Sei meno e così va il mondo
di Furio Colombo (il Fatto, 19.06.2011)
La prima parola del titolo che vedete qui sopra è un verbo. Tu sei meno. Vuol dire che mentre studiavi o lavoravi, e - alcuni più di altri - davi il meglio di te stesso per essere pronto o per essere all’altezza o per essere più bravo, avveniva uno strano fenomeno di cui manca la spiegazione: tutto diventava più piccolo. Il tuo valore, il tuo peso, l’utilità di ciò che sai fare, la paga, il desiderio o la necessità di averti in un certo posto o mansione. “Dobbiamo rispondere alle sfide di un mondo globalizzato”, ti dicono.
Il mondo globalizzato chiede sempre un’altra cosa, che non è quella che le persone, per l’esperienza fatta o il corso di studi e di specializzazione, sono in grado di offrire. Come nella messa in scena di un testo o di una partitura soggetti a diverse interpretazioni, c’è da aspettarsi una serie abbastanza vasta di alternative.
A VOLTE LE SPIEGAZIONI sono costernate e gentili, si attengono al criterio della dura necessità che ha cambiato le carte in tavola. A volte esplode, franco, e persino innocente, il disprezzo, come è accaduto al ministro Brunetta in un convegno a cui erano presenti molti precari della “funzione pubblica” (una volta si diceva “statali”, definizione meno elegante ma molto più solida).
Ha detto Brunetta ai precari: “Siete l’Italia peggiore”. Brutta frase, che - come sempre il lapsus - ha una parte di vero. C’è qualcosa di peggio del lavorare su un piede solo, senza sapere se e quando si potrà appoggiare l’altro? Ma esistono molti percorsi verso la fine o il discredito del lavoro, che sono sorprendenti e imprevisti, oppure sono delle vere rivelazioni.
Per esempio, esplode l’azienda modello e si rivela un vermaio, come è accaduto a Parmalat. Oppure l’azienda resta modello ma vende i lavoratori insieme con il prodotto, come è accaduto alla Vodafone. Oppure si vende la stessa azienda, mentre funziona e va bene ed è carica di contratti, con una serie di passaggi di proprietà fino a quando si sperde il filo. L’azienda c’è ma non sai di chi, e se non paga non sai più (né gli interessati né il giudice) a chi rivolgerti.
Poi c’è la Fincantieri che “dismette” parti di possenti officine famose nel mondo, per un totale di 2500 operai e ingegneri, con la modesta motivazione: in un mondo insicuro c’è poca richiesta di navi, fingendo di non sapere che non esiste alternativa tecnologica, e che il mondo insicuro continuerà per forza ad andare per mare.
Se ti fermi a pensarci un momento, ti rendi conto che una formula per definire il mondo in cui viviamo è la seguente: meno paga per chi lavora, meno fondi per chi produce, meno lavoro per chi lo chiede, meno sanità per gli ammalati, meno scuola per i più giovani, meno ricerca per i più preparati, meno risorse per gli Stati al punto da minacciare la bancarotta di interi Paesi.
C’è una contraddizione: il mondo resta ricchissimo. Anzi, non è mai stato tanto ricco. Quello che conta è portare via i soldi, subito e tanti. La visione non sarà la stessa che sta pesantemente cambiando la concezione della vita e della convivenza nel mondo? I nuovo protagonisti sono piccoli e grandi Madoff, non quanto a tecnica, ma quanto a “filosofia”. Però che cosa sappiamo delle autorità monetarie e finanziarie del mondo che tutelano costantemente le ricchezze accumulate, spostando tutto il peso sulla massa di coloro che lavorano sempre di più e guadagnano sempre di meno in nome di non si sa quale penuria?
Un giovane ingegnere appena assunto in Italia (dunque un miracolato) mi ha raccontato il colloquio con il manager delle risorse umane: “L’orario è di otto ore, come dice il contratto. Ma noi ci aspettiamo una presenza lavorativa di undici ore”. Racconta il felice neo assunto che nessuno, in quella impresa, resta sul posto meno di undici ore, e che la gara è lavorare di più per una paga minore. Eppure non sanno se stanno lavorando per il comune futuro di impresa e dipendenti o per un accumulo di ricchezza, a metà strada fra la siccità che si espande e l’abbondanza di paradisi terrestri, che sono altrove e non sono soggetti ai tagli.
Sul New York Times del 13 giugno Paul Krugman, giornalista brillante e Nobel per l’economia, ha scritto con sarcasmo che esiste, da qualche parte, nel mondo dei grandi regolatori della finanza internazionale, un “Pain Caucus” o Comitato della Sofferenza.
DECIDE DI VOLTA in volta dove cadrà il taglio, e come rendere più aspra la vita dei cittadini. “Sono molto fantasiosi i membri di questo comitato della sofferenza - sostiene Krugman - E trovano sempre un modo nuovo per infierire. Però una cosa è certa: si impegnano a tener fuori da preoccupazioni e fastidi la grande rendita”.
In altre parole, Krugman propone una chiave di lettura: non c’è siccità di risorse. C’è una parte del mondo che mette al riparo enormi ricchezze, e autorità finanziarie e monetarie che ne proteggono il percorso imponendo politiche così dure sugli individui che lavorano, che possono abbattere un intero Paese (vedi la Grecia, che tutti ormai ci siamo abituati a considerare una pericolosa fuori legge).
Se qualcuno dei lettori vorrà raccontare questa battuta di Krugman, ricordi che l’estroso commentatore del New York Times non frequenta i Centri sociali. Ha la cattedra di Economia all’Universita’di Princeton, Stati Uniti.
Stati e banche «fratelli siamesi». Ma chi governa il nostro destino?
di Guido Rossi
(Il Sole-24 Ore, 19 giugno 2011)
L’insolvenza della Grecia ha messo definitivamente in discussione dogmi, istituzioni e miti, sui quali si è basata la nostra cultura e il nostro modo di vivere. Molti di loro sono già rovinosamente caduti, altri stanno per frantumarsi, principalmente a causa delle trasformazioni politiche ed economiche del capitalismo finanziario e della globalizzazione. Val dunque la pena di fare qualche indagine al riguardo.
Il maggior mito scomparso, che John Galbraith già nel 2004 giudicava falso, è quello del doppio settore del Privato, giudicato positivamente, e del Pubblico, tollerato, sovente in guisa retorica per il suo costante, quanto spesso ambiguo, riferimento al bene comune. Da qui l’ormai consunto slogan «meno Stato più mercato» come panacea di civiltà.
Imprese private e Stati vivono sempre più in un inquietante connubio e le norme istituzionali rispettivamente a loro disciplina paiono ormai confuse e sfatte. La Grecia versa oggi infatti in uno stato di insolvenza, come può accadere alle imprese, incapaci di pagare i debiti alla scadenza, e rischia di andare in fallimento, secondo l’odierna previsione di un prestigioso responsabile sia della crisi finanziaria, sia della caduta del mito, Alan Greenspan. Naturalmente per gli Stati si usa il meno aggressivo termine di default invece che bankruptcy, ma si tratta comunque di fallimento. Stati e imprese sono in egual misura soggetti alle speculazioni dei mercati finanziari, dove spadroneggiano tuttora, con allarmante asimmetria, le grandi banche private.
E si discute oggi sul salvataggio della Grecia, con procedura concorsuale tipica, come la ristrutturazione del debito, con un piano al quale dovrebbero intervenire le istituzioni internazionali, l’Unione europea e le istituzioni private su base volontaria, secondo l’apertura di Angela Merkel, dopo il vertice Germania - Francia di venerdì a Berlino.
Ma quale base volontaria? E, poi, le grandi banche private? Ebbene sì, non foss’altro perché sono esse ad avere in portafoglio i titoli di Stato a rischio insolvenza. Una domanda allora, non più economica, ma istituzionale, dovrebbe oggi essere posta a esaminare la "mostruosa fratellanza siamese" fra Stati e banche, per adottare un’espressione già cara al grande banchiere Raffaele Mattioli, per il rapporto banca - industria, anch’esso sempre più attuale. Non è dunque un caso che le grandi banche siano chiamate "di sistema", e quindi too big to fail, mentre gli Stati possono ben fallire. Insomma, è la politica dei Governi oppure l’attività e l’interesse delle grandi banche, centrali o periferiche che siano, ad arbitrare il nostro destino?
Non corre peraltro dubbio che il connubio continua anche nelle persone che si alternano al comando. La maggiore istituzione bancaria americana Goldman Sachs, ad esempio ha avuto e ha fra i suoi alti dirigenti e consulenti ex primi ministri, ministri del Tesoro, governatori di banche centrali, commissari europei. Assai istruttivo sul denunciato connubio è il recente volume di William R. Rhodes, Banker to the World: Leadership Lesson from the Front Lines of Global Finance (MCGrow - Hill 2011).
Ma quel che oggi al riguardo preoccupa di più è il possibile effetto domino del default greco sulle banche e sui bilanci degli Stati membri dell’Unione europea, effetto che pare ora mettere in allarme anche l’Italia dopo le possibili revisioni al ribasso del rating, appena annunciato dall’agenzia Moody’s a seguito di quello di Standard & Poor’s. Da qui anche l’ovvia caduta delle borse, in un’ulteriore singolare mistura fra pubblico e privato dove società di rating, spesso accusate di conflitto d’interessi, danno giudizi sulla tenuta economica di Paesi, determinando l’andamento dei mercati finanziari e pesanti riflessi sul debito pubblico.
Può allora la Banca centrale europea risolvere questa inedita crisi che minaccia l’euro e ora molti altri membri dell’Unione europea, compreso il nostro? E così impedire l’effetto domino? La risposta pare a me assai ardua qualora la Bce non abbia un governo di riferimento, che non è certo né il board del consiglio dei governatori, né l’Eurogruppo. Il suo assetto è atipico, contraddittorio e fragile, come ha ben rilevato Alessandro Plateroti venerdì sulle pagine di questo giornale, anche perché è stato meticolosamente disciplinato seguendo il modello tipico statuale. Ma ad essa manca il governo di riferimento, mai approdato a compimento attraverso i trattati da Maastricht ad Amsterdam, da Nizza fino a quello di Lisbona del 2009. La presenza invece, di uno Stato federale negli Usa ha finora impedito ogni effetto domino sugli altri Stati, ancorché il budget della California approvato proprio venerdì abbia nuovamente presentato un deficit grave e politicamente difficile da colmare.
Per concludere, pare a me doveroso sottolineare che la soluzione possibile a questa inquietante crisi economica e finanziaria può passare solo da una maggior vocazione europea di tutti i Paesi membri, a incominciare dal nostro, per darsi finalmente una vera Costituzione federale, purtroppo finora abortita.
LA MONETA È L’ACQUA PER LA VITA DELL’ECONOMIA (SANGUE)
di Giuseppe Turrisi *
Come l’acqua è l’elemento essenziale nella vita dell’uomo, cosi anche la moneta si può paragonare all’elemento essenziale della vita di una economia; già il prof. Giacinto Auriti alle varie caratteristiche e affidate alla moneta diede la definizione di “sangue dell’economia”. Il corpo in cui circola poco sangue è anemico e se questo sangue esce dal corpo poco dopo si muore dissanguati. La moneta racchiude una serie di funzioni che superano anche il concetto di spazio tempo, in quanto per esempio, in una società in cui il futuro è reso sempre più incerto, l’accumulo di moneta da l’illusione di una “sicurezza” futura. Il principio di “speranza” oggettivo nell’individuo, riposto in uno strumento “il denaro” (alla mercé di speculatori di Forex), che racchiude un “valore” nel tempo per avere poi “assistenza sociale” o mezzi di sussistenza. Tali mezzi li dovrebbe garantire uno stato con altri cittadini. In certi paesi gli anziani per esempio non temono nulla perché la collettività si fa carico della loro vecchiaia. Nella nostra società “iper-monetizzata” in cui tutti parlano solo il linguaggio del denaro, questo diventa inevitabilmente “la riserva di valore” quindi di speranza per un improbabile futuro. Siamo al punto in cui ogni riferimento è saltato, da quello umano a quello civico a quello stesso finanziario. Una moneta debito che divora se stessa è come un sangue infetto che uccide il corpo in cui vive e in cui si riproduce. Il corpo è una unità indivisibile, immaginate se l’organo che produce il sangue ad un certo punto comincia a chiedere gli interessi a tutte le parti del corpo? Dopo un po’ i vari organi per restituire gli interessi sono costretti a rubarsi e truffarsi sangue tra di loro, pur di pagare gli interessi, non solo, ma ad un certo punto qualche organo più debole muore (fallisce) danneggiando inevitabilmente l’intero corpo. Nella “economia della solidarietà” e in uno stato di diritto dove (solo) sulla carta dovremmo essere tutti uguale, tutti dovrebbero fare tagli. Invece succedete che li devono fare tutti eccetto chi emette il sangue? E per quale motivo per qualche volta per esempio non si fa la moratoria del debito? E per quale motivo nessuno mai parla di sciopero fiscale, semplice tabu. Se vuoi contestare fallo ma solo dentro il tuo bagno e a voce bassa.
Sono oltre vanti anni che si fanno politiche di tagli, di aumentato tasse e svendita patrimonio pubblico (leggasi esproprio di sovranità), per una volta perché non si cancella il debito? (tanto non esiste). Se l’emettitore di sangue ragionasse, capirebbe che questo progetto è destinato ad autodistruggersi, quindi lui stesso morirebbe. Inevitabilmente, in un sistema si ha la necessità degli altri organi per vivere. Molte banche sono saltate o stanno saltando per questo motivo per la logica divoratrice dell’interesse della moneta debito. Ora il negozio di giocattoli conosciuto come “Democrazia” ha un articolo chiamato “Referendum” a cui ogni tanto i cittadini italiani sono chiamati a giocare; non che potrebbe essere uno strumento valido, ma nel contesto in cui siamo, ciò che decide il popolo, ammesso che sappia cosa ha deciso, per le imperocrazie finanziarie è solo un inutile dettaglio, che al massimo rallenterà un pochino il processo di trasferimento di proprietà dai cittadini ai banchieri o chi per loro.
La democrazia è quel gioco da dare agli stati per farli credere sovrani mentre i banchieri decidono l loro sorti. Tra l’altro se un referendum non gli piace, lo aggirano: vedasi “finanziamento ai partiti”.
La privatizzazione dell’acqua (forse perché non resistiamo alla sete e c’è un immaginario psicologico drammatico che si presenta alla nostra mente) segue le stesse regoli folli (volute da tutti i partiti) di privatizzazione. Come mai non ci si è stracciati le vesti, quando si privatizzava Bankitalia, o l’ENEL, o Telecom, non ultima un pezzo di ENI (notizia di pochi giorni fa) ed altri beni dei cittadini italiani.
Il principio non cambia anzi per la moneta c’è molta più speculazione che sull’acqua. In quanto l’acqua è una quota di mercato mentre con la moneta sei tutto il mercato. La moneta è l’acqua dell’economia e senza “acqua moneta” stanno morendo tante aziende togliendo posti di lavoro a cui è legata la dignità umana (in questo sistema); far fallire le aziende significa togliere posti di lavoro che significa non recuperare neanche più gli interessi per i banchieri, che a questo punto, mirano dritto ai beni sia privati che pubblici.
Quali beni? L’acqua pubblica? Si con i “SI” abbiamo rallentato un pochino la macchina della privatizzazione (leggasi esproprio scientifico) ma se non si esce subito dalla moneta debito e non si fa anche la moratoria del debito dovremo cedere non solo l’acqua ma anche il terreno in cui ci sono le sorgive (vedi Grecia). Siamo dei robò costretti a fare lavori che odiamo, a vivere in città inquinate, a consumare cose inutili che non ci servono, a vedere programmi televisivi che ci spiegano come dobbiamo vivere, a comprare tutto, anche la possibilità di pisciare.
Tutto questo con l’unico scopo di usare il più possibile “moneta debito”, e più se ne usa più si guadagna in interessi. Il nostro ex Stato ha dovuto prendere in affitto da un perfetto sconosciuto che paradossalmente è ricchissimo (anche se la ricchezza siamo noi) la moneta debito per poterla utilizzare (avevamo una casa di proprietà e l’abbiamo regalata per andare in affitto).
Ma per l’acqua ci siamo svegliati!!!! Che bello? E sarà ancora più bello quando si capirà che non è servito a niente e che si sono solo spesi altri euro (moneta debito)
Chi ha il coraggio di raccogliere le firme per uscire dall’euro e per la moratoria del debito (inesistente)?
Giuseppe Turrisi
* L’ ECONOMISTA MASCHERATO, venerdì 17 giugno 2011:
http://leconomistamascherato.blogspot.com/2011/06/la-moneta-e-lacqua-per-la-vita.html