40 anni di effettivo servizio o 40 anni di anzianità contributiva (comprensiva anche di riscatti).
La questione, tanto dibattuta in questi mesi, sembrava risolta nella seconda tipologia dell’anzianità contributiva, quando nel Consiglio dei ministri di fine giugno è stato varato il decreto legge anticrisi.
Ma il testo ufficioso diffuso alla stampa è stato modificato nella versione defintiva pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, cancellando quella previsione dei 40 anni contributivi.
Resta quindi la disposizione che prevede il pensionamento con 40 anni effettivi di servizio. Diversi insegnanti e dirigenti scolastici che temevano di dovere lasciare il servizio, in quanto aveva raggiunto i 40 anni con il riscatto d laurea, potranno respirare per un po’.
Un curiosità aggiuntiva. Nel testo ufficioso che comprendeva la norma dei 40 anni contributivi, poi scomparsa, non c’era nessuna disposizione sul termine di decadenza dei regolamenti Gelmini che invece è arrivato nel testo ufficioso sotto forma di interpretazione autentica che ha salvato dalla decadenza i regolamenti, purché adottati dal Consiglio dei ministri in prima lettura.
Fenomeni carsici delle norme che compaiono e scompaiono.
* tuttoscuola.com sabato 4 luglio 2009
Pensione “coatta” solo con 40 anni di servizio: non valgono più i riscatti
di A.G. *
Cambiamento a sorpresa nel decreto salva-crisi. Rispetto alla versione iniziale, nel testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale saltano i due commi che mandavano in quiescenza obbligatoria i dipendenti con 40 anni di contributi derivanti anche da altri lavori, militare e laurea: ora non valgono più. Così una buona parte dei 7.000 coinvolti potrà rimanere.
Un cambio concretizzatosi all’ultima curva, quella che si fa prima di raggiungere il traguardo. La norma, contenuta nel decreto anti-crisi approvato il 26 giugno dal Consiglio dei ministri, che avrebbe portato obbligatoriamente in pensione tutti i lavoratori della scuola (dirigenti compresi) con 40 anni di contributi generici, comprensivi quindi dei periodi riscattati e del servizio svolto anche al di fuori della scuola, ha subito una sostanziale rettifica: per la formazione dei 40 anni varrà solo il servizio effettivamente svolto.
Nella Gazzetta Ufficiale, pubblicata il 1° luglio, sono infatti inaspettatamente scomparsi i due commi, il 25 e il 26, dell’articolo 17, che nella versione iniziale del decreto introducevano una sorta di soglia massima - i 40 anni appunto - composta dall’anzianità contributiva e non di servizio. La modifica del testo al fotofinish comporta quindi il mantenimento in “vita” della riforma Brunetta, in base alla quale la pensione diventa obbligatoria con 40 anni di “effettivo servizio”.
In termini pratici significa che nel conteggio dell’anzianità lavorativa, che faranno le amministrazioni scolastiche, non verranno contemplati i periodi di lavoro svolti presso un datore di lavoro diverso dall’attuale (il Miur). E nemmeno gli anni del militare e della laurea già riscattati (quest’ultima a proprie spese). Una modifica che pone quindi una brusca frenata alla politica di svecchiamento del personale annunciata nei mesi scorsi da più rappresentanti del Governo.
Tutto il resto del decreto iniziale rimane invece immutato. Quindi anche i sei mesi di preavviso minimo ai lavoratori: obbligo che avrebbe atto slittare la realizzazione del provvedimento nella scuola al 1° settembre 2010. La novità è che, alla luce della versione definitiva, quel giorno non saranno più 7.000 i docenti, dirigenti scolastici e gli Ata su cui avrà efficacia il provvedimento di messa in pensione obbligatoria: molti potranno ancora rimanere in servizio. Sempre, tuttavia, se non abbiano raggiunto (a meno che non siano dirigenti) i 65 anni di età. In questo caso il servizio o i contributi versati non contano: il pensionamento sarà inevitabile.
Riforma pensioni.
La FLC ricorre al Tar. Le nuove norme danneggiano migliaia di lavoratori Impugnate le circolari Miur e FP. Eventuali ricorsi di singoli andranno proposti contro gli atti adottati dall’amministrazione, quindi affrontati caso per caso: non ci sono termini decadenziali.
La FLC CGIL impugnerà avanti al TAR del Lazio la Circolare ministeriale della Funzione Pubblica dell’8 marzo 2012, la Circolare nr. 23 e il Decreto n. 22 del Miur del 12 marzo che applicano al settore pubblico e alla scuola la riforma Fornero.
Come abbiamo già più volte denunciato le novità introdotte da questa riforma sono tutte peggiorative e stanno penalizzando migliaia di lavoratori, in particolare nel comparto scuola, per questo la FLC CGIL sta studiando tutte le possibili azioni per contrastarne l’applicazione.
Queste nuove regole hanno effetti diversi anche sui singoli pensionandi e sui requisiti che derivano dalla storia personale di ciascuno. Questo significa che per attivare la tutela individuale e proporre eventuali ricorsi, da valutare caso per caso, è necessario prima di tutto presentare la domanda e attendere un atto di diniego da parte dell’amministrazione a una richiesta di pensionamento o al misconoscimento di uno o più requisiti. Va quindi impugnato un atto amministrativo ben preciso davanti al giudice del lavoro: per l’impugnazione non c’è scadenza.
I lavoratori interessati possono sottoporre l’atto da impugnare agli uffici legali delle FLC CGIL territoriali che li assisteranno nell’azione giudiziaria.
Pensioni: un appello per cambiare la riforma Fornero
Dopo aver messo in moto i propri uffici legali, la FLC CGIL promuove anche una raccolta di firme. È necessario garantire alle lavoratrici e ai lavoratori italiani il diritto alla pensione in un’ottica solidaristica e di civiltà. *
La riforma Fornero in materia di previdenza pubblica interviene pesantemente sui requisiti di accesso al sistema pensionistico:
allunga i periodi di contribuzione a dismisura rispetto agli altri Paesi europei
delude da un giorno all’altro le legittime aspettative di chi era in prossimità di maturare i requisiti per l’assegno pensionistico
inserisce col comma 15 bis una illegittima divisione tra i lavoratori del pubblico e del privato
non fornisce ai giovani, già penalizzati dal mercato del lavoro, garanzie di una futura pensione dignitosa
non tiene conto del grado di penalizzazione che ne ricevono le donne italiane, su cui grava il lavoro di cura con tutto ciò che socialmente comporta.
Soprattutto mette in discussione il sistema della previdenza pubblica aprendo allo studio su un possibile passaggio di parte della contribuzione previdenziale obbligatoria dalla previdenza pubblica a quella complementare.
Pertanto la FLC CGIL lancia un appello alle istituzioni deputate, perché in sede legislativa, in tempi brevi, si rimetta mano alla riforma Fornero, avendo come obiettivo la garanzia per le lavoratrici e i lavoratori italiani del diritto alla pensione in un’ottica solidaristica e di civiltà e non, come di fatto sta avvenendo, lo smantellamento del sistema pubblico della previdenza.
Le firme di adesione all’appello vengono raccolte dalle nostre strutture provinciali.
EQUITA’ E SACRIFICI
Alla faccia dell’equità! La manovra del governo, ancora una volta, si presenta come una beffa a danno dei ceti più tartassati: i lavoratori dipendenti, i pensionati e i giovani. Il professor Monti è stato richiesto a gran voce per risanare il debito di un paese sbrindellato dall’inerzia e dall’incapacità di classi dirigenti corrotte, conniventi e capaci di legiferare solo “Ad personam”.
Un nome di tale rilievo lasciava ben sperare, tuttavia i fatti hanno dimostrato il contrario. Chiedere ai cittadini di pagare più contributi per avere, alla fine e più vicini al “trapasso”, di meno è un’azione da “killer leggero”. L’affermazione può sembrare forte, ma tant’è. L’innalzamento dell’età pensionabile produrrà solo effetti finanziari, rendendo ancor più misera e difficile la vita dei contribuenti: un trentenne, impossibilitato ad accumulare contributi, che trovasse oggi un lavoro stabile potrebbe andare in pensione a 66 anni, con 36 anni di contributi, 6 in meno del previsto, ciò comporterà una decurtazione sulla sua pensione, già misera, pari al 2% per ogni anno mancante. Per arrivare ai 42 previsti e percepire, per intero, la pensione dovrebbe fino a fino a 72 anni e 9 mesi o pagare di tasca propria. A 72 anni quanto gli resterà ancora da vivere ? E cosa vogliamo dire di chi è rimasto senza lavoro oggi, a 45 o a 50 anni e in piena crisi, e a cui mancano ancora 20 anni di contributi ?
Il meccanismo contributivo potrebbe essere equo se ci fosse la possibilità di lavorare, ma non lo è affatto la modalità di realizzazione del passaggio dal vecchio al nuovo sistema. I tempi e i sacrifici devono essere diluiti e spalmati meglio e verso l’”alto”. Ciò che serve nell’immediato è una quantità enorme di denaro per risanare il debito, tuttavia si è ritenuto inopportuno attingere a capitoli corposi come le frequenze televisive, i tagli agli stipendi, ai vitalizi e ai rimborsi dei politici oltre al loro numero, l’abolizione dell’intero contributo per l’editoria, il signoraggio, una patrimoniale vera, l’aumento dell’irpef per i redditi superiori a sessantamila euro. Di buon esempio è stata la rinuncia di Monti allo stipendio e al vitalizio, facciano altrettanto gli altri affiliati della casta, almeno una tantum per il primo punto e in aeternum per il secondo.
Molti politici da quattro soldi esortano i cittadini a sostenere il sacrificio e cercano invano di attribuire la causa dello scompenso in eccesso sul capitolo pensioni alle generazioni precedenti e non ai governi passati. E’ la menzogna spudorata di una classe dirigente irresponsabile, preda del berlusconismo delirante, che tenta di spostare le colpe dalla politica alla società civile. E’ stata la politica a regalare pensioni da 50.000, 100.000 e oltre euro al mese e buoni uscita a sei zeri. Perché non prevedere forti tagli su questi capitoli ?
Lo slogan “Il vostro debito non lo paghiamo” è sacrosanto e chi lo espone o ne comunica il contenuto è ben consapevole del maldestro tentativo della politica di scaricarsi dal peso del danno fatto. Le generazioni passate e presenti sono innocenti. Le richieste di sacrifici del governo perdono il loro senso quando non si chiede ai responsabili del debito di risarcire il danno, quando si chiede ai cittadini di continuare a sostenere i benefici del Vaticano addossandosi una spesa di circa 4 miliardi di euro all’anno, e quando ci si accinge, in piena crisi, a spendere oltre 15 miliardi per 131 nuovi caccia stealth F35 ed altri miliardi ancora per sostenere la spesa militare.
Sconcertante è la ricapitalizzazione delle banche a spese dei contribuenti, ma come è possibile che il popolo debba mantenere le banche ? Imbarazzante è la deduzione di 10.000 euro per le aziende che assumono nuovo personale. Ogni azienda grava sui cittadini anche quando non assume: tutte le infrastrutture necessarie per farla funzionare (acqua, luce, gas, strade, ferrovie, servizi ecc.) le paghiamo tutti, tuttavia gli imprenditori non distribuiscono equamente i loro introiti, ma, in moltissimi casi e all’occorrenza, si limitano a sottopagare, sfruttare e dare il benservito ai lavoratori, spesso utilizzando denaro pubblico. La Fiat, le aziende edili, le numerosissime piccole imprese che producono in nero, sono un chiaro esempio.
La limitazione alla circolazione del contante per le quote superiori ai 1000 euro è poco più che un’arma spuntata. L’imposizione del pagamento tramite carta elettronica o assegno non garantisce il recupero dell’evasione per spese di importi inferiori, per esempio l’intervento dell’idraulico o dell’elettricista, la spesa per le scarpe, ma anche un’otturazione dal dentista. Questa innovazione è totalmente a vantaggio delle banche, perché costringe chiunque ad avere un conto corrente e una carta elettronica, con le relative spese. E’ pur vero che il costo per il cittadino sarà inizialmente pari a zero, ma quanto dureranno queste condizioni ? In Belgio, dove il contante ha un limite di 15000 euro, per regolarizzare le prestazioni svolte in ambito domestico, si utilizzano, fin dal 2004, i buoni-lavoro. Dalla data di introduzione ad oggi la loro crescita, in termini di adesione, è stata esponenziale e il risultato contro l’evasione fiscale notevole. In Italia nel 2003 la legge Biagi introdusse lo stesso strumento, stranamente da noi si è fatto di tutto per complicarne l’utilizzo: l’uso è diventato effettivo solo nel 2008, non sempre è facile reperire i buoni ed è necessario fare lunghe code e compilare molti moduli per utilizzarli, tutto nel classico stile burocratico italiano.
Una caratteristica che connota tutti i politici, ma in gran numero anche i professori universitari è lo scollamento dal mondo reale e il totale squilibrio verso una dimensione ideale, una sorta di schizofrenia che determina la totale incapacità di trovare soluzioni ex aequo et bono all’occorrenza. Entrambi, ogni tanto, farebbero bene ad oltrepassare la soglia dell’universo parallelo in cui vivono per recarsi nel mondo reale e fare esperienza della vita terrena, potrebbero imparare molte cose interessanti.
Antonio C.
MANOVRA
A che età andrai in pensione?
Scoprilo con il calcolatore
Questo strumento permette di conoscere quando andrai in pensione sulla base dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva. Lo strumento vale per lavoratori e lavoratrici, sia del settore pubblico che privato *
La riforma Fornero abolisce le quote (età più contributi) per la pensione di anzianità. Per l’accesso anticipato al trattamento previdenziale bisogna aver maturato, indipendentemente dall’età anagrafica, 41 anni e un mese di anzianità contributiva nel caso delle donne, 42 anni e un mese nel caso degli uomini. Questa soglia sarà aumentata di un mese ogni anno nel 2013 e nel 2014.
Chi, pur avendo maturato i requisiti, va in pensione di anzianità prima dei 62 anni di età subisce un decurtamento dell’assegno del 2% per ogni anno di anticipo.
I lavoratori che hanno maturato il diritto alla pensione di vecchiaia possono rinviare l’uscita fino a 70 anni. I contributi maturati in questo periodo faranno crescere il montante sul quale sarà calcolato l’assegno.
* SCOPRILO CON IL CALCOLATORE (clicca su): La Repubblica, 06 dicembre 2011
DECRETO MONTI. Manovra da trenta miliardi di euro. Tutti i provvedimenti punto per punto. Dall’Iva all’imposta prima casa fino alla stretta sulle pensioni.
Per leggere tutto l’articolo, cliccca su:
PREVIDENZA
Pensioni, la classe 1952 la più penalizzata
si rischia uno slittamento fino a 5 anni
Ecco alcuni esempi pratici degli effetti della riforma: un mese di differenza nella nascita può valere quattro anni in più di lavoro. Per i nati nel 1951 sono decisivi i contributi. Tra coetanei, cambia tutto se si è dipendenti pubblici o privati *
ROMA - Sono i nati del 1952 i più penalizzati dalla riforma del sistema pensionistico varata dal governo Monti. Per la classe ’52, infatti, è previsto un posticipo della pensione che rischia di arrivare fino a cinque anni rispetto ai più fortunati nati nel 1951, magari pochi giorni prima. E anche per questi ultimi l’uscita in tempi brevi verso la pensione dipende dagli anni di lavoro fatti (è salvato chi lavora almeno dal 1975 e ha raggiunto i 36 anni di contributi nel 2011 mentre dovrà lavorare ancora a lungo chi ha cominciato nel 1976).
Ecco in sintesi alcuni esempi simulati di persone che potrebbero uscire o, al contrario, restare bloccate dalla riforma annunciata, che prevede per gli uomini 66 anni di età per la vecchiaia, 42 anni di contributi per la pensione anticipata e per le donne 66 anni per la vecchiaia dal 2018, 41 anni di contributi per la pensione anticipata.
Uomini. Nato nel 1952 - Compie 60 anni a gennaio del 2012, lavora dal 1976, sperava di andare in pensione di anzianità a gennaio 2013, una volta raggiunti i 60 anni e i 36 di contributi e attesa la finestra mobile di 12 mesi. Viene invece bloccato dall’abolizione delle quote e dall’innalzamento dei requisiti per l’anzianità: potrà lasciare il lavoro solo nel 2018 quando avrà 66 anni di età e 42 di contributi.
Nato nel 1951 - Nato a dicembre del ’51, nel 2011 compie 60 anni di età e 36 di contributi riesce quindi ad andare in pensione con i requisiti attuali, una volta attesi i 12 mesi di finestra mobile, a dicembre 2012 quando avrà 61 anni di età. Avrà la pensione calcolata interamente con il metodo retributivo (requisiti raggiunti entro il 2011).
Nato nel 1951, ma contributi insufficienti - Ha compiuto 60 anni, ma non i 36 di contributi necessari a raggiungere la quota 96 entro il 2011. Sperava di uscire nel 2013 (una volta raggiunti i requisiti nel 2012 e attesa la finestra mobile); invece dovrà attendere il 2017 quando avrà 66 anni di età e il diritto alla pensione di vecchiaia. La sua pensione sarà calcolata con il retributivo fino al 2011 e con il contributivo tra il 2012 e il 2017.
Donne. Nata nel 1951, dipendente privato - Va in pensione di vecchiaia nel 2012, una volta raggiunti 60 anni di età e decorsi i 12 mesi di finestra mobile.
Nata nel 1951, dipendente pubblico - Va in pensione di vecchiaia nel 2017 a 66 anni poiché dal 2012 il requisito per la vecchiaia passa da 61 (più 12 mesi di finestra mobile) a 66. A meno che non abbia 41 anni di contributi e quindi abbia cominciato a lavorare prima del 1976.
Nata nel 1952, dipendente privato - Dal 2012 il requisito per le pensioni delle donne sale a 62 anni, ma dovrebbe salire di un ulteriore anno nel 2014. Uscirà quindi nel 2015, a meno che non abbia cominciato a lavorare prima del 1974 e abbia quindi 41 anni di contributi prima di quella data.
* la Repubblica, 05 dicembre 2011
In pensione di vecchiaia a 67 anni... e oltre *
La circolare dell’Inpdap numero 16 del 9 novembre 2011 sui pensionamenti del personale della scuola, conferma purtroppo le note che avevamo pubblicato dopo i provvedimenti delle manovre finanziarie estive, riguardanti tutti i lavoratori dei nostri comparti.
Ma non è finita: con la legge di stabilità approvata dal Parlamento il 12 novembre ci troviamo di fronte all’ennesimo intervento peggiorativo del sistema delle pensioni pubbliche: anche se in misura diversa, vengono colpiti tutti i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, uomini e donne.
La legge prevede che dal 2026 per il requisito della pensione di vecchiaia è necessario aver compiuto 67 anni. A meno che da qui ad allora non venga modificata la norma sulle finestre mobili, l’età effettiva per il pensionamento di vecchiaia sarà di 68 anni.
Queste nuove disposizioni comportano per donne e uomini del pubblico impiego e per gli uomini del privato un incremento secco dell’età richiesta di 5 mesi. Per le donne del settore privato, invece, l’aumento è più consistente ed è di 8 mesi. Anche a questi nuovi requisiti si dovranno applicare gli incrementi derivanti dall’aumento dell’aspettativa di vita.
Sicuramente questa XVI legislatura si farà ricordare per il numero record di interventi sulla previdenza pubblica, motivati soltanto dall’esigenza di fare cassa ai danni dei soliti noti.
Sul nostro sito sono disponibili le tabelle con i nuovi requisiti per la pensione di vecchiaia che mettono bene in evidenza quest’ultimo regalo che il governo Berlusconi ci ha voluto fare.
* Conoscenzanews Edizione Speciale n. 37 del 17 novembre 2011
* Sito internet: www.flcgil.it
AVANTI TUTTA: LA MANOVRA FINANZIARIA E’ LEGGE! TUTTE LE MISURE.
Per gli italiani un conto di 5 mila euro a famiglia.
Una nota di Raffaello Masci (per leggerla tutta - cliccare sulla zona rossa sottostante):
[....] Quanto alle pensioni delle donne, nel pubblico impiego devono già andare a riposo immancabilmente a 65 anni. Anche nel privato era stato deciso di fare altrettanto, ma con una differente gradualità che ora viene accelerata: il cammino che doveva iniziare nel 2016 scatterà nel ‘14 ed entrerà a regime nel 2026 anziché nel ‘28. Risparmio stimato - ma solo alla fine - 3,9 miliardi l’anno [...]
Pensioni
L’inghippo sugli stipendi dei prof
solo una parte prenderà gli aumenti
Ministero e parte dei sindacati avevano assicurato che gli scatti, bloccati dalla manovra, erano stati reintegrati. Ma ora, guardando le buste paga, per circa 400mila, questo avverrà con tre anni di ritardo. E parte l’allarme
di SALVO INTRAVAIA *
Sorpresa amara in busta-paga per 300 mila docenti e 70 mila non docenti della scuola. Nel prospetto dello stipendio di gennaio, nonostante le rassicurazioni di parecchi sindacati e dello stesso governo, migliaia di insegnanti, bidelli e personale di segreteria scoprono che per ottenere il prossimo scatto di stipendio dovranno attendere otto anni, non più sei come stabilito dal contratto. Una enormità se si considera che il contratto della scuola è scaduto a fine 2009 e che nel frattempo il costo della vita crescerà almeno di 15 punti.
La notizia circola da diversi giorni in alcuni siti specializzati. Al momento, i più cauti battezzano la questione come semplice "giallo sugli scatti". Ma basta confrontare i prospetti di dicembre e gennaio inviati dal ministero dell’Economia agli interessati per comprendere la portata del blocco degli scatti, che alcuni sindacati giurano di avere disinnescato. Per comprendere la questione occorre fare un passo indietro, ritornando al mese di giugno del 2010, quando il governo sotto i colpi della crisi economica mondiale e della speculazione internazionale vara una megamanovra finanziaria da 25 miliardi.
In un primo momento, gli stipendi degli insegnanti vengono colpiti in tre modi: congelamento del rinnovo del contratto, già scaduto il 31 dicembre del 2009; blocco per un triennio degli scatti stipendiali automatici previsti dal contratto vigente e dirottamento della quota di risparmi destinata al merito per coprire debiti del governo nei confronti delle scuole. Di fronte ad una simile batosta, opposizioni e sindacati alzano la voce e dopo diverse manifestazioni di piazza e una complessa trattativa con il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, Cisl e Uil scuola e Snals strappano un impegno: il blocco degli scatti automatici viene scongiurato e saranno coperti con la quota di risparmi destinata al merito. Le scuole che vantano crediti nei confronti del ministero faranno come hanno fatto finora: si arrangeranno.
Ma, come sarebbe stato più logico fare, al momento di convertire in legge il decreto sulla manovra il Parlamento non cancella il famigerato comma 23 dell’articolo 9, che blocca gli scatti per il 2010, 2011 e 2012. Preferisce invece aggiungere a tre diversi articoli altri tre commi che solo letti insieme e con notevole sforzo interpretativo riconsegnano gli scatti a coloro che avrebbero dovuto percepirli nel 2010, 2011 e 2012. E, a riprova che "il pericolo è superato", pochi giorni fa arriva il decreto di Tremonti che assegna i fondi per il 2010. Lasciando intendere che una soluzione analoga sarebbe stata adottata anche per il 2011 e per l’anno successivo.
Ma la verità sembra un’altra: coloro che hanno ricevuto lo scatto di stipendio nel 2010, nel 2009 e nel 2008 restano fregati. Roberta è una insegnante di scuola dell’infanzia che ha ricevuto l’aumento di stipendio a settembre dello scorso anno e fino alla busta-paga del mese di dicembre il suo cedolino indicava il successivo scatto, pari a 2 mila euro l’anno circa, per il 2016. Ma nel prospetto del mese di gennaio, a sorpresa, scopre di "scattare" nel 2018: due anni dopo. Dovrà in sostanza attendere ben otto anni prima di ricevere un aumento di stipendio pari a 100 euro al mese netti.
Il conteggio effettuato da Osvaldo Roman, uno che se ne intende di questioni scolastiche, spiega che tutti i docenti con nove anni di anzianità di servizio perderanno 25 mila euro fino a fine carriera. Saranno un po’ più fortunati coloro che devono rimanere in cattedra per meno tempo: da 18 mila euro a 4 mila per coloro che hanno 35 anni di servizio. Del resto, non è un segreto che con questa manovra sugli stipendi di docenti e Ata il governo intendeva racimolare un bel gruzzolo: 18 miliardi di euro con effetti fino al 2050, come si legge nella relazione tecnica allegata alla manovra.
* la Repubblica, 24 gennaio 2011
Si va più tardi in pensione
online il nuovo calcolatore
Con l’approvazione della manovra economica ultimata l’entrata in vigore di una serie di novità previdenziali. Dall’elevazione dell’età per le donne della pubblica amministrazione al prolungamento del tempo di attesa tra la maturazione dei requisiti e l’effettivo pagamento della prima mensilità. E da gennaio 2015 l’età minima agganciata alla speranza di vita. *
Per andare in pensione bisognerà aspettare sempre di più. Mentre molto poco si fa per favorire le condizioni e la permanenza degli over 45 nei posti di lavoro, aumenta l’età per le donne nella pubblica amministrazione, viene allungata l’attesa che intercorre tra il momento in cui si maturano i requisiti e quando si riceve effettivamente la prima mensilità, e da gennaio 2015 l’età minima verrà legata all’incremento della speranza di vita. Con l’approvazione alla Camera, avvenuta giovedì 27 luglio con 321 voti favorevoli, viene ultimata l’entrata in vigore di una serie di novità che incidono significativamente sul sistema previdenziale.
Da oggi le principali novità sono state inserite nel calcolatore presente nel nostro network, grazie alla collaborazione con Mefop e Epheso, che permette di conoscere - sulla base della legislazione vigente - la data di pensionamento e l’importo della pensione netta annua. Il calcolatore, inoltre, offre la possibilità anche di fare una stima dell’ultimo reddito netto annuo da lavoro e di scoprire il tasso di sostituzione netto della pensione: ovvero quanto vale la pensione netta in termini percentuali rispetto all’ultimo stipendio netto.
La variazione introdotte. I primi effetti si sentiranno già tra pochi mesi. Da gennaio 2011 verranno ridotte da quattro a una soltanto le finestre per "uscire" dal mercato del lavoro. E così i lavoratori che avranno maturato i requisiti dopo l’ultimo giorno di dicembre del 2010, sia per le pensioni di anzianità, sia per le pensioni di vecchiaia, dovranno aspettare più tempo di quanto succedeva prima. Di fatto, il giorno dopo che si sono maturati i requisiti, i dipendenti dovranno aspettare dodici mesi. Prima poteva capitare un’attesa di qualche mese. Ora sarà sempre di un anno.
Gli autonomi dovranno aspettare ancora di più. Diciotto mesi. Lo stesso tempo che dovranno aspettare anche quei dipendenti che si ritrovano ad avere versato i contributi, anche se da dipendenti, in diversi enti previdenziali. Loro, che fino ad oggi, potevano andare in pensione come dipendenti ora vengono di fatto omologati allo status di "autonomi".
Donne e pubblica amministrazione. C’è poi la norma relativa all’età delle donne impiegate nel pubblico. Dal primo gennaio del 2012, le donne che lavorano nel pubblico matureranno i requisiti all’età di 65 anni e non più a 61 anni. Il passaggio avverrà senza alcuna gradualità. Così, ad esempio, le nate nel 1950 potranno andare in pensione nel 2011, mentre coloro che sono nate nel 1951 dovranno aspettare fino al 2016.
Tra cinque anni. Con la legge 102/2009, a partire dal 2015, l’età pensionabile sarà adeguata all’incremento della speranza di vita. I regolamenti attuativi dovranno essere emanati entro il 2014. Da allora per tutti i lavoratori i requisiti di pensionamento verranno adeguati alla speranza di vita che verrà definita dai parametri Istat. I coefficienti verranno adeguati ogni tre anni. Solo la prima volta l’adeguamento verrà effettuato dopo quattro anni e non potrà superare i tre mesi.
INTERATTIVO:
CALCOLA LA TUA PENSIONE
* Fonte: la Repubblica, 02.08.2010.
La finta parità tra uomini e donne
di Galapagos (il manifesto, 11.06.2010).
Commento amaro, quello di Guglielmo Epifani: «Non esiste al mondo manovra di innalzamento dell’età pensionabile che da un giorno all’altro aumenta di cinque anni l’età pensionabile». Per il segretario generale della Cgil per arrivare alla parificazione di trattamento tra uomini e donne nel pubblico impiego, come ha chiesto l’Unione Europea, si poteva «utilizzare lo strumento della flessibilità uguale per uomini e donne, per i lavoratori pubblici e privati, in uscita verso la vecchiaia». Ma il governo ieri mattina ha deciso diversamente: dal primo gennaio 2012 le donne per poter andare in pensione dovranno aver compiuto 65 anni. Come gli uomini. E per molte di loro proseguirà il tormento del doppio lavoro: quello statale e quello di cura in ambito familiare.
A dare l’annuncio ufficiale al termine del consiglio dei ministri è stato Maurizio Sacconi. Il ministro del lavoro, che nei giorni scorsi aveva cercato di contrattare senza molta convinzione con la Commissione Ue, l’innalzamento dell’età avverrà «senza passaggi intermedi». Sacconi ha anche spiegato che la nuova norma sarà presentata come emendamento alla manovra finanziaria 2011-2012. L’impatto del «blocco», secondo il ministro «sarà limitato e riguarderà una platea stimata in 25 mila donne».
Nel corso di una conferenza stampa, Sacconi ha sottolineato che la nuova normativa «non riguarda in alcun modo il settore privato, non è neanche la premessa per un intervento nel privato dove ci sono condizioni «straordinariamente» diverse. Per il ministro della pubblica amministrazione, Renato Brunetta, l’intervento «non serve a fare cassa perché l’impatto economico sarà zero nel 2010 e nel 2011, 50 milioni nel 2012 e 150 nel 2013». Inoltre, ha assicurato, tutte le risorse risparmiate andranno ad un fondo sociale dedicato alle donne, secondo quanto proposto da Mara Carfagna, ministra per le pari opportunità.
La mancanza di impatto finanziario nel 2010-2011 significa che fino alla fine del prossimo anno rimarranno in vigore le attuali norme varate circa un anno fa dopo la condanna dell’Italia da parte della Corte di giustizia europea. Quella legge prevedeva un progressivo innalzamento dell’età necessaria per aver diritto alla pensione di vecchiaia fino all’equiparazione uomini/donne nel 2018. In pratica ogni due anni era previsto un anno in pù. Per l’anno in corso e per il prossimo era prevista una età minima per maturare la pensione di 61 anni, mentre per il 2012 e il 2013 di anni ne sarebbero serviti 62 e così via, fino al 2018. Ora cambia tutto: a salvarsi saranno solo le donne che compiranno i 61 anni entro il 2011, mentre per tutte le altre dal primo gennaio 2012 serviranno 65 anni.
In realtà il governo nella prima versione della manovra finanziaria aveva rimesso mano all’innalzamento progressivo dell’età: non più un anno ogni 24 mesi, ma ogni 18 mesi. In questo modo l’equiparazione sarebbe avvenuta non più nel 2018, ma nel 2016. Poi, misteriosamente, nella versione definitiva del decreto legge, questa modifica è scomparsa. Il governo avvisato da Bruxelles che la Commissione europea premeva per l’immediata equiparazione a 65 anni, ha deciso di fare bella figura, lasciando immutata la legislazione. Introducendo, tuttavia, un correttivo non da poco, il prolungamento di un anno dell’attività lavorativa. In pratica le donne potranno andare in pensione, un anno dopo aver maturato il diritto alla pensione di vecchiaia. Da quel che sembra, questa norma sarà matenuta in vigore solo per le donne che entro il 2011 maturano il diritto alla pensione di vecchiaia (quindi andranno in pensione non a 61 anni, ma a 62), mentre sarà abolita per tutte le altre, già abbondantemente penalizzate dall’innalzamento dell’età.
Innalzamento «inaccettabile e non sensato», soprattutto se le risorse risparmiate non venissero utilizzate per garantire alle donne stesse «parità di condizioni di lavoro e di vita» con gli uomini, ha commentato Pier Luigi Bersani. Il segretario del Pd ha ribadito la posizione del suo partito affermando: «Siamo da sempre affezionati all’idea che questo problema si risolve con la flessibilità in uscita per tutti». In pratica, si tratta di prevedere «una soglia minima per l’età pensionabile e poi, per alcuni anni, una flessibilità in uscita in rapporto al livello di pensione percepita».
PREVIDENZA
Pensioni, cosa cambia con la manovra
Un anno di attesa per i dipendenti pubblici e 18 mesi per gli autonomi, addio alle finestre, liquidazioni a rate. Le novità dopo i provvedimenti del governo
di ANTONELLA DONATI
ROMA - Un anno di attesa per i dipendenti pubblici e 18 mesi per gli autonomi, per poter avere la pensione. Per chi matura i requisiti dal 1° gennaio del prossimo anno non ci saranno più le finestre ma un’attesa prestabilita e uguale per tutti, anche per chi raggiunge i 40 anni di età. Le novità sul pagamento delle liquidazioni per gli statali, invece, sono già una realtà. Ecco in dettaglio quello che prevede il decreto con la manovra appena entrato in vigore
Da gennaio tempi lunghi sia per la vecchia che per l’anzianità - A partire da gennaio prossimo, dunque, chi matura il diritto all’accesso al pensionamento di vecchiaia, potrà incassare la pensione dopo 12 mesi dalla data di maturazione dei requisiti in caso sia dipendente pubblico. L’attesa sarà, invece, di 18 mesi per artigiani, commercianti, coltivatori diretti e iscritti alla gestione separata.
Sparisce, dunque, il meccanismo dell finestre, in quanto non si tiene più conto di periodi standardizzati ma si fa riferimento solo alla data di presentazione della domanda. La pensione, quindi, scatta a scadenze personalizzate.
Attesa più lunga anche per chi ha 40 anni di contributi - Questo meccanismo non fa differenza neppure in caso di diritto alla pensione raggiunto con il massimo di contributi. Anche chi ha maturato i 40 anni, infatti, dovrà attendere 12 o 18 mesi per poterla incassare.
Nessuna novità per chi ha in corso il preavviso -Non cambia nulla nella decorrenza della pensione, invece, per i lavoratori dipendenti che avevano in corso il periodo di preavviso alla data del 30 giugno 2010 e che maturano i requisiti di età anagrafica e di anzianità contributiva richiesti per il conseguimento del trattamento pensionistico entro la data di cessazione del rapporto di lavoro. Nessuno slittamento neppure per i lavoratori per i quali viene meno il titolo abilitante allo svolgimento della specifica attività lavorativa per raggiungimento di limite di età.
Tempi ridotti per chi è in mobilità - Resta in vigore l’attuale sistema delle finestre, ma solo per 10.000 trattamenti l’anno, per chi è in mobilità ordinaria sulla base di accordi sindacali stipulati entro il 30 aprile 2010 e matura i requisiti per il pensionamento entro il periodo di pagamento dell’indennità, e per chi è in "mobilità lunga". Attesa ridotta anche per i lavoratori che, all’entrata in vigore del decreto, sono titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore.
Liquidazioni, chi le prende a rate - Per quel che riguarda invece la liquidazione dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, le norme prevedono che questa venga pagata:
in un unico importo annuale se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è complessivamente pari o inferiore a 90.000 euro;
in due importi annuali se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è complessivamente superiore a 90.000 euro ma inferiore a 150.000 euro. In tal caso il primo importo annuale è pari a 90.000 euro e il secondo importo annuale è pari all’ammontare residuo;
in tre importi annuali se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è complessivamente uguale o superiore a 150.000 euro. In tal caso il primo importo annuale è pari a 90.000 euro, il secondo importo annuale è pari a 60.000 euro e il terzo importo annuale è pari all’ammontare residuo. Liquidazione ancora intera, invece, nel caso di collocamenti a riposo per raggiungimento dei limiti di età entro la data del 30 novembre prossimo.
Le novità sulle pensioni direttamente a casa - Sarà comunque più facile, da ora in poi, avere tutte le informazioni sullo stato della propria situazione contributiva. L’Inps ha infatti provveduto ad inviare lettere personalizzate a tutti i dipendenti con il Pin per l’accesso ai servizi on line che consentono anche di presentare la domanda di pensione direttamente sul sito dell’Inps e di seguire tutta la pratica. Per chi avesse già il Pin è sufficiente andare nell’area "servizi al cittadino". Chi non è ancora registrato, invece, può presentare la richiesta da questa pagina del sito.
* la Repubblica, 04 giugno 2010
IL DOSSIER
Si prepara la stretta su pensioni e statali
Una finestra chiusa, contratti e liquidazioni
Le ipotesi: potrebbero dover ritardare l’abbandono del lavoro 100 mila dipendenti privati.
Poi la possibilità di rinviare i rinnovi e le buonuscite. Quasi certo l’intervento sulle pensioni di invalidità *
ROMA - La sorpresa dell’ultima ora nel menù della maximanovra biennale da 25 miliardi si chiama "pensioni". Allo studio ci sarebbe un intervento tampone su una o due "finestre" di uscita del 2010 che cadono a luglio e a dicembre. Con il nuovo sistema a "quote" circa 100 mila dipendenti privati stanno raggiungendo "quota 95", cioè 59 anni di età e 36 di contributi. Il blocco congelerebbe la loro uscita per sei mesi o addirittura per un anno. Non è escluso che si riapra il dossier-donne: le statali hanno già subito un aumento dell’età pensionabile, mentre le lavoratrici del settore privato hanno ancora le vecchie regole. Il tam tam che corre in queste ore parla anche di un intervento sulle pensioni d’oro, o contributo di solidarietà: l’ultimo tetto fu messo dal governo Prodi a quelle pari otto volte il minimo, cioè 3.500 euro (restò in vigore per un anno). Quasi certo, invece, un intervento sulle pensioni di invalidità.
Di "congelamento" si parla anche per il pubblico impiego, comprese Regioni ed enti locali. L’intervento in questo settore sarà piuttosto rilevante: intanto il contratto di lavoro, scaduto il 31 dicembre del 2009, non sarà rinnovato. Di conseguenza si resterà nella situazione di "vacanza contrattuale" con un risparmio di circa 1 miliardo. La seconda misura è più strutturale e riguarderebbe il congelamento delle erogazioni degli aumenti retributivi dovuti al contratto nazionale e agli integrativi già esistenti: oggi una norma pone un tetto del 10 per cento alla crescita del monte salari rispetto al 2004. Questo tetto potrebbe essere drasticamente abbassato fino a zero. Naturalmente anche il rafforzamento del turn over è tra i provvedimenti che figurano nel menù della manovra.
Dal pubblico impiego il governo conta di raccogliere un miliardo ma non è escluso che la cifra sia destinata a crescere. Di fonte parlamentare è invece la notizia del blocco della erogazione delle liquidazioni degli statali: oggi lo Stato deve pagare entro tre mesi (pena gli interessi di mora). Con le misure allo studio dei tecnici il tempo di attesa potrebbe essere raddoppiato. Si parla anche del blocco degli scatti di anzianità per alcune categorie, come i magistrati e i professori universitari. Allo studio anche l’azzeramento delle risorse per l’imposta agevolata al 10 per cento sui premi di produttività.
Infine la questione fisco. Accantonata ogni possibilità di riduzione fiscale, si pensa ad una stretta sui giochi e sul lotto, vera e propria gallina dalle uova d’oro dell’erario per la grande partecipazione popolare alle scommesse. Ma soprattutto serpeggia l’idea di rimettere mano alle riposte pratiche condonistiche: si parla di una riapertura delle adesioni al vecchio concordato fiscale dopo che nel decreto incentivi, attualmente in Parlamento, già figura una sanatoria per le liti fiscali giunte in Cassazione con il pagamento del 5 per cento del dovuto. Non è escluso che spunti anche un nuovo condono edilizio oltre a una sorta di regolarizzazione per gli immobili "fantasma" identificati dall’Agenzia del Territorio. Non mancherà infine il contrasto ai paradisi fiscali e saranno inseriti nuovi controlli ai giochi soprattutto via Internet gestiti da agenzie off shore.
* la Repubblica, 15 maggio 2010
IL FURTO DEL TFR
di Beppe Scienza
"Chi non aderisce alla previdenza integrativa finira’ a vivere in una roulotte"! Ecco cosa dice chi spaventa i lavoratori per spingerli ai fondi pensione o ad altri prodotti assicurativi. E’ proprio quello che una persona prudente non deve fare.
(WSI) - "L’ultima novità sul TFR ha suscitato molto sdegno, anche se in effetti non è la cosa più grave. La novità è che la Legge Finanziaria per il 2010 utilizzerà quei soldi che le aziende, anziché tenerli loro a fronte del TFR dei loro dipendenti, hanno dato all’Inps non è la cosa più grave, in quanto non tocca veramente la situazione dei lavoratori; purtroppo sono altre le cose che toccano o toccheranno o minacciano di toccare la situazione dei lavoratori.
La riforma bipartisan del TFR, decisa prima da Maroni e Tremonti con il governo Berlusconi e poi anticipata di un anno dal governo Prodi, è stata uno dei tiri più mancini tirati ai lavoratori italiani negli ultimi decenni.
Il vero inganno, il vero imbroglio, la vera falsità che viene diffusa dai vari economisti di regime è un’altra, ed è la base del discorso con cui si vuole convincere la gente a aderire alla previdenza integrativa è questo discorso.
Le pensioni saranno basse e quindi non sufficienti, per integrarle bisogna trasferire il TFR ai fondi pensione: bene, questa è una falsità bella e buona! Può anche darsi che le pensioni saranno basse, anche se è difficile prevedere tra 40 anni come saranno le pensioni, prevedere in anticipo di 40 anni come saranno le pensioni, come saranno gli stipendi, come saranno i prezzi è praticamente impossibile.
Ma anche se fosse vero che saranno basse, è falso che per avere una rendita aggiuntiva bisogna trasferire il TFR ai fondi pensione o a altri prodotti assicurativi: no, uno si tiene il TFR e, quando incassa la liquidazione, se vuole utilizza questa cifra per avere una pensione integrativa e, se quella cifra è più alta di quanto è rimasto invece a quel poveraccio che ha aderito a un fondo pensione, chi non ha aderito avrà una pensione integrativa più alta di chi ha aderito.
Ci sono dei campioni, nella non nobile arte di prendere in giro i lavoratori italiani che raccontano loro delle cose addirittura ridicole; prendo un esempio concreto, uno di questi campioni si chiama Marco Lo Conte ed è un giornalista de Il Sole 24 Ore, il bollettino quotidiano della Confindustria, in cui lui dice - cito da sabato 24 ottobre 2009 a pagina 4 di Plus24, il supplemento - che: "per chi non aderisce alla previdenza integrativa c’è la certezza roulotte, cioè la certezza di trovarsi, in vecchiaia, a vivere in una roulotte senza neanche il cibo per i gatti" e questo riguarderebbe 18 milioni tra i 23 milioni di italiani lavoratori dipendenti. Beh, dire che chi non aderisce alla previdenza integrativa è certo di finire a vivere in roulotte mostra soltanto che a Il Sole 24 Ore manca il senso del ridicolo.
Con il 2010 dovrebbero arrivare a tutti i lavoratori dipendenti delle buste, pare di colore arancione, ma l’aspetto cromatico è irrilevante, in cui si dice loro quale sarà presumibilmente la loro pensione. Il fine di queste buste arancioni è spaventare i lavoratori e indurli, spingerli a cosa? Ai fondi pensione o a altri prodotti assicurativi. Ecco, questo è quello che una persona prudente proprio non deve fare.
Dare i propri soldi ai fondi pensione vuole dire correre due rischi che con il TFR non si corrono: il primo rischio - e si è visto bene nel 2008 - è che un crack di mercati finanziari faccia scendere di valore quello che uno ha messo da parte; qui non si tratta di fallimenti, i fondi pensione non falliscono, anche i fondi comuni non falliscono, però possono perdere il 90% senza fallire. L’altro rischio che c’è è che riparta l’inflazione.
Quello che è sicuro è che, di fronte a entrambi questi due rischi, un crack dei mercati finanziari e il ripartire dell’inflazione, che magari possono anche capitare entrambi insieme, perché a volte le brutte notizie vengono insieme, chi si tiene il TFR è tranquillo, perché il valore del TFR non dipende dai mercati finanziari e, se viene l’inflazione, il TFR segue in maniera eccellente l’inflazione.
Ora, il ministro Sacconi ha più volte anticipato che: "si farà partire un nuovo periodo di silenzio/assenso", cioè altri sei mesi in cui, automaticamente, se uno decide di no, i suoi soldi vanno nei fondi pensione.
Il TFR va bene per i lavoratori, va abbastanza bene per i lavoratori, va abbastanza bene per le aziende, però non fa guadagnare i banchieri, perché i lavoratori prendono i soldi dalle aziende e la banca non si mette in mezzo a fare la sua cresta; non fa guadagnare gli assicuratori, che non sono assolutamente nel gioco, non va guadagnare i gestori di fondi perché non gestiscono niente, non fa guadagnare i sindacati, perché non hanno a da mettere i loro uomini, come invece li mettono, nei fondi pensione per la gestione dell’amministrazione, non fa guadagnare i funzionari della Confindustria e delle altre organizzazioni del patronato, che invece nei fondi pensione mettono anche loro i propri uomini, non fa guadagnare i docenti universitari, non fa guadagnare gli economisti, perché il TFR va avanti per conto suo e gli economisti non possono fare consulenze, non possono essere nei consigli di amministrazione dei fondi pensione, non possono guadagnarci sopra.
Insomma, il TFR è una cosa che va bene soltanto ai lavoratori e alle aziende, non fa guadagnare gli altri e gli altri hanno cercato di distruggerlo. Per fortuna non ci sono ancora riusciti!"
Il ministro della Funzione Pubblica chiede un intervento per favorire l’uscita di casa dei ragazzi: "Diamogli 500 euro"
"Meno soldi alle pensioni di anzianità"
Brunetta lancia "bonus anti-bamboccioni" *
ROMA - Agire sulle pensioni di anzianità per reperire risorse. Tali da dare 500 euro al mese ai giovani per aiutarli ad uscire di casa. E’ la nuova idea di Rentao Brunetta, che solo pochi gioorni fa aveva proposto una legge che obbligasse i ragazzi ad uscire di casa a 18 anni.
Il ministro della Funzione Pubblica ha lanciato la sua proposta durante la puntata odierna di "Domenica In - L’Arena", su Raiuno.
"La verità", ha detto Brunetta, "è che la coperta è piccola e quindi non ci sono risorse per tutti. Secondo me si deve agire sulle pensioni di anzianità, quelle che partono dai 55 anni di età. Facendo in questo modo si potrebbero trovare risorse che consentirebbero di dare ai giovani non 200 ma 500 euro al mese. Solo che una proposta del genere scatenerebbe le proteste dei sindacati, che sono quelli che difendono i genitori. Meno ai genitori e più ai figli".
Ma, secondo il ministro, "l’Italia è piena di giovani perbene, che rischiano e che vogliono la libertà. La colpa, se hanno la libertà tarpata, è nostra, dei loro genitori".
* la Repubblica, 24 gennaio 2010
Il ministro della Funzione pubblica: "Diamo 500 euro ai figli che escono di casa"
Poi la secca nota da Palazzo Chigi: "Idea del tutto personale e mai concordata
"Meno soldi alle pensioni di anzianità"
Brunetta lancia "bonus anti-bamboccioni"
Cgil: "Boutade irresponsabile e provocatoria. No a contrapposizioni generazionali". Uil: "Toglie ai poveri per dare ai poveri"
Pd: "Proposta che suona come una battuta o una sparata". L’Idv: "Il ministro vincerà il Nobel delle sciocchezze"
ROMA - Agire sulle pensioni di anzianità per reperire risorse. Tali da dare 500 euro al mese ai giovani per aiutarli ad uscire di casa. E’ la nuova idea di Renato Brunetta, che solo pochi giorni fa aveva proposto una legge che obbligasse i ragazzi a uscire di casa a 18 anni. Il ministro della Funzione Pubblica ha lanciato la sua proposta durante la puntata odierna di "Domenica In - L’Arena", su RaiUno. Ma in serata palazzo Chigi ha precisato che quella del ministro Brunetta è un’idea del tutto personale, una posizione mai concordata all’interno del governo.
"La verità", ha detto Brunetta, "è che la coperta è piccola e quindi non ci sono risorse per tutti. Secondo me si deve agire sulle pensioni di anzianità, quelle che partono dai 55 anni di età. Facendo in questo modo si potrebbero trovare risorse che consentirebbero di dare ai giovani non 200 ma 500 euro al mese. Solo che una proposta del genere scatenerebbe le proteste dei sindacati, che sono quelli che difendono i genitori. Meno ai genitori e più ai figli". Ma, secondo il ministro, "l’Italia è piena di giovani perbene, che rischiano e che vogliono la libertà. La colpa, se hanno la libertà tarpata, è nostra, dei loro genitori".
Le reazioni. E la replica dei sindacati non si è fatta attendere. "Il ministro Brunetta, sempre in cerca di visibilità, ha esternato un’altra delle sue boutade, in un modo anche un po’ irresponsabile e provocatorio". E’ il commento di Carla Cantone, segretario generale dei pensionati della Cgil, secondo la quale "non serve a nessuno in questo Paese alimentare contrapposizioni di tipo generazionale". Per il segretario confederale della Uil con delega alla previdenza, Domenico Proietti, è "una proposta che toglie ai poveri per dare ai poveri". Secondo il sindacalista "in Italia abbiamo il problema di rivalutare le pensioni, che hanno perso potere acquisto. Il problema dei giovani deve essere affrontato nell’ambito di una politica di sviluppo che può essere utilmente avviata attraverso la riforma fiscale, annunciata dal governo, che deve essere messa in campo già nei prossimi mesi".
Risposte negative anche da parte dell’opposizione. "Brunetta, nella sua voglia di comparire e di far tutto lui, ha affrontato un argomento drammaticamente serio come quello dei giovani che non hanno la possibilità di lasciare la casa dei genitori, con una proposta che suona come una battuta o una vera e propria sparata", dice Filippo Penati del Pd. "Il ministro Brunetta continua a spararle sempre più" grosse. Vincerà il Nobel delle sciocchezze. In quest’arte è il più bravo di tutti, nonostante l’agguerrita concorrenza degli altri ministri", aggiunge il capogruppo Idv alla Camera, Massimo Donadi. "Brunetta dovrebbe fare proposte più serie perché lui che, con due cariche di ministro e deputato, non sa che con 500 euro al mese non si vive e non si può andare via di casa dai genitori se non c’è lavoro!", afferma il verde Angelo Bonelli. E Paolo Ferrero, portavoce della Federazione della Sinistra, bolla la proposta di Brunetta come "delinquenziale", perché "punta semplicemente e consapevolmente a scatenare una guerra tra i poveri dentro un folle conflitto tra generazioni".
* la Repubblica, 24 gennaio 2010
I redditi dei parlamentari italiani
Berlusconi "guadagna" 8,5 milioni *
ROMA - Il reddito di Silvio Berlusconi nellla dichiarazione Irpef del 2009 è di 23.057.981, circa otto milioni e mezzo in più rispetto all’anno precedente quando era di 14.532.538. Il presidente del Consiglio rimane il più ricco tra i parlamentari della Repubblica. Tra i beni immobili a lui intestati risultano anche cinque appartamenti a Milano, due box sempre a Milano, e un terreno ad Antigua. Alla voce "variazioni in aumento" compare l’acquisto di un immobile a Lesa (Novara) e la costruzione di un immobile sul terreno di Antigua.
In ascesa, anche se parliamo di cifre diverse, il reddito del presidente della Camera, Gianfranco Fini: nel 2009 ha dichiarato 142.243 euro di imponibile, contro i 105.633 euro dell’anno precedente.
* la Repubblica, 15 marzo 2010
Il presidente del Consiglio si conferma il più ricco: nel 2009 ha dichiarato oltre 23 mln
Tra i leader di partito il primo è Di Pietro, con 193.211 euro. Seguono Bossi e Bersani
I redditi dei parlamentari italiani
Berlusconi "guadagna" 8,5 milioni
E’ Tremonti il ministro più "impoverito". Crolla l’imponibile di Bertolaso: -40% in un anno
ROMA - Il reddito di Silvio Berlusconi nella dichiarazione Irpef del 2009 è di 23.057.981, circa otto milioni e mezzo in più rispetto all’anno precedente, quando era di 14.532.538. Il presidente del Consiglio rimane dunque il più ricco tra i parlamentari della Repubblica. Tra i beni immobili a lui intestati risultano anche cinque appartamenti a Milano, due box sempre a Milano, e un terreno ad Antigua. Alla voce "variazioni in aumento" compaiono l’acquisto di un immobile sul Lago Maggiore a Lesa (Novara), la costruzione di un immobile sul terreno di Antigua e l’acquisto di un altro pezzo di terra sempre nei Caraibi.
In ascesa, anche se parliamo di cifre diverse, il reddito del presidente della Camera, Gianfranco Fini: nel 2009 ha dichiarato 142.243 euro di imponibile, contro i 105.633 euro dell’anno precedente. Per il presidente del Senato, Renato Schifani, 190.643 euro con un aumento di circa 31 mila euro rispetto all’anno precedente.
Tra i leader di partito, dopo Berlusconi c’è Antonio Di Pietro con 193.211 euro. Tuttavia, rispetto alla dichiarazione del 2008 l’ex pm ne ha persi circa 25 mila (ne denunciava 218.080). Al terzo posto Umberto Bossi con 156.405 euro: un "guadagno" di circa 22 mila euro nel confronto con i 134.450 dichiarati un anno prima. Segue a ruota il leader del Pd Pier Luigi Bersani con 150.450 contro i 163.551 della denuncia del 2008. Il reddito più basso è quello del leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini, in "ribasso" da 142.130 a 123.005.
Vero e proprio "crollo", invece, per il reddito imponibile del sottosegretario di Stato e capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso: secondo la dichiarazione dei redditi, infatti, Bertolaso ha avuto un imponibile di 613.403 euro nel 2008 rispetto a 1.013.822 di euro del 2007, subendo così una flessione di circa il 40%.
Per quanto riguarda i ministri, il più impoverito risulta essere proprio quello dell’Economia, Giulio Tremonti. Nella dichiarazione del 2009 relativa ai redditi del 2008, infatti, Tremonti ha dichiarato soltanto 39.672 euro rispetto ai 4,5 milioni dell’anno precedente. Per il ministro dell’Economia un credito d’imposta di 70.376 euro. Va meglio al ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna, che nel 2009 ha presentato un imponibile di 149.146, in leggero aumento rispetto all’anno precedente, quando era fermo a 133.561 euro. La Carfagna ha comprato casa in via del Tritone, avvicinando così l’abitazione al luogo di lavoro, mentre ha venduto l’appartamento che aveva a via Courmayeur.
Il ministro per la Semplificazione normativa, il leghista Roberto Calderoi, è il più ricco tra i ministri eletti al Senato. Nel 2008 ha infatti dichiarato un reddito imponibile di 183.299 euro, seguito dal ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli con 167.784 euro. Di poco inferiore il reddito del ministro della Cultura, Sandro Bondi, con un imponibile di 160.779 euro. Decisamente più staccato il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi: per lui l’imponibile lordo è stato nel 2008 di 115.915 euro.
Tra i componenti non parlamentari del governo, il più ricco è senza dubbio Gianni Letta. L’anno passato, infatti, il reddito imponibile del sottosegretario alla presidenza del Consiglio ammontava a 1.315.186 euro, distanziando alla grande il secondo classificato, l’allora sottosegretario e attuale ministro della Salute, Ferruccio Fazio, che nel 2009 ha denunciato redditi imponibili per 634.968 euro. Nel 2009 l’ex senatore del Pdl, Nicola Di Girolamo, ha dichiarato per il 2008 redditi imponibili pari a 187.039 euro.
* la Repubblica, 15 marzo 2010
COMUNICATO DI PIENA E TOTALE SOLIDARIETA’ AL LICEO CLASSICO "MANZONI" DI MILANO:
"NON MI SENTO ITALIANO"
BUFERA SUL CINEFORUM
APPELLO ALLA GELMINI: "TITOLO OFFENSIVO"
Questo il titolo dell’articolo, in la Repubblica/Milano di oggi, sabato 19 settembre 2009, pagina IX, di Franco Vanni.
Nella circolare che presenta l’iniziativa si legge:
"Il cineforum di quest’anno si propone una rassegna incentrata sulla maleducazione civica degli italiani".
PIENA TOTALE APPROVAZIONE DEL PROGETTO E MASSIMA SOLIDARIETA’
Per la redazione
Federico La Sala
Pensioni più leggere da gennaio: importi ridotti fino al 3,7%
di Sergio D’Onofrio *
Chi lascia il lavoro nel 2010 avrà una pensione più leggera se ha versato meno di 18 anni di contributi entro il 1995. Da gennaio entrano infatti in funzione i nuovi coefficienti per il calcolo dei trattamenti quantificati con il sistema misto o interamente contributivo. La revisione dei parametri iniziali, messa in programma dalla riforma Dini (legge 335/95), doveva scattare ogni dieci anni. L’obiettivo era stare al passo con l’andamento della vita media. Il principio era: se si vive più a lungo diventa di conseguenza più ampio il periodo in cui si beneficierà dell’assegno. Saltata la scadenza del 2006, la legge 247/07 ha stabilito di fare partire i nuovi coefficienti dal 2010 e di aggiornarli ogni tre anni
Rispetto ai valori in vigore fino al 31 dicembre di quest’anno, si registra una riduzione che va dal 6,38% per chi può mettersi in pensione a 57 anni all’8,41% per chi si ritira a 65 anni. La decurtazione sale con il crescere dell’età perché, dal punto di vista statistico, è provato che con il passare degli anni aumentano le possibilità di una lunga vita.
Dai nuovi coefficienti sono esclusi coloro che avendo 18 anni di contributi al 31 dicembre ’95 restano agganciati anche per gli anni a venire al calcolo retributivo. Invece, sono interessati ai nuovi coefficienti coloro che hanno diritto a una pensione di vecchiaia (o tutta contributiva per opzione o calcolata con il sistema misto). La pensione anzianità (che richiede 35 anni di contributi) con una quota contributiva, invece, scatterà solo dal 2014-2015.
Il calcolo misto
Per quanto riguarda il calcolo misto, per coloro che sono in attività dal 1979 in poi (meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre ’95) la pensione si sdoppia: una quota resta agganciata al valore degli stipendi dell’ultimo periodo di attività mentre la parte rimanente è rapportata a quanto è stato versato dal 1996.
In generale (si veda anche la scheda) che chi va in pensione con il sistema misto sarà penalizzato, in quanto potrà contare su un assegno più basso di quello che riceverebbe con un calcolo interamente retributivo. Per un uomo di 65, con 30 di contributi, e con un reddito di 40mila euro la perdita è del 2%: se fosse andato in pensione nel 2009 avrebbe percepito un trattamento di 23.789 euro. Poiché va a riposo nel 2010 il taglio sarà di 455 euro. Con 25 anni di contributi la riduzione è del 2,6% (515 euro), del 3,7% (573 euro) con 20 di anzianità. Ma le cose non stanno sempre cosi, almeno per i lavoratori dipendenti. A 65 anni di età e 31 di contributi, di cui 14 versati dal ’96, il sistema misto si rivela più generoso di quello retributivo per i redditi alti, da 60miila euro in su.
Tutto ciò si spiega con il fatto che per la quota contributiva la capitalizzazione del montante non risente, come invece accade nella formula retributiva, della riduzione dei rendimenti oltre una certa soglia. Infatti, sulla parte di retribuzione superiore al cosiddetto "tetto" (42.069 euro nel 2009) per ogni anno di lavoro non viene più riconosciuta una quota di pensione del 2%, ma una percentuale via via più bassa, ridotta a meno della metà (0,90%) per le retribuzioni annuali oltre gli 80mila euro.
Diversa è la situazione dei lavoratori autonomi, per i quali il calcolo misto ha per tutti un effetto penalizzante. Con 65 anni di età, 31 anni di contributi di cui 14 versati dal ’96 i trattamenti scendono di quasi il 12% per i redditi più bassi, mentre per quelli medio alti perdono intorno al 9 per cento. Ciò dipende dal fatto che, versando di meno (20% contro il 33% dei dipendenti), accumulano un montante più basso per il calcolo della quota contributiva.
Il contributivo puro
I nuovi coefficienti incideranno nella misura piena, vale a dire con le riduzioni indicate nella tabella in alto, sui trattamenti che nel 2010 saranno calcolati interamente con il sistema contributivo. Per ora sono interessate solo alcune categorie di futuri pensionati.
Il contingente più numeroso è rappresentato da persone, già in pensione o con una doppia attività, che acquisiscono il diritto a un secondo assegno dalla gestione separata dell’Inps. Nelle stesse condizioni si troveranno anche le donne che hanno scelto il sistema contributivo, che consente di mettersi in pensione a 57 anni (58 se autonome), se possono far valere almeno 35 anni di contributi.
Della riduzione dei coefficienti risentiranno anche molti liberi professionisti che maturano il diritto alla pensione con il sistema della totalizzazione.
I MECCANISMI
Il sistema retributivo
Il calcolo della pensione è commisurato alle retribuzioni versate durante la vita lavorativa
Il contributivo
Con questo sistema di calcolo ciascuno percepirà, come pensione, quanto ha versato: i contributi infatti vengono accreditati su un conto individuale (virtuale) e al termine della vita lavorativa il montante (rivalutato ogni anno) viene trasformato in pensione proprio con i coefficienti di trasformazione
Il meccanismo misto
L’assegno viene calcolato in base al sistema contributivo e retributivo: in particolare è quantificata con il metodo contributivo la quota di pensione che corrisponde ai versamenti dal 1996 in poi
TAGLIO SENZA INDUGI
Nel mirino dei nuovi parametri
chi rientra nel sistema di calcolo misto
chi è assicurato ai fini della pensione dal 1° gennaio 1996
gli iscritti alla gestione separata
chi esercita l’opzione per il sistema contributivo
le lavoratrici dipendenti e autonome con almeno 35 anni di contributi - che si avvalgono dell’opzione prevista dalla legge 243/2004
chi va in pensione con il sistema della totalizzazione e non rientra nelle eccezioni che prevedono in parte un calcolo retributivo
Le conseguenze per i dipendenti... ... e quelle per gli autonomi
3,7%
Uomo, vent’anni di contributi
L’ipotesi è quella della pensione di vecchiaia (65 anni per gli uomini, 60 per le donne). Un lavoratore dipendente nell’ultimo anno ha prodotto un reddito di 40mila euro e ha vent’anni di contributi: al 1° dicembre 2009 ha una pensione annua di 16.104 euro. Con l’applicazione dei nuovi coefficienti, secondo i calcoli effettuati dalla Ragioneria generale dello Stato, la pensione annua avrà, dal 1° gennaio 2010, un importo pari a 15.531 euro, con una differenza anno su anno di 573 euro (-3,7 per cento)
2,7%
Donna, vent’anni di contributi
Una lavoratrice dipendente, il cui reddito nell’ultimo anno di lavoro è stato pari a 40mila euro e con vent’anni di contribuzione, al 1° dicembre 2009 ha diritto a una pensione di vecchiaia pari a 14.391 auro, contro un assegno di 14.016 euro dal 1° gennaio 2010. La differenza (meno 2,7%) è la conseguenza dell’applicazione dei nuovi coefficienti
-3,4%
Uomo, vent’anni di contributi
Un lavoratore autonomo, con un reddito nell’ultimo anno di lavoro di 40mila euro e vent’anni di contribuzione alle spalle, nel momento in cui verranno applicati i nuovi coefficienti avrà, dal 1° gennaio 2010, una pensione di vecchiaia inferiore del 3,4% rispetto a quanto percepiva al 1° dicembre 2009 (11.204 contro 11.585 euro)
2,6%
Donna, vent’anni di contributi
Una lavoratrice autonoma, con un reddito nell’ultimo anno di lavoro di 40mila euro e vent’anni di contribuzione, al 1° dicembre 2009 ha una pensione annua di 10.594 euro. Dal 1° gennaio 2010 l’importo annuo di cui potrà beneficiare sarà di 10.327 euro. In questa ipotesi, dunque, la diminuzione tra un importo e l’altro è del 2,6 per cento
* Il Sole-24 ore13 novembre 2009
Il governatore della Banca d’Italia avverte: "Riforma necessaria"
Antonio Mastropasqua: "Il sistema tiene". Le critiche di Sacconi
Pensioni, Draghi:"Alzare l’età"
Inps e Governo: "No, non serve" *
TORINO - Aumento dell’età pensionabile e riforma degli ammortizzatori sociali. Sono i due obbiettivi che Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, indica come fondamentali per la ripresa economica. Draghi è intervenuto nel corso di una lezione tenuta al collegio Carlo Alberto di Moncalieri, Torino.
Inps: "Il sistema tiene". A stretto giro di posta, però, arriva la replica del presidente dell’Inps Antonio Mastropasqua: "Il sistema delle pensioni tiene e non c’è bisogno di nuovi interventi. Già nel dl anticrisi esiste una norma che adegua l’età pensionabile alle aspettative di vita e decorre dal 2015". E anche il governo dimostra di non gradire le parole di Draghi: "Le riforme fatte sono sufficienti. A partire da quella realizzata col provvedimento anticrisi che non può essere sottovalututa per il fatto che, per fortuna, non ha determinato forme di mobilitazione sociale" dice il ministro del lavoro, Maurizio Sacconi.
Marcegaglia: "Si può fare di più". Dalla Confindustria giunge un giudizio timidamente positivo sul progetto del governo: "E’ vero che nel decreto anticrisi gli adeguamenti che entreranno in funzione del 2015 saranno una sorta di meccanismo di stabilizzazione - ha detto il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia - ma si può fare di più".
Cgil: "Tavolo parti sociali-governo". E il sindacato suggerisce un tavolo comune tra parti sociali e governo: "Bisogna recuperare la flessibilità dell’età di uscita di vecchiaia - ha detto il segretario della Cgil Gugliemo Epifani - ma soprattutto bisogna considerare che quello dell’età è solo un aspetto di un problema molto più ampio".
L’innalzamento dell’età pensionabile - Draghi ha affermato che "per assicurare prestazioni di importo adeguato a un numero crescente di pensionati, è indispensabile un aumento significativo dell’età media effettiva di pensionamento. Tale aumento - ha detto il Governatore della Banca d’Italia - potrà contribuire, se accompagnato da azioni che consentano di rendere più flessibili orari e salari dei lavoratori più anziani, a elevare il tasso di attività e a sostenere la crescita potenziale dell’economia". Il Governatore ha anche indicato l’importanza del sistema pensionistico come "ammortizzatore sociale" in momenti di recessione: "Nell’attuale crisi il sistema pensionistico ha garantito il reddito e la capacità di spesa di una parte cospicua della popolazione italiana. Quasi la metà delle famiglie riceve un reddito da pensione e per circa i due terzi di queste esso rappresenta la fonte principale di reddito".
Riforma degli ammortizzatori sociali - Per Draghi, dopo la crisi sarà necessaria una riforma ispirata alla flessibilità del mercato del lavoro. "Superata la fase di emergenza resta la necessità di adeguare il nostro sistema di ammortizzatori sociali a un mercato del lavoro diventato più flessibile". In questo modo "sarebbe favorita la mobilità del lavoro, accresciuta l’efficienza produttiva, rafforzata la tutela dei lavoratori, aumentata l’equità sociale".
Il plauso alla comunità internazionale - Il governatore ha poi commentato lo sforzo della comunità internazionale e dell’Italia per fronteggiare le ricadute della crisi sul mondo del lavoro. "Nell’anno in corso sono dovunque cresciute le risorse pubbliche destinate al sostengo del reddito di coloro che hanno perso il lavoro e anche in Italia lo sforzo è stato grande".
* la Repubblica, 13 ottobre 2009
Ennesimo dietrofront sulle pensioni statali
di Claudio Tucci *
Nel cantiere "manovra estiva" rispunta l’anzianità contributiva per mandare in pensione i dipendenti pubblici. L’ennesimo dietrofront sul fronte pensioni del pubblico impiego è contenuto in un emendamento al decreto anti crisi di Remigio Ceroni (Pdl), approvato dalle commissioni Bilancio e Finanze della Camera, che reintroduce, per il triennio dal 2009 al 2011, la possibilità dell’amministrazione di procedere "unilateralmente" alla risoluzione del rapporto di lavoro (e del relativo contratto individuale) al raggiungimento dei 40 anni di anzianità massima contributiva.
Si torna, seppur con alcune novità, alla versione originaria del comma 11 dell’articolo 72 della legge 133 dell’agosto 2008, superata, a marzo, dalla riforma Brunetta del pubblico impiego, che consentiva, invece, lo "scivolo" del personale dipendente al compimento dei 40 anni di anzianità massima di servizio effettivo. L’anzianità contributiva era, poi, tornata nella bozza del decreto anti crisi, licenziato dal Consiglio dei ministri di fine giugno scorso, e, successivamente, sparita al momento della pubblicazione del provvedimento nella Gazzetta Ufficiale, del 1° luglio, a seguito, probabilmente, di alcuni rilievi del Quirinale.
Ora con l’approvazione dell’emendamento torna nuovamente l’anzianità contributiva. Non serviranno più i 40 anni di effettivo servizio. In questo modo, il pensionamento riguarderà più persone, perché saranno conteggiati, anche, gli anni del corso di laurea, dell’eventuale periodo militare o di altri lavori svolti (purché con il versamento dei contributi) precedentemente all’assunzione in servizio. Si potrà, pertanto, procedere a un cospicuo svecchiamento dell’amministrazione.
Tuttavia la nuova norma contiene due importanti novità rispetto all’originaria formulazione del comma 11 della legge 133/2008. Intanto, si modifica la platea dei soggetti esclusi dalla disposizione. Ora, oltre ai magistrati e professori universitari, sono "salvati" dal licenziamento "forzoso", anche i dirigenti medici responsabili di struttura complessa (e, quindi, molti primari). Si prevede, poi, un regime applicativo "più soft" per il personale dei comparti sicurezza, difesa ed estero. In questi casi, bisognerà aspettare l’emanazione di appositi decreti del presidente del Consiglio dei ministri, entro 3 mesi dall’entrata in vigore della legge, previo via libera del Cdm, su proposta del ministro per la Pubblica amministrazione di concerto con il Tesoro e gli altri ministeri competenti.
La procedura di "licenziamento" rimane sempre la stessa. L’amministrazione è tenuta a comunicare all’interessato il collocamento in quiescenza raggiunti i 40 anni di contributi, anche se questi non ha raggiunto l’età massima prevista dalla normativa ai fini del pensionamento. La norma richiede un preavviso di 6 mesi e fa salve tutte le previsioni (pre)vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, per non far perdere all’interessato eventuali disposizioni di maggior favore. Con una norma interpretativa, infine, si conferma la validità delle cessazione dal servizio e delle lettere di preavviso che le amministrazioni hanno disposto alla luce dell’originaria versione dell’articolo 72, comma 11 (di fatto, ora, confermato dalla nuova normativa).
* Il Sole-24 Ore, 17 luglio 2009
Incontro con le parti sociali stamani a Palazzo Chigi sugli interventi
in materia previdenziale messi a punto dal governo nell’ambito del decreto anticrisi
Pensioni, Sacconi "soddisfatto"
Cgil: "Norme del tutto inaccettabili"
Quella del sindacato è l’unica voce contraria. Piccinini:
"Misura illegittima, significa solo che lavoreranno di più per avere di meno"
ROMA - Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi si è detto "molto soddisfatto" dell’esito del confronto tenuto stamane a Palazzo Chigi tra governo e parti sociali sugli interventi in materia previdenziale che l’esecutivo ha messo a punto in un emendamento al dl anticrisi. "Abbiamo registrato il consenso di tutte le organizzazioni sulle misure adottate - ha affermato Sacconi - in particolare sull’innalzamento dell’età pensionabile delle donne nella pubblica amministrazione, alla destinazione delle economie in provvedimento su famiglia, non autosufficienza e welfare. Solo la Cgil ha espresso alcune perplessità ma direi costruttive".
Ma in effetti l’opposizione della Cgil in particolare sull’elevamento dell’età pensionabile delle donne nel pubblico impiego è più netta di "alcune perplessità": "Queste norme significano una cosa sola: lavoreremo più a lungo per avere di meno come pensione", contesta il segretario confederale della Cgil, Morena Piccinini, che definisce pertanto le norme che il governo intende introdurre "inaccettabili".
Riguardo all’innalzamento a 65 anni dell’età pensionabile per le donne nel pubblico impiego Piccinini osserva che "non si potrà certo fermare a loro questo innalzamento" e che si tratta di una misura "illegittima". Circa poi i criteri di adeguamento dell’età pensionabile in relazione all’allungamento della vita il segretario confederale Cgil sottolinea che "questo aspetto, questa eventualità è già contenuta nelle norma in vigore". Per Piccinini dunque bisogna "ritornare ai criteri di flessibilità per la parificazione uomo/donna contenuti nella legge Dini ed avviare una discussione approfondita sui coefficienti per i giovani".
Sacconi replica però di escludere nel "modo più assoluto" che l’aumento dell’età pensionabile delle donne possa essere esteso al settore privato. La decisione di aumentare l’età di pensionamento delle donne nel pubblico impiego, ha ricordato, "è stata presa perché la Corte di giustizia ce lo ha imposto e solo nel settore del pubblico impiego si può chiedere alle donne di lavorare di più". Secondo il ministro sulla misura "c’è stato apprezzamento dell’Ue e anche del mercato finanziario".
Per il futuro, ha aggiunto, "dobbiamo fare in modo che la spesa previdenziale rimanga ferma rispetto all’allungamento della vita. Allora dal 2015 e solo dal 2015, se ci sarà un incremento dell’aspettativa di vita ulteriore rispetto a quello attuale ci sarà un incremento dell’età di pensione ma, ripeto, al massimo per tre mesi nel 2015".
Sulle modifiche al sistema previdenziale si sono detti d’accordo tutti gli altri sindacati e associazioni di categoria. Secondo Cisl e Uil dagli emendamenti del governo sulle pensioni arriva "un utile contributo per la stabilizzazione del sistema".
In particolare, secondo il segretario confederale della Uil, Domenico Proietti, la misura scelta per arrivare all’equiparazione nel 2018 non è altro che "una risposta molto graduale ad una sentenza inappellabile della Corte di Giustizia europea". Dello stesso parere il segretario confederale della Cisl Maurizio Petriccioli che fa notare come il governo abbia anche salvaguardato i diritti acquisiti al 31 dicembre 2009.
L’Ugl chiede invece al governo "di fare uno sforzo in più per distinguere tra le lavoratrici e le madri lavoratrici per le quali la cura dei figli si aggiunge agli altri carichi familiari".
* la Repubblica, 16 luglio 2009
Il 15 luglio manifestazione in piazza Montecitorio
Protesta organizzata da tutti i sindacati nazionali
Precari della scuola in piazza
"In arrivo 16 mila licenziamenti"
di SALVO INTRAVAIA *
Supplenti in piazza contro i tagli agli organici. Mercoledì 15 luglio, le organizzazioni nazionali che raccolgono i precari della scuola saranno a piazza Montecitorio per un sit-in di protesta. Al centro della manifestazione i tagli che dal prossimo anno scolastico mettono a rischio il lavoro di migliaia di supplenti. A settembre, infatti, oltre 16 mila saranno costretti a restare a casa senza cattedra e, soprattutto, senza stipendio. La Flc Cgil parla di "licenziamenti" mentre il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi continua a ripetere che per effetto della contrazione degli organici "non verrà licenziato nessuno". Chi ha ragione? Lo sanno bene i diretti interessati che dallo stato di precarietà rischiano di scivolare in quello di disoccupazione, senza nessun paracadute.
Davanti alla Camera dei deputati ci saranno i precari aderenti al Cip (Comitato insegnanti precari) e alla Rete nazionale dei precari della scuola. I motivi della protesta sono esposti in un volantino che "boccia la Gelmini" per il suo operato. "Per difendere una scuola pubblica statale, libera, gratuita, pluralista e laica", "per il diritto allo studio per tutti", "per la libertà di insegnamento", "per una scuola di qualità" e "per salvare centinaia di migliaia di posti di lavoro". Ecco cosa spinge i supplenti a scendere in piazza.
Per la prima volta dopo lo sciopero generale dello scorso ottobre Cgil e Cisl si ritrovano accanto. Alla manifestazione aderiranno infatti anche la Cisl scuola, la Flc Cgil e la Gilda degli insegnanti. La Cisl scende in piazza per "dare prospettive e tutele ai precari della scuola", spiega Francesco Scrima. La Flc Cgil "è fortemente impegnata a contrastare le politiche dei tagli indiscriminati nelle scuole e a tutelare il diritto al lavoro, nella convinzione che non è riducendo le risorse finanziarie e di organico che si dà efficienza ed efficacia alla scuola italiana".
"I provvedimenti adottati dal governo nei confronti della scuola - dichiara Rino Di Meglio, leader della Gilda - colpiranno duramente le decine di migliaia di colleghi precari che dal prossimo anno scolastico perderanno qualunque possibilità di inserimento e stabilizzazione e delle misure a sostegno dei precari annunciate dal ministero non c’è ancora alcuna traccia".
Prove di unità sindacale, in vista degli impegni autunnali? Si vedrà. Un fatto è certo: fra docenti e Ata (amministrativi, tecnici e ausiliari) a settembre svaniranno 57 mila posti: un record per la scuola. Solo i pensionamenti attenueranno quello che poteva essere un autentico tsunami: andranno in pensione in 41 mila liberando altrettanti posti. Ma dell’indennità "di disponibilità", ventilata dal governo a favore dei supplenti annuali (quelli con contratto fino al 31 agosto), non vi è traccia.
* la repubblica, 10 luglio 2009
Pubblico impiego, il ddl Brunetta è legge
Il provvedimento è passato a Palazzo Madama con 154 sì e un astenuto. L’opposizione presente in aula non ha partecipato al voto. Giallo sul numero legale e ritardo di 20 minuti. Entro due mesi la discussione dei decreti legislativi *
Il disegno di legge del ministro Renato Brunetta sull’ottimizzazione e razionalizzazione della pubblica amministrazione è legge. Il provvedimento, dopo l’ok della Camera è passato anche al Senato, ottenendo 154 sì e un astenuto, mentre l’opposizione presente in aula non ha partecipato al voto. Il decreto 847- B, approvato dall’aula della Camera il 12 febbraio e giovedi’ scorso licenziato dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato senza modifiche, era stato ritoccato in più punti a Montecitorio. Prima della votazione si è passati all’esame degli emendamenti, circa una trentina presentati nell’assemblea. Al termine delle dichiarazioni di voto dei gruppi parlamentari del Senato, e prima del voto finale, l’opposizione ha chiesto la verifica del numero legale che è venuto a mancare. La presidenza ha sospeso i lavori che sono ripresi dopo 20 minuti.
Costituito da una decina di articoli, il ddl prevede la creazione di un nuovo modello di contrattazione, l’avvento della class action nella Pa e, infine, un sostanziale innalzamento della soglia minima di uscita per il pensionamento degli statali con il passaggio dal requisito dei 40 anni di contribuzione, comprensivi di eventuale riscatto della laurea o del servizio militare, ai 40 anni di servizio effettivo.
L’altra novità riguarda il cosiddetto cartellino di riconoscimento, tutto il personale, cioè, a contatto con il pubblico dovrà obbligatoriamente indossare un cartellino identificativo o dovrà esporre sulla scrivania una targa indicante nome e cognome. Ma la vera novità consiste nei meccanismi di valutazione, in base alla quale ogni impiegato avrà una pagella per capire il suo grado di efficienza. Una nuova struttura, l’Autorità, che sarà chiamata a gestire il sistema di valutazione, avrà il compito di elaborarla. In base a questa scheda, i dipendenti più bravi dovrebbero essere premiati mentre altri potrebbero arrivare a rischiare anche il licenziamento, oltre ad essere a rischio sanzioni meno drastiche.
* Rassegna.it: http://www.rassegna.it/articoli/2009/02/25/43331/pubblico-impiego-il-ddl-brunetta-e-legge
Aumenti ai prof di religione. Schiaffo ai precari della scuola
Una circolare del Tesoro di fine dicembre consente di calcolare gli scatti di anzianità anche sull’indennità integrativa speciale. Da maggio i prof di religione prenderanno di più e recupereranno il pregresso
di Bianca Di Giovanni (l’Unità, 17.01.2010)
Per i docenti anche fuori ruolo, gli scatti di anzianità andranno calcolati anche sull’indennità Il personale delle altre materie non ha scatti, e i precari percepiscono solo lo stipendio base Numeri. Circa 25mila i prof di religione di cui 12mila con incarico annuale
Buste paga più ricche per i prof di religione. Il ministero dell’Economia lo scorso 28 dicembre ha, infatti, emanato una nota che riguarda la procedura di calcolo degli aumenti biennali per gli insegnanti di religione e stabilisce che questi incrementi i quali prima venivano calcolati nella misura del 2,5% del solo stipendio base dovranno ora ammontare al 2,5% dello stipendio base comprensivo della indennità integrativa speciale.
Non un dettaglio: quella quota può raggiungere un terzo dello stipendio. «Adesso dunque spiega lo Snadir, il sindacato nazionale autonomo degli insegnanti di religione dal primo maggio 2010 le direzioni provinciali del Tesoro dovranno procedere al pagamento degli arretrati. Dal pagamento saranno esclusi i docenti ai quali il mancato inserimento dell’indennità nel calcolo degli aumenti biennali era stato compensato, già a partire dal 2003, con un assegno ad personam».
Critica l’Anief (Associazione nazionale insegnanti ed educatori in formazione) secondo cui questa concessione a una ristretta cerchia di docenti dimostrerebbe che «ancora una volta il governo dimentica i precari della scuola». In effetti la circolare, emanata alla chetichella nell’ultimo giorno utile dell’anno, rinnova un conflitto già aspro all’interno del corpo insegnate. Una diversità di trattamento che risale almeno al 2003, quando sempre il governo di centrodestra varò l’immissione in ruolo dei docenti «selezionati» dalle Curie.
PLATEA
Il provvedimento del dicembre scorso riguarda tutti i circa 25mila insegnanti di religione impegnati su territorio nazionale. Sia quelli di ruolo, sia i precari (circa 12mila), che così incassano un doppio vantaggio rispetto agli altri. Gli insegnanti di ruolo di altre materie, infatti, non hanno scatti biennali di anzianità (quelli di religione li mantengono dal vecchio regime, quando erano tutti fuo-ri ruolo), mentre i precari godono solo dello stipendio base: solo al momento dell’ingresso in ruolo avviene la ricostruzione retroattiva di scatti e quindi aumenti. Su questo si è concentrata la battaglia della Cgil scuola, che chiede per tutti la ricostruzione di carriera.
PRIVILEGI
L’ultima decisione, dunque, è una vera beffa per chi chiede equità di trattamento. Un passo che si aggiunge a una lunga serie di privilegi: accesso alla cattedra su segnalazione dell’ordinario diocesano, assunzione sulla base di un successivo concorso riservato, passaggio ad altra cattedra in caso di perdita del requisito per insegnare la religione (l’attestato dell’ordinario diocesano) e scatti biennali anche per i precari. «Mentre il ministro Tremonti a dicembre ricorda alla Curia che presto saranno liquidati gli scatti biennali di anzianità al personale docente di religione con incarico annuale o di ruolo, che non ha mai richiesto tale indennità sotto forma di assegno ad personam, permane, purtroppo, il silenzio verso tutto il restante personale precario», dichiara Marcello Pacifico, presidente dell’Anief (l’Associazione nazionale insegnanti ed educatori in formazione).
SOLDI E AUMENTI
Secondo alcuni calcoli effettuati dai sindacati l’aumento potrebbe valere 220 euro in più in busta paga, arretrati esclusi. Per il rinnovo del contratto degli insegnanti, invece, i sindacati hanno chiesto un aumento di 200 euro mensili da erogarsi in tre anni, ma il ministro della Pubblica amministrazione è disposto a concederne appena 20. E non solo. Vorrebbe agganciare gli aumenti di stipendio dei docenti al merito.❖
Via libera di Tremonti: 220 euro al mese. Protestano gli altri precari
Scuola, aumenti ai professori ma solo a quelli di religione
di Salvo Intravaia (la Repubblica, 17.01.2010)
Busta paga più ricca per i prof di religione Il ministero dell’Economia vara un provvedimento ad hoc. Ed è polemica: dimenticati gli altri precari Si parla di aumenti mensili di 220 euro lordi per 26mila docenti di ruolo e supplenti
«A seguito degli approfondimenti effettuati in merito, si comunica che questa direzione - scrive Roberta Lotti, dirigente del ministero dell’Economia preposta ai Servizi informativi - ha programmato, sulla mensilità di maggio 2010, le necessarie implementazioni per il calcolo degli aumenti biennali spettanti agli insegnanti di religione anche sulla voce IIS (l’indennità integrativa speciale, ndr) a decorrere dal 1 gennaio 2003». Fra 5 mesi, in poche parole, alcune migliaia di insegnanti di Religione si ritroveranno sullo stipendio aumento, che secondo stime sindacali, potrebbe arrivare a 220 euro lordi, ed arretrati: da mille a 2 mila euro. Perché la quota di stipendio rimasta fuori in questi anni dal computo è consistente: pari a un quarto dell’intera retribuzione.
A beneficiare del provvedimento saranno alcune migliaia di insegnanti. I supplenti annuali, spiega lo Snadir (il Sindacato nazionale autonomo degli insegnanti di Religione), "che non abbiano maturato i requisiti per la ricostruzione di carriera", quelli di ruolo "che non avevano maturato il diritto alla ricostruzione di carriera prima della nomina a tempo indeterminato", e coloro che tale diritto lo hanno maturato "successivamente al primo gennaio 2003".
Se fossero soltanto 5 mila il giochetto costerebbe ai contribuenti 10 milioni di euro, più tutti gli arretrati. In tutto, i precari di Religione sono quasi 12 mila, più 14 mila docenti di Religione di ruolo. E la restante parte dei supplenti, oltre 100 mila? Nulla, anche se precari da dieci o vent’anni. «È un provvedimento che provoca ingiustizia e discrimina lavoratori della stessa categoria, per questa ragione è incostituzionale», commenta Alessandra Siragusa (Pd), componente della commissione Cultura alla Camera. «Nulla in contrario al riconoscimento - aggiunge il collega Tonino Russo (Pd) - di un diritto, ma non si può fare una discriminazione sulla base della Religione. Anche tanti precari in cattedra ogni giorno professano la stessa religione ed avrebbero diritto agli aumenti di stipendio».
La querelle nasce dal fatto che per i prof di Religione, anche precari, una legge del 1980 prevede scatti biennali del 2,5 per cento. Ma a quel tempo erano tutti precari i docenti di Religione e la norma serviva ad agganciare la retribuzione all’aumento del costo della vita. Poi, nel 2005, lo Stato ha immesso in ruolo i docenti di Religione, ma il privilegio è rimasto.