MOBILITAZIONE NAZIONALE, 13 FEBBRAIO - DONNE IN PIAZZA, IN TUTTA ITALIA, PER LA DIGNITA’ E PER LA COSTITUZIONE

DONNE - E STATO E CHIESA CATTOLICA!!! LA DOMANDA DI LILIANA CAVANI, LA RISPOSTA DI EMMA FATTORINI, E IL PUNTO ESCLAMATIVO DI IDA DOMINIJANNI. Con una nota di Cinzia Sasso sulle manifestazioni - a c. di Federico La Sala

LILIANA CAVANI. La cosa che mi stupisce è che questo accada in un Paese che ha un grande e popolare culto di Maria (vergine), una ragazza di duemila anni fa che con il suo FIAT ha affrontato con coraggio l’avventura culturale e spirituale più spericolata che si possa immaginare
giovedì 10 febbraio 2011.
 

-  LILIANA CAVANI: (...) Il fatto che il consenso al premier a quanto pare sia sempre alto è il sintomo del nostro Regresso con tutte le vecchie porcherie che si porta dietro. È in atto un furto di Progresso. Hanno ragione le donne democratiche che per la prossima manifestazione hanno in mente una maglietta con scritto "Mi riprendo il mio Futuro". Un Futuro che è stato interrotto [...]

-  EMMA FATTORINI: (...) penso di avere, senza alcuna spocchia di superiorità, ma molto semplicemente, il dovere di testimoniare una strada concreta alle mie studentesse. «Le disgraziate si sono vendute per una lira, per un grembial» recitavano le dolenti parole dei canti del primo socialismo, «né puttane né madonne, solo donne» gridavano le femministe negli anni Settanta. E ora? Cosa diciamo ora ai nostri figli e alle nostre studentesse?

-  IDA DOMINIJANNI: (...) Non siamo di nessuno, non amiamo le mimose né tantomeno, per citare stavolta Luisa Muraro, chi conta di usarci come truppe ausiliarie di una politica inefficace.


“il sogno tradito delle donne partigiane”

di Liliana Cavani (la Repubblica, 7 febbraio 2011)

Quando ho fatto il documentario "La donna della Resistenza" (1965) intervistando varie partigiane ho scoperto con sorpresa che avevano combattuto (fisicamente) per un mondo dove la donna avesse avuto emancipazione. Erano contadine, operaie, intellettuali (ricordo Ada Gobetti) e ciascuna con le sue parole mi disse che aveva rischiato la vita per una "palingenesi" sociale (ricordo questa frase) che prevedeva il riconoscimento della parità della donna.

Una sopravvissuta a Dachau e un’altra ad Auschwitz mi dissero che durante la guerra erano persuase che il loro sacrificio avrebbe contribuito a dare uno scossone alla vecchia cultura. E in effetti le donne ottennero nel dopoguerra il diritto al voto (in Svezia lo ottennero 40 anni prima). Ma la vera rivoluzione culturale che le donne antifasciste speravano di ottenere non avvenne mai neanche col Sessantotto anche se di certo aprì molte teste.

Del resto la storia della donna Italiana salvo punte rarissime (spesso a merito dei Radicali) è tra le meno emancipate del mondo occidentale. La cosa che mi stupisce è che questo accada in un Paese che ha un grande e popolare culto di Maria (vergine), una ragazza di duemila anni fa che con il suo FIAT ha affrontato con coraggio l’avventura culturale e spirituale più spericolata che si possa immaginare.

Oggi la fonte comunicativa più influente sul costume è quella dei media, specialmente tv e Cinema. Ebbene a mio parere i media oggi propagano (consci o meno) per gran parte il Regresso in atto nel Paese. La famosa frase "la donna sta seduta sulla sua ricchezza" è propalata in tutto il suo significato nei programmi tv e nel Cinema più popolare. Vale a dire che con la testa la donna non ci fa nulla, non va da nessuna parte, in nessun Consiglio di Amministrazione, in nessuna posizione dove sia necessaria preparazione e intelligenza.

Come può accadere tutto questo in un Paese che in percentuale è il più cristiano d’Europa, che non ha mai avuto un governo comunista (vale a dire materialista) ma ha avuto una scuola con le ore di religione? Sta di fatto che accade e fra le cause penso alla cultura-maschia del Ventennio che ha pervaso la generazione dei nostri nonni e si è trasmessa ai nostri padri per cui la donna (se non è tua madre tua figlia o sorella) è in primis oggetto di piacere. Oggetto che si prende o si compra e ci si vanta.

E l’uomo è uomo soprattutto se si fa donne gratis o pagate che sia. E la donna è donna se per cultura e costume considera la seduzione il mezzo più diretto per essere presa in considerazione e per trovare orizzonti di carriera. Questa cultura-maschia di marca fascista connessa alla tradizione paternalistica plurimillenaria è la cultura corrente. E a causa di queste ragioni così radicate non deve stupirci (e infatti molti italiani non si stupiscono) se chi ha la più alta carica del Governo fa i comodi suoi. "Beato lui!" diceva un intervistato dalla tv. Ma l’Italia non è un Paese sperduto oltre le valli del Pamir.

Siamo un Paese inserito in un Occidente che dalla rivoluzione francese in poi ha preteso dai suoi rappresentanti o regnanti comportamenti di probità in linea con quello che gli Stati si aspettano dai cittadini. Il rispetto massimo della dignità della donna è tra i requisiti. Nell’Occidente dove in media la cultura è laica il costume è politica. E cultura laica significa pari diritti uomo e donna.

Di conseguenza se non è neanche pensabile avere una specie di harem da cittadino lo è ancora di meno per la più alta carica politica. Il fatto che il consenso al premier a quanto pare sia sempre alto è il sintomo del nostro Regresso con tutte le vecchie porcherie che si porta dietro. È in atto un furto di Progresso. Hanno ragione le donne democratiche che per la prossima manifestazione hanno in mente una maglietta con scritto "Mi riprendo il mio Futuro". Un Futuro che è stato interrotto.


La vera libertà supera i rischi del moralismo

di Emma Fattorini (Corriere della Sera, 7 febbraio 2011)

Tante amiche che stimo hanno contestato la proposta di esprimere pubblicamente il proprio sdegno. Le argomentazioni più pertinenti le hanno espresse sul sito femminista donnaltri.it. Due sono critiche circostanziate e condivisibili, quella di moralismo e di strumentalizzazione. Mentre altre due obiezioni mi lasciano alquanto perplessa e riguardano la natura della prostituzione e il concetto di libertà femminile della donna che offre il suo corpo. Sulla strumentalizzazione solo poche parole.

La furia che vede in Berlusconi il male assoluto - mentre, purtroppo è la massima espressione di un clima generale -, nasconde i limiti di una certa opposizione che non riesce a scalzarlo politicamente e si nasconde, letteralmente, dietro le toghe o le sottane dei magistrati, della Chiesa e, ora, delle donne. Usando la Chiesa e le donne di chiesa, mai altrimenti prese in considerazione, sempre ignorate e che rispuntano, invece, come risorse al momento del bisogno. E qui non ci sarebbe niente di nuovo se non fosse che anche e proprio una simile strumentale miopia ci ha portati a questo punto.

L’accusa di moralismo va presa molto sul serio: non solo perché è profondamente sbagliato dividere le donne «perbene» da quelle «permale» , - contravvenendo al principio di fondo del femminismo sulla libertà del soggetto femminile - ma perché qui il pensiero di alcune donne, fatto in libertà, sine glossa, coglie un punto che riguarda tutti e tutte. Il moralismo è stato ed è veramente il peccato mortale e la causa reale dell’esaurirsi progressivo di quella parte della cultura di opposizione che si è consumata internamente proprio consolandosi con il moralismo. Un vero e proprio surrogato di quella che un tempo era una vera diversità morale, il moralismo è stato innalzato a vessillo mentre, in un lento processo di metabolizzazione, una certa opposizione ha finito con l’interiorizzare, anche inconsapevolmente, gli stessi modelli che demonizzava.

Molti contribuiscono a fare, del moralismo, quello spirito del tempo, speculare e incongruo all’assoluta decadenza morale. Certo un male minore, rispetto al degrado attuale, ma che, come tutte le emozioni e i sentimenti non autentici, è insinuante perché mitridatizza, assuefa e si limita a ri-pulire le coscienze. Ma, così come prendere sul serio i danni del moralismo consente di porci il problema morale, altrettanto prendere sul serio la libertà ci permette di distinguerla dal libertinismo. Questo è veramente il punto in discussione: la libertà del soggetto femminile.

Intangibile è la libertà di scegliere il bene e il male, quella che ci fa essere uomini e donne. Lì sta la nostra origine, lì la nostra caduta, lì, in quella scelta, la nostra irriducibile libertà. E cosa c’è di diverso per le donne? Quale è, secondo loro, la scelta «giusta» ? E, ancora, come fare a tradurre le scelte morali che cambiano nel tempo? Accettarle per come sono, solo perché esprimono un cambiamento della soggettività femminile? E, altrimenti, come fa una donna a capire cosa è male o non è più male? O, addirittura, come dicono alcune: «A noi non interessa questa domanda perché la scelta morale si risolve e si esaurisce tutta nella libera e soggettiva scelta femminile consapevole»? Non sono assolutamente d’accordo con questo ragionamento, né teoricamente né sul piano pratico.

Non sono d’accordo con questo «indifferentismo». Intanto perché la «scelta» (?) di prostituire il proprio corpo non avviene mai nel vuoto pneumatico della soggettività. Non solo, ovviamente, per la moltitudine di disgraziate che fuggono dall’inferno dei mondi disperati ma anche e non di meno per quella zona grigia, sempre più in crescita, di prostituzione «consapevole» che coinvolge proprio la soggettività femminile.

Non basta dire che è un affare degli uomini e delle loro miserie il fatto che le donne si offrano chi per arrotondare, chi per migliore il proprio status, chi per comprarsi la borsa Prada, chi per aiutare i maschi di famiglia, padri, fratelli, cognati, secondo una antica tradizione italiana (i primi appassionati amplessi della innamoratissima Claretta Petacci erano associati a suppliche per favorire gli uomini di famiglia, mentre la favorita contemporanea chiede un avanzamento di carriera politica per se stessa.) Non si tratta di colpe morali ma di capire le novità: non più solo quelle relative alle polimorfe forme della sessualità maschile, insieme compulsive e mai coinvolte nella relazione. Ma occorre vedere anche l’orgogliosa disinvoltura con la quale sempre più donne non si limitano a «lavorare con il corpo» ma lo considerino una vera e propria fortuna, un miraggio.

Cambiano solo le forme della perenne accoppiata sesso e potere o c’è qualcosa di nuovo? E, infine, non «giudicare» la prostituzione deve significare che quello è davvero un «lavoro» come un altro? Da tempo le donne discutono di tutto ciò e certo dobbiamo continuare a farlo coinvolgendo gli uomini.

Ma quando ho sentito alcuni studenti, nel liceo di mio figlio, discutere sulla inutilità che quella loro compagna, così bella, dalle gambe così lunghe, continuasse a studiare greco, e li ho sentiti ragionare sullo «spreco» di quelle loro compagne - quasi sempre molto carine e molto più brave di loro -ad «andare così bene a scuola» ho pensato che non fosse sbagliato firmare quell’appello dai rischi moralistici.

E quando una mia laureanda, bellissima anche secondo i canoni estetici di Arcore, la quale si consuma sulle ricerche d’archivio, con una prospettiva del tutto incerta, mi ha chiesto quale sia la vera libertà per la donna, io le ho risposto che non tutte le scelte sono uguali. Perché penso di avere, senza alcuna spocchia di superiorità, ma molto semplicemente, il dovere di testimoniare una strada concreta alle mie studentesse. «Le disgraziate si sono vendute per una lira, per un grembial» recitavano le dolenti parole dei canti del primo socialismo, «né puttane né madonne, solo donne» gridavano le femministe negli anni Settanta. E ora? Cosa diciamo ora ai nostri figli e alle nostre studentesse?


Strappi e mimose

di Ida Dominijanni (il manifesto, 05.02.2011)

Per quanto tecnica sia la formula, l’aggettivo «irricevibile» con cui Napolitano ha respinto al mittente e rinviato alle camere il decreto sul federalismo ha un suono ben più forte dello strappo procedurale cui si riferisce. Irricevibile è un governo che disprezza il parlamento e prescinde dal Quirinale, irricevibile è una maggioranza di nominati arroccata nel bunker del suo padrone, irricevibile è un capo di governo che usa sistematicamente la scena internazionale per denigrare «la Repubblica giudiziaria commissariata dalle procure», irricevibile è lo stesso capo di governo che su quella stessa scena difende, unico in Occidente, lo zio - anch’esso di sua nomina - della propria favorita, irricevibile è una prassi istituzionale fondata per metodo e sistema sullo scontro fra i poteri dello Stato. Se ne contano almeno nove al calor bianco, in tre anni, fra Palazzo Chigi e il Quirinale, su questioni di procedura e di merito. È un segno, e non l’ultimo, che la situazione è da tempo oltre il livello di guardia.

Perché allora, con le pinze, si tiene ancora? Perché in campo c’è una sola strategia riconoscibile, nei suoi tratti devastati e devastanti: quella di un raìs in pieno delirio di onnipotenza («sono l’unico soggetto universale a essere tanto attaccato», ha detto di sé ieri testualmente il premier) e deciso a resistere, resistere, resistere a tutti costi, nessuno escluso. Senza limiti, perché non ne conosce. Senza vergogna, perché non ne ha. Senza tema di smentite, perché la sua capacità di scambiare il vero col falso è segno non più di manipolazione bensì di negazione della realtà. Intorno a questa maschera, solo una corte di figuranti asserviti che finiscono col restituirle lo scettro anche quando potrebbero sfilarglielo, alla Bossi o alla Maroni per capirci. Dall’altra parte, una strategia felpata, una ricerca di alleanze senza selezione e senza seduzione, una promessa di liberazione senza desiderio. Il risultato è una paralisi che si alimenta di una lacerazione al giorno, una rivelazione all’ora, uno scandalo al minuto, senza che la tela si strappi davvero e mentre chiunque non faccia parte dello zoccolo duro del raìs si chiede: com’è possibile?

È possibile, perché c’è un fantasma lì dietro la scena, che nessuno vuole davvero vedere. Berlusconi lo rimuove, i suoi avversari lo scansano in attesa della foto del peccato o della prova del reato, e tutti quanti pensano di parlare, ancora, di «politica» (federalismo, fisco e quant’altro), come se, per citare Gustavo Zagrebelsky, le notti di Arcore non fossero la notte della Repubblica. Lo sappiamo, i numeri in parlamento sono quelli che sono. Ma la democrazia parlamentare non esclude altre forme dell’azione politica, e non domanda nemmeno che si resti in parlamento a recitare una farsa. Una società stremata da vent’anni di berlusconismo merita qualcosa di più della promessa di una parodia del Cln. O di una raccolta di firme offerta l’8 marzo come un mazzo di mimose dal segretario del Pd «alle nostre donne». Non siamo di nessuno, non amiamo le mimose né tantomeno, per citare stavolta Luisa Muraro, chi conta di usarci come truppe ausiliarie di una politica inefficace.


-  Donne in piazza, migliaia di adesioni
-  Domenica manifestazioni in tutta Italia:
-  "Dal Palasharp nuovo entusiasmo"

-  "Se non ora quando?": il passaparola corre su Internet

-  La Cgil garantisce il supporto organizzativo, anche il Pd ha aderito

-  di Cinzia Sasso (la Repubblica, 07.02.2011)

MILANO - «Cerrrrtooo, che ci sarò!». «Ragazze: non dimenticate la sciarpa bianca!». «Ci vediamo, nella speranza di essere di nuovo in tanti!». Arrivano a centinaia, nello stile informale e allegro di Facebook, le adesioni al «Se non ora, quando?» di domenica prossima. Arrivano ancora di più dopo il successo della manifestazione organizzata dall’associazione Libertà e Giustizia al Palasharp di Milano, che ha visto sabato un pezzo di Italia sobria e indignata, senza bandiere di partito, chiedere le dimissioni del premier. Stavolta, dopo essere state le prime a scendere in piazza della Scala, a Milano, sabato 29 gennaio, sono di nuovo le donne a invitare tutti a manifestare. Lo avevano promesso: non ci fermeremo. E stavolta il loro appello coinvolge tutta Italia.

Non c’è solo una firma sotto questa chiamata a reagire: l’offesa del Rubygate ha unito le associazioni femminili - ma anche quelle maschili - più diverse e la Cgil si è messa in prima fila per organizzare la reazione al degrado della politica e della cultura. Sabato, a Milano, Susanna Camusso, l’aveva detto: «Questo è solo l’inizio di una mobilitazione più generale ed è il segno che le donne sono sempre in prima linea nell’impegno e nel sostegno della dignità e della libertà. Non ci fermeremo».

Non sarà una piazza sola, stavolta, ad accogliere la protesta; saranno tutte le piazze d’Italia. Piazza del Popolo a Roma, piazza Castello a Milano. Ma anche, tanto per seguire l’ordine alfabetico, dalla piazza della Repubblica di Ancona, a piazza Bra a Verona. Gira in rete il vademecum per la manifestazione, che vuole essere il più larga possibile e non avere alcuna bandiera: saranno i partiti - come, per il Pd, ha già annunciato Dario Franceschini - ad accogliere l’invito, ma non saranno loro i padroni di casa.

Spiegano sul sito della manifestazione: non scendiamo in piazza per giudicare altre donne, né per dividerle in buone e cattive; quello che vogliamo è esprimere la nostra forza e la nostra determinazione; siamo fiere e orgogliose, chiediamo dignità e rispetto per noi e per tutte; siamo gelose della nostra autonomia e non ci lasceremo usare; la partecipazione di uomini è richiesta e benvenuta; cercheremo di parlare prima di tutto ai giovani e di portarli in piazza.

Ci saranno scrittrici, operaie, commesse, ricercatrici, casalinghe, studentesse, pensionate. Insomma, tutte le donne "normali" d’Italia, quelle che ogni giorno, con il loro doppio lavoro, arricchiscono il Paese. Una forza, quella delle donne, che preoccupa e spaventa, soprattutto il centrodestra: perché in piazza con la sciarpa bianca, offese da un modello culturale volgare e fasullo, ci saranno anche loro. Una maggioranza silenziosa che rischia di fare tantissimo rumore.


Sul tema, nel sito, si cfr.:

-  USCIAMO DAL SILENZIO. UN APPELLO DEGLI UOMINI, CONTRO LA VIOLENZA ALLE DONNE

-  LA QUESTIONE MORALE, QUELLA VERA - EPOCALE. AL GOVERNO DELLA CHIESA UN PAPA CHE PREDICA CHE GESU’ E’ IL FIGLIO DEL DIO "MAMMONA" ("Deus caritas est") E AL GOVERNO DELL’ **ITALIA** UN PRESIDENTE DI UN PARTITO (che si camuffa da "Presidente della Repubblica") e canta "Forza Italia", con il suo "Popolo della libertà" (1994-2010).

-  DIMISSIONI IMMEDIATE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, IN QUANTO PRESIDENTE DEL PARTITO "FORZA ITALIA"!
-  RESTITUIRE LA PAROLA "ITALIA" AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, GIORGIO NAPOLITANO, AL PARLAMENTO, E A TUTTI I CITTADINI E A TUTTE LE CITTADINE D’ITALIA.


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