LILIANA CAVANI: (...) Il fatto che il consenso al premier a quanto pare sia sempre alto è il sintomo del nostro Regresso con tutte le vecchie porcherie che si porta dietro. È in atto un furto di Progresso. Hanno ragione le donne democratiche che per la prossima manifestazione hanno in mente una maglietta con scritto "Mi riprendo il mio Futuro". Un Futuro che è stato interrotto [...]
EMMA FATTORINI: (...) penso di avere, senza alcuna spocchia di superiorità, ma molto semplicemente, il dovere di testimoniare una strada concreta alle mie studentesse. «Le disgraziate si sono vendute per una lira, per un grembial» recitavano le dolenti parole dei canti del primo socialismo, «né puttane né madonne, solo donne» gridavano le femministe negli anni Settanta. E ora? Cosa diciamo ora ai nostri figli e alle nostre studentesse?
IDA DOMINIJANNI: (...) Non siamo di nessuno, non amiamo le mimose né tantomeno, per citare stavolta Luisa Muraro, chi conta di usarci come truppe ausiliarie di una politica inefficace.
“il sogno tradito delle donne partigiane”
di Liliana Cavani (la Repubblica, 7 febbraio 2011)
Quando ho fatto il documentario "La donna della Resistenza" (1965) intervistando varie partigiane ho scoperto con sorpresa che avevano combattuto (fisicamente) per un mondo dove la donna avesse avuto emancipazione. Erano contadine, operaie, intellettuali (ricordo Ada Gobetti) e ciascuna con le sue parole mi disse che aveva rischiato la vita per una "palingenesi" sociale (ricordo questa frase) che prevedeva il riconoscimento della parità della donna.
Una sopravvissuta a Dachau e un’altra ad Auschwitz mi dissero che durante la guerra erano persuase che il loro sacrificio avrebbe contribuito a dare uno scossone alla vecchia cultura. E in effetti le donne ottennero nel dopoguerra il diritto al voto (in Svezia lo ottennero 40 anni prima). Ma la vera rivoluzione culturale che le donne antifasciste speravano di ottenere non avvenne mai neanche col Sessantotto anche se di certo aprì molte teste.
Del resto la storia della donna Italiana salvo punte rarissime (spesso a merito dei Radicali) è tra le meno emancipate del mondo occidentale. La cosa che mi stupisce è che questo accada in un Paese che ha un grande e popolare culto di Maria (vergine), una ragazza di duemila anni fa che con il suo FIAT ha affrontato con coraggio l’avventura culturale e spirituale più spericolata che si possa immaginare.
Oggi la fonte comunicativa più influente sul costume è quella dei media, specialmente tv e Cinema. Ebbene a mio parere i media oggi propagano (consci o meno) per gran parte il Regresso in atto nel Paese. La famosa frase "la donna sta seduta sulla sua ricchezza" è propalata in tutto il suo significato nei programmi tv e nel Cinema più popolare. Vale a dire che con la testa la donna non ci fa nulla, non va da nessuna parte, in nessun Consiglio di Amministrazione, in nessuna posizione dove sia necessaria preparazione e intelligenza.
Come può accadere tutto questo in un Paese che in percentuale è il più cristiano d’Europa, che non ha mai avuto un governo comunista (vale a dire materialista) ma ha avuto una scuola con le ore di religione? Sta di fatto che accade e fra le cause penso alla cultura-maschia del Ventennio che ha pervaso la generazione dei nostri nonni e si è trasmessa ai nostri padri per cui la donna (se non è tua madre tua figlia o sorella) è in primis oggetto di piacere. Oggetto che si prende o si compra e ci si vanta.
E l’uomo è uomo soprattutto se si fa donne gratis o pagate che sia. E la donna è donna se per cultura e costume considera la seduzione il mezzo più diretto per essere presa in considerazione e per trovare orizzonti di carriera. Questa cultura-maschia di marca fascista connessa alla tradizione paternalistica plurimillenaria è la cultura corrente. E a causa di queste ragioni così radicate non deve stupirci (e infatti molti italiani non si stupiscono) se chi ha la più alta carica del Governo fa i comodi suoi. "Beato lui!" diceva un intervistato dalla tv. Ma l’Italia non è un Paese sperduto oltre le valli del Pamir.
Siamo un Paese inserito in un Occidente che dalla rivoluzione francese in poi ha preteso dai suoi rappresentanti o regnanti comportamenti di probità in linea con quello che gli Stati si aspettano dai cittadini. Il rispetto massimo della dignità della donna è tra i requisiti. Nell’Occidente dove in media la cultura è laica il costume è politica. E cultura laica significa pari diritti uomo e donna.
Di conseguenza se non è neanche pensabile avere una specie di harem da cittadino lo è ancora di meno per la più alta carica politica. Il fatto che il consenso al premier a quanto pare sia sempre alto è il sintomo del nostro Regresso con tutte le vecchie porcherie che si porta dietro. È in atto un furto di Progresso. Hanno ragione le donne democratiche che per la prossima manifestazione hanno in mente una maglietta con scritto "Mi riprendo il mio Futuro". Un Futuro che è stato interrotto.
La vera libertà supera i rischi del moralismo
di Emma Fattorini (Corriere della Sera, 7 febbraio 2011)
Tante amiche che stimo hanno contestato la proposta di esprimere pubblicamente il proprio sdegno. Le argomentazioni più pertinenti le hanno espresse sul sito femminista donnaltri.it. Due sono critiche circostanziate e condivisibili, quella di moralismo e di strumentalizzazione. Mentre altre due obiezioni mi lasciano alquanto perplessa e riguardano la natura della prostituzione e il concetto di libertà femminile della donna che offre il suo corpo. Sulla strumentalizzazione solo poche parole.
La furia che vede in Berlusconi il male assoluto - mentre, purtroppo è la massima espressione di un clima generale -, nasconde i limiti di una certa opposizione che non riesce a scalzarlo politicamente e si nasconde, letteralmente, dietro le toghe o le sottane dei magistrati, della Chiesa e, ora, delle donne. Usando la Chiesa e le donne di chiesa, mai altrimenti prese in considerazione, sempre ignorate e che rispuntano, invece, come risorse al momento del bisogno. E qui non ci sarebbe niente di nuovo se non fosse che anche e proprio una simile strumentale miopia ci ha portati a questo punto.
L’accusa di moralismo va presa molto sul serio: non solo perché è profondamente sbagliato dividere le donne «perbene» da quelle «permale» , - contravvenendo al principio di fondo del femminismo sulla libertà del soggetto femminile - ma perché qui il pensiero di alcune donne, fatto in libertà, sine glossa, coglie un punto che riguarda tutti e tutte. Il moralismo è stato ed è veramente il peccato mortale e la causa reale dell’esaurirsi progressivo di quella parte della cultura di opposizione che si è consumata internamente proprio consolandosi con il moralismo. Un vero e proprio surrogato di quella che un tempo era una vera diversità morale, il moralismo è stato innalzato a vessillo mentre, in un lento processo di metabolizzazione, una certa opposizione ha finito con l’interiorizzare, anche inconsapevolmente, gli stessi modelli che demonizzava.
Molti contribuiscono a fare, del moralismo, quello spirito del tempo, speculare e incongruo all’assoluta decadenza morale. Certo un male minore, rispetto al degrado attuale, ma che, come tutte le emozioni e i sentimenti non autentici, è insinuante perché mitridatizza, assuefa e si limita a ri-pulire le coscienze. Ma, così come prendere sul serio i danni del moralismo consente di porci il problema morale, altrettanto prendere sul serio la libertà ci permette di distinguerla dal libertinismo. Questo è veramente il punto in discussione: la libertà del soggetto femminile.
Intangibile è la libertà di scegliere il bene e il male, quella che ci fa essere uomini e donne. Lì sta la nostra origine, lì la nostra caduta, lì, in quella scelta, la nostra irriducibile libertà. E cosa c’è di diverso per le donne? Quale è, secondo loro, la scelta «giusta» ? E, ancora, come fare a tradurre le scelte morali che cambiano nel tempo? Accettarle per come sono, solo perché esprimono un cambiamento della soggettività femminile? E, altrimenti, come fa una donna a capire cosa è male o non è più male? O, addirittura, come dicono alcune: «A noi non interessa questa domanda perché la scelta morale si risolve e si esaurisce tutta nella libera e soggettiva scelta femminile consapevole»? Non sono assolutamente d’accordo con questo ragionamento, né teoricamente né sul piano pratico.
Non sono d’accordo con questo «indifferentismo». Intanto perché la «scelta» (?) di prostituire il proprio corpo non avviene mai nel vuoto pneumatico della soggettività. Non solo, ovviamente, per la moltitudine di disgraziate che fuggono dall’inferno dei mondi disperati ma anche e non di meno per quella zona grigia, sempre più in crescita, di prostituzione «consapevole» che coinvolge proprio la soggettività femminile.
Non basta dire che è un affare degli uomini e delle loro miserie il fatto che le donne si offrano chi per arrotondare, chi per migliore il proprio status, chi per comprarsi la borsa Prada, chi per aiutare i maschi di famiglia, padri, fratelli, cognati, secondo una antica tradizione italiana (i primi appassionati amplessi della innamoratissima Claretta Petacci erano associati a suppliche per favorire gli uomini di famiglia, mentre la favorita contemporanea chiede un avanzamento di carriera politica per se stessa.) Non si tratta di colpe morali ma di capire le novità: non più solo quelle relative alle polimorfe forme della sessualità maschile, insieme compulsive e mai coinvolte nella relazione. Ma occorre vedere anche l’orgogliosa disinvoltura con la quale sempre più donne non si limitano a «lavorare con il corpo» ma lo considerino una vera e propria fortuna, un miraggio.
Cambiano solo le forme della perenne accoppiata sesso e potere o c’è qualcosa di nuovo? E, infine, non «giudicare» la prostituzione deve significare che quello è davvero un «lavoro» come un altro? Da tempo le donne discutono di tutto ciò e certo dobbiamo continuare a farlo coinvolgendo gli uomini.
Ma quando ho sentito alcuni studenti, nel liceo di mio figlio, discutere sulla inutilità che quella loro compagna, così bella, dalle gambe così lunghe, continuasse a studiare greco, e li ho sentiti ragionare sullo «spreco» di quelle loro compagne - quasi sempre molto carine e molto più brave di loro -ad «andare così bene a scuola» ho pensato che non fosse sbagliato firmare quell’appello dai rischi moralistici.
E quando una mia laureanda, bellissima anche secondo i canoni estetici di Arcore, la quale si consuma sulle ricerche d’archivio, con una prospettiva del tutto incerta, mi ha chiesto quale sia la vera libertà per la donna, io le ho risposto che non tutte le scelte sono uguali. Perché penso di avere, senza alcuna spocchia di superiorità, ma molto semplicemente, il dovere di testimoniare una strada concreta alle mie studentesse. «Le disgraziate si sono vendute per una lira, per un grembial» recitavano le dolenti parole dei canti del primo socialismo, «né puttane né madonne, solo donne» gridavano le femministe negli anni Settanta. E ora? Cosa diciamo ora ai nostri figli e alle nostre studentesse?
Strappi e mimose
di Ida Dominijanni (il manifesto, 05.02.2011)
Per quanto tecnica sia la formula, l’aggettivo «irricevibile» con cui Napolitano ha respinto al mittente e rinviato alle camere il decreto sul federalismo ha un suono ben più forte dello strappo procedurale cui si riferisce. Irricevibile è un governo che disprezza il parlamento e prescinde dal Quirinale, irricevibile è una maggioranza di nominati arroccata nel bunker del suo padrone, irricevibile è un capo di governo che usa sistematicamente la scena internazionale per denigrare «la Repubblica giudiziaria commissariata dalle procure», irricevibile è lo stesso capo di governo che su quella stessa scena difende, unico in Occidente, lo zio - anch’esso di sua nomina - della propria favorita, irricevibile è una prassi istituzionale fondata per metodo e sistema sullo scontro fra i poteri dello Stato. Se ne contano almeno nove al calor bianco, in tre anni, fra Palazzo Chigi e il Quirinale, su questioni di procedura e di merito. È un segno, e non l’ultimo, che la situazione è da tempo oltre il livello di guardia.
Perché allora, con le pinze, si tiene ancora? Perché in campo c’è una sola strategia riconoscibile, nei suoi tratti devastati e devastanti: quella di un raìs in pieno delirio di onnipotenza («sono l’unico soggetto universale a essere tanto attaccato», ha detto di sé ieri testualmente il premier) e deciso a resistere, resistere, resistere a tutti costi, nessuno escluso. Senza limiti, perché non ne conosce. Senza vergogna, perché non ne ha. Senza tema di smentite, perché la sua capacità di scambiare il vero col falso è segno non più di manipolazione bensì di negazione della realtà. Intorno a questa maschera, solo una corte di figuranti asserviti che finiscono col restituirle lo scettro anche quando potrebbero sfilarglielo, alla Bossi o alla Maroni per capirci. Dall’altra parte, una strategia felpata, una ricerca di alleanze senza selezione e senza seduzione, una promessa di liberazione senza desiderio. Il risultato è una paralisi che si alimenta di una lacerazione al giorno, una rivelazione all’ora, uno scandalo al minuto, senza che la tela si strappi davvero e mentre chiunque non faccia parte dello zoccolo duro del raìs si chiede: com’è possibile?
È possibile, perché c’è un fantasma lì dietro la scena, che nessuno vuole davvero vedere. Berlusconi lo rimuove, i suoi avversari lo scansano in attesa della foto del peccato o della prova del reato, e tutti quanti pensano di parlare, ancora, di «politica» (federalismo, fisco e quant’altro), come se, per citare Gustavo Zagrebelsky, le notti di Arcore non fossero la notte della Repubblica. Lo sappiamo, i numeri in parlamento sono quelli che sono. Ma la democrazia parlamentare non esclude altre forme dell’azione politica, e non domanda nemmeno che si resti in parlamento a recitare una farsa. Una società stremata da vent’anni di berlusconismo merita qualcosa di più della promessa di una parodia del Cln. O di una raccolta di firme offerta l’8 marzo come un mazzo di mimose dal segretario del Pd «alle nostre donne». Non siamo di nessuno, non amiamo le mimose né tantomeno, per citare stavolta Luisa Muraro, chi conta di usarci come truppe ausiliarie di una politica inefficace.
Donne in piazza, migliaia di adesioni
Domenica manifestazioni in tutta Italia:
"Dal Palasharp nuovo entusiasmo"
"Se non ora quando?": il passaparola corre su Internet
La Cgil garantisce il supporto organizzativo, anche il Pd ha aderito
di Cinzia Sasso (la Repubblica, 07.02.2011)
MILANO - «Cerrrrtooo, che ci sarò!». «Ragazze: non dimenticate la sciarpa bianca!». «Ci vediamo, nella speranza di essere di nuovo in tanti!». Arrivano a centinaia, nello stile informale e allegro di Facebook, le adesioni al «Se non ora, quando?» di domenica prossima. Arrivano ancora di più dopo il successo della manifestazione organizzata dall’associazione Libertà e Giustizia al Palasharp di Milano, che ha visto sabato un pezzo di Italia sobria e indignata, senza bandiere di partito, chiedere le dimissioni del premier. Stavolta, dopo essere state le prime a scendere in piazza della Scala, a Milano, sabato 29 gennaio, sono di nuovo le donne a invitare tutti a manifestare. Lo avevano promesso: non ci fermeremo. E stavolta il loro appello coinvolge tutta Italia.
Non c’è solo una firma sotto questa chiamata a reagire: l’offesa del Rubygate ha unito le associazioni femminili - ma anche quelle maschili - più diverse e la Cgil si è messa in prima fila per organizzare la reazione al degrado della politica e della cultura. Sabato, a Milano, Susanna Camusso, l’aveva detto: «Questo è solo l’inizio di una mobilitazione più generale ed è il segno che le donne sono sempre in prima linea nell’impegno e nel sostegno della dignità e della libertà. Non ci fermeremo».
Non sarà una piazza sola, stavolta, ad accogliere la protesta; saranno tutte le piazze d’Italia. Piazza del Popolo a Roma, piazza Castello a Milano. Ma anche, tanto per seguire l’ordine alfabetico, dalla piazza della Repubblica di Ancona, a piazza Bra a Verona. Gira in rete il vademecum per la manifestazione, che vuole essere il più larga possibile e non avere alcuna bandiera: saranno i partiti - come, per il Pd, ha già annunciato Dario Franceschini - ad accogliere l’invito, ma non saranno loro i padroni di casa.
Spiegano sul sito della manifestazione: non scendiamo in piazza per giudicare altre donne, né per dividerle in buone e cattive; quello che vogliamo è esprimere la nostra forza e la nostra determinazione; siamo fiere e orgogliose, chiediamo dignità e rispetto per noi e per tutte; siamo gelose della nostra autonomia e non ci lasceremo usare; la partecipazione di uomini è richiesta e benvenuta; cercheremo di parlare prima di tutto ai giovani e di portarli in piazza.
Ci saranno scrittrici, operaie, commesse, ricercatrici, casalinghe, studentesse, pensionate. Insomma, tutte le donne "normali" d’Italia, quelle che ogni giorno, con il loro doppio lavoro, arricchiscono il Paese. Una forza, quella delle donne, che preoccupa e spaventa, soprattutto il centrodestra: perché in piazza con la sciarpa bianca, offese da un modello culturale volgare e fasullo, ci saranno anche loro. Una maggioranza silenziosa che rischia di fare tantissimo rumore.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
USCIAMO DAL SILENZIO. UN APPELLO DEGLI UOMINI, CONTRO LA VIOLENZA ALLE DONNE
L’alleanza si è rotta. La Chiesa non abbia paura delle donne
di Emma Fattorini (l’Unità, 11 febbraio 2012)
La donna è più predisposta a quell’unità di vita tra piccolo e grande, tra dentro e fuori, tra interiorità ed esteriorità che è il modo contemporaneo in cui Cristo ci appare oggi. In un tempo come il nostro nel quale è forte la scissione tra le affermazioni di principio e i comportamenti pratici, anche tra i cristiani che tanta fatica fanno a raggiungere una unità di vita.
Però, come non credo all’inferiorità femminile, non credo neanche ad una superiorità della donna neppure nel rapporto con Gesù. Credo invece, profondamente, in un’assoluta parità della donna con l’uomo, ma una parità così radicale da consentire una sua altrettanto radicale differenza con lui. Una differenza anche nel loro rapportarsi a Dio. Una differenza che purtroppo gli uomini, tutti, anche quelli di Chiesa hanno tradotto, banalmente, con inferiorità. Un errore, ma direi di più: un vero e proprio peccato che non solo Gesù non commise mai, ma dal quale proprio e solo lui, in tutta la storia umana, ha aiutato davvero ad affrancarci, cambiandone il segno.
Questo non è ciò che avviene nella Chiesa. Le suore oggi sono consapevoli dell’assurdità di questa posizione, dell’errore enorme, della perdita secca che, non loro, ma il mondo maschile della Chiesa subisce nel non valorizzare il femminile. Qualcosa che non può dominare, controllare e che pure sarebbe una ricchezza e una benedizione per lui e per la Chiesa.
Credo che la Chiesa rischi di perdere l’occasione storica di una grande, potente, alleanza con il genere femminile. La Chiesa, lungo la sua storia, si è alleata tante volte con le donne: nei momenti in cui si è sentita sconfitta, ad esempio dopo la rivoluzione francese, o in i tutti i passaggi cruciali del processo di secolarizzazione, si è sempre alleata con quel senso di pietà religiosa che la donna riusciva a fare vivere in casa comunicandola ai propri uomini, ai figli, al proprio marito sempre più lontani dalle pratiche religiose. Si trattava di una devozione mai disgiunta da un profondo e rigoroso cambiamento interiore, fatto di onestà, formazione del carattere e coerenza. Ecco allora, ancora una volta, la capacità femminile di tenere uniti il dentro e il fuori.
Poi, con il processo di emancipazione femminile, dalla fine dell’Ottocento in poi, questa alleanza si è spezzata: la donna è diventata sempre di più veicolo e metafora della modernità vista solo nei suoi pericoli, in primo luogo la libertà dell’individuo.
Oggi questo processo è giunto agli esiti più estremi. Quello che papa Wojtyla ha chiamato svolta antropologica, che non è quella bandiera ideologica rinfacciata su tutti i fronti. Lui l’assume, fin dal tempo in cui, lavorando al Concilio contribuì al n. 22 della Gaudium et Spes in questi termini:
Cristo svela pienamente l’uomo all’uomo, perché solo nel mistero del Verbo anche il mistero dell’uomo incarnato trova vera luce. Dio ha posto nell’uomo un seme di eterno. Cioè Cristo aiuta l’uomo ad essere pienamente uomo e qui Wojtyla aggiunge che, in questo passaggio, la cooperazione femminile è fondamentale, essenziale. È fondativa, non accessoria o secondaria.
Oggi la libertà soggettiva e i diritti individuali sono la cultura dominante, come a fine Ottocento fu la questione sociale. E come allora la Chiesa riuscì a farsene carico con una dottrina sociale capace di rispondere in avanti alle domande del collettivismo socialista e dell’individualismo liberale, così deve fare ora con il tema delle libertà individuali.
E la donna da minaccia suprema potrebbe essere la più preziosa alleata.
Vorrei dire molto serenamente ai nostri sacerdoti e alle nostre gerarchie: non dovete avere paura del rapporto vero con le donne. E questo significa in primo luogo che, quando si parla giustamente e inevitabilmente di valori irrinunciabili, l’etica, che ne è il fondamento, si può fondare solo sull’amore e non sullo scambio politico: quello, lo sappiamo bene, ci vuole, sarebbe dannosamente ingenuo ignorarlo. Ma non è mai, assolutamente mai il patteggiamento politico a dovere avere l’ultima parola. E questo non per purismo imbelle ma perché, semplicemente, non funziona. Le donne possono essere il centro propulsore di una sorta di nuova costituente antropologica, in cui in nome di un comune umanesimo, che non può esistere se non è anche un umanesimo femminile, si possono trovare più ragioni comuni con i non credenti che argomenti di divisione. Due sono i vizi da evitare perché questo sia possibile: la colpevolizzazione o il moralismo, ne abbiamo avuti tanti esempi in questi dieci anni e abbiamo visto come siamo finiti.
Nel nuovo protagonismo dei cattolici nella politica italiana le donne possono essere centrali, quale ponte e dialogo con i non credenti, possono essere pilastri di una nuova cooperazione. E, invece, come sono apparse le donne sulla scena pubblica nell’ultimo ventennio? O come corpi mercificati, o come fattori divisivi dei valori non negoziabili.
Eppure è altro lo spazio per le donne.
È chiaro ormai per tutti che la crisi del mondo occidentale è etica prima che economica. Ma se nuove regole, una stessa nuova etica non cresce e matura dall’interiorità, dalla maturità complessiva delle persone non potremo mai risollevarci. È irrealistico, prima che sbagliato, pensare ai bisogni dei giovani, i più penalizzati dalla crisi, come pure opportunità di occupazione. Lo so, sembra da pazzi, eppure è proprio adesso, quando la situazione materiale si fa più difficile, che la forza interiore dell’amore e della generosità diventa potente per sperare e progettare, per essere onesti e generosi. Un sentire che dobbiamo comunicare alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi di un Occidente ormai neppure più sazio ma solo disperato.
Pari dignità oltre le "grazie" del corpo
l’etica pubblica non è moralismo
di Roberta De Monticelli (la Repubblica, 11 febbraio 2011)
Sono felicemente accorsa all’appello di Libertà e Giustizia, ed ero con le anime belle del Palasharp, "miserabili" azioniste, come qualcuno ha scritto. Mi ero invece dimenticata di firmare l’appello in difesa della dignità delle donne. Rimedio subito. Ma forse c’è una ragione per cui la questione dell’immagine delle donne sembra passare in secondo piano rispetto al resto di quello che sta succedendo.
Non a caso forse anche due scrittrici che mi hanno preceduto nei loro interventi su questo giornale la prendono un po’ larga, con due bellissime immagini, facendo della donna un simbolo, l’una della verità stuprata quotidianamente, l’altra della nostra povera Italia umiliata e offesa.
Non capisco invece un’acca dell’accusa che altre fanno di "moralismo": questa parola mi sembra la parola più usata a sproposito dell’ultimo mezzo secolo. Questa parola che mezza Italia spara con disprezzo sull’altra mezza, su quella più sconcertata di fronte alle peggiori infrazioni all’etica pubblica che si possano immaginare, perpetrate per di più da uomini (e donne) nel pieno abuso delle loro funzioni pubbliche.
Ma veniamo all’immagine delle donne, e alla ragione per cui una quasi perfino se ne dimentica, di fronte a tutto il resto. Come ha scritto un signore che si definisce "liberale" - e certo anche qui la tolleranza nell’abuso delle parole è degna di nota - noi signore, almeno fino a una certa età, stiamo "sedute sulla nostra fortuna". Lui invece no? Ma si rassicuri, che il sesso maschile resta, a quanto ci raccontano certi primi ministri e i loro prosseneti, affascinantissimo ben oltre quell’età.
Al signore liberale però vorrei chiedere anche se incoraggerebbe sua figlia o sua nipote a far partecipare qualche utilizzatore finale di quella bella grazia su cui siede. Perché immagino che sua figlia o sua nipote, esattamente come lui, vorrebbero essere riconosciute portatrici anche di altri valori e quindi di altre fortune che quella, spesso graziosa e sempre utile, parte del corpo. E dunque sentirebbero un po’ offensivo sentirsi monetizzare in relazione esclusiva a quella parte. Esattamente, suppongo, come lui.
Se invece ci fosse alcuno, un bello stallone poniamo, che umilmente e orgogliosamente rivendicasse la sua stallonità come la sua maggior gloria, e/o la sua miglior risorsa economica, benvenuto stallone: questa sarebbe la sua legittima scala di valori, diciamo così il suo ethos; e siccome è il suo, nessun altro può metterci il becco - nell’esatta misura, s’intende, in cui non lede né il codice penale né il rispetto dovuto a qualunque altra persona. Né, ancora più ovviamente, la diversa scala di valori necessariamente legata a una carica o funzione pubblica. (Orrenda lesione sarebbe certo - ipotesi inimmaginabile! - un primo ministro che praticasse ed esaltasse come sua miglior virtù l’arte dello stallone).
Concludendo: una cosa è che uno senta e scelga i valori del sedere, come la cosa di sé migliore e più preziosa; tutt’altra cosa è che glielo imponga un altro, magari solo per via di generalizzazione illiberale, del tipo: non lo vedete, uomini belli, che state seduti sul vostro vero valore?
Ecco, il problema è tutto qui. Questa domanda era una introduzione elementare al concetto di "avere pari dignità e diritti", cioè al principio che sta alla base non solo della giustizia morale personale, ma anche dell’etica pubblica, e di tutta la serie dei diritti, civili politici e sociali, su cui si fonda una democrazia liberale. Ma se perfino i grandi "liberali", in Italia, questo principio non lo hanno ancora capito, val proprio la pena di scendere in piazza un’altra volta, a ribadirlo.
VITA DA STREGHE
di Giorgia Vezzoli *
Parlo nel tempo dell’umanità corrotta,
dell’infanzia violata e dei corpi artefatti.
Parlo nel tempo di chi elemosina le briciole di una quotidiana certezza,
come fiere che si divorano per la stessa pietanza,
e tacciono
per non essere cacciate dalla mensa del padrone.
Parlo nel tempo della coscienza infetta,
ammorbata dai veleni, dai mercati,
dalla disinformazione,
che ha perduto la capacità di discernere e che non sa distinguere
gli occhi che mentono da quelli che implorano.
Parlo nel tempo degli ubriachi,
di chi si fa denudare dei propri diritti, che furono un tempo
pretesi e combattuti.
Parlo nel tempo di chi non porge rispetto e non conosce memoria,
dove ogni tragedia della Terra è un monito
che grida il dolore di chi non c’è più.
Parlo di un tempo che non a me dovrà rendere conto
ma ai figli schiavi della propria menzogna,
a quelli mancati delle sue prossime generazioni
e a quelli ammazzati dal proprio silenzio.
*
Questa mattina mi sono alzato alle 5,30 ed ho pregato con questa poesia, salmo laico da un mondo laido (don Aldo Antonelli).
Il PAESE BORDELLO! MA COME AVETE FATTO A RIDURVI COSI’!!! Una nota di Maurizio Viroli (...) Siamo dunque riusciti a conquistarci presso l’opinione pubblica americana il poco invidiabile titolo di ‘stato bordello’ o ‘stato in cui governano le puttane’. Gli opinionisti diranno che la colpa è degli oppositori di Berlusconi che diffondono a piene mani stereotipi anti-italiani. La verità è che sono gli altri ad attribuirci immagini poco edificanti anche perché hanno occhi per vedere, e sanno ancora ragionare, un’arte ormai estinta in Italia (...)
COSTITUZIONE, LINGUA E PAROLA.....
IL BERLUSCONISMO E IL RITORNELLO DEGLI INTELLETTUALI.
Federico La Sala
Suore e puttane
di Concita De Gregorio (l’Unità, 09.02.2011)
Nel disperato e spaventato tentativo di far sembrare la manifestazione di domenica prossima una piccola cosa, una cosa di donne, sono scese in campo le truppe da combattimento dei sostenitori e dei fiancheggiatori dell’Arcore style. Quelli che, a partire dall’anziano Ostellino, spiegano che ogni donna è seduta sulla sua fortuna dunque che male c’è, è sempre andata così, l’Italia in fondo è veramente un bordello abbiamo letto di nuovo ieri sul Corriere. I più raffinati, per così dire, schierano donne a denigrare altre donne nel tentativo di scatenare quella che, se solo si scatenasse, chiamerebbero entusiasti una rissa da pollaio.
Il sottotesto, il retropensiero divertito di chi manda in tv e mette in prima pagina le Santanchè da combattimento è il seguente: ecco, guardate, donne contro donne. Come se le donne non rispondessero alle categorie di ogni essere umano e non ce ne fossero di ladre e di oneste, di servili e di libere, di capaci e di inette. Gli argomenti più in voga, per denigrare chi crede che le donne siano capaci per prime di reagire al “sistema” piuttosto che adattarvisi, sono i seguenti: sono femministe, moraliste. Predicavano il libero amore ora si atteggiano a suore.
Le brave ragazze contro le prostitute, le madri contro le puttane, il mondo diviso in Maria e Maddalena così come i libri sacri ci insegnano, come gli uomini in fondo desiderano. Le puttane per strada offendono il decoro urbano, in villa sono accompagnate dagli autisti. Il femminismo e il moralismo non c’entrano: molte suore hanno firmato il nostro appello e parecchie prostitute, preti e libertini come se aveste la pazienza di leggerci capireste. Ammesso che l’obiettivo sia capire, naturalmente.
Carla Corso, una donna di 65 anni che è stata ed è leader del comitato per i diritti civili delle prostitute, ci racconta oggi perché aderisce alla manifestazione. Dice, a un certo punto: “Noi eravamo in lotta contro il mondo, volevamo rompere l’ipocrisia, queste ragazze non sono contro ma sono funzionali al sistema”. Il femminismo è stato un movimento politico portatore di diritti. Le ragazze che negli anni Settanta non erano nate, quelle che come me andavano alle elementari non hanno combattuto quella battaglia: ne hanno goduto i frutti. Ma i diritti non sono dati per sempre, vanno difesi: con la cultura, con la consapevolezza.
Scrivevo anni fa le storie vere di Dalia, la ragazzina dell’Est venduta dalla nonna a 12 anni, di Cristina, la studentessa che fiera di farlo rivendica il suo diritto a fare la puttana. La libertà consiste nel darsi il destino che si vuole. Credo che il “sistema” di cui parla Lele Mora e che da decenni è un modello di referimento per generazioni di ragazze - quelle sulle copertine dei rotocalchi, in tv - proponga come strada per la realizzazione di sé una libertà condizionata alla sottomissione. Un mondo di cortigiane, dice Carla Corso.
Il problema non è mai chi vende, è chi compra. L’amore è gratis, si può fare in quanti e come si vuole. Anche vendersi è lecito. E’ l’acquisto all’ingrosso, della società intera, che fa schifo. In specie se si comprano adolescenti: che siano consenzienti, e i loro padri con loro, non migliora. Peggiora piuttosto la responsabilità di chi dovrebbe indicare altri orizzonti e non lo fa. Di chi cavalca la sua privata debolezza spacciandola per legge di vita.
L’INIZIATIVA
La voce delle donne scende in piazza
"Per la dignità di tutte e tutti"
La manifestazione nazionale, nata dopo la vicenda Ruby che coinvolge il premier, è prevista per il 13 febbraio in 117 città. -Ha raggiunto oltre 50mila sottoscrizioni. A presentare l’iniziativa del comitato ’Se non ora quando?’ anche il segretario Cgil Camusso, la parlamentare Fli, Perina e la regista Comencini
di KATIA RICCARDI *
ROMA - C’è una linea sottile che separa moralismo e buon senso, mobilitazione e protesta, offesa e ferita. Che divide la libertà sessuale dalla prostituzione e dalla corruzione. Le donne camminano con grazia su questa linea rossa. Ne conoscono bene il confine, sanno gestire l’equilibrio. Non è dunque da una ferita che è nato il comitato ’Se non ora quando? 1’, ma da una presa di coscienza che durante la conferenza stampa sulla manifestazione nazionale, organizzata per il 13 febbraio in 117 città 2, la regista Francesca Comencini ha spiegato così: "Il nostro Paese è stato seppellito lentamente dalla neve. Una neve fatta di immagini e precedenti che ha lentamente sotterrato tutto, addormentato tutto. Lo ha fatto in silenzio, e ci ha portato a quanto oggi stiamo vivendo. Leggendo, subendo. Ci siamo ritrovate a casa mia una sera, donne diverse ma preoccupate nello stesso modo, per i nostri figli, per noi, per una totale mancanza di rispetto, per una mancanza di politiche per le donne, per un messaggio che sta passando e che è sbagliato. E ci siamo dette: come ci siamo trovate a questo punto? Quando è successo? Se non ora, quando cominciare a fare qualcosa per svegliarci?". E scuotere la neve.
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Così è nato il comitato. Ha unito donne diverse, di diverse età, con lo scopo comune di non essere retoriche, di non passare per bacchettone, di mobilitarsi per intraprendere un cammino, e in grado di mantenere l’equilibrio cambiando il messaggio che imperversa nel regno. Che così fan tutte. Che c’è la sfera pubblica e quella privata, che il mondo è mondo e l’uomo è uomo. Che "meglio così che gay". Eppure c’è una differenza tra Berlusconi e berlusconismo. Tra maschio e maschilismo. Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil, l’ha evidenziata nel suo intervento. "Da quando abbiamo cominciato a muoverci, il nostro messaggio è passato, si è espanso, allargato, ha preso forma. Si parla sempre delle ’ragazze’ eppure non si parla mai della domanda maschile per le ’ragazze’. E’ la base su cui si sorvola, quella che passa nell’indifferenza. Ma è come guardare il dito senza vedere la luna. Perché il messaggio che sta arrivando è proprio questo. Noi, adesso, abbiamo solo deciso di smettere di occuparci del dito. Ormai è evidente che se va bene, le donne sono oggetto di discussione, se va male sono direttamente l’oggetto. Se non ora quando, ma quando torneremo a un’Italia normale?".
Al tavolo erano sedute donne con storie diverse, ad unirle era il loro tono. L’impegno di una mobilitazione che avrebbero preferito non dover affrontare. Mentre l’Europa va avanti e ci guarda con stupore. Dopo anni di lotta, dopo più vecchie battaglie, le donne del comitato erano pronte a spiegare le basi di un pensiero perfino troppo ovvio per essere al riparo da nemici, spallucce e facili definizioni. Flavia Perina, parlamentare Fli e direttore del Secolo d’Italia, ha parlato da "donna di destra". "Sia chiaro, qui nessuna di noi fa parte di una stessa scuola di pensiero. Ci muoviamo oltre gli slogan, oltre le idee politiche. Ma il problema che ci circonda è politico, non morale. Qui sta iniziando a passare l’idea che la rappresentanza femminile nel mondo politico si sia fatta avanti attraverso wild party, balletti, sesso. Si avvicinano alla politica persone che non ne erano mai state interessate. Quello di cui un tempo era accusato il mondo dello spettacolo, ormai è una pratica diffusa, anche in campi dove non era così. Cade l’etica pubblica dietro un pesantissimo ’così fan tutte’. Ma non è così e così non deve essere", conclude.
Inutile spiegare che la manifestazione non è fatta per giudicare altre donne, non è contro altre donne, o per dividere le donne in buone e cattive. Come ha sostenuto invece oggi il sottosegretario al ministero della Salute Eugenia Roccella sul Giornale: "L’appuntamento in piazza del 13 febbraio rischia di essere una manifestazione di alcune donne contro altre donne", riproponendo quella divisione netta fra la donna "angelo del focolare" e la "prostituta" che proprio il femminismo degli anni ’70 rifiutava, rispolvera Roccella in un’inaspettata esegesi del movimento delle donne. La risposta è nei fatti. Oltre alle adesioni che sul sito della petizione 8 hanno raggiunto 51.500 firme in meno di una settimana, con 23 mila contatti al giorno sul blog e 15 mila nella pagina di Facebook, alla manifestazione hanno derito anche le "lucciole", perché vogliono "contaminare" la piazza con la loro partecipazione. Perché rifiutiamo la divisione patriarcale "tra donne per bene e donne per male". Ad annunciarlo è stata Pia Covre, storica leader del Movimento per i diritti civili delle prostitute: "Ci saremo - ha spiegato - perché non accettiamo che il nostro Paese sia trascinato nel fango da una classe politica che ci ha ridotti a una democrazia degenerata. Perché non accettiamo di essere usate, infangate e strumentalizzate per la restaurazione di una morale sessuale stantia che soffoca le aspirazioni e le libertà di ogni donna".
La mobilitazione è trasversale, raccoglie sensibilità e orientamenti diversi. E’ un invito a tutti gli uomini che non vogliono essere l’altra faccia di una stessa mediocre medaglia. Nicoletta Dentico, presidente di Filomena la rete delle donne 9, parla con enfasi, e ribadisce. "Questa manifestazione non è nata contro Berlusconi. Smettiamo di farci colonizzare la mente da quell’uomo. Noi ci rivolgiamo anche agli uomini, agli amici delle donne. Dove sono anche loro? La nostra piazza, la mobilitazione, non è così differente da quelle delle donne arabe, africane, maghrebine. Non ci illudiamo di stare meglio". Restiamo il secondo Paese, dopo Malta, con il maggior numero di disoccupate donne, i problemi vanno oltre le veline e i bunga bunga e se Arcore è servito a risvegliare un orgoglio preso da altre cose, non resta questa la sola minaccia. "Siamo donne fiere e orgogliose. Chiediamo dignità e rispetto per noi e per tutte. Per questo non ci devono essere simboli politici o sindacali nei nostri cortei", ha concluso Dentico, dopo gli interventi di Licia Conte, Titti Di Salvo, Francesca Izzo, Serena Sapegno, e l’attrice Lunetta Savino.
Tra i giornalisti presenti molti erano stranieri. Sono colpiti, rassicurati da un risveglio finalmente arrivato. Chiedono come facciamo, che in Svezia non è così, che in Inghilterra non sarebbe possibile, che negli Stati Uniti ci sono precedenti ben meno gravi. Eppure. "E’ difficile tenere la testa alta al Parlamento", dice Silvia Costa, parlamentare europea per il Pd. "Ma il fatto è che in altri paesi non si sarebbe neanche arrivati alla magistratura per capire che abbiamo superato un confine, importante, di etica pubblica". Un giornalista svedese chiede: "Perché tanta paura di essere accusate di moralismo? In fondo non ne farebbe male un po’".
* Per doc. e approfondimenti, clicca ->: la Repubblica, 08 febbraio 2011
LA RIBELLIONE DELLE DONNE PER LA RINASCITA MORALE E CIVILE DELL’ITALIA
Ordine del giorno approvato al Comitato direttivo nazionale della FLC CGIL il 25/26 gennaio 2011
Noi donne della FLC CGIL, insegnanti e ricercatrici della scuola e dell’università, dirigenti scolastiche, educatrici e operatrici dei settori formativi, vogliamo ribellarci al degrado morale, politico, istituzionale e culturale in cui sta cadendo il nostro paese. Il Presidente del Consiglio è il massimo responsabile di questa situazione con i suoi comportamenti da padrone assoluto che compra persino la dignità delle persone.
Le donne, specie se sole, straniere e senza appoggio, sono le vittime di questi comportamenti. Nessuna solidarietà né politiche di inclusione, ma, come è tipico di padroni e satrapi, "concessioni e regalie" in cambio di umilianti servizi. Donne che finiscono con l’apparire un prodotto culturale del berlusconismo e somiglianti al presunto utilizzatore finale, tanto sono plagiate e smarrite.
Diciamo a queste donne che non c’è generosità nei comportamenti del Presidente del Consiglio verso di loro, né sentimenti né ammirazione, ma solo violenza e ricatto, arroganza del denaro e del potere.
Nell’Italia reale noi donne studiamo, aspiriamo ad avere un impiego e se lavoriamo lo facciamo con impegno, serietà, professionalità e competenza portando avanti lavoro, famiglia e il pesante fardello, scaricato sulle nostre spalle dalla crisi sociale ed economica. Nell’Italia reale la metà di noi ha smesso di cercare lavoro perché la politica fallimentare di questo governo ci ha sbattuto la porta in faccia, togliendoci persino la speranza. Nell’Italia reale le famiglie sono sole.
Questa società controlla le persone e soprattutto le donne attraverso il loro corpo, "introiettando" un prototipo di perfezione fisica come unico mezzo per ottenere il successo, sostiene Foucault. Noi donne della Conoscenza ci ribelliamo a questo sfruttamento continuo dell’immagine e del corpo femminile che si può vendere e acquistare per soddisfare i capricci del potente di turno e del continuo dileggio delle nostre persone.
Noi lavoratrici e lavoratori dell’educazione, della ricerca e dell’istruzione siamo impegnati tutti i giorni nello sforzo di formare cittadini liberi, rispettosi della dignità dell’altro, di far passare valori etici e civili nello spirito della Costituzione, principi di solidarietà ed eguaglianza nello spirito della dichiarazione dei diritti dell’uomo e delle donne per costruire un mondo di pari opportunità, di pace e di civiltà. Per dare un futuro migliore ai giovani e una speranza al Paese.
I principi di onestà e decoro richiamati dalla Costituzione sono il fondamento del nostro lavoro di educatrici e di lavoratrici. Ma sono ignorati dal Presidente del Consiglio che offre ai giovani un pessimo esempio illudendoli che si possa migliorare la propria condizione senza studio e lavoro, ma trovandosi un potente da compiacere.
Il Presidente del Consiglio deve dimettersi per indegnità morale e per liberare il paese da una guida imbarazzante. L’Italia merita di recuperare la credibilità e la dignità che la sua storia e la sua cultura le hanno consegnato.
L’Italia, patria di grandi educatori ed educatrici come Maria Montessori, deve mandare a casa questo
* FLC CGIL
SE NON ORA, QUANDO?
APPELLO ALLE DONNE ITALIANE A PARTECIPARE A UNA GIORNATA DI MOBILITAZIONE IL 13 FEBBRAIO *
In Italia la maggioranza delle donne lavora fuori o dentro casa, crea ricchezza, cerca un lavoro (e una su due non ci riesce), studia, si sacrifica per affermarsi nella professione che si e’ scelta, si prende cura delle relazioni affettive e familiari, occupandosi di figli, mariti, genitori anziani.
Tante sono impegnate nella vita pubblica, in tutti i partiti, nei sindacati, nelle imprese, nelle associazioni e nel volontariato allo scopo di rendere piu’ civile, piu’ ricca e accogliente la societa’ in cui vivono. Hanno considerazione e rispetto di se’, della liberta’ e della dignita’ femminile ottenute con il contributo di tante generazioni di donne che - va ricordato nel 150esimo dell’unita’ d’Italia - hanno costruito la nazione democratica.
Questa ricca e varia esperienza di vita e’ cancellata dalla ripetuta, indecente, ostentata rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale, offerta da giornali, televisioni, pubblicita’. E cio’ non e’ piu’ tollerabile.
Una cultura diffusa propone alle giovani generazioni di raggiungere mete scintillanti e facili guadagni offrendo bellezza e intelligenza al potente di turno, disposto a sua volta a scambiarle con risorse e ruoli pubblici.
Questa mentalita’ e i comportamenti che ne derivano stanno inquinando la convivenza sociale e l’immagine in cui dovrebbe rispecchiarsi la coscienza civile, etica e religiosa della nazione. Cosi’, senza quasi rendercene conto, abbiamo superato la soglia della decenza.
Il modello di relazione tra donne e uomini, ostentato da una delle massime cariche dello Stato, incide profondamente negli stili di vita e nella cultura nazionale, legittimando comportamenti lesivi della dignita’ delle donne e delle istituzioni. Chi vuole continuare a tacere, sostenere, giustificare, ridurre a vicende private il presente stato di cose, lo faccia assumendosene la pesante responsabilita’, anche di fronte alla comunita’ internazionale.
Noi chiediamo a tutte le donne, senza alcuna distinzione, di difendere il valore della loro, della nostra dignita’ e diciamo agli uomini: se non ora, quando? e’ il tempo di dimostrare amicizia verso le donne.
L’appuntamento e’ per il 13 febbraio in ogni grande citta’ italiana.
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Prime firmatarie: Rosellina Archinto, Gae Aulenti, Silvia Avallone, Maria Bonafede, Suor Eugenia Bonetti, Giulia Bongiorno, Margherita Buy, Susanna Camusso, Licia Colo’, Cristina Comencini, Silvia Costa, Titti Di Salvo, Emma Fattorini, Tiziana Ferrario, Angela Finocchiaro, Inge Feltrinelli, Anna Finocchiaro, Donata Francescato, Rosetta Loy, Laura Morante, Claudia Mori, Michela Murgia, Flavia Nardelli, Valeria Parrella, Flavia Perina, Marinella Perrone, Amanda Sandrelli, Lunetta Savino, Clara Sereni, Gabriella Stramaccione, Patrizia Toja, Livia Turco, Lorella Zanardo, Natalia Aspesi, Letizia Battaglia, Associazione Dinuovo...
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Per adesioni e informazioni: e-mail: mobilitazione.nazionale.donne@gmail.com ; sito:
http://senonoraquando13febbraio2011.wordpress.com/
SE NON ORA QUANDO?
DOMENICA 13 FEBBRAIO, ORE 14,30 - PIAZZA CASTELLO.
Anche a Milano, come in molte altre città italiane, domenica 13 febbraio le donne scenderanno in piazza per rispondere all’appello nazionale “Se non ora quando?”, intorno al quale si stanno mobilitando in centinaia di migliaia in tutto il Paese.
A organizzare l’appuntamento milanese saremo ancora noi,le stesse promotrici della grande manifestazione di sabato 29 gennaio in Piazza della Scala, per dire con decisione che “Un’altra storia italiana è possibile”.
Dando continuità a quel primo momento di mobilitazione, ci ritroveremo alle 14,30 in Piazza Castello, ancora una volta con le sciarpe bianche,
Con noi in piazza ci saranno personalità del mondo della cultura, dello spettacolo e della società civile.
Per adesioni e informazioni: milano13febbraio@gmail.com