di ADRIANO PROSPERI *
SI CHIAMA G8 dell’Università. Si svolge in una Torino dove è ancora fresca la memoria della contestazione operaia al Lingotto. Ci saranno anche qui episodi di quel genere? Qualcuno tenterà di gettare giù dalla cattedra un Magnifico Rettore? Un fatto è certo: operai e studenti non sono più uniti come nel ’68. Ma li unisce tuttavia un disagio profondo, una difficoltà di vedere la luce oltre il buio della crisi. E la crisi degli studenti ha in comune con quella degli operai questa sensazione di vivere un presente senza futuro.
Verrà qualche risposta da Torino? I segni che vengono da questa città sono importanti per tutta l’Italia. Qui il Primo Maggio 2009 è caduto tra il processo per i sette operai morti nel rogo della Thyssen-Krupp e le notizie dell’avanzata nel mondo della Fiat di Marchionne: una tragedia e una speranza. All’università non ci sono tragedie. O meglio, ce n’è una così grande che non riusciamo quasi a vederla: in questo mondo di giovani non ci sono speranze.
C’è la sensazione diffusa di una delusione storica: un gran vento di delusione che frena le nuove leve, fa calare gli iscritti, inaridisce la generosità dei giovani e la loro naturale voglia di cambiare il mondo in un cinismo precocemente senile.
"Se rinasco non mi laureo": parole come queste si leggono spesso nelle confessioni dei giovani sul web: tanti i pentimenti e le frustrazioni per una laurea che non è servita a dare un lavoro soddisfacente. La crisi che morde sul vivo del tessuto sociale fa saltare le illusioni di una promozione sociale legata al titolo di studio.
Qui si vive alla giornata sotto la grandine di statistiche tutte deprimenti: calo degli iscritti, calo dei finanziamenti, riduzione dei corsi. A disagio è lo stesso ministro Gelmini che ha dovuto ammettere che i dati Eurostat sulla situazione dell’università italiana e sul numero di giovani laureati nel nostro paese ’non sono particolarmente brillanti e destano forte preoccupazione’. L’Italia, maglia nera nelle statistiche degli investimenti per la scuola e per la ricerca, lo è anche in quelle della percentuale dei laureati.
Naturalmente tutto può essere consentito ad un ministro fuorché la meraviglia davanti agli esiti prevedibili di scelte deliberate. Quello che la finanziaria lampo del ministro Tremonti ha voluto si sta realizzando passo dopo passo. E l’impoverimento delle nostre istituzioni di ricerca e di studio ne è la concreta risultanza. Ma la delusione sociale che circonda la scuola e l’università è un fenomeno che va al di là del contributo di questo governo.
È un sintomo importante di un momento critico di passaggio tra l’Italia contadina e analfabeta di ieri e il paese che sconta le sue deficienze profonde nella gara internazionale in atto proprio sul terreno della crescita culturale collettiva. Non c’è giorno in cui il livello di povertà estrema di idee e di valori portati dalle forze dominanti nel paese non si renda evidente al mondo intero.
La retorica xenofoba scatenatasi tra i contendenti interni al governo di destra per la conquista dei voti e per l’ormai aperta guerra di successione all’attuale leadership berlusconiana sta creando ogni giorno situazioni grottesche per l’immagine dell’Italia e degli italiani nel mondo intero. Il legame tra forze eterogenee unite oggi dall’obbedienza all’unico leader ma in lotta per la ormai imminente successione è fatto di poche e poverissime parole d’ordine. Spetta oggi a chi si oppone al paese incolto, depresso e corrotto che questo governo rappresenta e alimenta, cominciare a ipotecare il futuro.
C’è un’immagine che ha colpito i commentatori americani del rinnovamento della Fiat sotto la direzione di Marchionne: è stato detto che sotto di lui sono stati allontanati tutti quei settori dirigenziali che erano cresciuti a dismisura come un colesterolo a ingombrare le vene dove circola il sangue del lavoro operaio. Qualcosa del genere sarebbe necessario all’università: qui il colesterolo che incrosta la circolazione del sapere e rallenta la crescita intellettuale delle giovani generazioni è costituito dalla crescita di una serie di concrezioni burocratiche alla cui ombra si sono formati centri di potere e di corruzione.
Nella piccola borghesia italiana non si è ancora cancellata l’idea del titolo di studio come carta di accesso al club del privilegio. Mantenere i privilegi in una società formalmente democratica è possibile ad un solo patto: lo svuotamento e la falsificazione delle regole fondamentali del gioco. E se questo accade nella politica e nell’economia del paese, non si vede perché dovrebbe restare indenne la divisione sociale del sapere. Così per garantire al figlio del potente barone della medicina gli stessi privilegi del padre è necessario svuotare di serietà i concorsi, trasformarli nel falso attestato di una gara intellettuale che non c’è stata.
La denunzia di questo stato di cose ha riempito le cronache, ma non ha portato a nessun serio cambiamento. Si è parlato molto di riforma delle regole ma questa riforma non è venuta. I segni che se ne conoscono si muovono lungo l’antico tracciato della dominante burocratica che ha soffocato sempre la dinamica creativa degli studi e della ricerca. La riforma che si prepara registra solo qualche aggiustamento destinato a mascherare l’assetto creatosi negli anni in Italia senza modificarlo. E l’assetto è tale da allontanare decisamente l’Italia dal quadro della competizione intellettuale per attirare i migliori e emarginare i pesi morti.
Una volta Giorgio Pasquali si augurò che l’università abbandonasse "l’ipocrisia, che è insieme gioco di bussolotti, dei concorsi". Quel gioco oggi è più pesante e squalificato che mai, almeno da noi. Ma è l’intero mondo universitario italiano a soffrire di un discredito sociale diffuso che lo accomuna nella mentalità corrente agli altri luoghi di potere e di ricchezza - luoghi dove la corruzione è ammessa come un dato incancellabile, una condizione essenziale dello stesso funzionamento normale delle cose. C’è chi dice che la corruzione in Italia è un fenomeno incancellabile, che fa parte del costume o addirittura del Dna degli italiani, che si lega a una storia diversa. A queste valutazioni, frutto del clima depresso e confuso in cui viviamo, bisogna reagire. A chi guarda al futuro della società italiana deve stare sommamente a cuore la funzione viva e vitale dell’università come luogo fino a oggi unico in Italia di trasmissione del sapere e di avvio alla ricerca. E’ qui che si gioca una partita decisiva per il paese.
Dalla sessione del G8 dell’università ci aspettiamo uno sguardo severo sulla realtà attuale per tanti aspetti poco rosea della condizione degli studi ma anche la capacità di guardare alle cose con la prospettiva lunga del tempo dei giovani. Anche in Italia l’università è oggi finalmente una realtà di massa. Questo vuol dire che a tutti i livelli sociali e in tutte le regioni del paese l’università è entrata nell’orizzonte del futuro di ogni giovane come una possibilità, come una speranza. Non è più il passaggio obbligato di una minoranza che si trasmette col diploma di laurea un appannaggio di famiglia: o almeno non è più solo questo. Nella scala dei valori sociali quel modo di pensare appartiene al passato.
* la Repubblica, 19 maggio 2009
Sul tema, nel sito, si cfr.:
La Stampa, 19/05/2009
CITTA’ BLINDATA PER LA MANIFESTAZIONE DEGLI STUDENTI DELL’ONDA
G8 dei rettori, scontri e feriti
Due le persone fermate dalle forze dell’ordine
TORINO Scoppi, fumogeni, il rumore degli elicotteri che sorvolano l’area del castello del Valentino: a Torino scene di guerriglia urbana.
Quello che si temeva è accaduto: dopo che le prime linee del corteo degli studenti sono entrate in contatto con le forze dell’ordine, sono divampati gli scontri. I manifestanti, molti dei quali indossavano caschi e parastinchi e imbracciavano bastoni, sono arretrati. L’aria in corso Marconi si è fatta irrespirabile per i lacrimogeni lanciati dai tetti delle case circostanti.
Da un primo bilancio, risultano 19 feriti tra le forze dell’ordine: 17 poliziotti e 2 carabinieri che hanno riportato contusioni varie negli scontri o che sono rimasti intossicati dal fumo dei lacrimogeni. Dalle prime informazioni, pare ci sia un ferito anche tra i manifestanti: uno studente che avrebbe riportato un trauma facciale. Tutti si trovano ora nei vari ospedali della città per essere medicati.
Due le persone fermate dalle forze dell’ordine: si tratterebbe di due italiani. La loro posizione è al vaglio della polizia.
Il corteo è partito poco prima delle 12 e ha percorso via Po in direzione di piazza Castello. Migliaia i giovani giunti da tutta Italia e dall’estero. Gli ultimi ad arrivare sono stati gli studenti di Milano. Il corteo è stato aperto da un’onda fatta di cartapesta e da uno striscione con la scritta «Un’altra volta, un’altra onda. Voi il fallimento del presente, noi l’anomalia del futuro».
I giovani hanno distribuito tra i manifestanti un bigliettino con un numero di telefono da chiamare nel caso necessitassero di «supporto legale». Lungo il corteoerano presenti persone che indossano una pettorina arancione con la scritta «supporto legale» e il relativo numero di telefono.
L’invasione dell’Onda antagonista
Si temono i "black bloc" e fra tutti i greci che hanno devastato Atene
di M. NEIROTTI, M. NUMA (La Stampa, 19/05/2009)
TORINO Non è la città della paura, non lo è stata in tanti momenti bui. La Torino di ieri, di questa notte e, soprattutto, la Torino di questa mattina - il centro e i viali percorsi dagli antagonisti del G8 dei Rettori - è quella di un’attesa prudente nonostante voci d’allarme e rassicuranti verifiche. Di certo, mettendo insieme le stime di chi organizza il corteo e di chi dovrà controllarlo, si riuniranno da 4.500 a 6.000 giovani e non giovani di diversa matrice, formazione, idea della protesta. Scarti aggressivi dal percorso, bersagli improvvisati, tentativi d’assedio, di impatti con la forza pubblica sono un’eventualità quasi palpabile misurando gli arrivi di ieri sera e della notte: su una linea comune si muoveranno molte anime, più teste autonome con le loro ambizioni, la loro ricerca di visibilità, il loro concetto di contestazione.
Il pericolo più alto si chiama nichilismo: colpire e distruggere come obiettivo anziché strumento per un fine quale che sia. Una sorta di cammino su un terreno da esplorare prima di portarlo ai giorni di protesta che verranno in giugno a L’Aquila. Da tutta Italia stanno arrivando gli studenti dell’Onda, il movimento universitario, e quelli dei Collettivi che fanno riferimento all’area dell’autonomia. A Torino e nella sua Provincia c’è un forte radicamento anarco-insurrezionalista. La sola città può portare alla manifestazione mille persone, più studenti che si aggregano casualmente. I pullman, i treni, le auto fin da ieri riversano un arcipelago nazionale e internazionale. Sono già arrivati nel pomeriggio francesi, inglesi, tedeschi, spagnoli, un gruppetto di greci, che si portano addosso l’eco delle devastazioni di quest’estate nel centro di Atene.
La paura dei black bloc di genovese memoria fino a ieri sera era esorcizzata: anche nelle ore più tarde non risultavano arrivi dai loro luoghi d’elezione, il Nord Europa. Ma ci sono gruppi locali anarchici che si sono avvicinati a forme di lotta sempre più sulla via del terrorismo, quello che i Servizi definiscono «a bassa intensità», quello che a Torino già si è manifestato con i pacchi-bomba, con altri ordigni. Inseriti in una manifestazione di questa portata sarebbero micce coperte dalla confusione e dallo scoppio inatteso. L’Italia dell’antagonismo, dei centri sociali, si è mossa per tempo: sette pullman da Roma, tre dal Veneto, quattro da Napoli e altrettanti da Bologna, due da Genova. Dai treni sono scesi palermitani e milanesi.
C’è il collettivo universitario della Sapienza di Roma, ci sono centri sociali «duri» come quelli di Rovigo e Padova. Nessuno si nasconde che non sono venuti a reggere candeline a una processione. E, senza enfasi o allarmismi, diventa inevitabile pensare a un laboratorio che già pensa al giugno in Abruzzo, il G8 vero a L’Aquila. Il percorso è lungo, disseminato di obiettivi sensibili. Taglia il centro storico con il Rettorato, prosegue nel quadrilatero dello shopping di alto livello, si dilata nella grande piazza Solferino a trenta metri dall’hotel che ospita i rettori, già bersaglio di un’incursione subito respinta da polizia e carabinieri nella manifestazione di domenica pomeriggio.
Ridiscende costeggiando la stazione e piega in un’area multietnica, commerciale e lì si ritrova di fronte al castello del Valentino - la sede di architettura dove i Rettori stanno concludendo il loro incontro malauguratamente battezzato G8 - da tre giorni off limits, per ventiquattr’ore protetto dai reparti antisommossa. Oltre mille i poliziotti, i carabinieri e i finanzieri che presidieranno oggi Torino. Moltissimi in borghese, confusi tra la folla e nel corteo con i colleghi venuti dalle altre questure. Nel parco del Valentino e lungo il Po, le moto d’acqua, i motoscafi e i sommozzatori del Cnes di La Spezia. Poliziotti a cavallo controllano il parco, gli elicotteri sorvegliano dall’alto. All’esterno della zona calda, i reparti dell’Anticrimine, le volanti del 113, le gazzelle dei carabinieri. Le unità cinofile distribuite nei settori più a rischio. Una parte dell’apparato per forza visibile, ma l’impegno prioritario è quello del controllo senza fronte-a-fronte, dell’intercettare prima che sia necessario reprimere.
Che cosa ci si può aspettare? Il ventaglio delle ipotesi non è altro che lo studio per la prevenzione. E’ la forbice più ampia: da una marcia pacifica che sarebbe il vero successo della protesta (come accadde a Vicenza per la base Dal Molin) alle azioni isolate ed estemporanee, fino al tentativo di innescare una guerriglia. Certo è che l’obiettivo della giornata è il G8 dei Rettori, ma se dovesse prevalere l’area più incline alla violenza e al danno fini a se stessi, occasioni per inventare fughe lampo lungo i sette chilometri del percorso non mancano. E’ altrettanto vero che impegnare se stessi e le forze dell’ordine in scontri più o meno isolati vorrebbe dire raggiungere il castello-simbolo a riunione conclusa e stanze vuote. L’incognita maggiore è nella frastagliata identità dei gruppi arrivati ieri e in arrivo questa mattina. Si richiamano a ideologie di fondo comuni, ma con atteggiamenti spesso contrastanti. Fra loro, le frange del tutto autonome e quelle del tutto prive di un’identità, aggregate di volta in volta, spesso in contrasto e con finalità diverse da quelle di chi ha organizzato la protesta. Molto dipende dal contenimento che si riuscirà a esercitare all’interno del corteo prima che debba venire da fuori.
Attesi tremila manifestanti, mille poliziotti dispiegati
Pullman e treni da Milano, Padova, Roma, Napoli, Palermo
Incubo black bloc, la città blindata
Chiamparino: non sarà un’altra Genova
di PAOLO GRISERI *
TORINO - Un gioco molto pericoloso. Torino trattiene il respiro. Attende con ansia di sapere che cosa sarà questa sera: una città che ha visto confrontarsi civilmente studenti e rettori oppure il bonsai di Genova 2001 con il suo corollario di ferite profonde, difficili da rimarginare. Le premesse sono inquietanti. La tensione sale e solo questa mattina si saprà se tra i 2-3.000 manifestanti annunciati dagli organizzatori ci saranno i teppisti del black bloc. "Questa è pure inglese", dice il poliziotto che ha appena fermato una studentessa durante la cariche di ieri mattina. La studentessa è greca. Parla inglese perché, a differenza di molti italiani, con quella lingua comunica quando va all’estero. In ogni caso, il fatto di essere inglesi non dovrebbe costituire un’aggravante. Il dettaglio è rivelatore di un clima non proprio disteso. E nel quartier generale della protesta, nella palazzina dell’ateneo dedicata ad Aldo Moro, le delegazioni dell’Onda anomala di tutta Italia promettono pullman e treni da Roma, Milano, Padova, Napoli, Palermo.
Ci saranno gli studenti del Centro universitario autonomo ma anche quelli che si sono staccati dall’Onda e hanno organizzato il campeggio ecologista Sherwood sulle rive del Po. Ci saranno anche i milanesi dell’Onda che ieri annunciavano: "Marceremo su Torino e non accetteremo nessuna zona rossa". Nell’aula magna l’organizzazione è in mano al centro sociale Askatasuna: "Non ci lasceremo intimidire dagli incidenti".
La prima delle due cariche, della mattinata, si svolge di fronte al castello del Valentino, sede del cosiddetto "G8 dell’Università". Definizione quanto mai ingenua e inopportuna per la riunione dei vertici di una quarantina di università sparse in 19 paesi del mondo: "Vorrei che si usasse un’altra espressione. Questa è un freno e genera equivoci", confessa il rettore del Politecnico, Francesco Profumo, che più di altri colleghi ha voluto ospitare la riunione. Preoccupazione tardiva perché il solo nome "G8" promette di attirare in città studenti e contestatori da tutta Europa e se davvero, come dice il rettore, "non si vuole discutere di politica ma di economia, etica, ecologia", forse era meglio precisarlo prima.
Nelle stesse ore il rettore dell’Università, Ezio Pelizzetti, ha deciso di chiudere per 4 giorni la storica sede delle facoltà umanistiche di Palazzo Nuovo. Una scelta dettata dalla paura e da un malcelato risentimento nei confronti dei dirimpettai del Politecnico: "Quando nella mia università entrano manifesti che inneggiano ai black bloc - si giustifica Pelizzetti - non posso fare finta di nulla. E poi il G8 dell’Università è stato organizzato dal Politecnico senza coinvolgerci. E allora sapete che cosa vi dico? Siccome nessuno si è fatto carico delle possibili conseguenze del contro-summit, non vedo perché dovrei preoccuparmene io. Chiudo e basta. E facciano quello che vogliono".
Il bilancio della giornata di ieri non serve certo a calmare gli animi. Due cariche, tre fermati (poi rilasciati), un poliziotto e due manifestanti feriti, tra i quali una dirigente nazionale di Rifondazione. Ma è su oggi che si concentra l’attenzione. Il sindaco Sergio Chiamparino invita "tutti a non gettare benzina sul fuoco". Un appello erga omnes, come si dice? "Un appello a tutti. Dai media, alla politica. Ho sentito paragoni con Genova che mi paiono, sinceramente, fuori luogo. Sono dichiarazioni che rischiano di spingere le cose esattamente nella direzione che si vorrebbe evitare". Ma per il sindaco "ci sono comunque le condizioni perché si possano svolgere sia il summit dei rettori, sia la protesta civile di chi dissente. E penso che questo possa avvenire senza bloccare la vita della città". Oggi a vigilare sul corteo ci saranno un migliaio di agenti. Tutti sperano che, alla fine, si rivelino troppi per difendere il castello dei rettori.
* la Repubblica, 19 maggio 2009