[...] davanti ad alcuni rappresentanti della comunità musulmana, poco prima di una cena alla Casa Bianca per celebrare l’inizio del Ramadam, il mese sacro islamico, Obama ha concesso ai giornalisti alcune dichiarazioni ad hoc: "In quanto cittadino, in quanto presidente, credo che i musulmani abbiano lo stesso diritto di chiunque altro in questo Paese di praticare la loro religione. Questo include il diritto di costruire un luogo di culto e un centro di una comunità in una proprietà privata di South Manhattan" [...]
NEW YORK
Obama difende moschea a Ground Zero
"Libertà di culto un diritto inalienabile"
Il presidente Usa a favore dell’iniziativa di costruire un luogo di preghiera musulmano vicino al sito degli attentati dell’11 settembre a New York. "Questa è l’America, qui c’è libertà di religione. La causa di Al Qaeda non è l’Islam"
WASHINGTON - Il progetto di costruire una moschea a Ground Zero continua a fare discutere l’America e la comunità internazionale, ma il presidente Barack Obama ha le idee molto chiare in proposito: il problema non esiste. Gli Stati Uniti riconoscono la libertà di culto, un diritto inalienabile secondo la costituzione del 1789, e dunque i musulmani hanno "lo stesso diritto di chiunque altro in questo Paese di praticare la loro religione".
Che il sito di preghiera debba sorgere sul luogo degli attentati dell’11 settembre a New York, attribuiti a un’organizzazione fondamentalista islamica, per il presidente Usa non ha rilevanza. E davanti ad alcuni rappresentanti della comunità musulmana, poco prima di una cena alla Casa Bianca per celebrare l’inizio del Ramadam, il mese sacro islamico, Obama ha concesso ai giornalisti alcune dichiarazioni ad hoc: "In quanto cittadino, in quanto presidente, credo che i musulmani abbiano lo stesso diritto di chiunque altro in questo Paese di praticare la loro religione. Questo include il diritto di costruire un luogo di culto e un centro di una comunità in una proprietà privata di South Manhattan".
"Siamo negli Stati Uniti e il nostro impegno a favore della libertà di culto deve essere inalterabile. Il principio secondo il quale i popoli di tutte le fedi siano i benvenuti in questo Paese e quello secondo il quale non saranno trattati in modo diverso dal loro governo è essenziale per essere quello che siamo", ha aggiunto il presidente, citando il primo emedamento della costituzione americana, che garantisce la libertà di culto.
I partigiani del progetto di New York sostengono che la "Casa Cordoba" aiuterà a superare i pregiudizi di cui, dal giorno degli attacchi contro le torri gemelle, costati la vita a circa 30mila persone, continua a soffrire la comunità musulmana della città. Gli oppositori ritengono invece che realizzare una moschea a Ground Zero sia un insulto alla memoria delle vittime.
L’ipotesi della costruzione divide in particolare la comunità ebraica. Il sindaco di New York, Michael Bloomberg, appoggia il progetto, mentre Abraham Foxman, il direttore nazionale della Anti Defamation League (Adl), una delle principali organizzazioni ebraiche e anti-razzista, ha chiesto alla comunità musulmana di costruire "Casa Cordoba" un pò più lontano da Ground Zero, per non urtare la sensibilità delle vittime. Una richiesta che ha spinto il più famoso dei giornalisti americani di origine musulmana, Fareed Zakaria, a restituire un premio che la stessa Adl gli aveva dato negli anni scorsi.
Obama, consapevole della delicatezza della questione, ha sottolineato come "gli attentati dell’11 settembre siano stati un evento profondamente traumatizzante per il nostro Paese. Il dolore e la sofferenza di coloro che hanno perduto i propri cari è inimmaginabile. Quindi comprendo l’emozione che provoca questo dossier. Ground zero è senza dubbio un’area sacra". E ha concluso precisando che "la causa di Al Qaeda non è l’Islam, è solo una volgare distorsione che fa capo a terroristi che uccidono innocenti".
La mossa a sorpresa del presidente, cui si attribuiva l’intenzione di rimanere fuori dalla controversa vicenda a pochi mesi dalla elezioni di metà mandato del 2 novembre, rischia di rilanciare le polemiche con una certa violenza. Parte della destra americana rimane infatti convinta che Obama non sia nato negli Stati Uniti, e che sia di religione musulmana, come confermerebbe il suo nome completo, Barack Hussein Obama.
* la Repubblica, 14 agosto 2010
Sul tema, nel sito, si cfr.:
KANT: SIGMUND FREUD, I DIRITTI UMANI, E IL PROBLEMA DELL’ “UNO”
Sì di Obama a una moschea a Ground zero
Washington, 14. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, riconosce che i musulmani hanno il diritto di costruire una moschea a pochi passi da Ground zero, a New York, dove sorgevano le Torri gemelle distrutte nell’attentato dell’11 settembre 2001. Obama si è espresso in questo senso, ieri sera, in un discorso alla comunità musulmana statunitense poco prima dell’iftar, la cena che precede l’inizio del Ramadan.
Il presidente ha ricordato che "il dolore e la sofferenza di chi ha perso i propri cari è inimmaginabile" e ha detto di comprendere "le emozioni che questa vicenda provoca". Obama ha poi respinto ogni equazione tra terrorismo e islam e "con la massima chiarezza in quanto cittadino e in quanto presidente" si è detto "convinto che i musulmani hanno il diritto di praticare la propria religione come qualsiasi altra persona in questo Paese". E ciò comprende anche "il diritto di costruire un luogo di culto e un centro per la comunità su una proprietà privata a Lower Manhattan".
* ©L’Osservatore Romano - 15 agosto 2010
L’ANALISI
Una impopolare scelta di civiltà
di VITTORIO ZUCCONI
CI VOLEVANO fegato, enorme coraggio civile e un pizzico di vocazione al suicidio elettorale per fare quello che il Presidente Obama ha fatto venerdì sera. Una impopolare scelta di civiltà. Il coraggio di schierarsi decisamente, secondo la civiltà e la storia americane a favore della futura moschea a due isolati dagli spettri delle Torri Gemelle, perché gli Stati Uniti d’America sono costruiti sulla libertà di praticare "qualsiasi fede religiosa, da parte di qualsiasi cittadino, in qualsiasi luogo".
In un momento orribile per la sua popolarità che comincia ad avvicinare gli abissi della "zona Bush" e dunque per le fortune del Partito Democratico avviato a una mazzata elettorale storica in novembre, prudenza, opportunismo e astuzia gli avrebbero dovuto consigliare silenzio, su una vicenda che non riguarda direttamente la Casa Bianca e dalla quale lui non ha nulla da guadagnare e dunque tutto da perdere. Preso tra una destra biliosamente demagogica e una sinistra sussiegosamente impermalosita, impaniato in un’economia che non riprende e lo trascina in basso, Obama avrebbe potuto ricorrere al collaudato trucco politichese della "triangolazione" inventato da Bill Clinton: dire una cosa e fare l’opposto.
Clinton avrebbe tuonato contro il fanatismo islamico e sotto traccia avrebbe incoraggiato la comunità musulmana a costruire il proprio centro magari due isolati più lontano, o avrebbe invocato la libertà religiosa, lavorando poi in silenzio per impedire quello che molti newyorkesi considerano un oltraggio alla memoria delle vittime del terrorismo islamista.
Ma Obama non è Clinton. La sua storia personale, la sua natura, la sua aspirazione a essere un leader etico e non soltanto un amministratore, gli ha impedito di guardare dall’altra parte come i suoi stessi consigliori gli raccomandavano. La sua è esclusivamente una religione civile, una fede nell’America della storia e della Costituzione come soltanto i cittadini di prima generazione, quale lui è, e di minoranza etnica che hanno conosciuto il sapore amaro della marginalizzazione, coltivano. Quando l’occasione per un discorso alto, nobile, laico, come sempre magnificamente pronunciato, si presenta, non sa resistere.
Fatta la scelta di parlare, non aveva scelta. Non poteva dire altro che "come cittadino e come Presidente - si noti la precedenza data alla parola cittadino - credo che i Mussulmani abbiano lo stesso diritto di praticare la propria religione di chiunque altro, in questa nazione". Quando ciò che dovrebbe essere sacrosantamente ovvio diventa elettoralmente rischioso, il segno dei tempi non è buono.
Invano il suo addetto stampa Robert Gibbs, ormai avviato al licenziamento, gli aveva raccomandato di tenersi fuori da "una questione strettamente locale" come questa moschea di 13 piani da erigere due isolati a nord dal cratere dell’11/9, che a ormai quasi dieci anni di distanza dal massacro resta un grande vuoto nel cuore di Downtown Manhattan. Il sindaco della città, Bloomberg, si era già detto pienamente a favore della richiesta, nonostante l’opposizione della comunità ebraica. Il potentissimo comitato di zona aveva respinto all’unanimità - evento miracoloso nella città più litigiosa del mondo - una mozione per bloccare il "Centro Cordoba", come i promotori hanno chiamato il progetto, ricordando la grande e squisita città multietnica andalusa governata dagli Arabi fino al XIII secolo. Obama non avrebbe quindi il potere né per bloccare, né per imporre la costruzione.
Se ha sentito il bisogno di intervenire davanti a leader mussulmani e chierici invitati alla Casa Bianca per l’"iftar", il pasto serale che interrompe il digiuno quotidiano durante il Ramadan, è perché Obama si sente l’erede e il custode di una storia che comincia con Thomas Jefferson duecentoventi anni or sono, quando il padre della democrazia americana e della separazione fra Stato e Chiesa s’intratteneva con religiosi mussulmani, perché nella sua vita è stato esposto a culture, esperienze, fedi, etnie diverse che gli rendono incomprensibili l’intolleranza e l’odio che quel cratere nel centro di Manhattan rappresentano. "Capisco le emozioni che questo problema suscita, ma questa è l’America e il principio secondo il quale popoli di ogni fede sono benvenuti, e non saranno trattati in maniere diverse dal loro governo, è parte essenziale di ciò che siamo".
Meravigliosi principi che hanno fatto, più che cannoni e certamente più del dollaro, la grandezza di questa "città sulla collina" che gli Usa sono, ma che politicamente dimenticano una terribile verità: che esiste un’America pre 11 settembre 2001 e un’America post 11 settembre. Una moschea con grattacielo di 13 piani a cento metri da una tomba a cielo aperto scavata da chi uccise credendo di compiere una missione divina appartiene al "dopo". Non ci sono conciliazioni razionali fra coloro che a New York, e nelle schiere dei seguaci di abili manipolatori della politica come Sarah Palin ("una provocazione" ha chiamato quel centro islamico), domandano "perché una moschea proprio lì" e coloro che, come Obama, chiedono: "Perché non lì?" visto che decine di mussulmani morirono quel giorni accanto a cristiani, ebrei, atei.
Infatti, Obama è riuscito a irritare tutti e a non accontentare nessuno, come accade a chi dice la cosa giusta, a parte il promotore del progetto, il costruttore Sharif al-Gamal, entusiasta. Dal mondo arabo e mussulmano arriva l’accusa di fare molto "simbolismo", come fu il celebre discorso all’Islam pronunciato al Cairo, e poca sostanza, mentre il campo di Guantanamo resta aperto e le vittime "collaterali", cioè innocenti, in Afghanistan e in Pakistan sotto i bombardamenti, si accumulano. La principale organizzazione ebraica degli Usa, la Anti Defamation Ligue, lo critica e si oppone ferocemente alla moschea, tra le grida e gli strepiti dei repubblicani che accusano il Presidente di "sacrilegio".
E l’economia, che è il solo altare ai cui piedi alla fine ogni tabernacolo, ogni Libro, ogni paramento, ogni fede in America s’inchinano, resta una dea immusonita e incollerita che chiederà il sacrificio civile di un presidente, di Obama, che troppo ancora crede alla civiltà della politica e allo spirito dell’America, anche, e soprattutto, quando brutalmente ferita e offesa dai barbari.
* la Repubblica, 15 agosto 2010
Il coraggio di Obama sulla moschea a Ground Zero
di Andrea Riccardi (Corriere della Sera, 15 agosto 2010)
In questo nostro tempo secolarizzato i luoghi di preghiera fanno talvolta discutere. A New York è stato approvato il progetto d’una moschea e un centro islamico a due passi da Ground Zero (ieri è arrivato l’appoggio del presidente Obama). C’è chi grida alla profanazione dell’11 Settembre, anche se tra i parenti dei caduti non c’è unanimità. Questa reazione rivela una forte convinzione: quel terribile attentato è dovuto all’islam in senso globale. L’opposizione alla moschea a Lower Manhattan evidenzia un problema della storia dei primi dieci anni del XXI secolo. La sfida islamica all’Occidente è stata l’elemento caratterizzante di questo periodo o si tratta di una semplificazione, nonostante le gravi difficoltà tra l’Occidente e i musulmani? Con un po’ di distacco cronologico dall’11 Settembre, è una discussione tutta da riprendere.
In America però, a novembre, ci sono le elezioni di metà mandato. Sempre difficili per un presidente. Un politico è portato a seguire gli umori e le paure d’un elettorato spaesato nel mondo globale. È un problema generale, non solo americano. Invece il sindaco di New York, Michael Bloomberg, ha approvato il progetto della moschea, ricordando come aprire una sinagoga e una chiesa cattolica proprio a Manhattan fu una difficile conquista della libertà religiosa, due secoli fa. Il presidente Obama non si è tenuto fuori. È intervenuto non tanto per simpatia verso l’islam, di cui è spesso accusato. Al Cairo, nel giugno 2009, aveva affermato «America e islam non devono essere in competizione». Parole giudicate politically correct, in un mondo memore dello scontro di civiltà.
Ieri, il presidente ha parlato da grande leader occidentale: «Siamo negli Stati Uniti e il nostro impegno a favore della libertà di culto deve essere inalterabile». Lo ha sottolineato con orgoglio: «Questa è l’America!». Ha lanciato una sfida ai terroristi, assassini dei musulmani, contestando loro di rappresentare l’islam. «Freedom» è stata la parola chiave del discorso: «I nostri nemici non rispettano la libertà religiosa». Negli Stati Uniti, la libertà è amica della religione, qualunque essa sia. Ne favorisce e ne protegge l’espressione concreta, come la costruzione di un tempio. Obama rifiuta che la libertà religiosa sia sacrificata alla paura a pochi passi da dove sta crescendo la Freedom Tower, un santuario della memoria e del dolore.
Ma le questioni dei luoghi di culto sono sempre complicate. In tanta polemica, si affacciano i cristiani ortodossi con una richiesta. La loro chiesa è stata distrutta dal crollo del World Trade Center e nessuno se ne occupa. Perché in fondo questa è New York: una grande pluralità di luoghi di preghiera in un mondo in cui la religione è vita concreta. La religione è anche preghiera. E la preghiera, prima di tutto, è invocazione a Dio e non odio. Del resto attorno a Ground Zero, come si vede nella vicina e piccola chiesa episcopaliana, c’è un gran bisogno di preghiera di fronte al male compiuto, al ricordo del dolore e all’incertezza del futuro.