passati, per Tiscali, lo stesso discorso vale per i motori di ricerca come Lycos, Excite, Virgilio.
Vedremo se anche relamente Volunia non intende mercificare le parole.
Antonio
Se la Bibbia non è più centrale
di Filippo Gentiloni (il manifesto, 7 febbraio 2012)
Non sono poche le difficoltà che il cristianesimo incontra per la sua diffusione nel mondo di oggi: difficoltà vecchie e nuove. Fra le altre penso che si debba annoverare anche il riferimento alla centralità della Bibbia. Una centralità sempre proclamata, ma sempre meno convincente. Una questione nella quale il protestantesimo, nelle sue varie forme, si trova meglio del cattolicesimo. Roma nel corso dei secoli ha accentuato il suo ruolo e la sua autorità, continuando a ripetere ufficialmente il ruolo della Sacra Scrittura, ma di fatto sostituendo la autorità del papa a quella del libro. Troppo incerta, questa , e troppo soggetta alle interpretazioni e alla loro ambiguità. La necessità della unità spingeva sempre di più verso la centralità di Roma e del papa. Tanto più dopo la diffusione della stampa e dei mezzi di comunicazione di massa.
La predicazione pian piano si riduceva ad una ripetizione. Un procedimento che il mondo moderno rendeva sempre più evidente con il diffondere della pubblicità. Sempre più invadente, sempre meno lo spazio disponibile alla libertà di invenzione, sempre più importante e invadente il denaro. L’annuncio della religione trova sempre maggiore difficoltà a individuare uno spazio autentico nell’insieme degli annunci che occupano tutto o quasi lo spazio delle voci che risuonano dalla mattina alla sera, da un capo all’altro del mondo.
È stata l’invenzione della stampa, qualche secolo fa, a rendere più difficile, nonostante l’apparenza, l’autenticità dell’annuncio religioso. Lo diffondeva, ma lo rendeva simile a tutti gli altri annunci, a cominciare da quelli politici, sociali, economici. Soprattutto lo rendeva dipendente dal fattore economico, proprio quel fattore che, invece, l’annuncio religioso pretendeva, diceva, di superare.
È la storia di questi ultimi secoli e della diffusione delle varie religioni, compreso il cristianesimo del tempo recente. Una questione che ancora oggi appare irrisolta, nonostante il continuo, ma insufficiente, ricorso all’autorità biblica da parte della varie autorità cristiane.