L’Abbazia florense, legata al pensiero e all’opera del teologo Gioacchino da Fiore (1135-1202), per il cardinale Carlo Maria Martini «il più grande profeta del secondo millennio», è stata sequestrata dalla Procura della Repubblica di Cosenza il 4 luglio scorso. Le ragioni sono di necessaria e improrogabile tutela.
I lavori di restauro del monumento, finanziati dall’Unione europea con 1.490.000 euro e dal Comune di San Giovanni in Fiore (Cosenza) con 260.000 euro (provenienti da prestito bancario), sono fermi, salvo brevi riprese, dal settembre 2007; sospesi, dopo un mese dall’inizio, dalla Soprintendenza per i Beni architettonici e per il Paesaggio di Cosenza. Nell’ordine di sospensione, questa soprintendenza ha invitato il sindaco a ricordare ai tecnici incaricati «la delicatezza e l’importanza dei compiti loro affidati».
Successivamente, si legge nel decreto di sequestro della Procura, gli organi di controllo dei Beni culturali hanno preteso dai direttori dei lavori una perizia di variante, per causa di criticità strutturali rilevate in una relazione del docente Francesco Bencardino, dell’Università della Calabria. La perizia redatta dai direttori dei lavori è stata bocciata per quattro volte, ha scritto la Procura.
L’appaltatore, Ati Lufraco di Rende (Cosenza) - è scritto nel decreto di sequestro della Procura di Cosenza - più volte ha rappresentato ai direttori dei lavori e al responsabile unico del procedimento (rup) i problemi di stabilità dell’edificio, rimanendo così sollevato da responsabilità. Secondo la magistratura, il rup e direttori dei lavori non si sono attivati per la salvaguardia del monumento. Per tale motivo, sulla base di due sopralluoghi alla presenza di tutti gli interessati - uno della Soprintendenza Bap di Cosenza, l’altro dei carabinieri del Nucleo (di Cosenza) di tutela e conservazione del patrimonio artistico e culturale - li ha iscritti nel registro degli indagati per danneggiamento (in cooperazione) al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale. Le verifiche della soprintendenza e dei militari hanno evidenziato delle lesioni murarie verificatesi durante le opere di restauro. La magistratura ritiene responsabili delle lesioni rup e direttori, e, visto l’iter dei lavori, ha disposto il sequestro dell’Abbazia florense, per la pronta realizzazione delle opere necessarie.
L’intervento della giustizia ha avuto origine da un esposto-denuncia dell’appaltatore, nel quale, in merito all’affidamento degli incarichi di progettazione e direzione dei lavori, si parla dell’attivazione di un presunto «sistema di furberie» presso il municipio di San Giovanni in Fiore. Anche l’Autorità di vigilanza sui Lavori pubblici ha ricevuto lo stesso esposto, inviato alla Direzione regionale dei Beni culturali e al dipartimento Cultura della Regione Calabria. Nello stesso periodo, i deputati Angela Napoli (Pdl) e Franco Laratta (Pd) hanno presentato due interrogazioni parlamentari, sul caso, al ministro dei Beni culturali.
Da tempo, inoltre, l’appaltatore ha avanzato al municipio la richiesta di risoluzione del contratto. La Regione Calabria ha quindi attivato la procedura di sospensione del finanziamento europeo destinato al restauro dell’Abbazia florense.
Questi sono i fatti, molto gravi, che riguardano il restauro di uno dei più importanti monumenti religiosi italiani. Il Comune di San Giovanni in Fiore, che ha ripetutamente parlato di «ingerenze» delle soprintendenze, ha nominato un legale per ottenere il dissequestro del monumento e un perito per gli accertamenti tecnici sulla stabilità dell’edificio.
Il laboratorio culturale antimafia “la Voce di Fiore” lancia un appello a tutti i movimenti italiani impegnati per la legalità e la giustizia, per divulgare ovunque questa ennesima vicenda negativa in Calabria e per chiedere al governo, e a tutti gli organi di controllo, l’adozione di ogni misura a salvaguardia dell’Abbazia florense. Ugualmente, ritiene doverosa l’immediata revoca dell’incarico ai direttori dei lavori e al rup, sino a conclusione dei procedimenti giudiziari. Il Comune di San Giovanni in Fiore ritiene di non doversi determinare in questo senso. Ognuno, in proposito, si faccia il suo giudizio su tale scelta, che “la Voce di Fiore” non può condividere.
Materiali utili per capire bene la vicenda
Gli intellettuali in difesa dell’Abbazia florense;
L’interrogazione parlamentare dell’on.le Angela Napoli;
La verità sull’affidamento dell’incarico di progettazione e direzione lavori;
La sintesi del convegno del 3 maggio 2009;
Il decreto di sequestro della Procura della Repubblica di Cosenza.
L’INTERVISTA
L’influenza di Gioacchino da Fiore in un convegno ad Amsterdam. «Occasione per far conoscere la realtà calabrese agli olandesi»
Concluderà i lavori l’ambasciatore d’Italia nei Paesi Bassi, Giorgio Novello, conoscitore di Gioacchino e legato alla Calabria
di Emiliano Morrone (Corriere della Calabria, 24/11/2022)
COSENZA Al pensiero e all’influenza di Gioacchino da Fiore nella cultura europea è dedicato un importante convegno che si svolgerà ad Amsterdam venerdì 25 novembre, alle ore 18,30 nella chiesa protestante Keizersgrachtkerk. L’iniziativa è organizzata dal Comites Olanda insieme all’Istituto italiano di cultura di Amsterdam, con il patrocinio del Comune di San Giovanni in Fiore e della Provincia di Cosenza. Concluderà i lavori l’ambasciatore d’Italia nei Paesi Bassi, Giorgio Novello, profondo conoscitore di Gioacchino e legato alla Calabria da un affetto «basato su una molteplicità di radici». Al Corriere della Calabria il diplomatico ha rilasciato una lunga e particolare intervista, raccontando del suo incontro folgorante con la figura dell’abate florense, dei suoi sentimenti per la nostra regione e della propria disponibilità rispetto «ad ulteriori iniziative calabresi».
Ambasciatore Novello, il prossimo 25 novembre lei concluderà i lavori di un importante convegno, in programma ad Amsterdam, sul pensiero di Gioacchino da Fiore e sull’influenza che esso ebbe nella cultura olandese. Qual è, al riguardo, il suo punto di vista?
«Sono molto orgoglioso di questo convegno, che è assolutamente originale ed innovativo. I Paesi Bassi sono una nazione di grande cultura, con una fitta rete di università ed un’attenzione particolare alla filosofia e dalla teologia. Mi colpisce molto il fatto che ogni anno in Olanda venga nominato un teologo di Stato (oggi lo è un frate di origine tedesca). La stessa divisione storica tra olandesi di religione cattolica ed olandesi di religione protestante ha costituito a mio parere un motivo ulteriore di approfondimento di tematiche proprie anche di Gioacchino. Ma questo convegno consentirà anche di far conoscere di più la realtà calabrese agli amici olandesi nel quadro di un forte rilancio delle relazioni bilaterali, in particolare nel settore economico e scientifico, ma sempre sulla scorta del nostro grande ruolo come vera potenza culturale».
Qual è, a suo avviso, il punto di contatto tra il profetismo gioachimita e la cultura dei Paesi Bassi?
«Direi la proiezione verso il futuro e il sostanziale ottimismo. I Paesi Bassi sono nati in un territorio di per sé infelice, una distesa di paludi aperte alla furia del mare, e col duro lavoro di secoli sono diventati uno dei Paesi più importanti d’Europa ed uno dei più influenti anche a livello internazionale. Questi risultati si ottengono solo con attenta pianificazione e incrollabile ottimismo; quell’ottimismo che ritrovo in Gioacchino e nelle sue “dimostrazioni” dell’avvento di un’età dello spirito, età ancora ancorata nella storia ma dove dovrebbero venire riconciliate le controversie e risolte le sofferenze dell’umanità».
Lei conosce da molto tempo Gioacchino da Fiore e la Calabria, per averli frequentati nelle sue letture, nei suoi viaggi, nella sua vita. Quali sono i suoi sentimenti nel parlarne?
«Sono sentimenti di vero affetto. Mi rendo conto che la Calabria e la sua cultura costituiscono un filo che è stato costante in tutta la mia esistenza. Un affetto che, come credo tutti gli affetti solidi, coinvolge molteplici aspetti. Il punto culminante è stato probabilmente il mio lungo viaggio in bicicletta, con altri cinque ragazzi padovani, dalla nostra città di origine proprio a San Giovanni in Fiore: tre settimane e oltre 2000 chilometri di avventura e gioia pura, dormendo all’aperto o dove capitava e percorrendo tra 100 e 200 chilometri al giorno, spesso in salita. Ricordo la fatica di affrontare le rampe della Sila e finalmente l’arrivo a San Giovanni, meta simbolica e da noi così agognata. Ricordo le tante personalità calabresi incontrate nei miei studi appunto al liceo e più tardi all’università, da Pitagora di Samo a Tommaso Campanella, fino poi alla mia infatuazione letteraria per Corrado Alvaro».
L’Europa attraversa un periodo di grande difficoltà. Che senso può avere riportare nel nostro tempo la filosofia, la teologia della storia dell’abate Gioacchino e la sua spiritualità?
«Direi in due modi essenziali. In primo luogo, il suo ottimismo di fondo. La sua escatologia - con una dimostrazione “scientifica” che alle prime due età ne sarebbe succeduta una terza in cui i conflitti si sarebbero risolti ed appianati ed ogni uomo avrebbe avuto grandi possibilità di esprimersi veramente al meglio in una società ordinata - suona ancora oggi come un forte appello a guardare all’avvenire con fiducia, nonostante le difficoltà dell’ora presente. In secondo luogo, la terza età da lui indicata (come esegeta, non come profeta, come amava sostenere!) sarebbe stata un’età di libertà e non un’età di dominio della forma e della norma. Questo è un fortissimo appello a guardare alla sostanza, alla nostra interiorità, alla nostra ricchezza di esseri umani e non a quello che è meno importante, più superficiale e che fatalmente tende a dividerci».
Come incontrò l’opera e la figura di Gioacchino da Fiore?
«Al liceo, a 15 anni, sotto la guida di un mio straordinario professore al quale devo tanto anche per la mia scelta professionale: Federico Talami, straordinario esperto di Dante. Ricordo perfettamente la sua lezione quel lontanissimo giorno, credo del gennaio 1976, dedicata al canto 12º del paradiso, nel cielo del sole e cioè degli spiriti sapienti. Dante menziona una straordinaria quaterna di geni: Bonaventura da Bagnoregio, Tommaso d’Aquino, Rabano Mauro e appunto Gioacchino. Si tratta di pochissimi versi nei quali il sommo poeta mette assieme il più grande mistico del medioevo, il massimo pensatore cristiano razionalista, il maestro delle genti germaniche e appunto, per usare le sue parole, “Gioacchino di spirito profetico dotato”. Rimasi folgorato da quello che lessi sul metodo di Gioacchino: un’interpretazione comparata dei due alberi, il Vecchio e il Nuovo Testamento, per proiettare nel futuro un terzo albero, corrispondente all’età dello spirito. Questo sguardo d’aquila verso i secoli avvenire poteva facilmente incendiare la fantasia di un adolescente che stava elaborando e identificando le linee guida per il suo futuro, come ero io all’epoca. E questo accadde».
Come vede oggi la regione Calabria?
«Più che a darle una risposta, mi limito a citarle tre episodi. Il primo. Recentemente abbiamo parlato di Calabria con mio fratello Sergio, presidente e amministratore delegato di Sonepar Italia, il maggior distributore italiano di materiale elettrico, con un giro d’affari di oltre un miliardo di Euro. Sergio mi ha raccontato della recente estensione di Sonepar alla Calabria con l’apertura di cinque nuovi punti vendita e del fatto che il tasso di crescita societario in quella regione è il più elevato di Italia. Insomma, in questa importante azienda italiana la Calabria costituisce un mercato oggetto di studio e di ammirazione. Il secondo. Spesso parlando di Calabria emerge il tema della criminalità organizzata. Ma oggi emerge in modo diverso rispetto al passato: l’Italia è sempre più apprezzata per quanto fa nella lotta alla criminalità organizzata. Quello che noi facciamo in Italia, ad esempio, è seguito con estremo interesse qui nei Paesi Bassi. Un mio caro amico, il deputato olandese Ulisse Ellian, si è recato per ben due volte in Calabria per studiare da noi lo svolgimento dei maxiprocessi e l’azione meritoria delle istituzioni nazionali e regionali appunto in questo settore. La stessa ministra della giustizia olandese, a sua volta recatasi in Italia per studiare le nostre procedure, ha dichiarato alla stampa che la lotta al crimine organizzato è la nuova “esportazione di eccellenza” del nostro Paese. Il terzo. Durante le celebrazioni della festa nazionale, tenutosi anche in Olanda il 2 giugno scorso, uno dei nostri apprezzati sponsor è stato l’Amaro del Capo, prodotto da una nota azienda calabrese. Potrei citare ancora il mio prossimo viaggio a Groningen tra qualche settimana per una splendida mostra di Versace oppure la mia presentazione all’Università di Delft delle minoranze linguistiche italiane con particolare attenzione al Grecanico calabrese. Potrei citare quanto ho esposto circa le piste ciclabili della Sila, la grande mostra sul futurismo italiano qui in corso nei Paesi Bassi, come noto avviato da Umberto Boccioni nato in Calabria, o anche un ragazzo calabrese che avevo conosciuto tanti anni fa ad un congresso nazionale con una voce splendida che poi è diventato il celebre baritono Demetrio Colaci. Potrei citare il mitico terzino Silvio Longobucco, altro calabrese che svolse un ruolo importantissimo per la conquista della prima coppa Uefa della Juventus (come noi vecchi juventini ben sappiamo). Ma per mancanza di spazio mi devo fermare qui. Come vede il mio affetto per la Calabria è basato su una molteplicità di radici!».
Vicepresidente del Comites Olanda è Monica Spadafora, originaria di San Giovanni in Fiore. Che effetto le ha fatto incontrare una cittadina calabrese per un evento culturale sull’abate Gioacchino e il Paese di cui lei è ambasciatore d’Italia?
«Al mio primo incontro con Monica le ho chiesto quale fosse la sua regione di origine e mi è stato naturale menzionarle il mio viaggio in bicicletta a San Giovanni in Fiore. Con meraviglia e con gioia ho scoperto le sue origini proprio a San Giovanni e sono venuto a conoscenza del suo impegno culturale proprio sulle tematiche di Gioacchino. L’idea di organizzare un evento proprio su Gioacchino è stata spontanea».
Come dovrebbe muoversi la Calabria per promuovere e valorizzare le proprie risorse di natura e cultura?
«Direi innanzitutto che la Calabria dovrebbe maturare una maggiore consapevolezza dei propri grandi punti di forza. Ne ho menzionati alcuni, ma ce ne sono tantissimi altri. Basti pensare che il premio Nobel per la medicina Renato Dulbecco è nato a Catanzaro oppure che l’indimenticato presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro era di distinta famiglia calabrese; o che la musica pop italiana degli ultimi anni ha avuto tra i suoi protagonisti i calabresi Mino Reitano, Mia Martini e Loredana Bertè. Una sana consapevolezza della propria realtà significa rinnovare l’orgoglio delle proprie radici e poterlo quindi comunicare in modo costruttivo all’estero. In secondo luogo, rivolgendosi anche alla rete delle ambasciate e degli istituti italiani di cultura all’estero. Tra l’altro in molti di essi operano eccellenti miei colleghi di origine calabrese, tra i tanti diplomatici illustri di questa terra cito ad esempio Bruno Pasquino, oggi capo del cerimoniale diplomatico della Repubblica che ha organizzato in modo impeccabile la visita di stato del presidente della Repubblica nei Paesi Bassi, conclusasi con grande successo una decina di giorni fa. Tra le varie ambasciate, chiedo agli amici calabresi di ricordarsi in particolare di quella da me diretta e dell’Istituto di cultura di Amsterdam, dove opera con particolare incisività la direttrice Paola Cordone. Io e Paola siamo disponibili e fortemente interessati ad ulteriori iniziative calabresi».
Pensa di ritornare in Calabria, magari per un altro appuntamento culturale su Gioacchino da Fiore?
«Temo possa essere difficile per me: soffro di sclerosi multipla che mi rende problematici i movimenti, anche se proprio questo costituisce per me un formidabile stimolo a dare sempre tutto me stesso nella mia professione e al servizio dei miei ideali, compresa la promozione dell’inclusione e del rispetto delle persone con disabilità. Anzi, resto a disposizione nel caso si pensasse in regione a qualche iniziativa a questo riguardo specifico. Ma la Calabria resta sempre vicina al mio cuore e ne seguo con crescente interesse lo sviluppo. Anche per questo auspico che, se io trovo oggi difficoltà ad andare in Calabria, tanti amici calabresi vengano a trovarmi all’Aja!».
Calabria 2020: programmi di carta, ribrezzo e il ruolo dei giornalisti
di Emiliano Morrone (Da Iacchite -1 Novembre 2019)
Le elezioni regionali sono vicine, di là dalla data ufficiale che tarda ad arrivare. Tra di noi giornalisti, che per mestiere conosciamo fatti e retroscena, sale il sentore che il risultato delle urne riproponga schemi e metodi risaputi. Intendo dire che i programmi di cambiamento potrebbero restare teorici, virtuali, di carta. Fosse così, non capiremmo le differenze di contenuti tra i vari contendenti. Questo voto, lo pensiamo in tanti, sarà condizionato in larga misura dai sentimenti più popolari che i social registrano da tempo: sfiducia, disincanto, ribrezzo, rassegnazione.
È assai probabile che cresca il “partito” degli astensionisti, sia perché a Roma - secondo canone - non si muove foglia, sia perché il dibattito politico, non soltanto regionale, è fermo alla ricandidatura o al ritiro del governatore Mario Oliverio, al suo scontro muscolare con il Pd; all’accordo tra “gialli” e “rossi” che a cicli lunari appare «così vicino così lontano», per citare un capolavoro del cinema; all’incerta riunificazione del centrodestra calabrese, Lega compresa, nel nome di qualche “Varenne” su cui scommettere per occupare le poltrone di comando.
A poche settimane dai comizi elettorali, da parte dei consiglieri regionali uscenti, e in generale degli eletti, non c’è un ragionamento articolato sulle urgenze e sulle priorità, in sintesi sulle misure concrete per colmare il divario tra la Calabria e il resto dell’Italia, dell’Europa. Né si sente un solo discorso sull’emigrazione attuale, fenomeno e prospettiva che coinvolge molti giovani laureati e perfino i loro genitori, con tutte le conseguenze economiche e culturali che ne derivano. In Calabria manca il lavoro, sia perché gli apparati pubblici sono stracolmi di dipendenti e ancora bellamente disorganizzati; sia - aspetto che diversi sindaci faticano a realizzare - per il grande caos sulle assunzioni in ambito sanitario, eterodiretto da un manipolo di burocrati dei ministeri vigilanti; sia perché l’iniziativa privata da noi risente, a sud del Sud, della carenza di interventi infrastrutturali e di agevolazioni fiscali vantaggiose.
E inoltre: il Servizio sanitario regionale vive il suo momento peggiore. Nel merito: i conti non tornano, il che è un vecchio problema alquanto ignorato, e l’indirizzo gestionale non ha timone, bussola, rotta; intanto poiché la normativa sul commissariamento del governo si è rivelata inattuale, inadeguata, inadatta a garantire il rientro dal disavanzo sanitario e soprattutto il diritto alla salute. Tuttavia essa è per molti versi divenuta un dogma: un po’ perché il parlamento non esamina e non discute più le questioni di sistema; un po’ perché i parlamentari, ridotti in virtù dell’eco interminabile della «Casta» (di Stella e Rizzo), sono comunque espressione di un meccanismo elettorale che ne sminuisce e comprime prerogative e funzioni.
Nel contesto calabrese noi giornalisti dovremmo essere più presenti ed incisivi sul piano della critica e dell’opinione, malgrado le nostre differenti sensibilità cercando di mantenere, ce lo impone la deontologia, un ruolo esterno al “gioco” delle parti politiche. Il guaio, passatemi il termine, è che siamo come monadi isolate: ognuno di noi cammina per conto proprio e non riusciamo a fare squadra. Eppure abbiamo risorse, conoscenze, esperienze che ci consentirebbero di, fatemelo dire, dare una scossa, se vogliamo una raddrizzata a larga parte della politica nostrana, che talvolta ci considera e tratta come puri microfoni della propria irrinunciabile vanità.
L’ABBAZIA FLORENSE E IL DELIRIO TOTALE A SAN GIOVANNI IN FIORE (CS)
di Emiliano Morrone (Fb., 31.10.2018).
Sul Quotidiano del Sud di oggi leggo della forte preoccupazione di un cronista locale per la sorte degli anziani della casa di riposo privata e accreditata "Villa forensia", data la recentissima sentenza con cui il giudice civile di Cosenza ha stabilito che i locali in cui si trova, dentro l’Abbazia florense del XIII secolo, sono del Comune di San Giovanni in Fiore (Cs) - che, in dissesto finanziario, non ha mai ricevuto un centesimo da codesta occupazione - e vanno dunque liberati.
La causa è andata avanti per 11 anni, durante i quali c’è stata una costante battaglia civile, parallelamente all’inteso procedimento, che in prima persona ho con amici contribuito ad alimentare, coinvolgendo intellettuali di fama, da Gianni Vattimo a Cosimo Damiano Fonseca, Vittorio Sgarbi e Marcello Veneziani, nonché giornalisti, esponenti politici di diversi schieramenti, attivisti del bene comune e più in generale, per dirla con De Andrè, "voci allenate a battere il tamburo", tra cui Beppe Grillo.
Del caso, su cui sono state presentate ben 5 interrogazioni parlamentari, si sono occupati colleghi (non solo calabresi) di livello, che come me hanno raccontato l’incredibile paradosso della rsa dentro un monumento di enorme valore religioso ed artistico, simbolico per l’intera Calabria e legato all’opera profetica dell’abate Gioacchino da Fiore, che riteneva possibile l’affermazione della giustizia in questo mondo, al contrario del neoplatonismo su cui si basa il catechismo cattolico.
Mi lascia di stucco che miei concittadini, pure con buoni strumenti interpretativi, la buttino sul pietismo; sul presunto disagio degli anziani della casa di riposo prodotto dalla riferita sentenza; sulla tesi, suggestiva quanto infondata, dell’abbandono dei "vecchietti" conseguente al loro spostamento presso altra sede, che i titolari della struttura potranno individuare e attrezzare; sulla professionalità, che nessuno mette in dubbio, degli operatori della rsa e sui danni all’economia di San Giovanni in Fiore, che si spopola - questo è il corollario - perché qualcuno fa guerra a residenze sanitarie assistenziali.
Se per davvero ci fossero i marziani, osservandoci dall’esterno direbbero che siamo in preda al delirio totale. In altri luoghi non ci sono né l’Abbazia florense né il Centro studi giochimiti, che ha sede dentro lo stesso complesso badiale, né figure come Gioacchino da Fiore, la cui posterità è impressionante.
Eppure, di là dai colori politici, altrove si fa a gara per valorizzare il patrimonio artistico e culturale, che in Calabria è in genere ritenuto un peso da levarsi il prima possibile.
Ancora, per aver scritto dell’Abbazia florense fui querelato insieme a Carmine Gazzanni dall’allora dirigente dell’Ufficio legale della Provincia di Cosenza, Gaetano Pignanelli, oggi capo di gabinetto della Presidenza della Regione Calabria. Il Gip di Cosenza archiviò perché Gazzanni e io avevamo scritto il vero, e cioè che Pignanelli, ai tempi responsabile dell’Ufficio legale del Comune di San Giovanni in Fiore, aveva prodotto un "parere non vero", servito alla rsa per l’esercizio dell’attività.
Inoltre un vescovo, infine condannato per rivelazione di segreto istruttorio, mi intimò, tramite il suo avvocato, di cancellare da un mio servizio giornalistico ogni riferimento al suo assistito. Gli risposi che non l’avrei mai fatto e che, invece, avrei ospitato per dovere professionale una replica dell’alto prelato, che non arrivò mai. Finì che colleghi giornalisti del posto scrissero contro di me, accusandomi d’aver agito per invidia, data la nomina del sacerdote, originario di San Giovanni in Fiore, a vescovo della Chiesa.
Anche questa è la Calabria, oltre alle sue straordinarie ricchezze seppellite, e dobbiamo ripetercelo. Prendano nota i miei (pochi) lettori che mi seguono da altre regioni.
CALABRIA, LA NUOVA EMIGRAZIONE PER CURARSI
di Emiliano Morrone
C’era una volta la comunità meridionale, tipica, unita, calorosa. I bimbi correvano in strada dietro all’immancabile palla di fortuna, saltavano la corda nera e piatta dei muratori oppure limiti immaginari come le porte del campo del momento, senza linee laterali ed arbitri, fuori dai piani divini l’assistente Var. Anch’io ho vissuto questa esperienza da fiaba, sentendo sino all’anima l’odore di memoria dei camini accesi da settembre, o i profumi di sapere di quel sugo vero e lento che passavano le porte spalancate fino al buio.
Google non controllava la nostra posizione, ma dai vignäni, mio caro Salvatore, tu lo sai, si levava lo sguardo discreto e vigile di pacchiane, donne con "mäncaturi" in testa che parlavano del loro mondo e delle guerre sopportate. Ci guardavano secondo un copione sacro, evitando che ci potessimo "ruppiare". Spesso non erano nostre parenti, ma forse di più, in quella vecchia logica rionale che ordinava e scandiva la vita dal suo inizio. I loro figli arrivavano d’estate, con auto fiammanti e ruggenti targate "AG", che non era Agrigento, all’interno addobbate con strane pelli d’animale e oggetti apotropaici, specialmente corni di colore avorio oppure rosso peperoncino. In dieci anni o poco più scomparve tutto: la modernità dei consumi recise quei legami, silenziò le "rughe" e ruppe l’incantesimo, cioè i legami di paese tra le diverse generazioni.
Partimmo pure noi, convinti un giorno di tornare e di ristabilire quel senso dello stare insieme, cui avremmo aggiunto i servizi che mancavano e un buon ospedale per preservare ciascuno il più a lungo possibile. Invece no, arrivò il progresso tecnologico ma non quello sociale e civile.
Chi avrebbe potuto immaginare di chiamare gli zii di Windsor e vederli in diretta durante la cena di Natale? Chi avrebbe potuto intuire la sorte della sanità locale e l’incedere ignorato di un’emigrazione di massa per curare le malattie, perfino di giovanissimi?
Chi avrebbe pensato di trovare, giunto il nostro rientro, un sistema sanitario distrutto dall’avidità di pochi, dalle complicità di tanti e dall’impotenza dei nostri politicanti, che da anni tacciono colpevolmente sui 2miliardi (di euro) che lo Stato ha l’obbligo di trasferire alla Calabria per la tutela della nostra salute?
AI CALABRESI D’OGNI DOVE
di Emiliano Morrone
Bisogna decidere dove vogliamo andare. Intendo dire qual è il nostro obiettivo come popolo della Calabria, come comunità che si sfalda sboccando a Roma, Bologna, Milano, in Svizzera, Germania, Canada o altrove, spesso con rabbia viscerale, senso di liberazione e una valigia zeppa di nostalgia. Esuli, nomadi, sospesi tra l’anima e l’inferno meridiano degli estremi conflitti: bellezze e ingiustizie, cuori di spugna e di pietra, povertà e denaro bruciato, dolore di massa e ignoranza di casta. Non di rado mi ritrovo a parlarne con amici lontani come Salvatore Sellaro.
Discutiamo del futuro della nostra Calabria, oppressa dalle logiche mafiose di palazzo, prima che dalla pervasività delle cosche. Il potere si alimenta d’apparenza, sicché spaccia l’ordinario per conquista, quando qui manca l’essenziale: lavoro, sanità, diritti primari e servizi di base. Soprattutto, non abbiamo coscienza dell’avvenire della nostra regione dato il momento storico, segnato da un capitalismo criminale che affama e distrugge, schiavizza e divide con l’obiettivo d’impedire l’emancipazione culturale, politica, economica e civile.
Non è più possibile accettare l’emigrazione e lo spopolamento come fatti naturali e inevitabili. E non serve a nessuno difendere gli apparati politici e burocratici, che rifiutano di affrontare il problema, storico, della subalternità di questa nostra terra di confine.
«In Calabria il negazionismo ha due facce»
di Emiliano Morrone*
Possiamo ripeterci che la Calabria è bellezza, incanto, magia; agricoltura, gastronomia, olio e vini eccellenti. Possiamo esaltare l’umanità, l’accoglienza e la generosità del suo popolo. Possiamo dirci dell’antica tradizione della nostra terra, delle fatiche, dei sacrifici e del talento di giuristi locali, medici, accademici, imprenditori e artigiani, emigrati o residenti. Possiamo compiacerci ricordando la scuola pitagorica di Crotone, l’utopismo di Gioacchino da Fiore e Tommaso Campanella, la carità di Francesco di Paola, i natali dello scrittore Corrado Alvaro, del “Nobel” Renato Dulbecco, dello stilista Gianni Versace o del filosofo Ermanno Bencivenga. A compendio possiamo sbandierare le origini calabresi di uno degli intellettuali più famosi, Gianni Vattimo, o di artisti come Steven Seagal, Raul Bova, Chick Corea e John Patitucci.
Nulla cambierebbe la realtà: la Calabria è forse l’ultima regione d’Europa per servizi, diritti e indicatori economici, ma sta in cima per tasso di spopolamento. Qui comandano la ’ndrangheta, la massoneria deviata e una politica immorale che spesso lega cosche e logge. L’amministrazione pubblica è attraversata dalla corruzione; gli incarichi illegittimi fioccano in libertà e buona parte della burocrazia obbedisce ai governanti di turno e relativi faccendieri: “trucca” concorsi, istruttorie, autorizzazioni, concessioni e perfino bilanci. La sanità agonizza, il mare puzza, la montagna brucia, le strade crollano e i paesi muoiono. In Calabria la fantasia supera la realtà: vige un diritto speciale che, plasmato alla bisogna, aggira e sotterra le norme comuni. Non di rado i concorsi sono una farsa, i peggiori occupano posti di responsabilità e i migliori sono respinti, isolati e indotti a partire.
La recente operazione “Stige” (della Dda di Catanzaro) ha confermato la pervasività dell’organizzazione criminale e l’adesione, le aderenze politiche diffuse. E ha ribadito che l’economia è alterata da un sistema, di connivenze, violenza e favori, che aumenta le disparità e la massa proletaria, divisa, costretta alla sopravvivenza e resa inabile alla rivolta.
Il negazionismo ha di solito due facce. La prima è quella dei conservatori integrali, che alle spalle alimentano l’odio verso chi scrive, racconta, denuncia, esorta, ammonisce; la seconda, più ingannevole, è quella degli apologeti, i quali, traendo lauti benefici dal ruolo raggiunto, dipingono una Calabria da sogno, immaginaria, mitica, unica. Della regione costoro decantano le potenzialità, che restano proiezioni, suggestione e motivo di orgoglio posticcio, strumentale al mantenimento dei rapporti di forza vigenti. Per battere la ’ndrangheta strutturata e culturale occorre demolire due assunti falsi e propagandistici, pure utilizzati tra gli ingenui. Il primo è che siamo perfetti e non potremmo vivere meglio; il secondo è che la Calabria è la prima al mondo in quanto a paesaggio, storia e natura.
Abbiamo tanto, sì. Ma abbiamo perduto la memoria, a causa della cementificazione dei luoghi e dello spirito, della distruzione dei simboli e della capacità di giudizio.
*Giornalista
visto che sono stati nominati un legale ed un perito... aspettiamo i risultati di entrambi... dopo, in caso negativo, si proceda come chiesto alla revoca dei responsabili del progetto e alla stesura di uno nuovo...
lo spero vivamente
francesco
C’è un’arte che diverse persone possiedono nell’ambito del proprio bagaglio personale, che viene identificata come ARTE DELLA MAGAGNA! Questa capacità consta di una tecnica che si esplica nella "costruzione" di una catasta di baggianate (evito di utilizzare un termine più grottesco...anche se sarebbe molto più appropriato) sempre più grosse...che, a lungo termine, causa gravità ma, soprattutto, causa ribellione di intelligenze altrui, si conclude in CROLLO DISASTROSO. E’ fase di crollo disastroso.
P.S.: beato lei che ripone fiducia nelle perizie e nell’avvocatura d’ambito. La gente, sarebbe felice di apprendere constatazioni reali. La gente vuole che venga resa PUBBLICA la verità sullo stato passato e attuale delle cose. Che si faccia luce.
G.G.