[...] Lo scotto da pagare ricade soprattutto sui giovani. Perchè se prevale «una rappresentazione fasulla dell’esistenza, volta a perseguire un successo basato sull’artificiosità, la scalata furba, il guadagno facile, l’ostentazione e il mercimonio di sè», sono loro le prime vittime. E vantaggi, in realtà, non ce n’è per nessuno, perchè «dalla situazione presente, comunque si chiariranno le cose nessuno ricaverà realmente motivo per rallegrarsi, nè per ritenersi vincitore» [...]
[...] «Vittime» della società non sono solo quelle volute dai poteri perversi, e sono tante, ma ben più numerose sono quelle che io chiamerei le «vittime originarie», quegli esseri umani che nascono per venire protetti ed educati nel cammino della vita e della salvezza, e invece si sentono abbandonati. Sono i «poveri credenti» e tutti gli uomini sono poveri credenti, che cercano ancora con ardore la Chiesa del Vangelo di Gesù [...]
Bagnasco: nel Paese c’è disagio morale
Il capo dei vescovi: fare chiarezza "L’Italia è sgomenta, andare oltre lo scontro per il bene del Paese" *
ANCONA Aveva promesso di toccare il caso Ruby e lo ha fatto. Senza mai pronunciare il nome della ragazza, senza mai pronunciare il nome di Berlusconi. Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha mantenuto l’impegno e nell’intervento con cui ha aperto ad Ancona il Consiglio episcopale permanente, il «parlamentino» dei vescovi italiani, ha lanciato un monito chiaro. Con grande misura ed equidistanza. Evitando di prestare il fianco a facili strumentalizzazioni. E chiedendo di «fare chiarezza subito nelle sedi appropriate».
Il quadro che ha descritto è duro, sconfortante, e il monito che ne esce è severo. Ma non va in una sola direzione. «La collettività - ha detto Bagnasco - guarda sgomenta gli attori della scena pubblica, e respira un evidente disagio morale». E ancora: «Si moltiplicano notizie che riferiscono di comportamenti contrari al pubblico decoro e si esibiscono squarci - veri o presunti - di stili non compatibili con la sobrietà e la correttezza, mentre qualcuno si chiede a che cosa sia dovuta l’ingente mole di strumenti di indagine». Un passaggio, quest’ultimo, diretto alla magistratura. Segno che Bagnasco sta parlando a tutti, sta parlando al Paese, quando chiede misura e chiarezza. Perchè in quest’altalena «da una situazione abnorme all’altra, è l’equilibrio generale che ne risente», «l’immagine generale del Paese». E c’è un altro rischio che si insinua e va superato: quello di uno scontro di poteri «che non solo si guardano con diffidenza ma si tendono tranelli, in una logica conflittuale che perdura ormai da troppi anni». Rispetto a questa logica, bisogna volare pagina. la posta in gioco è troppo alta.
La politica ha, ovviamente, un ruolo centrale. Ma deve sapere esercitare il proprio ruolo. Nel rispetto del dettato costituzionale. Ancora una volta il numero uno della Cei, come aveva già fatto nel settembre del 2009, torna a citare l’art. 54 della Costituzione, quello che impone a chi accetta di assumere un mandato politico misura, sobrietà, disciplina e onore. Valori che evidentemente Bagnasco vede da più parte non rispettati.
Lo scotto da pagare ricade soprattutto sui giovani. Perchè se prevale «una rappresentazione fasulla dell’esistenza, volta a perseguire un successo basato sull’artificiosità, la scalata furba, il guadagno facile, l’ostentazione e il mercimonio di sè», sono loro le prime vittime. E vantaggi, in realtà, non ce n’è per nessuno, perchè «dalla situazione presente, comunque si chiariranno le cose nessuno ricaverà realmente motivo per rallegrarsi, nè per ritenersi vincitore».
* La Stampa, 24/01/2011
Sul tema, nel sito, si cfr.:
L’ETICA DEL VERO CRISTIANO
Pubblichiamo uno stralcio dell’articolo di "Il vero cristiano è antiberlusconiano", dal nuovo numero di "Micromega" in edicola oggi
di Monsignor Raffaele Nogaro (la Repubblica, 25 gennaio 2011)
«Vittime» della società non sono solo quelle volute dai poteri perversi, e sono tante, ma ben più numerose sono quelle che io chiamerei le «vittime originarie», quegli esseri umani che nascono per venire protetti ed educati nel cammino della vita e della salvezza, e invece si sentono abbandonati. Sono i «poveri credenti» e tutti gli uomini sono poveri credenti, che cercano ancora con ardore la Chiesa del Vangelo di Gesù.
Nella società attuale si è introdotta una forma di imbonimento, malsano e gratificatorio, che intontisce e soprattutto lusinga le persone: una corruzione a tutti i livelli della vita economica, civile, politica, ma anche culturale e religiosa. Una diffusa mafiosità dei comportamenti, che sembra ormai una conquista di civiltà del nostro tempo. Il «tutto è lecito» è il valore d’oggi, gloria della coscienza umana, finalmente autonoma e libera.
Il tragico è che questa vita senza morale rende «interrotti i sentieri» dei giovani, frantumando gli orizzonti e i destini della loro vita. Il potere esplosivo e rigeneratore della società è la Chiesa di Cristo. La Chiesa può essere non accettata dalla società. Ma essa, per mandato di Cristo, a costo di qualsiasi persecuzione, si trova sempre in mezzo agli uomini.
Che dire allora di una Chiesa che tace e talora si compiace del qualunquismo imperante? La volontà del Padre è diversa da quella del capriccio umano. E se la Chiesa compie certi gesti di incontinenza, Dio si scandalizza di essa. Come è possibile che uomini di Chiesa «importanti» facciano la barzelletta del peccato? Si può «contestualizzare la bestemmia», «la trasgressione pubblica della pratica sacramentale» perché al capo si devono concedere tutte le licenze?
Noi rimaniamo nello sgomento più doloroso vedendo i gesti farisaici delle autorità civili e religiose, che riescono ad approdare a tutti i giochi del male, dichiarando di usare una pratica delle virtù più moderna e liberatoria. È del tutto sconveniente, poi, che per comperare i favori di un gruppo politico, di professione pagano, si dica che esso è portatore genuino di valori cristiani, come è avvenuto per la Lega.
La Chiesa non reca salvezza se rimane collegata agli interessi di classe, di razza e di Stato. Non porta salvezza se è complice dell’ingiustizia e della violenza istituzionali. La Chiesa non può rimanere in rapporto con i poteri oppressivi, col rischio di diventare egoista e indifferente, priva di amore e vergognosamente timorosa. Noi cerchiamo la Chiesa di Cristo, che mette in movimento tutte le forze portatrici della salvezza dell’uomo (1 Cor 12). Noi cerchiamo una Chiesa, che agisca da catalizzatore per l’opera di redenzione di Dio nel mondo, una Chiesa che non sia solo luogo di rifugio per privilegiati, ma una comunità di persone a servizio di tutti gli uomini nell’amore di Cristo. La Chiesa può sbagliare solo per amore dell’amore.
Buona parte del nostro popolo pensa che la corruzione e il malcostume che oggi affliggono l’Italia vengono assecondati dall’attuale governo. La Chiesa, perciò, non può tenere rapporti di amicizia con esso.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Mai mercanteggiare
di Enrico Peyretti
dell’11 agosto 2012 *
Mai «mercanteggiare » sui valori cristiani, dice il card. Bagnasco. Bene. Non è un valore (anche) cristiano il "non uccidere"? Eppure su questo la chiesa cardinalizia "mercanteggia" con la ragion di stato nel giustificare la guerra (chiamata pace), in casi che praticamente al 100% non sono quei singoli rari casi tragicamente estremi in cui uccidere per non lasciar uccidere può diventare una orrenda necessità (un male, ma meno grave di quello che si cerca di evitare, come fu la collaborazione di Bonhoeffer al complotto contro Hitler).
Praticamente sempre le guerre di oggi (ora lasciamo stare il passato), terribilmente predisposte con la gigantesca e piratesca economia di rapina e di guerra, non sono contrastate con "parresia" evangelica dalla chiesa. E così la pena di morte inflitta per legge (e anche contro la legge) dagli stati con cui la chiesa vuole restare amica, secondo il magistero di Costantino, da 1700 anni.
E così l’economia dell’ingiustizia sistematica, a cui le strutture ecclesiastiche non di rado partecipano.
E così, non è stato un vero "mercanteggiare" con Berlusconi e i suoi misfatti politici quello della chiesa gerarchica italiana per tanti anni, in cambio di vantaggi materiali?
Cosa tutta diversa dal mercanteggiare è la mediazione politica, per la quale, se non si ottiene libero consenso democratico legale sulla maggiore giustizia, nella società pluralistica, si accettano dei passi intermedi, nella direzione giusta, ma senza mai cessare di dichiarare, ricordare e proporre il valore evangelico intero, come la pace e la giustizia, negando la collaborazione dei cristiani alla guerra e all’offesa pianificata della vita e della dignità umana.
* Fonte: Incontri di "Fine settimana"
Cattolici, l’appello di Bagnasco: “Più impegno in politica”
di Orazio La Rocca (la Repubblica, 11 agosto 2012)
In politica e nella vita pubblica «i cattolici siano sempre più numerosi e ben formati, come da tempo esortano Benedetto XVI e i vescovi italiani». Nuovo forte richiamo del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Genova, a favore della presenza cattolica nella vita politica del Paese.
L’appello - lanciato ieri per la festa di San Lorenzo - arriva dopo una serie di analoghi interventi fatti da Bagnasco negli ultimi mesi in occasione delle assemblee vescovili e dei consigli Cei. Appelli e prolusioni che hanno quasi disegnato l’identikit del politico cattolico doc. E vale a dire, una figura «moralmente ineccepibile», fedele al Vangelo, aperta al dialogo, sempre attenta al «bene comune», ma mai disposta a «mercanteggiare » sui valori cristiani. Valori comunemente definiti dalle gerarchie cattoliche «non negoziabili» come la difesa della vita dal concepimento fino alla fine naturale, la promozione della famiglia basata sul matrimonio tra un uomo e una donna, libertà di insegnamento.
Punti rilanciati nell’omelia di ieri pubblicata - significativamente - quasi per intero dall’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede diretto da Giovanni Maria Vian, con un titolo altrettanto significativo, «Controcorrente per fedeltà al Vangelo». La presenza dei cattolici in politica, puntualizza tra l’altro il cardinale Bagnasco, «non è codificata in formule specifiche, fatta salva la consapevolezza che sui principi di fondo non si può mercanteggiare, che i valori non sono tutti uguali, ma esiste una interna gerarchia e connessione; che l’etica della vita e della famiglia non sono la conseguenza, ma il fondamento della giustizia e della solidarietà sociale».
E come “modelli”, il porporato indica «i grandi statisti cattolici che hanno portato la propria indiscutibile statura umana e cristiana che il Paese, l’Europa e gli scenari internazionali esigevano, allora come oggi». «L’appello del cardinale va raccolto sino in fondo e con coerenza», ha commentato Giorgio Merlo, deputato del Partito democratico e vice presidente della Commissione di vigilanza della Rai, secondo il quale «l’impegno politico dei cattolici, ovviamente laico pluralistico, non deve essere marginale e può avere un ruolo determinante anche in vista della prossima campagna elettorale».
Apprezzamenti anche dall’ex ministro Maurizio Sacconi del Pdl: «Ha richiamato i cristiani all’impegno pubblico ricordando che l’etica della vita e della famiglia sono il presupposto di ogni politica per il bene comune». Per Paola Binetti, deputata Udc, è un intervento che «va accolto integralmente, specialmente sulla difesa della valori, della promozione umana e della famiglia».
L’operoso Ferragosto del centro per Monti
di Francesco Lo Sardo (Europa, 10 agosto 2012)
La geometrica perfezione dell’incrocio di date attorno alla “Cosa catto-lib” in gestazione già la dice lunga. Sul suo versante “destro”, se così si può dire, domenica 19 agosto, a Rimini, il Meeting di Cl movimento ecclesiale il cui braccio socio-economico è la Compagnia delle opere - viene aperto dal cattobocconiano Mario Monti, accolto con tutti gli onori. Sul versante “sinistro”, lo stesso giorno, a Trento, all’indomani del convegno su De Gasperi di Pieve Tesino, il presidente della provincia Lorenzo Dellai riunirà molti dei convenuti tra cui l’aclista Olivero, il cislino Bonanni e il ministro Riccardi, per fare il punto in un incontro dell’associazione “Il popolo trentino”.
Cos’hanno in comune i ciellini della Cdo - orfani di Berlusconi e Formigoni - riuniti a Rimini attorno a Monti col cattolico-democratico Dellai - un politico perfetta espressione di quelle istanze del territorio evocate dal sociologo De Rita - con le Acli, la Cisl, la comunità di Sant’Egidio di Riccardi e, volendo proseguire nell’elenco, con l’Mcl, la Confcooperative, la Coldiretti, la Confartigianato?
Le sette grandi sorelle dell’associazionismo cattolico e le figure alla Riccardi (e a maggior ragione alla Corrado Passera) hanno in comune il retroterra di Todi: il summit benedetto dalla Cei di Bagnasco da cui arrivò la spallata a Berlusconi nell’autunno 2011 che, il 21-22 ottobre prossimi, tirerà le fila di un lungo lavoro di cui le tappe di Rimini e Trento segnano il giro di boa.
Nell’intervallo tra il parallelo tavolo Rimini-Trento del dopo Ferragosto e la sintesi di Todi si collocano due passaggi chiave: questi nel più tradizionale perimetro della politica romana. Il 7-9 settembre Chianciano ospiterà una kermesse dell’Udc in cui Casini - per l’ennesima volta, forse quella decisiva visto che il tempo stringe - scioglierà il partito e farà personalmente un passo indietro per mettersi a disposizione nell’impresa di costruzione di una grande lista catto-liberalriformista (forse guidata da Passera o Emma Marcegaglia, o da un consolato-ticket dei due) per le elezioni 2013.
Il 30 settembre Fini, con Fli, farà altrettanto. Passando per la cruna dell’ago dello scioglimento in un più vasto contenitore, la coppia Pier-Gianfranco potrà meglio traghettarsi nella Terza repubblica: in emulsione col complesso e articolato sentire del cattolicesimo democratico e liberalriformista che dalla base sindacale - passando dalla Cattolica e incuneandosi in Bocconi - pulsa nel cuore della raffinata tecnocrazia sociale di Monti e Passera. Anche Montezemolo, come Fini e Casini, farà un passo indietro e s’è già messo a disposizione: in cambio, il listone sarà anche espressione delle competenze selezionate in questi mesi dalla sua Italiafutura.
Obiettivo di questo centro, a bilanciamento e in alleanza col Pd, è la prosecuzione dell’agenda Monti. Elettoralmente si strutturerà in autonomia da Monti: di cui, dopo il voto, reclamerà l’entrata in campo come premier. Così sarà, piaccia o non piaccia. Perché le sole sette grandi sorelle cattoliche hanno un loro bacino elettorale di dieci milioni di voti: in cerca d’interpreti e contenitori. Ha scritto il direttore di Avvenire Marco Tarquinio: «Diverse situazioni politiche e di leadership hanno reso tormentate la militanza partitica e le scelte di voto di tanti cattolici impegnati: nel passato, nel presente e, si spera, non nel futuro». E la soluzione, come dice uno dei cervelli di Todi - il catto-bocconiano Roberto Mazzotta - non è un neo-partito cattolico ma «un accorpamento forte su un progetto che coincida, sostanzialmente, con il proseguimento dell’agenda Monti». Fino al 2018. La Cosa catto-lib, appunto.
Cei, troppo tardi
di Franco Monaco (Europa, 29 gennaio 2011)
I moniti ecclesiastici all’indirizzo del premier hanno avuto grossomodo il tenore che mi attendevo. Piuttosto un certo disagio lo ha suscitato in me il clima che li ha circondati. A monte e a valle. A monte, un esorbitante carico di attese naturalmente di segno opposto: di speranza ovvero di apprensione per una censura annunciata. A valle: le puntuali, troppo scontate e prevedibili reazioni ad essi; l’ipocrita rimozione da parte dei supporter del premier («erano parole rivolte indistintamente a tutti», si è osservato, mentendo e rasentando il ridicolo); la goffa rincorsa di tutti a strattonare in un senso o nell’altro le parole degli alti prelati.
Le parole di riprovazione del cardinal Bagnasco per la condotta e lo stile di vita di Berlusconi sono state oggettivamente e inusitatamente chiare e forti. Inutile girarci intorno o fingere di non avere inteso.
Certo, esse sono state accompagnate da un ricercato equilibrismo, riscontrabile in quel riferimento francamente forzoso ed eccentrico al dispiegamento dei mezzi di indagine da parte della magistratura.
Un equilibrismo che riflette la propensione a interpretare la sacrosanta alterità/trascendenza della parola della Chiesa rispetto alle parti politiche come ossessione della neutralità o dell’equidistanza. Non sempre e di necessità la virtù sta nel mezzo. La profezia non può essere ostaggio dell’assillo di posizionarsi fuori o a mezza strada tra le parti. Essa mal si concilia con il bilancino e dovrebbe piuttosto conformarsi allo spirito del motto episcopale che si scelse il cardinale Martini: «pro veritate adversa diligere» (in nome della verità non esitare a scegliere e amare le avversità e le opposizioni, che vanno messe nel conto).
Ma, della prolusione di Bagnasco, va apprezzata la sostanza. Leggendola con attenzione per intero e non limitandosi alla pagina saccheggiata dai media si ricava l’impressione che, in essa, centrale è piuttosto l’allarme sul «disastro antropologico». Da tempo, nella riflessione della Cei, si rimarcava la centralità della cosiddetta “questione antropologica”. Ma quella formula abitualmente sottintendeva il riferimento ad altro ordine di problemi. Grosso modo: la concezione della persona, il relativismo etico e, più in concreto, le insidie portate sul piano dell’etica familiare e delle questioni bioetiche da culture e legislazioni di stampo libertario.
Nell’intervento in oggetto, invece, il disastro antropologico denunciato ha piuttosto a che fare con l’ethos comune, con costumi e comportamenti, veicolati dalla cultura di massa. Un approccio più concreto e meno ideologico dal quale, a mio avviso, scaturiscono tre quesiti per la Chiesa italiana. Quesiti, diciamolo più esplicitamente, che mettono in discussione la linea seguita dai suoi vertici negli ultimi venticinque anni. Dal convegno ecclesiale di Loreto del 1985.
Primo quesito: come si concilia la denuncia del limite allarmante cui si è spinto il degrado eticoantropologico (appunto il «disastro») con la tesi (illusione?) a lungo coltivata che l’Italia rappresenterebbe una positiva eccezione tra i paesi europei e occidentali nella tenuta di un ethos e di buone tradizioni cristiane, specie sul versante dei costumi familiari? L’involgarimento della cultura di massa (attestato da una tv il cui degrado non conosce eguali in nessun altro paese) e la stessa colpevole indulgenza italiana verso i comportamenti degli uomini pubblici che lascia interdetto il mondo intero sembrano smentire quell’autorassicurante rappresentazione di una positiva “differenza italiana” sulla quale la Cei ha mostrato di fare affidamento in questi anni. E proprio sul piano cruciale del rapporto uomo-donna, dei costumi di vita sessuali e familiari, dei modelli proposti alle giovani generazioni. Si pensi all’idea-forza sottesa al Family day, quella di un popolo impregnato dei valori familiari di matrice cristiana cui si opponeva un legislatore succube di una elitaria ideologia laicista ostile alla famiglia.
Secondo interrogativo. È difficile negare che le gerarchie cattoliche italiane, in questo arcotemporale, abbiano decisamente accresciuto la loro influenza sulla politica, in concreto su governo, parlamento e legislazione. Un’influenza teorizzata ed esercitata non per mera volontà di potere (sarebbe ingeneroso leggere in questa chiave la linea a torto o a ragione intestata al cardinale Ruini con l’alto avallo di Giovanni Paolo II) ma mossa dal nobile proposito di arginare e, se possibile, invertire il trend della scristianizzazione della mentalità e del costume. Dopo venticinque lunghi anni tuttavia non è fuori luogo, sine ira ac studio, interrogarsi sul bilancio di quella strategia politico-pastorale. Se le severe parole di Bagnasco sul disastro antropologico hanno un senso esse suggeriscono un rendiconto piuttosto critico. È da chiedersi se l’enfasi sulla Chiesa quale forza sociale e sul ruolo pubblico trainante del cattolicesimo in Italia con il loro corollario di un attivismo delle gerarchie sul fronte politico abbia pagato sul terreno che più dovrebbe premere alla Chiesa, quello appunto della qualità cristiana di persone e comunità, nonché del tessuto etico della convivenza.
Terzo ed ultimo interrogativo. Per esperienza diretta e ravvicinata possiamo asserire (Prodi ne sa qualcosa) che i vertici della Cei a quelli della nostra parte politica non hanno fatto sconti. Se non vogliamo indulgere all’ipocrisia, ci è lecito osservare che, con i nostri avversari, essi sono stati più di manica larga? E che la giusta cura delle gerarchie di marcare la propria distanza da tutte le parti politiche non si è concretata poi in una esatta equidistanza? Si può onestamente sostenere che un tale accreditamento offerto alla destra berlusconiana, così diversa dalle destre liberali europee, abbia dato frutti? I fatti (e le parole di oggi del presidente Cei) sembrerebbero dire di no. Forse - ma questa è conclusione mia - la catastrofe morale prima che politica sotto i nostri occhi dovrebbe suggerire una correzione di giudizio e di condotta.
La riassumo per titoli:
1) l’Italia è messa peggio di altri, altro che “differenza positiva” di un paese
nel quale resisterebbe una solida radice cattolica;
2) non solo la scristianizzazione ma, di più, il
degrado morale e civile si sono semmai spinti oltre ogni limite immaginabile;
3) il vettore di tale
devastante mutazione antropologica è riconducibile non già alle leggi alle culture e alle forze
politiche di stampo laicistico-libertario ma a una pervasiva e corrosiva (in)cultura della
mercificazione di persone e cose veicolata dai media e sedimentata negli anni;
4) la politica, per
definizione, da sé sola non basta a contrastare tali fenomeni degenerativi, ma certo essa semmai
coopera ad acuirne la portata se affidata al dominus di una formidabile macchina del consenso che
tanto ha contribuito a quella deriva etico-antropologica, incarnandola, rivendicandola ed esaltandola
con i suoi comportamenti;
5) il brusco risveglio che segue alla lunga parentesi di un’illusione ci
suggerisce una domanda conclusiva: non era forse più saggia e lungimirante la via imboccata dalla
Chiesa italiana nel dopo Concilio e messa in mora a metà anni ottanta? Una linea ispirata a due
idee-forza: quella di una Chiesa che davvero tenga fede al primato dell’evangelizzazione e della
formazione cristiana delle coscienze in un paese scristianizzato non meno di altri (visto che la
scorciatoie politiche non pagano); e la scommessa fiduciaria su una politica affidata a laici cattolici
“adulti” (sì, proprio loro) pur diversamente dislocati e non a un patto siglato al vertice con uomini e
forze compiacenti ma manifestamente agli antipodi di una visione cristiana della vita. Uno scambio
che, con il tempo, si è rivelato un pessimo affare.
IL DOCUMENTO
Appello della Cei: "Disastro antropologico
Fermiamoci prima che sia troppo tardi"
Il segretario Crociata commenta il comunicato finale sui lavori del Consiglio Episcopale. "Nel Paese questione morale che riguarda tutti". Invito a evitare continue risse. Sul caso Ruby: "Non c’è contrapposizione fra indignazione e pacatezza". Chi ha maggiori responsabilità "sia di esempio" *
CITTA’ DEL VATICANO - "Siamo di fronte a un disastro antropologico: fermiamoci in tempo prima che degeneri ancora di più". Sono forti i toni dell’appello lanciato dal segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, che presentando il comunicato finale dei lavori della Conferenza espiscopale invita "a superare le risse, le guerre di tutti contro tutti", senza cadere in "partigianerie". E, in riferimento all’inchiesta giudiziaria che coinvolge il premier, dice: "Non c’è contrapposizione tra l’indignazione e la pacatezza. La pacatezza riguarda il modo in cui affrontare i problemi che indignano". E rileva come tale situazione di "disastro antropologico" abbia "effetti e ricadute diverse a seconda delle responsabilità che ciascuno ricopre".
Crociata rileva un problema di ampio respiro: nel Paese c’è una questione morale, ma riguarda tutti. "Questi fatti ci coinvolgono, non ci vedono solo spettatori. Ci interpellano tutti: è troppo facile indignarsi senza sentirsi coinvolti". Ma chi ha maggiori responsabilità, dice ancora il prelato, "deve esprimere maggiore impegno per risultare esemplare nella sua vita anche quale modello per le giovani generazioni".
Dalla Cei arriva un invito alla ’’pacatezza’’, all’’’equilibrio’’, per mettere fine al ’’clima di rissa continua, di tensione costante e di conflittualità permanente’’ che si registra nella vita pubblica del Paese. Serve invece "uno sforzo a superare" questa atmosfera di scontro "e faziosità per affrontare i problemi che riguardano tutti". "Come ha detto il cardinal Bagnasco, invitare alla pacatezza non è lasciare marcire i problemi, ma guardare le cose con sforzo di oggettività, volontà di risolvere, ciascuno secondo le responsabilità che ricopre". Da questa situazione, ha rilevato ancora Crociata, "nessuno esce bene. Mi pare un tipo di considerazione che invita a un senso di responsabilità, a farsi carico di impegni che il momento richiede".
Il segretario della Cei parla anche del federalismo: nella sua attuazione banco di prova è ’’l’ambito fiscale’’ che rischia di produrre "effetti di divaricazione", ammonisce. "Auspichiamo che la trattativa politica in corso abbia l’esito di non lasciare nessuna parte del Paese abbandonata a se stessa’’. Sulla possibilità del voto anticipato la decisione spetta ai politici, ma "tutti siamo chiamati a seguire con senso civico l’evolversi della situazione per superare questo momento di difficoltà".
La Conferenza episcopale esprime infine solidarietà al cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, coinvolto nelle indagini giudiziarie relative ai grandi eventi 1, così come esprime fiducia nella magistratura, dice ancora Crociata, aggiungendo: "Auspico che le cose siano chiarite nella modalità giusta".
* la Repubblica, 28 gennaio 2011
CEI
Crociata: «Basta risse,
fermiamoci in tempo» *
"Assistiamo a un abbassamento della tensione morale che riguarda tutti a cominciare da chi ha più responsabilità". È quanto ha detto questa mattina il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata, durante la conferenza stampa nella quale ha presentato le conclusioni del Consiglio episcopale permanente svoltosi ad Ancona.
La Chiesa esprime "una preoccupazione generale per l’andazzo generale nel quale rischiamo di lasciarci andare, tutti - ha detto sempre mons. Crociata - "siamo di fronte a quel disastro antropologico di cui ha parlato il cardinale Bagnasco. È una tendenza che tocca tutti con responsabilità diverse, c’è un abbassamento della tensione morale e della ricerca del giusto," prevale invece la "ricerca del proprio interesse a scapito del bene di tutti".
Per mons. Crociata, nella posizione dei vescovi italiani riguardo all’inchiesta giudiziaria che coinvolge il premier, "non c’è contrapposizione tra l’indignazione e la pacatezza. La pacatezza riguarda il modo come affrontare i problemi che indignano". "Questi fatti - ha spiegato il presule - ci coinvolgono, non ci vedono solo spettatori. Ci interpellano tutti: è troppo facile indignarsi senza sentirsi coinvolti. Senza la pretesa di giudicare dall’alto o chiamandosi fuori, in uno sforzo di solidarietà che coinvolge tutto e tutti". Secondo mons. Crociata, "da questo punto di vista dobbiamo affrontare tutto, invitandoci a vicenda ciascuno sia raggiunto come ricerca del bene di tutti". "Se tale ricerca viene piegata, strumentalizzata - ha ammonito il segretario della Cei - rimane tacciabile di essere una difesa di parte. E si prolunga la difficoltà a prendere in mano la situazione". Serve invece "uno sforzo a superare il clima di rissa e faziosità per affrontare i problemi che riguardano tutti". "Come ha detto il card. Bagnasco, da questa situazione nessuno ne esce bene. Mi pare un tipo di considerazione che invita a un senso di responsabilità, a farsi carico di impegni che il momento richiede".
IL COMUNICATO FINALE
“La Chiesa che vive in Italia ha parlato al Paese con riconosciuta autorevolezza e credibilità. Ha saputo farlo dimostrando unità di giudizio, anche nella disamina delle delicate problematiche che ne stanno segnando la vita politica e sociale”. Lo afferma il comunicato finale, reso noto oggi, del Consiglio permanente della Cei (Ancona, 24-27 gennaio). “I vescovi - riporta la nota - sono intervenuti in quanto pastori, animati da una chiarezza morale lontana da ogni faziosità, capaci di una parola di fiducia e d’incoraggiamento, sostenuti dal desiderio dei credenti e di tutti i cittadini di superare le difficoltà del momento presente”.
Facendo riferimento alla prolusione del card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, e alla discussione successiva, il comunicato rileva che i membri del Consiglio permanente “hanno apprezzato la pacatezza, la profondità e l’equilibrio di una lettura della realtà né reticente né aggressiva, e nel contempo capace di dar conto del disagio morale che serpeggia nel nostro Paese. In particolare - è stato rilevato - la posizione espressa dal cardinale presidente ha saputo tener conto della complessità dei fattori in gioco, senza prestarsi a interpretazioni di parte e riconducendo la questione a un livello culturale ed etico che chiama in causa la responsabilità di tutti, in particolare di quanti hanno maggiori responsabilità in vista del bene comune”.
Particolare attenzione è stata riservata dal Consiglio episcopale permanente ai giovani, “lente attraverso la quale leggere la realtà: di qui l’attenzione alle loro attese, prima fra tutte quella dell’accesso al mondo del lavoro”. Riprendendo gli “Orientamenti pastorali” per il decennio, circa “gli obiettivi e le priorità su cui investire”, ad Ancona sono stati rivisitati “i momenti salienti dell’azione educativa delle comunità ecclesiali, in vista di un nuovo slancio della loro missione evangelizzatrice”. “È emersa la consapevolezza - annota il comunicato finale - che l’iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi costituisce una chiave di accesso a una realtà pastorale più ampia, che abbraccia in primo luogo i genitori e le famiglie”. Per questo il tema principale della prossima Assemblea generale, che si svolgerà a Roma dal 23 al 27 maggio, sarà “Introdurre e accompagnare all’incontro con Cristo nella comunità ecclesiale: soggetti e metodi dell’educazione alla fede”.
Guardando al decennio nel suo insieme, il Consiglio ha poi deciso di dedicarne la prima metà all’approfondimento tematico intorno al tema “Comunità cristiana ed educazione alla fede”, mentre la seconda parte sarà dedicata al tema “Comunità cristiana e città”. “A fare da spartiacque” tra le due fasi sarà il Convegno ecclesiale nazionale.
Tra i punti all’ordine del giorno del Consiglio permanente, inoltre, vi era il documento conclusivo della 46ª Settimana Sociale dei cattolici italiani, del quale è stata autorizzata la pubblicazione. “Il documento - ricorda la nota - riconduce la questione sociale alla questione antropologica nella sua integralità e la declina riprendendo le sessioni tematiche della Settimana Sociale”: intraprendere, educare, includere, slegare, completare la transizione istituzionale. I presuli, in particolare, “hanno sottolineato l’importanza di promuovere il volontariato in tutte le sue forme; la necessità di declinare il tema del federalismo alla luce dei principi di sussidiarietà e di solidarietà; l’importanza di additare figure emblematiche nell’impegno impegno sociale, quali Giuseppe Toniolo e don Pino Puglisi”.
In questa prospettiva rientra pure la riflessione “sulle scuole e le esperienze di formazione all’impegno sociale e politico”, rispetto alle quali i vescovi intendono “sostenere le diocesi che hanno avviato tali luoghi formativi e incoraggiare chi è disponibile a suscitarne di nuovi”. Tra gli altri argomenti trattati, infine, la formazione umana, spirituale e teologica offerta nei seminari maggiori, i nuovi parametri per l’edilizia di culto e il Messaggio d’invito al 25° Congresso eucaristico nazionale (Ancona, 3-11 settembre 2011), il cui testo sarà “diffuso a breve”.
* Avvenire, 28 gennaio 2011
Ruby e l’uso politico dello sdegno
di Angelo Bersani *
Un bravo vescovo, di quelli che non hanno fatto carriera perché conservano uno spirito libero ed evangelico, cercava di rispondere alla delusione suscitata dalle parole caute del presidente della Cei. Vedi, mi diceva, a questo punto non si tratta di usare parole forti che appaiono retoriche. Le invettive possono diventare un alibi per lavarsi la coscienza. Il problema non è tanto il comportamento, assolutamente deplorevole, di una persona; il dramma è l’indifferenza della grande maggioranza.
Certo chi è politicamente contrario al presidente esprime sdegno; chi è favorevole lo giustifica (e magari lo invidia). Ma è un uso politico. I vescovi e le persone di retta coscienza non sono interpellati tanto dal comportamento di qualche peccatore, quanto dalla catastrofe etica che sembra permeare tutta la società. Magari si grida allo scandalo, ma perché si tratta di un avversario politico. Pochi si indignano perché nelle storie che abbiamo ascoltato c’è disprezzo per la persona umana, c’è la prevaricazione del danaro, c’è il ricatto e la violenza, la menzogna elevata a sistema, la corruzione della politica che diventa clientela e mercimonio.
C’è, ancora più grave, la corruzione dei giovani, che partecipano e vedono l’esempio degli uomini “di successo”. Sono i giorni di un’apocalisse (che vuol dire “svelamento”) che ci rivela una società assai peggiore di quel che credevamo. E allora, spiega il vescovo, più che l’invettiva moralistica dobbiamo fare tutti un grande esame di coscienza; e le parole di Bagnasco vanno in questa direzione. Non è suo compito dire quali conseguenze politiche debba avere il comportamento indegno del capo della maggioranza. A ciò dovrebbe bastare il buon senso degli italiani; e se questo non c’è, significa che bisogna impegnarsi anzitutto a ricostruire una coscienza civile, morale e politica. È il tema della testimonianza e della educazione che torna in primo piano. Ma quale educazione? Il vescovo era d’accordo con vari commenti apparsi il 25 gennaio: Valli e Faggioli (Europa), Garelli (La Stampa) e Mancuso (Repubblica).
Certo anche la Chiesa italiana deve fare un esame di coscienza: per troppi anni alcuni prelati hanno voluto fare la politica in prima persona. Come dimenticare le elezioni regionali dell’aprile 2000, quando il vicariato di Roma fece campagna per Storace quando dall’altra parte c’era un cattolico esemplare come Piero Badaloni? Per cambiare strada servirà creare luoghi di dialogo e corresponsabilità nell’ambito ecclesiale e riconoscere ai laici cattolici autonomia e autorevolezza per affrontare la vita politica al servizio del bene comune e della speranza dei giovani.
* “Europa” del 28 gennaio 2011: http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201101/110128bertani.pdf
Quando si aspetta la salvezza dall alto
di Enzo Mazzi (il manifesto, 27 gennaio 2011)
Il problema della crescita culturale della società come esigenza primaria emerge con prepotenza dalla vicenda berlusconiana. Incriminazioni e condanne giudiziarie, manifestazioni, campagne di firme, manovre politiche parlamentari, nuove elezioni, pressioni sulla gerarchia cattolica perché condanni e si dissoci apertamente, campagne mediatiche, sono tutti tentativi encomiabili. Ma al fondo la domanda è se e come servono per uscire dal pantano culturale in cui stiamo affogando.
Forse converrebbe rivisitare il Gramsci della ’egemonia culturale’ che ribalta il primato marxista del cambiamento strutturale per porre invece al primo posto la crescita culturale del popolo. Prendiamo l’attesa spasmodica del pronunciamento del Vaticano e della Cei che ha caratterizzato non solo il mondo cattolico aperto ma il mondo politico tutto e il pianeta dei media. Ma questo aspettare la salvezza dall’alto non fa parte dell’egemonia culturale della destra, non ribadisce uno dei principi fondanti del cosiddetto berlusconismo?
«Non si porta salvezza se si è complici della ingiustizia e della violenza istituzionali», afferma il vescovo mons. Raffaele Nogaro sul numero in uscita di Micromega. E’ un’affermazione di grande valore etico. Che si coniuga necessariamente e conseguentemente con un altro principio etico fondamentale: la salvezza viene sempre dal basso, viene dalla presa di coscienza, dal formarsi e dall’emergere come soggetti politici delle masse di « inesistenti », di semplici «oggetti », di «strumenti passivi».
E’ questo il messaggio che da anni, da quando sono nate, portano avanti le comunità cristiane di base col loro stesso esistere. Le quali infatti concludono un loro comunicato con la seguente affermazione: «La drammatica crisi che la società e la chiesa italiane stanno vivendo può essere anche occasione per i cattolici conciliari di maturare la consapevolezza che non è sufficiente la critica, opportuna e necessaria, ma è necessaria anche l’assunzione di responsabilità nella gestione della Comunità ecclesiale esercitando fino in fondo ruoli e funzioni che il Concilio ha affidato al Popolo di Dio».
Prima di questa affermazione le comunità di base, mentre esprimono «vicinanza e condivisione» verso le espressioni di «disagio divenuto disgusto» di parti notevoli del mondo cattolico, affermano di sentirsi chiamate «a riflettere sullo stato della chiesa italiana». E invitano «questo ’cattolicesimo del disagio’ ad una seria riflessione sulla qualità dell’impegno intraecclesiale che non può limitarsi a elevare qualche critica occasionale verso scelte inopportune o errate delle autorità ecclesiastiche cattoliche».
Per evidenziare la necessità di «prendere finalmente coscienza che, se siamo a questo punto, è perché sono arrivate al pettine le inevitabili e logiche conseguenze di una strategia pastorale orientata, scelta dopo scelta, a svuotare la Chiesa dello spirito conciliare. Non è servito impegnarsi nel sociale senza toccare se non marginalmente la struttura ecclesiastica, mentre nel dopoconcilio veniva fatto il vuoto intorno alle esperienze conciliari più vive, che spesso venivano lasciate sole a subire, una dopo l’altra, la repressione e dalle quali si prendevano le distanze». Tutto l’impegno che riusciamo a esprimere per uscire dal pantano ritengo che vada sempre misurato con questo tema della crescita culturale della società come esigenza primaria.
La difesa del bene comune
di Vito Mancuso (la Repubblica, 25 gennaio 2011)
NEL discorso di ieri, atteso dall’Italia con un interesse forse mai avuto prima per le parole di un Presidente della Cei, il cardinal Bagnasco ha disposto le artiglierie, ha caricato i proiettili, ha puntato nella direzione giusta. E ha iniziato a colpire con parole infuocate come non era mai accaduto prima i comportamenti del capo del governo, andando ad affiancare le sue critiche a quelle espresse in precedenza dal Presidente della Repubblica e dal Presidente degli industriali. Quando però è stato il momento di compiere la missione fino alla fine, il cardinale ha rivolto le sue armi altrove. Il risultato, quest’oggi, è che tutti possono dire che sono contenti, persino i sostenitori del governo, per una situazione analoga a quella del dopo-elezioni quando nessuno dice di avere perso. La gerarchia cattolica aveva l’occasione di aiutare gli italiani a fare chiarezza per uscire da una situazione che li rende ridicoli al mondo e peggio ancora a se stessi, ma non è stata capace di portarla avanti fino in fondo, immolandola sull’altare della diplomazia.
Bagnasco ha esordito parlando di "nubi preoccupanti che si addensano sul nostro paese", ha continuato con la "perversione di fondo del concetto di ethos", ha detto che "a vacillare sono i fondamenti stessi di una civiltà", ha proseguito con il "consumismo" e la "cultura della seduzione" da cui scaturiscono una "rappresentazione fasulla dell’esistenza, volta a perseguire un successo basato sull’artificiosità, la scalata furba, il guadagno facile, l’ostentazione e il mercimonio di sé" con il risultato di un "disastro antropologico".
Quando poi è giunto a toccare la più stretta attualità ha parlato di "debolezza etica" e di "fibrillazione politica e istituzionale", ha ricordato che "si moltiplicano notizie che riferiscono di comportamenti contrari al pubblico decoro e si esibiscono squarci di stili non compatibili con la sobrietà e la correttezza", e infine ha ricordato l’art. 54 della Costituzione che sottolinea il dovere per chi governa di misura, sobrietà, disciplina e onore. Insomma un’analisi limpida e forte, a tratti severa, come si conviene al momento drammatico del paese.
Ma alla fine è mancato il coraggio di andare fino in fondo nel combattere i mali evocati, ha vinto la diplomazia e ha perso la profezia. Infatti dopo tutte queste analisi all’insegna della chiarezza evangelica, il cardinale ha girato le artigliere dall’altra parte puntandole verso i magistrati milanesi e ha proclamato in perfetto stile curiale, e non senza una sottile sfumatura di ambiguità per l’uso del pronome indefinito: "... mentre qualcuno si chiede a che cosa sia dovuta l’ingente mole di strumenti di indagine", col risultato, per Bagnasco, che così si passa "da una situazione abnorme all’altra". Ovvero: il capo del governo ha torto, ma i magistrati non hanno ragione, esagerano.
Sia chiaro che nessuno si aspettava scomuniche, ma che almeno quello "scatto di coscienza e di responsabilità" che lo stesso cardinale chiede agli italiani fosse mantenuto con coerenza fino in fondo sì. Nel discorso di qualche giorno fa al Corpo diplomatico il Papa ha detto della minaccia costituita da alcuni programmi di educazione sessuale nelle scuole. Senza entrare nel merito, chiedo che cos’è un’ora scolastica di educazione sessuale rispetto alle notizie che ogni giorno entrano nelle case con tutti i sexy-gate che periodicamente ricorrono in questa colossale permanente maleducazione sessuale e antropologica, che ora si chiama Ruby ora in molti altri nomi, ma il cui vero nome è "Legione" come rispose l’indemoniato a Gesù: "Mi chiamo Legione perché siamo in molti" (Vangelo di Marco 5,9). La Chiesa poteva contribuire a far sì che chi vuole godere di questa compagnia lo faccia pure giorno e notte quando e come vuole ma senza coinvolgere la politica e la vita degli italiani, ma non ha avuto il coraggio per andare fino in fondo.
La Chiesa, è noto, ha una lunga storia con il tema prostituzione, ben prima della comparsa di tuttequeste signorine nelle ville del capo del governo. Dalle prime pagine della Bibbia alla genealogia di Gesù, dalle parole evangeliche "le prostitute vi passeranno avanti nel regno dei cieli" all’appellativo patristico sulla Chiesa casta meretrix e alle parole di Dante che accusano i papi di "puttaneggiar coi regi", la prostituzione ha sempre accompagnato il cammino del cristianesimo. Nulla di strano, perché ha sempre accompagnato il cammino dell’umanità. Quindi nessuno si aspettava che il cardinal Bagnasco si stracciasse le vesti scandalizzato. Ma tra lo scandalo di un Savonarola e le parole di biasimo in sé giuste rese però innocue dal biasimo riversato sui magistrati per il troppo zelo, c’è una bella differenza.
So bene che vi sono legittimi interessi dell’istituzione Chiesa da salvaguardare come i finanziamenti alle scuole cattoliche, le esenzioni delle tasse per gli edifici ecclesiastici, la battaglia parlamentare sul biotestamento e materie similari. Ed è giusto che il presidente della Cei tenga conto di tutto ciò.
Ma vi sono dei momenti nei quali bisogna guardare davvero unicamente al bene comune, momenti nei quali chi sta in alto si ritrova solo, ed è chiamato a responsabilità profetiche e morali senza poter coniugare tutti gli interessi in gioco. Ieri la gerarchia della Chiesa italiana era in questa situazione.
Le parole di Bagnasco sono state per molti tratti un buon esempio di cosa significa parlare di politica senza fare ingerenze partitiche, perché la nostra situazione non è più questione di destra o di sinistra ma solo di decenza e di dare un governo vero a un paese che ne ha urgente bisogno. Alla fine però ha ceduto alla diplomazia, ha usato il bilancino che le consente di avere tutti i forni sempre aperti. E così il sale evangelico ha perso ancora un po’ del suo sapore.
Un nome da rossore
di Piero Stefani *
In una sera di maggio del 1915 un poeta vate, rivolgendosi alla folla accalcata in una piazza di Roma, così si esprimeva: «Su la nostra dignità umana, sulla dignità di ognuno, su la fronte di ognuno, su la mia, su la vostra, su quella dei vostri figli, su quella dei non nati, sta la minaccia di un marchio servile. Chiamarsi Italiano sarà nome da rossore ...». Con queste, e altre ancor più veementi, parole di [un] «grande» della letteratura italiana, Gabriele d’Annunzio, portava a compimento un esercizio di retorica che fingeva di premere sul governo al fine di prendere una decisione in effetti già assunta: l’ingresso in campo dell’Italia a fianco dell’Intesa. Non fu una scelta di cui gloriarsi.
In tutt’altro contesto, oggi si impongono con implacabile attualità, a patto di trascriverle al presente, alcune di quelle parole: «chiamarsi italiano è un nome da rossore». La vera ragione non è quella, pur reale, dell’immagine che si diffonde nel mondo legata agli inqualificabili comportamenti personali del presidente del consiglio. Lì, certo, ci sono ad abundantiam motivi di coprire le proprie guance di rubyno e tuttavia lo snodo fondamentale si trova altrove. Il vero motivo di vergogna che tutti ci accomuna è che, all’incirca da vent’anni, in Italia non si può fare a meno di riferirsi, in un modo o in un altro, a Berlusconi. Vi è un dato oggettivo: da quasi quattro lustri il Cavaliere è divenuto il perno su cui ruota l’intera vita nazionale.
Non siamo in una classica dittatura, le gigantografie di Berlusconi non appaiono agli angoli delle strade o sui palazzi istituzionali, nelle scuole o nei tribunali. Si tratterrebbe di un procedimento arcaico. Il fatto cruciale è che tutto il linguaggio della comunicazione, in modo diretto o indiretto, non riesce a ignorarlo o come persona o come stile di comportamento avversato e/o introiettato. Berlusconi si è impossessato dell’anima del paese. Questo è il vero motivo di incancellabile rossore. Essere all’opposizione politica è un rantolo di dignità, ma non sposta il baricentro della questione. Non ci si può dimenticare di lui. È lui che comanda il gioco. Prima o poi perderà; ma il torneo sarà sempre intitolato a lui anche dopo di lui. Lo sarà fino a quando non ci sarà una vera svolta. Giunti a questo punto, la rigenerazione dovrà, per forza, passare attraverso una fase traumatica, proprio come avvenne per l’altro ventennio: prospettiva realistica, ma non augurabile, i prezzi da pagare saranno infatti enormi.
Tutto è così. Quando ci si imbatte in forze positive impegnate nel sociale, nella concreta applicazione dei diritti, nell’elaborazione culturale seria, allora sorge, inevitabile, un interrogativo: come è possibile che un paese che ha queste potenzialità abbia una vita e un’immagine pubbliche così degradate? A parti rovesciate, la stessa conclusione va tratta quando ci si imbatte in comportamenti e stili di vita volgari, egoistici, narcisistici e dissipatori pervarsivamente presenti tra noi. In tal caso si è obbligati a constatare quanta terribile omogeneità ci sia tra il «paese reale» e quello legale.
Se si contemplano le opere d’arte del passato o si è avvinti dalla grande musica e letteratura dell’Italia di un tempo, ci si chiede come è possibile che una civiltà capace di aver prodotto quelle realtà si sia ridotta così. Se si è di fronte alla liturgia pubblica dei picchetti di onore, delle toghe, delle deposizioni di corone di alloro, delle solenni sedute inaugurali, delle celebrazioni e degli anniversari sorge, inevitabile, un senso di smarrimento constatando la vuotezza di quella ritualità di fronte al vero volto dell’Italia. Su questo declivio si potrebbe continuare, fino a giungere alla minuscola esemplificazione costituita da queste righe, anch’esse prigioniere di quello spettro che si aggira tra noi e dentro di noi.
Il modello «tirannico» (in senso classico) di chi governa la cosa pubblica in base al proprio interesse privato si è capovolto fino a far sì che anche il privato di ciascuno sia impregnato da un diuturno confronto con quello stile pubblico. Quando ci si alza la mattina, si è coperti da un rossore contraddistinto da tratti depressivi: non ce ne liberiamo, siamo ancora qui, non riusciamo a coagulare forze per uscirne.Nell’orizzonte italico vi è un altro rosso, quello cardinalizio. Anch’esso è ormai segno di vergogna. Quando il primo ventennio aveva imboccato la strada dello sfacelo, ci fu qualche sussulto; è il caso degli ultimi mesi di pontificato di Pio XI. Tuttavia neppure allora ci fu una seria messa in discussione dello scoperto appoggio che si era dato in precedenza. Né avvenne alcuna franca ammissione di aver sbagliato. La statura culturale di papa Ratti è imparagonabile a quella di un Bertone, di un Ruini o dell’evanescente Bagnasco. Da lui ci si poteva, forse, aspettare qualcosa, dagli odierni cardinali non è dato attendere nulla e i loro tardivi distinguo non fanno che rendere più intensa la porpora presente sui loro abiti e sulle nostre guance. Semplicemente essi non sono all’altezza di comprendere il dramma del nostro paese in quanto ne sono parzialmente corresponsabili.
* http://pierostefani.myblog.it/, 22 gennaio 2011