L’editoriale

Calabria: dopo piano di morte della ’ndrangheta contro Angela Napoli, Emiliano Morrone s’interroga sul futuro della Calabria

"Angela è la Calabria forte che non s’arrende. Unità sulla lotta alla criminalità", dice il giornalista antimafia
lunedì 8 marzo 2010.
 

Volevano uccidere Angela Napoli. Lo abbiamo appreso oggi. La fonte è un collaboratore di giustizia, già affiliato alle cosche, ora pentito. Loro, gli uomini della ’ndrangheta, che bramano il palazzo di là dai colori, progettavano di eliminarla. Ciechi, spavaldi e vigliacchi, pensavano di risolvere i propri guai procurando la morte a una donna che non teme, non si nasconde: fa i nomi di appartenenti e collusi, lotta senza partigianeria contro mafie e malaffare.

Angela Napoli è una coscienza vigile, una voce libera, uno spirito giusto. In una terra provata e sofferente, segnata dalla debolezza della politica, da un diffuso senso d’impotenza e rassegnazione che si coglie ogni giorno, anche nelle piccole storie.

Chi siamo, dove andremo?

Mi pare questa la domanda chiave per la nostra terra, oltre ogni scadenza elettorale, indipendentemente dal rito del voto, dalle alleanze, dalle faccende interne agli schieramenti politici, dalle ipotesi di vittoria e governo, da qualunque cruccio sugli assetti del domani.

Siamo calabresi, anzitutto. Quindi dobbiamo riconoscerci entro una democrazia bloccata dalle minacce, dalle pressioni, dai ricatti e dalle operazioni della ’ndrangheta; la quale è a volte sorridente, altre orrenda e funerea. Questi sono due aspetti della strategia e comunicazione criminale negli anni dell’impero finanziario ed economico delle ’ndrine, abilissime a reinvestire, riciclare, conquistare mercati lontani.

La ’ndrangheta prende il potere individuando i metodi e gli investimenti elettorali migliori. È nemico chi s’oppone, chi la combatte con le armi della legalità, della parola e dell’intervento politico o civile. Dunque va abbattuto. Lentamente o all’improvviso: con l’isolamento oppure coi bazooka, per lo più nascosti nel crotonese. In ogni caso, tra modi fini e crudi non c’è differenza: non sono il sangue, i brandelli di carne, le macerie umane e l’atrocità delle stragi a segnalarci la presenza d’un pericolo terribile, di un’organizzazione rodata quanto spietata, causa di povertà, disservizi, disavanzo, paura di cambiare.

Il problema più grave è il silenzio quotidiano, la convinzione, in largo radicata, che non si possa né debba parlare, che conviene farsi gli affari propri e rinunciare alla solidarietà concreta, a quella che nessuno può ricondurre a calcolo opportunistico, ad azione interessata.

È ancora vivo il sacrificio di don Peppe Diana, che decise di non tacere per amore del suo popolo, così scuotendoci con tutta la tensione profetica e la vocazione sociale che portava dentro.

In nome del suo esempio e dell’indiscutibile testimonianza di Angela Napoli, come semplice giovane chiedo alla Calabria di ripudiare le anguste logiche elettorali; di ritrovarci, salve le appartenenze politiche, legittime e indispensabili, nell’impegno culturale contro la vigente sufficienza rispetto al fenomeno criminale, ai sistemi dissuasivi della ’ndrangheta. Qui non si tratta di promuovere o elevare qualcuno a scapito d’altri, di dividere la politica in buoni e cattivi, di attribuire meriti e discredito, usando strumentalmente una materia che tira.

È probabile che noi calabresi non siamo stati mai uniti, divisi da una storia di sconfitte ed emigrazione.

Oggi, però, è indispensabile superare la contrapposizione ingannevole dei colori politici e l’inquietudine, paralizzante, della propaganda di parte. Per uscire dalla minorità, dobbiamo incontrarci sulla via dell’emancipazione culturale, riscoprire la nostra dignità di popolo ricco, generoso, fiero, reattivo.

La politica, da qualunque lato od angolo la si faccia, può ripartire da questo punto, dimostrando responsabilità, coscienza identitaria e una visione finalmente costruttiva del futuro comune.

Emiliano Morrone


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