SOCIALISMO O BARBARIE? PER LA CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICA. Quando la finanza divora l’economia ...

IL CAPITALE FINANZIARIO (1909): LA CONTINUAZIONE DEL "CAPITALE" DI MARX. L’opera di Rudolf Hilferding compie cent’anni. Una nota di Lucio Villari - a cura di Federico La Sala

sabato 6 giugno 2009.
 


Compie cent’anni "Il capitale finanziario" di Hilferding

Il testo è un classico del pensiero politico

Quando la finanza divora l’economia

L’autore scomparve nel nulla in una cella della Gestapo

di Lucio Villari (la Repubblica, 6.06.2009)

Rudolf Hilferding scomparve nel nulla in un giorno del 1941 in Francia, in una prigione della Gestapo. Nel nulla, significa che non si sa se fu ucciso o se, come il suo conterraneo Walter Benjamin, si sia suicidato per sottrarsi al nazismo. Era riuscito a fuggire dalla Germania nel 1933, rifugiandosi in Svizzera. Tenuto d’occhio dalla polizia tedesca, decise nel 1938 di trasferirsi a Parigi. Dopo la sconfitta militare della Francia nel giugno l940 e la creazione del governo collaborazionista di Vichy, Hilferding capì che l’unica via di scampo era la fuga negli Stati Uniti. Recatosi a Marsiglia per imbarcarsi su una nave di linea, fu arrestato da agenti di Vichy e consegnato ai nazisti. Interrogato e torturato, è probabile che il suo fisico - aveva sessantaquattro anni - non abbia retto. Non è rimasta testimonianza della sua fine.

L’accanimento del governo nazista nei suoi confronti si spiega con il fatto che egli era uno dei pochi oppositori a non essere riuscito a far perdere le proprie tracce nel flusso imponente dell’emigrazione politica tedesca verso l’America rooseveltiana. Per quanto ormai solo e inerme, Hilferding era pur sempre un simbolo vagante di un tempo di libertà e di democrazia che gli esponenti della nuova Germania volevano far dimenticare.

Nel 1909, esattamente cent’anni fa, aveva pubblicato un’opera che si può considerare un classico del pensiero economico e politico del Novecento, Il capitale finanziario. Fino al 1933 era stato una figura centrale della politica e dell’economia tedesca ed era riconosciuto come uno dei maggiori studiosi marxisti.

Era stato ministro delle finanze in vari governi della repubblica di Weimar ed esponente di primo piano della parte moderata del partito socialdemocratico. Ora, mentre le armate tedesche erano vittoriose su tutti i fronti d’Europa, veniva inghiottito dal silenzio.

Nato a Vienna nel 1877, Hilferding apparteneva a quel tempo dell’Europa borghese e socialista di fine Ottocento e del primo Novecento quando gli studi sulle società contemporanee, il confronto con la modernizzazione industriale, i partiti politici che si ispiravano a un liberalismo critico e a un socialismo riformatore, parevano confluire in quel contrastato rigoglio filosofico e politico che come un fiume senza argini scorreva in Europa e in Russia lambendo gli Stati Uniti d’America.

La sua formazione e la sua adolescenza furono tedeschi e in Germania, dove si era trasferito con la famiglia, Hilferding rappresentò quell’avanguardia di sociologi e filosofi (da Rathenau alla Scuola di Francoforte) indagatori del loro tempo che fiorirono a Weimar. Come socialista rappresentò il conflitto tra chi credeva nell’evoluzione pacifica della lotta di classe e nel binomio democrazia-socialismo (era questa la Seconda Internazionale), e chi credeva nel socialismo come superamento della democrazia borghese, come comunismo, (era la Terza Internazionale di Lenin e del colpo di stato dell’ottobre l917 in Russia).

Hilferding accettava lo spirito del Marx perplesso nei confronti della rivoluzione proletaria e, specie dopo il fallimento della Comune di Parigi nel l871, più incline a una via democratica e parlamentare al socialismo. Hilferding aveva l’idea di una democrazia dove il socialismo e il marxismo fossero parti essenziali del governo amministrativo e della crescita sociale di un sistema sociale capitalistico e "borghese".

Questa ipotesi sarà per decenni il tormento irrisolto di gran parte della sinistra politica europea, ma, per restare nel campo dell’economia, fu assimilata da Schumpeter e in parte dallo stesso Keynes, da Joan Robinson e, in anni più vicini a noi, da Paul Sweezy e Paul Baran, dai nostri Caffè e Sylos Labini e da pochi altri. È tuttora un metodo aperto e operante, ad esempio, nelle Università americane.

Marx aveva indagato il capitalismo di metà Ottocento, occorreva ora studiarlo in un Novecento che esordiva con soggetti e oggetti nuovi. Agli inizi di un fantastico e moderno Novecento andavano snidati i segreti dell’egemonia di un capitalismo che appariva vitale e sostanzialmente inattaccabile dalle lotte operaie. Dal capitalismo dei padroni delle ferriere era germinato, grazie anche al petrolio, alla chimica e all’elettricità, il capitalismo delle società per azioni, delle banche, degli "affari" regolati e controllati dai nuovissimi e veloci strumenti del telegrafo, del telefono, della radio.

È quanto fece Hilferding in Il capitale finanziario. Era il 1909 e il capitalismo americano ed europeo scontavano una gravissima crisi finanziaria e bancaria (simile in parte a quella che stiamo vivendo) esplosa nel l907. È intorno a questa crisi (l’impianto dell’opera e la sua struttura erano già chiare nel 1905, l’anno in cui era comparsa negli Stati Uniti la critica Teoria dell’Impresa di Thorstein Veblen) che Hilferding scrisse la "continuazione" del Capitale di Marx.

Nella prefazione Hilferding dettò parole sorprendenti per la loro attualità: «La caratteristica del Capitalismo "moderno" è data da quei processi di concentrazione che, da un lato, si manifestano nel "superamento della libera concorrenza", mediante la formazione di cartelli e trusts, e, dall’altro, in un rapporto sempre più stretto fra capitale bancario e capitale industriale. In forza di tale rapporto, il capitale assume (...) la forma di capitale finanziario, che rappresenta la sua più alta e più astratta forma fenomenica. Lo schema mistico che vela in genere i rapporti capitalistici raggiunge qui il massimo della impenetrabilità».

Il capitale finanziario "penetrò" in quel capitalismo, ne tolse il velo mistico e fu subito al centro di dibattiti e riflessioni che solo la prima guerra mondiale, scoppiata cinque anni dopo, interruppe. Ancora nel 1916 Lenin fece sue le tesi dell’avversario Hilferding immaginando però (e sbagliando) che quel capitale finanziario fosse la fase suprema ma ultima del capitalismo e che aprisse perciò la strada alla rivoluzione proletaria.

L’opera di Hilferding non lo autorizzava a questo, anche se Il capitale finanziario si chiudeva con queste inquietanti parole: «Il capitale finanziario è la più compiuta realizzazione della dittatura dei magnati del capitale. Ma appunto perciò la dittatura dei capitalisti che dominano uno Stato entra in contrasto sempre più aspro con gli interessi capitalistici degli altri Stati. Nello scontro violento degli inconciliabili interessi, la dittatura dei magnati del capitale si rovescia, infine, nella dittatura del proletariato».

-  Foto.

-  Rudolf Hilferding, drawing by Emil Orlik, 1925.
-  Archiv für Kunst und Geschichte, Berlin


Sul tema, nel sito, si cfr.:

Così "il Dio del denaro" inganna Papa Ratzinger, e Papa Ratzinger inganna gli uomini.... e rende cieco anche Enzo Bianchi

DIO E DENARO. "REGINA PECUNIA". L’intervento di Massimo Cacciari a "I Classici" di Bologna

-  KARL MARX NON ERA UN "MARXISTA" E "IL CAPITALE" DI KARL MARX E’ UNA CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICA CAPITALISTICA E DELLA TEOLOGIA CATTOLICO-MAMMONICA (Benedetto XVI, "Deus caritas est", 2006).
-  IL CAPITALE DI REINHARD MARX: UNA ENNESIMA APOLOGIA DEL "PLATONISMO PER IL POPOLO" E DEL RAPPORTO SOCIALE DI PRODUZIONE CAPITALISTICO.


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