[...] Penitenza vuol dire oggi per la Chiesa sapersi rivoluzionare, nel nome di un Dio di speranza, d’amore, di libertà e di eguaglianza. Nel nome di una fuga epocale dalla politica: si abbandoni a Cesare quel che gli spetta. Nel nome di una riconciliazione con la modernità e con la scienza; nel nome di un nuovo, integrale umanesimo [...]
RIPARARE IL MONDO. LA CRISI EPOCALE DELLA CHIESA ’CATTOLICA’ E LA LEZIONE DI SIGMUND FREUD.
Il peccato e la speranza
di Aldo Schiavone (la Repubblica, 16 aprile 2010)
Non è una tempesta improvvisa quella che, in queste settimane, sta scuotendo la Chiesa di Roma. Viene invece da molto lontano, e la sua furia si alimenta di scompensi profondi, che arrivano dritti dal cuore stesso della nostra epoca.
È importante che il Papa abbia parlato, nella sua ultima omelia, del valore e del significato della penitenza di fronte all’incalzare delle colpe e delle responsabilità. È una scelta di cui comprendiamo il significato: ma penitenza deve voler dire anche cercar di capire, per arrivare al fondo delle cose. Non è infatti solo questione dello scandalo e delle sue dimensioni; né dell’esistenza - ormai accertata - di un sistema mondiale di occultamento degli abusi commessi dal clero.
Un sistema che ha avuto il suo centro nella Congregazione per la Dottrina della Fede, come ha scritto Hans Küng in un articolo sofferto e memorabile, appena apparso su questo giornale. C’è qualcosa di ancora più decisivo e radicale che sta venendo alla luce; di più strutturale, se posso esprimermi così: una sconnessione di cui le vicende che abbiamo sotto gli occhi sono solo il segno e l’annuncio. Questi disastri non capitano mai per caso.
Quel che sta davvero emergendo è - mi sembra - un atteggiamento di fondo, un’intermittenza di pensiero e di azione che spiega e illumina quanto è accaduto: la definirei come la paura della Chiesa di fronte alla storia che ci sta innanzi - una sua vertiginosa caduta di speranza, sostituita da un sentimento persistente di smarrimento e di ripiegamento nel passato, che si colora a volte di una non trattenuta tragicità. Con la conseguenza gravissima che le gerarchie cattoliche stanno mettendo a rischio il proprio rapporto con il mondo, con il tempo, e anche con il loro stesso popolo. Far penitenza, vuol dire cominciare a rendersene conto.
E’ bene chiarirlo subito: da una Chiesa in crisi nessuno ha da guadagnare. Lo dico da non credente, da italiano e da cittadino del pianeta. Ma proprio perciò, le difficoltà che la minacciano toccano tutti noi, e ci vedono partecipi e coinvolti. La sconfitta del comunismo - il mortale nemico affrontato in tante battaglie - aveva aperto al cattolicesimo vittorioso una prospettiva straordinaria.
Esso si presentava, agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, come un centro spirituale in grado di parlare all’interezza della nostra specie, portatore di un messaggio che stava recuperando di colpo quell’universalità a lungo contestata nel corso drammatico del secolo che si chiudeva. La sua missione evangelizzatrice poteva riprendere slancio, e sembrava non avere più confini.
Caduta ormai la necessità strategica di dover scavare un abisso fra sé e il comunismo, la dottrina sociale della Chiesa poteva aprirsi con una forza critica insospettata sulle contraddizioni del nuovo capitalismo globale. Per qualche anno, il carisma misterioso e primario del papa polacco diede l’impressione che davvero si stesse varcando un nuovo confine.
La rivoluzione tecnologica non spegneva il bisogno di spiritualità e di soprannaturale - come i vecchi materialisti avevano creduto - ma spingeva grandi masse di donne e di uomini - soprattutto fra le giovani generazioni - a porsi nuove domande sul senso della loro esistenza, e a stabilire nuovi rapporti con l’immateriale. La Chiesa sembrava avere le parole giuste. Se la politica deludeva dovunque, bisognava guardare altrove per ritrovare la fascinazione di un annuncio di salvezza. Ma poi, qualcosa non ha tenuto; o per meglio dire, la proiezione in avanti non ha retto. Come mai?
Innanzitutto perché la Chiesa ha avuto la percezione precoce che si stava aprendo un tempo storico del tutto nuovo, dominato da un’inaudita potenza dell’umano - quale mai era stata finora sperimentata - grazie alla capacità trasformatrice della tecnica; e ha intuito che varcare questa soglia implicava la costruzione di una nuova antropologia dell’emancipazione, e dunque una nuova idea di destino e di speranza, della vita e della morte, diciamo anche una nuova escatologia; ma ha temuto che tutto ciò mettesse in discussione il suo primato e una larga parte del suo impianto dogmatico, e insieme che le nuove potenzialità tecnologiche potessero rivelare il loro lato letteralmente satanico - e si è ritratta. Ha intravisto, e ha avuto paura. Ha commesso, come si dice, un peccato di speranza.
Invece di elaborare una teologia della liberazione dell’umano dalle sue schiavitù millenarie, le regole di un nuovo patto fra l’umano e il divino, una revisione della sua idea di persona, ha preferito riscoprire le sue antiche vocazioni antimoderne, determinando così un penoso vuoto di senso, una rischiosa zona d’ombra fra il suo pensiero e il nostro tempo: in questo scarto poteva verificarsi di tutto - sottovalutazioni inconcepibili, fraintendimenti abissali, gaffes culturali che lasciano allibiti, e anche la formazione al suo interno di grandi strutture di peccato - e così è esattamente successo. I punti di caduta sono stati la sessualità e la tecnica: non a caso i due livelli - peraltro fra loro collegati da mille fili - attraverso i quali è passato gran parte del cambiamento che sta ridisegnando ogni giorno la forma delle nostre vite.
E sia chiaro: non sto sostenendo che la Chiesa si è rivelata inadeguata per non essere stata abbastanza permissiva di fronte alle derive dei tempi. Non c’è futuro senza regole, e senza un’autentica rigenerazione etica. E la Chiesa non può rinunciare a essere un grande motore di eticità. Ma i paradigmi di cui abbiamo bisogno non vanno dedotti da un’idea mistificata della natura, né da una concezione che condanni la nostra specie a una eterna minorità senza riscatto.
Penitenza vuol dire oggi per la Chiesa sapersi rivoluzionare, nel nome di un Dio di speranza, d’amore, di libertà e di eguaglianza. Nel nome di una fuga epocale dalla politica: si abbandoni a Cesare quel che gli spetta. Nel nome di una riconciliazione con la modernità e con la scienza; nel nome di un nuovo, integrale umanesimo.
Il monito di Benedetto XVI: «Siamo sotto gli attacchi del mondo che ci parlano dei nostri peccati»
MILANO - «Noi cristiani, anche negli ultimi tempi, abbiamo spesso evitato la parola penitenza», ma «adesso, sotto gli attacchidel mondo che ci parlano dei nostri peccati, vediamo che poter far penitenza è grazia e vediamo come sia necessario fare penitenza».Lo ha detto papa Benedetto XVI nell’omelia della Messa celebrata,nella Cappella Paolina in Vaticano, con i membri della PontificiaCommissione Biblica.
IL RICHIAMO - Il richiamo del Pontefice alla penitenza è giunto al termine di un ragionamento sul «primato» dell’obbedienza a Dio, che dà a Pietro - ha aggiuntorichiamando le parole dell’apostolo davanti al Sinedrio - «la libertà di opporsi alla suprema istituzione religiosa» e sottopone tutti gli uomini al suo giudizio. Un giudizio che, in una prospettiva di vita eterna, non va inteso come un limite, ma come «la grazia» di una possibilità di rinnovamento. «Devo dire che noi cristiani, anche negli ultimi tempi - ha osservato il pontefice - abbiamo spesso evitato la parola penitenza, che ci appariva troppo dura. Adesso, sotto gli attacchi del mondo che ci parlano dei nostri peccati, vediamo che poter far penitenza è grazia e vediamo come sia necessario fare penitenza, riconoscere cioè ciò che è sbagliato nella nostra vita. Aprirsi al perdono, prepararsi al perdono, lasciarsi trasformare. Il dolore della penitenza, cioè della purificazione e della trasformazione, questo dolore è grazia, perchè è rinnovamento, è opera della Misericordia divina».(Fonte Ansa)
* Corriere della Sera, 15 aprile 2010
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Per un ri-orientamento teologico-politico e antropologico...
RIPARARE IL MONDO. LA CRISI EPOCALE DELLA CHIESA ’CATTOLICA’ E LA LEZIONE DI SIGMUND FREUD.
DOPO GOEBBELS E DOPO HITLER, LE ALTE GERARCHIE VATICANE HANNO CONTINUATO COME PRIMA E PEGGIO DI PRIMA!!! COME SE AUSCHWITZ NON FOSSE MAI AVVENUTO, PER LA CHIESA DI PAPA RATZINGER. Si continuano a "concedere a Hitler delle vittorie postume" (Emil L. Fackenheim: "Tiqqun. Riparare il mondo")!!! (Federico La Sala
Le accuse di Goebbels alla chiesa: preti pedofili!
di Dino Messina (16/04/2010) *
Nel 1937 papa Achille Ratti (Pio XI) emise un’enciclica, Mit Brennender Sorge (con viva preoccupazione) in cui condannava alcuni aspetti del nazismo. Due anni dopo avrebbe fatto compilare a padre La Farge un’altra enciclica, mai pubblicata anche per la sopravvenuta morte, la Humani Generis Unitas, in cui veniva dato un colpo definitivo alle teorie naziste sulla superiorità della razza umana.
Anche se dal 1933 esisteva un concordato tra Santa Sede e Germania, i rapporti con il nazismo erano di forte tensione. Tanto che appena due mesi dopo la pubblicazione dela Mit Brennender Sorge (10 marzo 1937) il ministro della propaganda Joseph Gobbels tenne un discorso in cui attaccava la chiesa con l’infamante accusa della pedofilia. Era il 28 maggio 1937 e Joseph Goebbels accusava: "Ci sono casi di abusi sessuali che vengono alla luce ogni giorno contro un gran numero di membri del clero cattolico. Purtroppo non si può più parlare di casi individuali, ma di una crisi morale collettiva che forse la storia culturale dell’umanità non ha mai conosciuto in una dimensione così spaventosa e sconcertante. Numerosi sacerdoti e religiosi sono rei confessi. Non c’è dubbio che le migliaia di casi venuti a conoscenza della giustizia rappresentino solo una piccola frazione dell’ammontare autentico, dal momento che molti molestatori sono stati coperti e nascosti dalla Gerarchia".
Vennero celebrati processi, si scoprì che i preti colpevoli erano meno numerosi di quanto si pensasse, ma venne fuori anche che il ministero dela propaganda aveva dato istruzioni per soffiare sul fuoco dell’infamia. C’era un piano per infangare la chiesa che Wilhelm Canalis, capo del controspionaggio e futuro organizzatore del fallito attentato a Hitler nel 1944, fece conoscere ai vertici vaticani.
Questa storia ci viene raccontata oggi sul quotidiano della Cei "Avvenire", da Massimo Introvigne. Nessun parallelo con i fatti odierni, ma solo la puntuale ricostruzione di un caso.
* * Corriere della Sera/La nostra storia - blog di Dino Messina, 16.04.2010
Ma nel mondo questo papa sta perdendo la voce morale
di Robert Mickens (Liberazione, 16 aprile 2010)*
Papa Benedetto XVI siede sul Trono di Pietro da cinque anni, tra pochi giorni, e, mentre coloro che vivono all’interno del Gra (Grande Raccordo Anulare) sono troppo vicini alla corte papale per notarlo, molte persone nel mondo pensano che questo pontificato si stia avviando rapidamente al disastro.
Dopo una lunga serie di decisioni controverse prese "motu proprio" (di propria iniziativa) e senza un’estesa o seria consultazione (es.: la ripresa della Messa Tridentina, il riavvicinamento agli scismatici e antisemiti seguaci di Marcel Lefebvre, l’istituzione di quasi-diocesi per Anglicani ultraconservatori che si convertono in massa al cattolicesimo Romano, ecc.), la credibilità del papa è stata seriamente compromessa, più recentemente, dallo scandalo di abusi sessuali su minori da parte di religiosi e che, con effetto domino, si sta abbattendo sull’Europa continentale.
Ancor più offensivo è stato il rifiuto di papa Ratzinger di rispondere ad una serie di accuse che lo indicano colpevole al pari di ogni altro vescovo nel mondo che ha cercato di tenere nascosto alla stampa e alle autorità civili il fenomeno degli abusi sessuali. Documenti che risalgono all’epoca in cui era cardinale-arcivescovo di Monaco (1977-1982) e prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (1981-2005), suggeriscono che, nella migliore delle ipotesi, egli abbia delegato troppa della sua responsabilità a dei subalterni nel trattare i casi di abusi sessuali commessi dal clero; in quella peggiore, questi incartamenti rivelano che non abbia agito nella "rigorosa, trasparente e rapida" maniera, che i suoi sostenitori, invece, dicono abbia usato.
Trasparenza e rapidità non sono termini che una persona seria userebbe in riferimento all’operato di Joseph Ratzinger. Forse il contrario. Ma questo non ha impedito a gran parte dei giornali italiani di utilizzarli in quella che sembra a molti non-italiani come una difesa papalina del "troppo offeso" pontefice. I difensori del papa, che indossino la berretta rossa o che per essi scrivano, vorrebbero dipingerlo come vittima di un complotto preparato dai media internazionali e dai laicisti "nemici della chiesa". Alcuni vaticanisti includono anche dei "dissidenti cattolici".
Ma per molti che non vivono nel Bel Paese, la situazione appare diversa. Negli Stati Uniti, in Canada, Australia, Inghilterra, Irlanda e negli altri paesi che sono già stati costretti a gestire lo scandalo degli abusi sessuali fatti dal clero - Austria inclusa -, i cattolici sono sconcertati dal silenzio di papa Benedetto e arrabbiati per come i suoi fedeli alleati con la mitria lo abbiano difeso gridando al complotto.
Il deferente peana fatto dal cardinal Angelo Sodano la domenica di Pasqua in piazza San Pietro ha imbarazzato molti cattolici nel mondo ed ha soltanto dato maggior rilievo al silenzio del Papa ed ha totalmente oscurato il messaggio pasquale facendo sembrare lui e la Chiesa intera eccessivamente difensivi piuttosto che trasparenti e veritieri.
In molti paesi, i cattolici - sia conservatori sia progressisti - stanno semplicemente chiedendo al loro papa, un uomo che conoscono come fortemente dedito alla difesa della Verità, di farsi avanti e di dire la verità. Vogliono che ammetta cosa sapeva e quando lo ha saputo; cosa ha fatto e perché lo ha fatto. E se ha commesso degli errori si aspettano che, come ogni altra persona, lo ammetta e si prenda la responsabilità. Questo includerebbe un vero chiedere scusa, un vero "mea culpa", e non soltanto una calcolata espressione di dispiacere, che è quello che molti hanno avvertito nella sua inadeguata lettera di dieci pagine indirizzata ai cattolici in Irlanda.
Essi sanno perfettamente che gli ufficiali della Chiesa, inclusi quelli di Roma, hanno appena iniziato a trattare questi "crimini" perché le vittime hanno trovato il coraggio di denunciare i preti alle autorità civili (cosa che i capi della Chiesa non hanno fatto) e, in alcuni paesi, i tribunali hanno imposto alle diocesi e agli ordini religiosi il pagamento di somme ingenti come risarcimento alle vittime. La cattiva pubblicità sulla stampa ha giocato un ruolo non secondario nel costringere la svogliata gerarchia cattolica a prendere finalmente dei provvedimenti con riluttanza e inadeguatamente.
Quello che servirebbe ora per ristabilire la fiducia e la credibilità è qualcosa di più radicale che pubblicare le contorte norme procedurali della Congregazione per la dottrina, a lungo secretate, sul sito del Vaticano - dopo quasi cinque anni di pontificato.
Lo scandalo degli abusi e il suo insabbiamento secondo quasi tutti i vescovi del mondo sono diventati una crisi istituzionale - una crisi di autorità e di credibilità. Questo perché lo scandalo degli abusi sessuali (o forse il modo in cui il Vaticano lo ha malgestito) è diventato un parafulmine per altre profonde preoccupazioni che sono state a lungo ignorate da Roma. Ci sono crescenti tensioni sin dal pontificato di Giovanni Paolo II, quando lui e l’allora cardinal Ratzinger hanno risolutamente fermato il dibattito interecclesiale e la discussione su vitali e irrisolti problemi dopo il Concilio Vaticano II, come la collegialità episcopale, l’obbligatorietà del celibato sacerdotale, il ruolo della donna nella chiesa, e l’insegnamento di Roma sulla sessualità, solo per citarne alcuni.
Poi c’è una serie di iniziative nell’attuale pontificato - specie il ritorno al rito Tridentino, - che ha creato ancora più forte disagio e preoccupazione fra i "cattolici del concilio". Ciò che lega questi temi all’attuale crisi degli abusi sessuali è la dolorosa presa di coscienza tra fedeli, che siano ordinati o non-ordinati, che c’è un velenoso clericalismo che sta diventando un cancro nel corpo di Cristo; che nuove strutture siano necessarie affinché la lobby clericalista, che a lungo ha favorito l’insabbiamento ed ha incoraggiato l’ossessiva segretezza all’interno di questa piccola casta, debba essere radicalmente riformata e sostituita da una vera "communio" ecclesiale che faccia spazio ai non-ordinati nella dirigenza della chiesa.
Tutte queste tensioni, e l’inabilità della Santa Sede a gestirle, stanno generando una implosione. Ma pare che il papa e i suoi collaboratori non se ne rendano conto. Ancora. E pensano che sia una breve crisi che tra poco passerà. Probabilmente sono sostenuti in questo dalla lettura della stampa italiana che, in gran parte, è deferente al potere della gerarchia ecclesiastica e difende quello che sembrerebbe il più grande tesoro nazionale italiano, il papato. Mentre si avvicina l’anniversario di questo controverso pontificato, diventa dolorosamente chiaro anche ai più fedeli sostenitori che papa Benedetto XVI sta perdendo la sua voce morale. E quando la recupererà - se la recupererà - saranno pochi quelli disposti ad ascoltarla ancora.
* vaticanista americano
LE PAROLE MUTE
di don Aldo Antonelli
Per l’ennesima volta, ieri, il papa è tornato a parlare di “Penitenza”. Lo ha fatto durante l’omelia tenuta nella cappella Paolina. Ha detto: “Noi cristiani, anche negli ultimi tempi, abbiamo spesso evitato la parola ‘penitenza’, ma adesso, sotto gli attacchi del mondo che ci parlano dei nostri peccati, vediamo che poter far penitenza è grazia e vediamo come sia necessario far penitenza”.
Non me ne vogliate e, credetemi, non voglio cercare sempre e a tutti i costi, come si sul dire, “il pelo nell’uovo”. Ma c’è qualcosa che non va.
Ci sono scandali a ripetizione e diffusi, scandali gravi e occultati che stanno minando la credibilità di una chiesa ormai incapace a parlare agli uomini e alle donne di questo tormentato terzo millennio e noi cosa si fa? Ricorriamo al solito armamentario lessicale, tutto clericale, che dice tutto e niente: “peccato e penitenza; penitenza e peccato”. Questi termini, ormai usati ed abusati, li trovo banali, vuoti, sciatti, incapaci a veicolare la sofferenze e la rabbia e la volontà di dare una sterzata ad un andazzo comunque da interrompere.
Non so se a voi capita la stessa cosa. Ma sentirmi parlare di peccato e di penitenza di fronte ai mali di ogni sorta e di ogni genere è come un voler chiamare “Tizia” o “Caio” le singole donne e i singoli uomini che un minimo di decenza vorrebbe venissero chiamati con il loro nomi e cognomi propri. Un vizio tutto clericale. Una mania tutta pretigna: quella di ricoprire in un grigiore uniforme e indistinto le varie e diverse differenze. Hai fatto l’amore usando il preservativo? “E’ peccato! Fai penitenza!”. Hai ucciso una persona? “E’ peccato! Fai penitenza!”. Hai rubato un cioccolatino? “E’ peccato! Fai penitenza!”. Hai evaso miliardi? “E’ ugualmente peccato e fai lo stesso penitenza!”.
Per non parlare poi di questo ricorso ossessivo alla colpa senza interrogarsi sulle responsabilità. E’ troppo comodo, è immoralmente devastante; perché la colpa ci tranquillizza mentre la responsabilità ci interroga.
"Cercare la colpa è molto più facile, e più rassicurante che non interrogarci su responsabilità che possono anche coinvolgerci, metterci in gioco. La colpa permette di incontrare il colpevole,o presunto tale. E in questo modo ci permette di liberare la nostra coscienza. Liberarla da quei sottili vincoli che ci uniscono gli uni agli altri. La responsabilità invece è un itinerario molto più complesso, perché ci obbliga a ragionare, a stare nei termini della corresponsabilità".
E’ la bellissima e profonda riflessione che ha fatto Giancarlo Caselli in una delle sue conferenze in giro per l’Italia non molto tempo fa.
"Quando una parola viene utilizzata molte volte in molteplici contesti, si espone al rischio di genericità e di ambiguità" ha affermato il cardinale Carlo Maria Martini in un “dialogo sulla Solidarietà”.
Ivan Illich nel meeting di San Rossore che ha preceduto il G8, alla fine del novecento, ha messo in guardia contro le parole che inquinano, le "parole di plastica" che sterilizzano ed occultano i fenomeni che vorrebbero descrivere. Ebbene “Peccato” e “Penitenza” sono di queste parole, che mi infastidiscono quando le ascolto e che io non uso ormai da tempo.
Carteggio con una delle vittime dei preti pedofili
di don Aldo Antonelli
Su Tafanus è stato pubblicato il mio messaggio di ieri "Parole mute".
Una signora che si firma "io" ha scritto una sua confessione che ritengo utile farvi conoscere, allegandovi anche la mia risposta.
Naturalmente ho chiesto prima a lei il permesso di poter pubblicare il tutto.
Buona domenica a tutte e tutti.
Aldo
Caro don Aldo,
chi Le scrive è una delle migliaia di vittime della pedofilia "sacerdotale". Una vittima che è stata scelta, avvicinata, circuita, plagiata, usata e abusata, per anni, dall’età di undici anni, da un sacerdote, molto apprezzato e stimato dai suoi parrocchiani. Anche dai miei genitori. La storia che ho vissuto è durata fino a quando, da sola, sono riuscita a capire cosa mi era successo. Un giorno in cui mi sentivo particolarmente infelice e a disagio, perché non sopportavo più che "tutto" avvenisse in silenzio, in fretta, di nascosto, senza un vero gesto d’affetto, chiesi al "mostro", che allora chiamavo Jon come mi aveva detto di fare lui, se era male ciò che facevamo...La risposta che ricevetti è stata per me una pugnalata, al cuore, ma, soprattutto, alla mia anima: "Si, è male, se vuoi smettiamo subito". Pochi giorni prima, forse intuendo che mi stavo rendendo conto della situazione, aveva voluto che gli portassi tutti i miei diari. Per leggerli, mi aveva detto. Quei diari li ha invece trattenuti e forse eliminati per sempre. L’ultimo diario però non glielo avevo consegnato, perché avevo scritto male e mi vergognavo di farglielo vedere. In quel diario avevo "sfogato" tutta la mia disperazione, emersa dopo il mio risveglio...Quel diario ce l’ho ancora. Non voglio distruggerlo.
Ma, forse, non lo leggerò mai più...
Dopo quella "spiegazione" precipitai in una solitudine interiore senza fondo. Per due anni vissi quasi in clausura. Le giornate le passavo nella mia stanza, o camminando da sola, a testa china, per ore, senza meta. Inconsciamente e per difendermi dalla immensa sofferenza che provavo, rimossi tutto, o quasi tutto. Ho vissuto per anni in compagnia di un assurdo senso di colpa, che si manifestava agli altri con una mia incapacità a proferire più di due parole insieme. Mi esprimevo a monosillabi; evitavo le occasioni che mi avrebbero costretto a parlare in pubblico. Diventavo rossa appena uno sguardo si posava su di me; mascheravo in tutti i modi la mia femminilità. Mi appiattivo il seno in vari modi; le mestruazioni sparirono per un paio d’anni. Volevo passare, ad ogni costo, inosservata.
Tutto questo durò fino a quando due occhi attenti e sensibili, mi stanò, costringendomi a parlare, a ricostruirmi dentro. Prima però dovette far riemergere nella mia mente gli anni della mia infanzia e della adolescenza di cui si era impadronito il mostro, incontrato nel posto che avrebbe dovuto essere il posto più sicuro al mondo: "La chiesa!".
Fu dura pe me, ma anche per lui. Doveva riuscire a farmi riguadagnare la fiducia negli adulti, nel mondo. Non è stato facile, ma alla fine ci riuscì.
Del mostro non ho più voluto sapere niente. Chi mi ha "salvato" mi ha assicurato che è stato fatto tutto quello che doveva essere fatto. A me basta questo! NESSUNO PERO’ MI POTRA’ MAI DARE INDIETRO LA MIA INFANZIA E LA MIA ADOLESCENZA VIOLATE!
Ora sono una donna guarita, realizzata, ma la grave ferita inferta alla mia anima, in questi ultimi tempi, è tornata a sanguinare, grazie al comportamento del papa e di certa chiesa sul dramma mondiale della pedofilia "sacerdotale", scoppiato in tutta la sua gravità e mostruisità nel mondo intero. Gli incubi, che non facevo più da anni, sono tornati a turbare le mie notti. La rabbia nei confronti della chiesa è riesplosa in un modo che ha stupito prima di tutto me stessa.
Eppure, malgrado tutto, io continuo a credere nel Cristo del Vangelo, di cui, per fortuna, sacerdoti come Lei, don Aldo, riescono a dare una vera testimonianza. Grazie di esserci don Aldo!
Ecco la mia risposta.
Cara "io",
ti ho letta con attenzione e nel leggerti cercavo di ricostruire nella mia fantasia i lineamenti disfatti del tuo volto violato (volto in tutti i sensi: corpo, anima, sogni e realtà....) ma anche i percorsi enigmatici e assassini di colui che invece di aiutari a crescere ti ha pietrificata nella tomba della vergogna e dei sogni strozzati.
Che dirti? Personalmene in tutta la mia lunga esistenza (ho 68 anni)all’interno della "struttura-chiesa", non ho avuto mai sentore di un qualcosa del genere, grazie a Dio. Ciononostante sono stato sempre dell’avviso che non ci sono, nemmeno all’interno della chiesa, zone privilegiate che siano immuni dalla corruzione del denaro o del sesso o del potere in genere. Gesù, parlando dello Spirito, dice: "Il vento soffia dove vuole, senti il suo sibilo ma non sai donde viene né dove va. Così è chiunque è nato dallo Spirito"(Giovanni 3,8).
In questo senso, noi credenti (mi dici che continui a credere nel Cristo del Vangelo....) siamo apolidi, senza fissa dimora: figli di quello Spirito che ci fa stare con e contro la chiesa, dentro e fuori, fedeli e disobbedienti, capaci sì di morire ma anche di risorgere.
Aldo [don Antonelli]