[...] Un cambiamento profondo potrà solo avvenire di nuovo ricuperando i punti cardinali della democrazia. Prima di tutto, l’informazione. Sotto il motto di "conoscere per poter discutere". In caso contrario, il sonno delle coscienze ci farà cantare come Enzo Jannacci fece alcuni anni fa: "E c’è chi dice... con una buona siesta tutto passa, fino al cancro".
PS: Rigoletto: il libertino duca di Mantova (Berlusconi) insidia la virtù di Gilda (Italia), figlia di Rigoletto (gli italiani), con la complicità dei cortigiani, ai quali Rigoletto si rivolge con la nota aria cortigiani, vil razza dannata. La cosa finisce con Gilda che muore fra le braccia di Rigoletto dopo essersi sacrificata per permettere che il duca di Mantova, del quale si era innamorata, sopravviva all’attentato organizzato da Rigoletto stesso. [...]
RIGOLETTO (Wikipedia)
ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE? GIA’ FATTO!!!: IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI
Italia: con una buona siesta tutto passa
di Shukri Said - El País - Tribuna, 10 luglio 2009 (traduzione dallo spagnolo di José F. Padova) *
Chiunque ami l’Italia e si avvalga del singolare privilegio di non essere coinvolto direttamente in uno dei suoi mille giochi di potere si vede obbligato ad assistere a una gravissima malattia. È la stessa democrazia, la più bella espressione dell’Italia dalla unità del Paese in poi, che si sta frantumando, mentre ripetute infiltrazioni di cortisone inibiscono la visibilità della devastazione dei suoi tratti distintivi. Il cancro che sta corrodendo l’Italia è il berlusconismo.
Ciò che in realtà ha maggiore importanza non è se l’attuale presidente del Consiglio frequenti ragazzine minorenni come Noemi o prostitute la notte e prelati di giorno, ma il fatto che moltissimi italiani lo ignorano. Da circa due mesi e mezzo una parte d’Italia è al corrente delle amicizie notturne e bisbocce del Cavaliere e di queste si occupa la stampa internazionale, tuttavia sono molti quelli che nulla sanno e che pertanto non possono giudicarlo. Se uno passeggia in un qualsiasi capoluogo di provincia non tarda a rendersi conto che le abitudini del capo del Governo non soltanto non sono note ma che, una volta spiegate, non vengono credute. Gli argomenti sono di questo tipo: “Una persona come lui come fa ad andare a puttane!”. La provincia italiana, senza dubbio, continua a essere sana quando afferma indignata che :”Andare a puttane è qualcosa di immorale!” e, invitata a informarsi in Internet, promette: “Lo farò, non dubiti!”.
Chi risponde così sono i giovani della febbre del sabato sera, che lavorano come operai, artigiani o apprendisti: le nuove generazioni che possono vivere senza informazione quotidiana o che, come molti, si nutrono del Telegiornale della Prima Rete RAI. Ed è qui che il problema democratico si combina col conflitto d’interessi che vede Berlusconi come proprietario diretto di tre reti televisive nazionali (Canale 5, Rete 4 e Italia 1), alle quali occorre aggiungere altre due pubbliche sotto controllo del governo (RAI 1 e RAI 2) ma anche l’influsso che la presidenza del governo può esercitare su altre reti private, in virtù del regime di concessione pubblica (La 7). Anche l’invito fatto agli imprenditori perché si astengano dal farsi pubblicità sul quotidiano che più insiste nell’inchiesta sulle feste berlusconiane (La Repubblica) ha peso, perché proviene dal capo del governo.
D’altro canto, fra gli italiani che “sanno”, una certa percentuale considera che le frequentazioni del presidente del Consiglio sono un affare privato, vale a dire non meritevole di tanta insistenza mediatica, e anche non particolarmente riprovevole. Sono quelli che ricordano come nelle istituzioni siano stati eletti gay imbarazzanti, stelline del porno in abiti succinti e transessuali che esitano nello scegliere il sesso del gabinetto. Sono loro che dicono di sentirsi orgogliosi di un presidente fornito di tanto testosterone.
Certi dettagli di questi precedenti, compresi quelli storici, non passano loro per la testa e si consolano col criterio del male minore.
L’insieme di queste due categorie di italiani, quelli che non sanno e quelli che si consolano, costituisce la maggioranza e permette a Silvio Berlusconi di rispondere alle domande sulle sue abitudini che lui è così e che gli italiani lo valutano positivamente per un 61%. Tuttavia questa maggioranza non si rende conto di aver contratto la metastasi della corruzione.
Questa corruzione fatta di permissività totale è ciò che dalla sfera pubblica dilaga in quella privata, permettendo che coniugi infedeli si sopportino senza che si arrivi mai a un chiarimento e vi siano tanti figli disorientati senza che alcuno si chieda le ragioni della loro insoddisfazione. Questa corruzione si diffonde con l’insofferenza davanti alle regole, con la violazione costante dei limiti di velocità e dei diritti dei pedoni, visti in definitiva come meri birilli da abbattere, che ammette il parcheggio in seconda fila o sui marciapiedi. È questa corruzione che nega ai tutori [della legge] e ai docenti l’autorità dello Stato, perché gli istituti universitari e ospedalieri esibiscono nelle loro nomine un clientelismo al di là di ogni decenza. Essa si compiace dell’evasione fiscale e vende il proprio voto elettorale; costruisce abusivamente confidando nei condoni che prima o poi arriveranno. Se approvano lo scudo fiscale per i ricchi, come non approveranno il condono per due mattoni sulla spiaggia!
Di menzogna in inganno le falsità di Stato si estendono a qualsiasi settore, senza altra considerazione per tutto ciò che non sia il potere come fine a sé stesso e al proprio interesse. Il respingimento degli africani ha luogo senza la minima selezione di coloro che potrebbero chiedere il diritto di asilo, suscitando allarme internazionale: che c’è di più? Ci sono elezioni e la Lega Nord deve piantare la sua bandierina sulla pelle dei più poveri al mondo. E sulla sua scia il Cavaliere si duole che Milano si sia trasformata in una città africana. Poi, il giorno dopo, stringe la mano a Obama. Che ci si potrebbe aspettare più di un caffè?
La corruzione dei costumi passa dalla sfera privata a quella pubblica e dà appena il tempo che si attenui la pressione della stampa sul Noemigate quando altri scandali si propongono alla pubblica attenzione. Berlusconi è stato accusato di aver pagato la falsa testimonianza dell’avvocato inglese David Mills in un processo su soldi neri che sembrano condurre a colui che fu eletto per la terza volta presidente del Consiglio nell’aprile 2008. La prima cosa che fa il Parlamento di nominati dai partiti (e non eletti dal popolo) è votare con fulminea rapidità una legge che lascia indenne il capo del governo dai processi penali in corso: la legge passa alla storia come lodo Alfano, dal nome del ministro della Giustizia che l’ha proposta. Il processo Mills si divide in due rami: quello che riguarda Mills si è concluso da poco con la condanna dell’avvocato; quello che coinvolge Berlusconi si interrompe con la remissione del lodo Alfano alla corte costituzionale, che già ha annullato un procedimento analogo, il lodo Schifani, pochi anni fa. La corte ha fissato la discussione sulla costituzionalità del lodo Alfano al prossimo mese di ottobre. Nel frattempo due dei 15 giudici della corte si riuniscono a metà maggio in una cena con il ministro Alfano e il presidente Berlusconi in casa di uno di questi magistrati. Scoppia lo scandalo circa l’inopportunità che chi viene giudicato si sieda a tavola con il suo giudice, ma quest’ultimo, a ragione, tira fuori la medesima giustificazione tirata fuori da Berlusconi circa le sue feste: "In casa mia io faccio ciò che voglio". Quasi come se la dignità istituzionale fosse un abito da lavoro.
Il fatto è che non si vede, nell’opposizione, nessuno che possa risalire la china. Il partito democratico è nato sotto una pessima stella: l’unione dei cattolici e della sinistra è servita soltanto per trascinare quest’ultima sull’altra sponda del Tevere (il Vaticano). Qualsiasi problematica nell’ambito dei diritti civili e morali viene oscurata davanti all’impossibilità di mantenere una coerenza fra l’obbedienza clericale e la laicità sociale, con il che si finisce per diluire in disorganizzazione e in silenzio un patrimonio di fermezza etica che era stato elevato a emblema e orgoglio. Coloro che hanno dilapidato in questo modo un simile patrimonio hanno perso qualsiasi credibilità davanti agli occhi dei vecchi simpatizzanti e la sinistra viene a trovarsi tanto carente di leadership da vedersi obbligata a ricorrere al ricambio generazionale, non senza litigi. Tanto meno il giustizialismo popolare stile Di Pietro dà segnali di essere un sostituto equilibrato di queste virtù.
Il presidente della Repubblica ha sollecitato una tregua per il G8. È difficile pensare che si tratti di un invito diretto alla stampa. Non è nello stile di Napolitano. È più facile supporre che abbia voluto evitare un altro errore della magistratura come quello del 1994, quando in pieno G-7 contro la criminalità arrivò al Cavaliere l’avviso di garanzia per corruzione inviato da "Mani Pulite".
Un cambiamento profondo potrà solo avvenire di nuovo ricuperando i punti cardinali della democrazia. Prima di tutto, l’informazione. Sotto il motto di "conoscere per poter discutere". In caso contrario, il sonno delle coscienze ci farà cantare come Enzo Jannacci fece alcuni anni fa: "E c’è chi dice... con una buona siesta tutto passa, fino al cancro".
PS: Rigoletto: il libertino duca di Mantova (Berlusconi) insidia la virtù di Gilda (Italia), figlia di Rigoletto (gli italiani), con la complicità dei cortigiani, ai quali Rigoletto si rivolge con la nota aria cortigiani, vil razza dannata. La cosa finisce con Gilda che muore fra le braccia di Rigoletto dopo essersi sacrificata per permettere che il duca di Mantova, del quale si era innamorata, sopravviva all’attentato organizzato da Rigoletto stesso.
* Shukri Said es secretaria de la Asociación Migrare. Traducción de Carlos Gumpert.
SUL TEMA, IN RETE E NEL SITO, SI CFR.:
RIGOLETTO (Wikipedia)
ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE? GIA’ FATTO!!!: IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI
Chiesa, tra moniti e placet Ma è pronta allo «scambio»
di Fabio Luppino *
La legge sul testamento biologico verrà usata da Berlusconi e i suoi profeti per l’Assoluzione definitiva, l’indulgenza plenaria. Come un confessionale: da cui non si esce con dieci avemaria e 20 padre nostro. No, si esce con l’affossamento della laicità dello Stato nel fare le sue leggi. Uno scambio indecente. Una accelerazione improvvisa giunta quando tutto sembrava perduto, anche la sponda ecclesiastica. Va riletta attentamente la dichiarazione del ministro Sacconi del 23 giugno, come replica allo sconcerto di Famiglia cristiana riguardo alle vicende «private» del premier. Dall’ex socialista, neo convertito (Dio ci guardi), è partita una rancorosa rampogna per il direttore del settimanale: «La Chiesa più di DonSciortino appare molto interessata all’etica pubblica - ha detto il ministro - che deve caratterizzare i decisori tanto dal punto di vista della loro affidabilità quando promettono, quanto sotto il profilo dell’applicazione laica dei principi cristiani negli atti di governo, a partire da quelli inerenti il valore della vita». Un’affermazione che col tema non c’entrava nulla. Una zeppa, un segnale, una garanzia.
Sacconi, neocrociato, aveva già dato ampie prove di sé negli ultimi giorni di Eluana Englaro. Trombettiere del decreto con il quale si voleva fermare la battaglia del padre per la morte dignitosa della figlia, in coma da 17 anni. Senza indugiare sulle frasi (basta e avanza quella del premier che addirittura ipotizzava per Eluana l’eventualità di dare al mondo un bambino), Sacconi fece fino in fondo la battaglia parlamentare a sostegno di una legge ad personam (le precedenti erano state fatte tutte per «tutelare» Silvio Berlusconi) contra personam. La Chiesa apprezzò. E molto criticò, al contrario, la fermezza di Napolitano. Tre giorni prima della morte di Eluana, il 6 febbraio scorso, il presidente del pontificio consiglio della Salute, il cardinale Javier Lozano Barragan: «Il decreto era giusto». «Eluana è viva, ha il diritto di vivere e la comunità politica deve sostenere la sua vita con i mezzi che ci sono », si associò il presidente emerito della pontificia accademia per la Vita, monsignor Elio Sgreccia.
Il grumo inossidabile. La leva che ha portato alla legge votata dal Senato sul testamento biologico. La logica dello scambio è ben viva nel Pdl. Sempre a Famiglia cristiana rispondeva Bondi il 28 giugno: «Ha fatto più Berlusconi per la Chiesa di qualsiasi politico democristiano». Il Vaticano ci sta. E osserva da lontanol’emergere del puttanaio di circostanze che riguardano la vita privata di Silvio Berlusconi. Settimane di silenzio, interrotto solo qualche giorno fa con la misura finalmente colma e il sillabo di monsignor Crociata contro lo «sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile» non più rubricabile come semplice affare privato.
Il potere temporale ecclesiastico non chiede coerenza ai politici. Guarda ai suoi obiettivi. Non ha avuto nulla da ridire sulla sfilata di separati al Family day. Anche cerchiobottista, se serve. E così con il ddl sicurezza stanno insieme le dure critiche di monsignor Agostino Marchetto, segretario del pontificio consiglio dei migranti, e la distanza di padre Federico Lombardi, portavoce della Santa sede: «Il Vaticano come tale non ha detto niente sul decreto sicurezza». I parocchiani sono un po’ schifati dai racconti sulle tempeste ormonali di Berlusconi.
Civiltà cattolica di questi giorni, in un saggio su «La coscienza morale e il governo di sé», richiama il monito che Santa Caterina da Siena rivolse ai politici del suo tempo: «Non si può essere buoni politici se prima non si signoreggia se stessi, coloro che non si governano non possono governare la città». La Chiesa millenaria si pone altri traguardi e va oltre. Manda segnali, indubbiamente. Fa sapere che l’udienza con il Papa, affannosamente richiesta da Letta e sherpa di governo, per ora non si mette in agenda; sulle badanti solleva problemi concreti e, in questo clima, riesce ad attenuare anche i furori iconoclasti leghisti. Si tiene, quindi, anche Bondi quando di Berlusconi dice che «sì, è un peccatore come tutti, naturalmente non più di altri, ma sinceramente e profondamente credente», che «non ostenta la sua fede cristiana, non indulge in sterili moralismi da bacchettone, ma va dritto alla sostanza dello spirito».
Il problema, in fondo, non è il Vaticano, anche in questo momento. È il venir meno dell’adagio liberale, libera Chiesa in libero Stato. Non resta che vedere come andrà a finire in una lotta affidata ai freni e contrappesi di maggioranza. Se vincerà Voldemort-Sacconi o Harry Potter-Fini, che sul testamento biologico ha opinioni non integraliste. La posta: lo Stato laico o l’indulgenza per il peccatore-premier.
* l’Unità, 13 luglio 2009
Il dovere della chiarezza
di STEFANO RODOTÀ *
Archiviato il G8, con un indubbio successo personale del presidente del Consiglio, dovranno pure essere archiviate tutte le vicende che, negli ultimi turbinosi tempi, hanno riguardato la sua figura pubblica? Può un nuovo corso politico cominciare all’insegna di una omissione?
Non è un accanimento ingiustificato a sollecitare queste domande, ma proprio la necessità di avere una vita politica davvero limpida. Peraltro, era stato lo stesso Silvio Berlusconi a annunciare una svolta sul piano dei comportamenti. Un proposito limitato ai giorni aquilani o destinato a produrre qualche frutto anche in futuro? Il premier ha un’opportunità. Andare in un luogo che non ama, ma centrale per le istituzioni come il Parlamento, e rispondere alle domande che gli sono state poste.
Ricordava ieri Eugenio Scalfari che la maggiore sobrietà mostrata da Berlusconi durante il G8 può darsi che sia stata determinata anche dalla chiarezza con la quale una parte del sistema dell’informazione ha criticato il suo modo d’impersonare la più alta responsabilità politica del Paese, con echi globali che certamente non hanno giovato né alla sua credibilità, né a quello che enfaticamente si chiama il buon nome dell’Italia. E’ così emersa, inaspettatamente, la forza d’una opinione pubblica che si pensava ormai indifferente o addirittura dissolta, incapace di avere reazioni politicamente significative. Gli effetti si sono visti in occasione delle elezioni europee, nelle parole taglienti del segretario della conferenza episcopale italiana. Proprio questa risvegliata opinione pubblica, questo mondo che non ha dimenticato i doveri della moralità pubblica, sono ancora in credito. I buoni propositi sono sempre importanti, ma la loro fondatezza si deve subito misurare dal modo in cui si dimostra consapevolezza piena della responsabilità degli uomini pubblici nei confronti dei cittadini, di tutti i cittadini.
E’ giusto non alzare inutilmente i toni, ma questo non può significare dimenticare frettolosamente quel che è avvenuto e che, per altri versi, continua a essere oggetto di accertamenti giudiziari e inchieste giudiziarie. Se si scegliesse questa strada e non si continuasse a chiedere con voce sommessa ma chiara la verità, il già debole tessuto civile sarebbe ulteriormente logorato. Sono state proprio le troppe compiacenze e assoluzioni a buon mercato dei potenti a dare una spinta decisiva all’antipolitica, a creare un clima politico che ha spalancato le porte a una ricerca del consenso che fa leva più sui vizi che sulle virtù repubblicane. Illegalità sempre blandita, razzismo sempre meno strisciante, frequentazioni a dir poco disinvolte hanno legittimato una clima diffuso che costituisce un brodo di coltura che certo non fa bene alla democrazia.
Qui è il punto. La vicenda delle frequentazioni di Berlusconi, che nessun criterio consente di confinare nel privato, dev’essere chiarita per evitare che, per l’ennesima volta, la resistenza passiva dei politici, il loro "ha dda passà ’a nuttata" o "chinati juncu che passa la china", alla fine trionfino, non solo garantendo impunità, ma dando un pessimo esempio sociale. Non si tratta di andare alla ricerca di responsabilità penali, ma di rimettere in onore la responsabilità politica, praticamente cancellata in questi anni. E’ una impresa impegnativa, perché il fronte della responsabilità politica deve essere presidiato da molti soggetti. Quanta parte del sistema dell’informazione ha fatto il suo dovere? Quanta parte del ceto politico non vede l’ora di chiudere la "parentesi moralistica" per tornare agli usati costumi? Se attingiamo alla cultura pop, ci imbattiamo in Caterina Caselli: "La verità ti fa male, lo so... Nessuno mi può giudicare, nemmeno tu". Probabilmente queste sono oggi le fonti, consapevoli o no, alle quali ci si ispira in un momento che esigerebbe meno leggerezza e maggiore consapevolezza di che cosa voglia dire far politica in un sistema democratico. Non suggerisco altre canzoni o altre letture. Richiamo il senso della verità in politica, che è componente essenziale della legittimazione stessa delle istituzioni, e che non può essere accantonato con una mossa cinica o di malinteso realismo politico (che, peraltro, non ha finora dato alcun profitto alle opposizioni).
L’obbligo di verità da parte delle istituzioni diviene diritto d’informazione sul versante dei cittadini. Nell’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’Onu si afferma che "ogni individuo ha diritto di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee con ogni mezzo e senza riguardo a frontiere". Questo diritto individuale alla ricerca della verità attraverso le informazioni chiarisce bene quale sia il significato della verità nelle società democratiche, che si presenta come il risultato di un processo aperto di conoscenza, che lo allontana radicalmente da quella produzione di verità ufficiali tipica dell’assolutismo politico, che vuole proprio escludere la discussione, il confronto, l’espressione di opinioni divergenti, le posizioni minoritarie. Proprio questa ovvia considerazione ci dice che la partita in corso intorno alle mille verità, contraddizioni, reticenze, bugie sulla vicenda personale del presidente del Consiglio deve concludersi in modo da evitare ogni inquinamento del sistema democratico. Aspettiamo pazienti. Ma della pazienza si può abusare, come si disse per quel Catilina citato a sproposito nei paraggi berlusconiani. Perché l’abuso non si consolidi, e diventi regola, bisogna non stancarsi di insistere.
* la Repubblica, 13 luglio 2009