[...] Per l’ultima puntata del programma record assoluto di ascolti per la terza rete Rai, realizzato in collaborazione con Endemol Italia, Dario Fo leggerà un elenco con il quale si rivolge alla classe politica. Si parlerà, poi, di volontariato, di legalità - con gli elenchi letti da Piero Grasso e don Luigi Ciotti - ma anche di scuola e università: mentre le proteste contro la riforma Gelmini sono al centro delle cronache di questi giorni, Vieniviaconme mette in scena le ragioni di insegnanti, genitori, studenti e ricercatori attraverso la lettura di elenchi che raccontano da diversi punti di vista la situazione della scuola italiana oggi [...]
Fazio-Saviano, ultima puntata
Sul palco Fo, Don Ciotti e Piero Grasso
Per lo scrittore di "Gomorra" monologhi sul voto di scambio e sul terremoto all’Aquila. Tra gli ospiti anche Milena Gabanelli: Domani in prima serata su RaiTre l’ultima puntata. Non si chiuderà a mezzanotte *
ROMA - Con gli elenchi del nobel Dario Fo, della giornalista Milena Gabanelli, del procuratore antimafia Piero Grasso e di Don Luigi Ciotti e le orazioni civili di Saviano, dedicate al terremoto de L’Aquila e al voto di scambio, si conclude domani la narrazione di piccole e grandi storie del paese di Vieni Via Con Me, il programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano in onda domani alle 21.05 su Rai Tre. Si chiuderà, si apprende da ambienti Rai, alla solita ora, 23.30 circa. La Rai, dopo la proposta di Fazio di prolungare la diretta fino a mezzanotte, non avrebbe concesso il prolungamento.
Per l’ultima puntata del programma record assoluto di ascolti per la terza rete Rai, realizzato in collaborazione con Endemol Italia, Dario Fo leggerà un elenco con il quale si rivolge alla classe politica. Si parlerà, poi, di volontariato, di legalità - con gli elenchi letti da Piero Grasso e don Luigi Ciotti - ma anche di scuola e università: mentre le proteste contro la riforma Gelmini sono al centro delle cronache di questi giorni, Vieniviaconme mette in scena le ragioni di insegnanti, genitori, studenti e ricercatori attraverso la lettura di elenchi che raccontano da diversi punti di vista la situazione della scuola italiana oggi.
E proprio gli studenti nei giorni scorsi hanno utilizzato la forma linguistica dell’elenco di Vieniviaconme nella protesta davanti a Montecitorio. Non solo: Milena Gabanelli, autrice e conduttrice di Report, leggerà un elenco autobiografico. Dopo Roberto Benigni, Paolo Rossi, Antonio Albanese e Corrado Guzzanti, sarà la volta di Antonio Cornacchione che si esibirà in un pezzo comico in forma di elenco.
A realizzare la coreografia dell’ultima puntata, ispirata alla cena di Trimalcione , cinque tra i coreografi più importanti e rappresentativi della recente storia della coreografia italiana - Michele Abbondanza, Raffaella Giordano, Giorgio Rossi, Caterina Sagna e Roberto Castello, ideatore e curatore di tutte le coreografie di Vieniviaconme - per la prima volta insieme dopo più di vent’anni. I costumi sono di Ester Marcovecchio.
Dopo l’elenco dei "desideri impossibili" della scorsa settimana, in questa puntata Fabio Fazio elencherà "le cose che ho imparato facendo questa trasmissione", che si chiude con il consueto gioco a due insieme a Saviano "vado via perchè/resto qui perchè", diventato un tormentone anche sul web. La scenografia è di Francesca Montinaro.
* la Repubblica, 28 novembre 2010
Sul tema, nel sito, si cfr.:
IO RESTO IN ITALIA - FILOMENA
Un filmato dalla parte delle donne *
Care amiche, cari amici,
vi proponiamo il piccolo video che Filomena, la Rete delle Donne ha ideato dopo aver constatato il vuoto informativo sul ruolo che le donne hanno giocato e tuttora giocano nella storia e nella realtà quotidiana di questo paese.
Abbiamo sentito l’esigenza di estrarre dal silenzio una piccola sequenza di figure femminili, del passato e del presente, per farle tornare in superficie in una narrazione più accurata sulla realtà dell’Italia.
E’ stato un esercizio difficile, il nostro. Molte, moltissime altre sono state sacrificate all’esigenza di brevità che il mezzo scelto comporta.
Ci auguriamo tuttavia che il messaggio che Filomena intende veicolare con il nostro piccolo intervento risulti chiaro. Vi chiediamo di far circolare quanto più possibile questo video. Di farlo rimbalzare da un computer all’altro, mettendoci in grado di consegnare alle donne la visibilità che meritano.
Pensiamo che sia opportuno cominciare da un gesto come questo, di ascolto e di diffusione, per riscrivere il necessario racconto sull’Italia.
Paese senza donne, in apparenza. In realtà, paese che da sempre sul lavoro e la fatica delle donne poggia.
Grazie per il sostegno che vorrete darci.
*
FILOMENA, la rete delle donne
www.filomenainrete.com
http://www.youtube.com/watch?v=mQcAkCKp2Nw
per informazioni:
Annarita Budelli
333 3542632
filomenainrete@gmail.com
fb: Filomena Inrete
Si chiude il programma dei record elenchi, bilanci e il ricordo di Monicelli
Quarta e ultima puntata di "Vieniviaconme". Fra gli ospiti, Dario Fo e il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. Fazio annuncia in diretta la morte del regista. Il capostruttura di RaiTre, Mazzetti: "Vorremmo fare altre quattro puntate in primavera, chissà che ne pensano i vertici di viale Mazzini..."
di ALESSANDRA VITALI
ROMA - Forse è vero che siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni. La pipa di Pertini e Bearzot e quella di Luciano Lama, la barba di Tiziano Terzani, gli scarpini di Roberto Baggio, la tonaca di don Milani e il megafono di Fellini, gli occhi di Sofia Loren e la bicicletta di Marco Biagi. E’ l’elenco - parziale, quello completo è molto più lungo - di "ciò di cui tutti noi siamo fatti", il puzzle di un’Italia da sogno, quella che autori e conduttori di Vieniviaconme hanno provato a evocare nel corso delle puntate. L’elenco di "ciò di cui tutti noi siamo fatti" è uno dei primi letti in trasmissione, dopo quello su "che cosa ho imparato con questo programma" con cui Fabio Fazio ha inaugurato l’ultimo appuntamento. Alcune immagini di repertorio ricordano al pubblico chi era Walter Tobagi, il giornalista assassinato nel 1980. A sua figlia Benedetta il compito di elencare "le cose che le ha lasciato suo padre", a Francesco De Gregori quello di cantare Viva l’Italia. C’è anche un ricordo per Enzo Biagi. Nel cuore del programma irrompe la notizia della morte di Mario Monicelli 1. E’ Fazio a darla, in diretta.
Chiude il programma delle polemiche e dei record, spettatori aumentati di puntata in puntata (rispettivamente oltre 7 milioni e seicentomila, oltre 9milioni, quasi 10 con picchi di 11) e il merito di aver introdotto, con successo, un nuovo linguaggio televisivo, con l’invenzione degli elenchi che danno voce ad artisti o gente comune nella narrazione dell’Italia di oggi. La prova che "un’altra tv è desiderata da milioni di italiani", come ha detto Saviano in un’intervista a Repubblica 2. Un fenomeno anche sul web, con oltre 11 milioni di pagine viste tra il sito ufficiale della trasmissione 3, quello della Rai e il canale Rai su YouTube. Quasi 200 mila i fan della pagina ufficiale Facebook.
Dopo aver parlato - fra i tanti argomenti - di "macchina del fango" e Unità d’Italia, ’ndrangheta al Nord, eutanasia, rifiuti, omosessualità, tagli alla cultura, attualità politica, lotta dello Stato alle mafie, vittime del terrorismo, carceri, migranti, lavoro, condizione femminile, l’ultima puntata comincia con un monologo di Roberto Saviano sul terremoto in Abruzzo. "La casa dello studente era fatta male, è il simbolo della condotta criminale di chi costruisce senza rispettare le regole", dice. E racconta le "piccole" storie dei giovani, Alessio, Davide, Michelone e tutti gli altri morti sotto le macerie. Quell’edificio "era una bomba a orologeria", accusa l’autore di Gomorra.
C’è Dario Fo che fa l’elenco ironico e attualissimo dei consigli del Principe di Machiavelli. Dopo la protesta degli studenti, anch’essa sotto forma di elenco (mutuata proprio dal format di Vieniviaconme) Saviano cita l’opposizione alla riforma Gelmini, che ha portato i ragazzi in cima ai monumenti e ai tetti dei rettorati. "Sui tetti si sogna. Si sogna un’università pubblica, libera e aperta", dice una ricercatrice. E Domenico Starnone sottolinea che "la scuola peggiore è quella che si limita a individuare capacità e meriti evidenti", mentre "la scuola migliore è quella che scopre capacità e meriti lì dove sembrava che non ce ne fossero". C’è anche Milena Gabanelli, con l’elenco delle cause che incombono sulla testa di Report. "Il totale, per ora - conclude la giornalista - è di 251 milioni di euro".
E dopo che il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha elencato la settimana scorsa i successi del governo contro la mafia, stasera è il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso a mettere in fila le cose di cui c’è bisogno nella lotta contro la criminalità organizzata: risorse, intercettazioni, carceri adeguate, rispetto per i magistrati e non l’annunciata riforma della giustizia, bensì una nuova legge che "tenda a ridurre drasticamente il numero degli uffici giudiziari, a rendere più agile e veloce il processo penale, a rivedere il sistema delle impugnazioni, ad eliminare quelle garanzie soltanto formali, che consentono strategie dilatorie, funzionali a scarcerazioni o prescrizioni".
Il conduttore, nel suo elenco iniziale, chiude il cerchio, traccia un bilancio e non dimentica i contrasti con la Rai che caratterizzarono la vigilia del debutto, quasi un mese fa - ma neanche quelle più recenti. E fra "quello che ho imparato facendo questo programma", c’è "che la Rai è ancora un pezzo importante di questo Paese, anche se spesso dimentica di esserlo", "che per molti televisione pubblica vuol dire che siccome è di tutti, allora non si può dire niente", che "per molti altri televisione di Stato vuol dire televisione dei partiti", che "qualcuno si definisce pro-vita, come se qualcun altro potessi definirsi pro-morte", che "ai racconti si può replicare solo con altri racconti, quindi chi non si è sentito rappresentato da questa trasmissione può farne un’altra e noi la guarderemo volentieri", che "tutti quelli che vogliono spiegarti che cosa piace al pubblico per fortuna non lo sanno".
Del rapporto complicato con la Rai parla anche, poco prima dell’ultima puntata, Loris Mazzetti, capostruttura di RaiTre e responsabile del programma. Non è ottimista, "tra dieci giorni nessuno si ricorderà di Vieniviaconme", forse "visto il successo, non doveva finire dopo quattro puntate", dice che "l’intenzione di RaiTre è di farne altre quattro, magari in primavera, speriamo che anche i vertici aziendali la pensino così". Quanto alla ragione per cui il programma è stato messo in discussione dai piani alti di viale Mazzini, "probabilmente pensavano che la nostra trasmissione fosse ideologizzata e non di servizio pubblico. Viviamo un momento strano dal punto di vista della vita del Paese, sociale, politico e televisivo. Giuliano Ferrara ha scritto sul Foglio che la nostra è una visione della società dal punto di vista della sinistra, ma - si chiede Mazzetti - perché, nel periodo di Berlusconi, non è arrivata in tv una cultura di centrodestra? Perché non sono nati i Santoro, i Fazio, i Floris di centrodestra? Non ci sono intellettuali che la pensano diversamente da noi? Io credo che ci siano. Il problema però è un altro. Credo che la strategia del premier - continua - si basi sulla creazione della tv commerciale in quanto business, senza approfondire principi e valori che esistono anche nella destra".
Il finale è con Fazio e Saviano e il "gioco" del "resto perché, vado via perché". "Resto qui perché ho tanta voglia di tornare a Napoli" e "perché ha ragione Pietro Grasso" dice Saviano. "Mai mi sarei aspettato che tanta gente ci volesse bene - continua - voglio vedere se si avvera un sogno che ho fatto: dalla Rai mi telefonano e mi dicono ’perché non fate un altro programma che questo è stato così bello per tutti?’". Lo scrittore ha detto di voler restare in Italia "perché qui c’è casa mia, e perché ho ancora tanti libri che vorrei scrivere". Fazio, dopo aver ancora ricordato Monicelli ("resto perché voglio rivedere tanti suoi film"), ha concluso rivolgendosi a Saviano: "Vogliamo starti vicino".
* la Repubblica, 29 novembre 2010
La ricercatrice Francesca Coin questa sera a "Vieni via con me"
"No, non torno negli Usa è il momento di lottare" *
ROMA - Con una lettera a "Repubblica" Francesca Coin, 34 anni, illustrò lo shock del rientro in un’università italiana dopo otto anni di vita accademica in America: «Negli Usa era venuto a prendermi all’aeroporto il capo dipartimento dell’ateneo, come ricercatrice guadagnavo il triplo, essere giovani là è una risorsa non un problema». Ora è sui tetti di Architettura, a Roma, e questa sera leggerà nello studio di Fazio e Saviano un elenco di cose per lei necessarie all’università italiana.
Sono passati 45 giorni da quella lettera, che è successo nel frattempo?
«Il ministro Gelmini non mi ha mai risposto e io, da ricercatrice, ho dichiarato l’indisponibilità a insegnare alla Ca’ Foscari. E con l’avvicinarsi del voto parlamentare è cresciuta la necessità di bloccare una riforma sbagliata».
Perché sbagliata?
«Per tre motivi, fra i tanti. Non trova un posto per i ricercatori precari, saranno precari per sempre. L’autonomia di pensiero che da secoli nutre le università viene compromessa dall’arrivo di un cda con poteri vincolanti. E poi hanno tagliato del 90% le borse di studio: il diritto a studiare sarà solo dei ricchi».
Nonostante l’Italia bloccata, è probabile che la riforma passi.
«Lo temiamo. C’è stato uno scambio: la sfiducia al governo ha prevalso sull’università».
Che fa, torna in America?
«Là sarei comunque straniera. In Italia posso dare tutto quello che ho imparato negli Usa per un fine più grande. Oggi nel mio paese c’è l’humus per creare qualcosa di nuovo».
(c.z.)
* la Repubblica, 29.11.2010
Endemol no grazie!
di Giovanni Sarubbi *
Ho ricevuto da più parti la seguente lettera di Micromega:
In tutta Italia sta partendo una iniziativa eccezionale, un gigantesco flash mob:
TUTTI davanti alla televisione lunedì 29 novembre, a guardare l’ultima puntata di VIENI VIA CON ME.
E’ una importante occasione per fare un piccolo gesto, che può diventare un grande segnale:
per dire che questa Italia non è completamente assopita e indifferente al suo degrado e vuole dire basta
per dimostrare alla Rai, con un picco di audience, che questi programmi vanno incentivati, che la cultura in tv è possibile e seguita
perché Fazio e Saviano e gli altri autori e chi ha partecipato ci ha messo la faccia
per dire a loro che il loro sforzo è condiviso e apprezzato
per dire a chi spera che tutto torni nel silenzio che gli italiani vogliono continuare, anzi ricominciare, a prendersi cura del proprio paese
per dire ai politici che gli italiani ne hanno abbastanza delle loro beghe di casta, che esigono un rinnovamento
Se saremo 15, 20 milioni davanti alla tv, avremo dato un grande segnale alla politica
E’ un piccolo gesto, ma Fazio e Saviano se lo meritano. E se lo merita anche l’Italia che vuole fermare il degrado.
Se credi in questa iniziativa, diffondi questo messaggio a tutti i tuoi contatti.
Ho risposto a chi me l’ha girata con la seguente lettera:
Caro/a xxx,
io credo che il vero segnale alla politica verrà quando davanti alla TV non ci sarà più nessuno e tutti e tutte riscopriremo la nostra reciproca umanità guardandoci negli occhi, mangiando insieme, partecipando ad una riunione o ad una iniziativa dove si metta rimedio all’incuria del territorio o alla fame e alla miseria che dilagano nel mondo. Altro che 15 o 20 milioni a vedere spettacoli finanziati dal caimano perchè, per chi non lo sapesse, la Endemol che produce il programma è del berlusca che così fa il governo e fa pure l’opposizione.
Io non ho guardato finora le tre trasmissioni di Fazio e Saviano e non guarderò a maggior ragione neppure questa.
ciao
Giovanni Sarubbi
Aggiungo che non ci serve un berlusconismo senza Berlusconi, non ci serve nessun dittatore nè di destra nè di "sinistra" perchè non ci sarà alcun supereroe che ci farà uscire dalla situazione di crisi sistemica nella quale ci troviamo. Giovanni Sarubbi
Il Cavaliere, i media «cattivi» e l’amor di Patria
di Gian Antonio Stella (Corriere della Sera. 28.11.2010)
«L’ esperienza insegna che la peggior forma di patriottismo è quella di chiudere gli occhi davanti alla realtà, e di spalancare la bocca in inni e in ipocriti elogi, che a null’altro servono se non a nascondere a sé e agli altri i mali vivi e reali». Indovinello: quale disfattista rosso l’avrà scritto? Macché: anche se sembrano una risposta allo sfogo del premier contro il modo «indegno, abietto, criminale e anti-italiano» con cui «troppi media fanno critiche infondate al governo», sono parole di Curzio Malaparte. Mezzo secolo fa.
Come la mettiamo? Era un nemico della Patria anche Malaparte? Lasciamo rispondere a lui, rileggendo il «Tempo illustrato» del 1956 ripreso da «Scusi lei si sente italiano?», un libro appena uscito di Filippo Maria Battaglia e Paolo di Paolo: «Vi sono due modi di amare il proprio Paese: quello di dire apertamente la verità sui mali, le miserie, le vergogne di cui soffriamo, e quello di nascondere la realtà sotto il mantello dell’ipocrisia, negando piaghe, miserie, e vergogne (...) Tra i due modi, preferisco il primo».
«Né vale la scusa», proseguiva, «che i panni sporchi si lavano in famiglia. Vilissima scusa: un popolo sano e libero, se ama la pulizia, i panni sporchi se li lava in piazza. Ed è cosa inutile e ipocrita invocare la carità di Patria. (...) Ho forti dubbi che la Patria, per la quale si pretenderebbe invocare tale specie di carità, sia la vera Patria degli italiani. Credo piuttosto sia quella che Carducci chiamava “La Patria di lor signori”; cioè l’Italia dei servi e dei padroni, un’Italia che non merita né pietà né rispetto».
Tema: era più patriottico Malaparte nel suo amore adulto per l’Italia convinto che un popolo deve guardare in faccia se stesso o più patriottico Berlusconi quando (bacchettato anche da Giuliano Ferrara: «Ragiona talvolta con la pancia e dimentica l’onorevole funzione della testa nel corpo umano») disse di aver difeso il Duce in un’intervista a «The Spectator» perché aveva «reagito da patriota, da italiano vero, rispetto a una comparazione tra Mussolini e Saddam Hussein»?
Ama di più l’Italia Angelo Del Boca che da anni cerca dolorosamente di capire come mai noi, noi italiani, arrivammo a costruire nel deserto libico lager in cui morirono decine di migliaia di donne, vecchi e bambini o l’ama di più chi finge di non sapere che quel macellaio del maresciallo Graziani, per ordine del Duce, usò gas vietati da tutte le convenzioni e scatenò i soldati islamici in divisa italiana per decimare tutti i preti e i diaconi di Debra Libanos, il «Vaticano» della Chiesa cristiana etiope? Sia chiaro: non è in discussione il diritto del Cavaliere di lamentarsi di come giornali o giornalisti trattano i suoi «trionfi». Sono anni che si lagna. Cominciò nel ‘94 («Il 90% dei giornalisti italiani milita sotto le bandiere del fronte comunista o paracomunista») e non ha smesso mai: «Sono tutti contro di me. C’è un’alleanza visibile tra i grandi giornali, le banche e la magistratura per realizzare un’intesa opaca e oscura contro di me».
Non l’ha manco fatto in solitudine. Gli archivi sono pieni di lamenti di chi via via era al potere, magari proprio contro Berlusconi e i suoi accusati a loro volta d’essere «sfascisti». Lamberto Dini: «Se i mercati accolgono così freddamente la mia finanziaria è colpa dei giornalisti cacadubbi, della disinformazione che nasce in Italia e si ripercuote negli altri Paesi». Romano Prodi: «Non dobbiamo avere paura dei mass media, tanto li abbiamo tutti contro ... » . Massimo D’Alema: «Il confronto coi giornali stranieri è umiliante. Quelli si occupano di cose serie, da noi si stampano solo cazzate». E potremmo andare avanti per pagine e pagine.
Fin qui siamo nella «normalità»: i giornali fanno le pulci a chi governa (magari talvolta esagerando) e chi governa sbuffa, talvolta a ragione, più spesso a torto. Ma perché una critica a Palazzo Chigi, che ci stia D’Alema o Dini, Berlusconi o Prodi, dovrebbe essere «anti-italiana»? Così ragionava il fascismo. Quando Gaetano Polverelli emanava l’ordine nel 1931 a «improntare il giornale a ottimismo, fiducia, sicurezza nell’avvenire. Eliminare le notizie allarmistiche, pessimistiche, catastrofiche e deprimenti». Ne scrisse sulla «Frankfurter» anche il grande Joseph Roth spiegando che i giornali erano sbarrati a chi veniva accusato di aver «esercitato un’azione contrastante gli interessi della nazione». Cioè del Duce.
La verità è che i grandi intellettuali italiani sono stati spesso duri con l’Italia. Proprio per amore dell’Italia. Basti ricordare Antonio Gramsci: «È mancato sempre, o quasi, in Italia, un ambiente di serietà, di lavoro effettivo e dignitoso intorno ai luminari della scienza, della politica, della vita morale, della cultura, che pure sono nati in Italia, e in italiano hanno scritto e parlato in buon numero. “Dietro l’avello / Di Machiavello / Giace lo scheletro / Di Stenterello.” (..) È tutta una caterva di Stenterelli, quella che circonda la persona di un solo Machiavello».
Oppure, su un’altra sponda, decenni dopo, Oriana Fallaci: «La mia Patria, la mia Italia, non è l’Italia d’oggi. L’Italia godereccia, furbetta, volgare degli italiani che pensano solo ad andare in pensione prima dei cinquant’anni e che si appassionano solo per le vacanze all’estero o le partite di calcio. L’Italia cattiva, stupida, vigliacca, delle piccole iene che pur di stringere la mano a un divo o una diva di Hollywood venderebbero la figlia a un bordello di Beirut ma se i kamikaze di Osama Bin Laden riducono migliaia di newyorchesi a una montagna di cenere che sembra caffè macinato sghignazzano contenti bene-agli-americani-gli-sta-bene».
Prospettive diversissime: anti-italiane? Mah... Era anti-italiano Indro Montanelli quando, innamoratissimo dell’Italia che l’aveva deluso, confidava amaro: «Per me, non è più la Patria. È solo il rimpianto di una Patria»? Berlusconi è amatissimo almeno quanto detestato da un pezzo del Paese, ma perché dovrebbe coincidere con la Patria?
Rileggiamo quanto scriveva nel ’46 Vitaliano Brancati: «La ripugnanza per la critica, la libera stampa, le due Camere, il teatro di costume fa che l’uomo d’ordine chieda in ogni momento la censura preventiva. Per chiedere questa legge straordinaria, egli sceglie l’occasione di una menzogna o di una calunnia o di una sconcezza, ma in effetti è impaziente di applicarla contro la scottante Verità, la fastidiosa Critica, la noiosa Ironia». L’alternativa è il cronista servo irriso da Mino Maccari: «tutta prosa / senza sale e senza aceto / Se un gerarca tira un peto / te lo pubblica in grasseto».