[...] Alla vigilia di un regime conclamato, qualcuno ci ricorda ancora che esiste la dignità. La sua, di donna, moglie, madre. La nostra di cittadini. Non si tratta dunque di un affare privato, ma di una questione politica. E’ importante ricordarlo, perché ci sono momenti in cui il fiume della cattiva politica tracima in dato antropologico permanente, e questo è il passaggio che stiamo vivendo. Alcuni il confine l’hanno già superato, basta leggere i commenti di certi giornali o il linciaggio via Internet della destra alla signora Lario. Altri si allenano a farlo e altri ancora, una minoranza, non lo faranno mai. Si ostineranno, magari senza successo, a voler abbattere il muro dell’Immagine, che da quindici anni nel nostro paese ha preso il posto di un altro Muro. Ma quella era la storia, queste sono storielle piuttosto miserabili. Se a gridare "il re è nudo!" è la regina, forse il regno non durerà a lungo [...]
Se la regina grida "Il re è nudo"
di Curzio Maltese (la Repubblica, 30.04.2009)
Se a gridare "Il re è nudo!" stavolta è la regina, la notizia fa il giro del mondo. Del mondo più che dell’Italia, anche se il re, anzi l’imperatore, tocca a noi. Tutti i giornali e i siti del mondo titolano con caratteri di scatola le critiche di Veronica Lario al ciarpame politico di Berlusconi e aprono un dibattito sulla democrazia in Italia.
Da noi il dibattito è già chiuso, nascosto dai telegiornali o recintato nell’angusta dimensione del conflitto coniugale, troncato e sopito dai cani da guardia del giornalismo, sommerso infine dal mare della banalizzazione. I regimi sono sempre banali.
Le parole di Veronica Lario hanno aperto una breccia nel muro dell’immagine costruita intorno al potere. Per l’ultima volta, proviamo a guardare dentro e a guardarci da fuori.
Che paese stiamo diventando? Siamo un paese dove è considerato normale che il premier scelga veline, ballerine, presentatrici o comunque presunte sue conquiste per fare il ministro, il sottosegretario, il parlamentare italiano o europeo, un paese dove ragazze 18enni nemmeno parenti chiamano "papi" il presidente del Consiglio, dove padri di aspiranti candidate si danno fuoco davanti a Palazzo Grazioli. In qualsiasi democrazia (e perfino sotto molte dittature) questo modo di selezione della classe dirigente, solleverebbe ondate d’indignazione popolare e magari di semplice schifo. E qui è invece tutto un ammiccare complice, di uomini e donne.
La sesta o settima potenza industriale sembra felice di essere rappresentata da un premier che, essendo il più anziano in carica ai vertici internazionali, in quindici anni non ha mai pronunciato un discorso politico decente e viene ricordato all’estero soltanto per gaffe, scherzi, corna, battutacce da vecchio macho, regali da sceicco, vanterie sessuali, e per aver detto kapò, Kakà, cucù. Un’ampia maggioranza di cittadini apprezza che il premier si cambi d’abito quando deve recarsi sul luogo del terremoto, come fossimo a teatro. Sorride alle sue battute da schiaffi, "prendetelo un po’ come un campeggio". Applaude allo spostamento del G-qualcosa dalla Maddalena all’Aquila, invece di nascondersi sotto il tavolo dalla vergogna a una trovata così platealmente demagogica.
L’opinione pubblica, anche d’opposizione, si felicita con il premier che si è degnato finalmente di presenziare al 25 aprile, patrocinato ormai dagli ex fascisti, senza tuttavia resistere alla tentazione di cambiarne il nome e soprattutto di demolire nei fatti e ogni giorno il risultato, la Costituzione. Gli uomini sono per natura obbedienti, e alcuni popoli, come il nostro, più della media. Ma l’accettare come normale questo stato di servitù, in un’acquiescenza generale e finanche serena, non sembrava possibile. Berlusconi è stato abile, bravo, furbo, ad assuefare, per non dire a corrompere, un popolo intero o quasi. Ci siamo ridotti così un po’ alla volta, e ora tutto insieme.
Alla vigilia di un regime conclamato, qualcuno ci ricorda ancora che esiste la dignità. La sua, di donna, moglie, madre. La nostra di cittadini. Non si tratta dunque di un affare privato, ma di una questione politica. E’ importante ricordarlo, perché ci sono momenti in cui il fiume della cattiva politica tracima in dato antropologico permanente, e questo è il passaggio che stiamo vivendo. Alcuni il confine l’hanno già superato, basta leggere i commenti di certi giornali o il linciaggio via Internet della destra alla signora Lario. Altri si allenano a farlo e altri ancora, una minoranza, non lo faranno mai. Si ostineranno, magari senza successo, a voler abbattere il muro dell’Immagine, che da quindici anni nel nostro paese ha preso il posto di un altro Muro. Ma quella era la storia, queste sono storielle piuttosto miserabili. Se a gridare "il re è nudo!" è la regina, forse il regno non durerà a lungo.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
La svolta laica
di Giovanni Maria Bellu (l’Unità, 04.05.2009)
Sia chiaro. Due adulti consenzienti possono fare tra loro quello che vogliono. Basta che lo facciano a casa loro, oppure oscurino i vetri dell’automobile, e comunque non turbino l’innocenza dei bambini e, in definitiva, non commettano reati. A parte quelli imposti dal codice penale, i limiti al libertinaggio sono un fatto privato. Lo Stato non può, e non deve, pretendere di regolamentare la vita sessuale dei cittadini.
Il problema non è infatti la vita sessuale di Silvio Berlusconi (tralasciamo la questione delle minorenni in attesa dei doverosi accertamenti sulla loro età). Il problema è se un uomo pubblico debba o meno tenere una condotta di vita coerente con i principi che proclama. Se, cioè, sia accettabile che la stessa persona benedica il family day e divorzi, lanci proclami per la difesa della vita e condivida con la sua compagna un aborto al settimo mese, si circondi di sventole seminude e baci la mano al Papa. Il problema è se il capo della polis possa pretendere dai cittadini comportamenti che egli stesso non pratica.
La storia politica di un paese che anche il nostro premier considera un faro della democrazia, gli Stati Uniti, è punteggiata di carriere politiche distrutte da scandali sessuali. Tanto che il dibattito pubblico ha seguito un percorso opposto a quello italiano. Oggi si discute se questa pretesa di assoluta moralità - che ebbe nel caso Clinton-Lewinsky la sua manifestazione più esasperata - non sia eccessiva e puerile. Ma la pretesa di coerenza resta fuori discussione. Un anno fa il governatore dello Stato di New York, Eliot Spitzer, si dimise a furor di popolo quando si scoprì una sua relazione con una squillo d’alto bordo. Un altro forse se la sarebbe cavata facendo pubblica ammenda, ma Spitzer aveva costruito la sua carriera politica sulla moralizzazione: si faceva chiamare «Mr Clean». Ed era un puttaniere.
È una discussione che andrebbe fatta anche in Italia. Il nostro parere è che un leader politico debba dare l’esempio. Se passasse l’idea che il dovere della coerenza cessa a partire da un certo reddito o da una certa carica, il paese andrebbe in malora. Ma se ne può discutere. Si potrebbe anche arrivare alla conclusione che per governare l’Italia ci vuole un maniaco sessuale e che Berlusconi, con le sue uscite da vecchio satiro, non è ancora sufficiente. E che per tutelare la famiglia è indispensabile l’esperienza di chi ne ha distrutto un paio. E che la coerenza è la virtù dei cretini. E così via. Tutto è possibile nel nostro paese.
Ciò che sembra impossibile è proprio la discussione. Una notizia che ha fatto il giro del mondo è stata ridotta a una “breve” dai telegiornali pubblici e privati. I più devoti baciapile della destra sono diventati più laici di Pannella. E quel campione di coerenza di Daniele Capezzone, che di Pannella era seguace, è diventato muto. Il family day, evidentemente, era dedicato alla moralità dei cassintegrati e dei precari dei call center. Le scelte di vita individuali da qualche giorno sono diventate sacre. Salutiamo con gioia questa svolta laica del Pdl.
Berlusconi Sugar Daddy
di Furio Colombo (l’Unità, 03.05.2009)
Non governa, appare. Eccolo sulle macerie del terremoto. Eccolo piangere. Poi cambia argomento ed ecco il lampo di festa giovane
L’Italia è l’unico caso di una democrazia occidentale declassata al livello di Paese semi-libero. Lo ha dichiarato, il 29 aprile, la Fondazione americana “Freedom House” : «Troppa concentrazione di potere mediatico nelle mani di una sola persona che è anche il capo del governo».
Reazioni italiane alla grave denuncia? Nel corso della settimana si è udita solo la voce indignata di Veronica Lario, però a causa della disputa familiare ormai nota.
Nel silenzio di quasi ogni altra fonte, c’è da domandarsi se il grido di indignazione della signora Lario verso il marito Berlusconi non abbia di gran lunga superato le linee guida dettate da Massimo D’Alema per un corretto confronto politico. La personalità del Pd, con il peso della sua storia, ammonisce, in una vasta intervista al Corriere della Sera (29 aprile): «Se fai un versaccio al premier (...) significa scegliere un ruolo eterno di comprimario, fare la spalla a Berlusconi per i prossimi mille anni».
Sì, ma allora che cosa fare? Nel vuoto lo spazio è libero sia per il silenzio che per l’imitazione del presidente-padrone e dei suoi associati. Il silenzio per non correre il rischio di fare da spalla. L’imitazione - tipo tagliare il pasto ai bambini rom, come ha fatto il sindaco Pd di Pessano (Milano) «perché noi facciamo assistenza, non assistenzialismo», come dice la Lega.
A questo punto permettete a chi scrive di lasciar transitare un piccolo carico di memoria. Ciò che D’Alema ha detto al Corriere della Sera per illustrare l’errore grossolano di denunciare le malefatte del governo, lo aveva detto e scritto, con la stessa chiarezza, ai tempi de l’Unità appena rinata e subito accusata di esagerare con la sua «fissa» sul conflitto di interessi e le leggi ad personam. Altri tempi. Però allora, (segretario Ds Fassino) elezione dopo elezione, comuni, province, regioni si spostavano da destra a sinistra, oppure si radicavano a sinistra dove avevano governato ormai da decenni.
Ma l’ammonizione di D’Alema non riserva alcuna benevolenza a chi volesse disapprovare vivacemente il premier. Neppure nel giorno di «Papi Noemi». Noemi, come ormai tutti sanno dalla Sicilia alla Lapponia, è una adolescente bellina, che nell’entroterra di Napoli, ha celebrato i suoi 18 anni in compagnia del presidente del Consiglio, prontamente e misteriosamente apparso sul posto. È la neo-diciottenne Noemi a confidare al Corriere della Sera: «Certe volte lo chiamo Papi» (30 aprile). «Papi» in inglese si traduce «Daddy», se si parla del vero papà.
Ma l’espressione diventa «Sugar Daddy» quando riguarda un tipo straricco (”sugar”, zucchero, sta per dollari) che ronza intorno a una ragazzina infatuata. «Sugar Daddy», dunque, si fa trovare (per deliberata, stravagante strategia), in una notte buia, alla periferia di Casoria in un villone affittato per la festa. È la festa della «sua bambina» (tanto che in due giorni fiorirà anche la leggenda della figlia segreta). L’invadente leader d’aziende, di governo, di partito e di popolo compie dunque un passo nuovo. Non un passo di governo. Come si sa Berlusconi non governa. Berlusconi appare.
Non un passo politico. Come si sa Berlusconi è impegnato a portare il suo popolo fuori dalla politica e dentro il magico mondo della «audience», un mondo tipo Maria De Filippi. Come si sa Berlusconi, prima ancora dei voti, cerca «indici di gradimento». Lui sa che il gradimento porta voti e non il contrario. E peggio per chi non controlla un po’ di giornali e tutte le televisioni.
Ecco allora Berlusconi sulle macerie del terremoto, Berlusconi con i primi sopravvissuti dell’Aquila che piange, Berlusconi con i primi anziani delle tendopoli che ride, Berlusconi con soldati, vigili del fuoco, e i bambini. Poi cambia bruscamente argomento, come nei suoi telegiornali. Ecco il lampo di festa giovane di «Sugar Daddy», figlia o corteggiamento o bizzarria o inspiegata gentilezza. L’importante è che si accenda un’altra luce sulla nuova apparizione dell’unico governante che non governa. Ma viene regolarmente festeggiato dai suoi media come uno statista.
A questo punto Veronica Lario occupa il vuoto. E parla, indignata. Diciamo che tutto ciò riguarda la sua famiglia. Tranne il vuoto, che riguarda noi. Ripensiamo allo schema D’Alema: Berlusconi parla, canta, balla, appare e ricompare (più o meno non fa altro)? Tu fermo e zitto, se no gli fai da spalla.
Dunque noi, disciplinatamente in silenzio, aspettiamo che un professionista della politica ci spieghi il segreto: come vincere (o anche solo sopravvivere) restando buoni, bravi e zitti. Forse in attesa di fare le riforme «insieme».
CASA BERLUSCONI - LO STRAPPO FINALE
La scelta di Veronica: Silvio addio
La first lady si è già incontrata con l’avvocato: «Sono costretta a questo passo, non aggiungo altro»
di LUCA UBALDESCHI (La Stampa, 3/5/2009)
MILANO. La decisione l’ha presa. Verrà il tempo delle carte bollate e delle dispute legali, ma nel cuore e nella testa di Veronica Berlusconi c’è già ben chiaro che quella parola a lungo rimasta sospesa - divorzio - oggi non è più un tabù.
Ha già incontrato il suo avvocato e alle amiche più fidate ha confidato la scelta. I fatti dei giorni scorsi «sono un punto di non ritorno» per il suo matrimonio e non vede «alternative alla separazione». Raggiunta al telefono, la moglie del presidente del Consiglio non smentisce e si limita a un commento telegrafico: «Sono stata costretta a questo passo, non voglio aggiungere altro».
Determinata come al solito, sa che quella del divorzio è una decisione destinata a lasciare tracce non soltanto all’interno di una famiglia, ma sull’intera scena politica. Così, a chi le ha ricordato le qualità persuasive del premier, prospettandole la possibilità di un cambiamento d’idea, ha replicato che non c’è più nulla che il Cavaliere possa dire per farla recedere, per ricomporre un’ennesima volta i rapporti salvaguardando anche soltanto formalmente l’unità.
D’altronde non è un caso che non si siano più parlati da quando, martedì sera, Veronica Berlusconi ha sollevato il velo sui rapporti con il coniuge attraverso una dichiarazione all’agenzia Ansa: «Ciarpame senza pudore», era stato il suo giudizio a proposito del «caso veline», cioè la ventilata candidatura alle elezioni europee di alcune ragazze uscite da programmi televisivi e concorsi di bellezza. «Voglio che sia chiaro - aveva sostenuto - che io e i miei figli siamo vittime e non complici di questa situazione. Dobbiamo subirla e ci fa soffrire».
Ma non sono state le liste per il voto di giugno la reale causa di questa sofferenza. Il problema è stata la partecipazione del premier alla festa dei diciotto anni a Napoli di una ragazza, Noemi Letizia: «La cosa ha sorpreso molto anche me - aveva detto -, anche perché non è mai venuto a nessun diciottesimo dei suoi figli pur essendo stato invitato». Se si vuole parlare di casus belli, non ci sono dubbi che Veronica Berlusconi l’abbia visto lì. «Perché non mi interessa certo polemizzare sulle veline», è stato il suo sfogo, «anche se sono convinta che chi si candida a svolgere un servizio per la collettività debba avere una determinata preparazione, a prescindere dal lavoro che abbia fatto prima». La vicenda-elezioni, nel ragionamento della moglie del premier, è servita per la coincidenza temporale. Mentre leggere sui giornali «che frequenta una ragazza minorenne, perché la conosceva anche prima che compisse 18 anni», leggere «che lei lo chiama “papi” e racconta dei loro incontri a Roma o Milano, con i genitori che evidentemente non hanno da obiettare, ecco, quello sì che è inaccettabile. Come si può restare con un uomo così?». Con una postilla: «Che nonostante tutto questo mio marito abbia ancora un gradimenti altissimo e quindi non sia stato danneggiato dalla vicenda». Nei commenti dei giorni scorsi, per altro, sono rimbalzate ipotesi e illazioni, molte legate proprio a quell’espressione confidenziale pronunciata dalla ragazza, «papi». Chi glielo ha fatto notare ha avuto in risposta da Veronica Berlusconi poche parole: «Magari fosse sua figlia».
Quando, negli anni, sono emersi momenti di crisi nel rapporto tra il premier e la moglie, una domanda è ritornata con grande frequenza: perché lei non lo lascia? Ora la risposta prende forma. Un ruolo l’ha avuto il desiderio del Cavaliere e della moglie di provare a tenere unita la famiglia: magari le ragioni erano diverse, ma l’obiettivo in qualche modo coincidente. La first lady introduce però un elemento ancora più personale, cioè il fatto di dover accettare «il fallimento di una vita». Perché di questo si tratta, «dopo trent’anni che ci conosciamo, dopo tre figli, quando un matrimonio finisce così e non sono certo nelle condizioni di poter pensare di ricostruirmi una vita».
Se quindi adesso Veronica Berlusconi ha deciso per il divorzio è perché, a suo giudizio, «nulla è cambiato da quando gli avevo rivolto un ultimatum e la misura ora è colma». Il riferimento è alla lettera a Repubblica del gennaio 2007, scritta dopo la partecipazione del Cavaliere alla cena dei Telegatti. Belle donne - il futuro ministro Mara Carfagna fra loro - e commenti galanti del premier. «Affermazioni che interpreto come lesive della mia dignità», aveva scritto, «a mio marito e all’uomo pubblico chiedo quindi pubbliche scuse, non avendone ricevute privatamente». Le scuse arrivarono, il quadro familiare sembrò ricomporsi. L’estate scorsa, poi, ci furono anche le foto di loro due in vacanza, con i figli e Alessandro, il nipotino. La celebrazione dell’happy family? Una sintesi sbrigativa, si capisce ora. «Non è che tutto vada bene soltanto perché sono fotografata vicino a mio marito. Servirebbe uno sguardo più attento».
Molto si è parlato anche dell’aspetto economico, di un’unità preservata in nome di future spartizioni ereditarie. Alle amiche che le hanno fatto notare come anche in questi giorni qualche giornale sia tornato a battere il tasto dei soldi, Veronica Berlusconi ha riservato uno sguardo sconsolato: «Siete fuori strada, non c’entrano il patrimonio e le divisioni fra i figli. Se il problema fosse questo me ne starei tranquilla e non mi metterei in uno scontro frontale con l’uomo più ricco e potente d’Italia».
Scandalo per le “miss” di Berlusconi
La moglie del Cavaliere critica l’elezione di “ballerine” nella lista europea.
La fondazione di -Fini, il grande alleato del primo ministro, denuncia il suo machismo..
El País Internacional, venerdì 1 maggio 2009
Miguel Mora - Roma, 30 aprile 2009
(traduzione dallo spagnolo di José F. Padova)
Il primo, serio rovescio del terzo governo di Silvio Berlusconi è arrivato da un luogo impensato: il talamo coniugale. La sua seconda moglie e “first lady”, Veronica Lario, ha criticato molto aspramente il modo di fare politica di suo marito, lasciando intendere che è “maschilista” e tipica di un “imperatore”. La signora Lario ha dettato all’agenzia Ansa che impiegare soubrette, attricette e concorrenti del Grande Fratello per rinnovare l’immagine del partito in vista delle elezioni europee è una “vergogna impudica”.
“Si è lasciata manipolare dalla stampa di sinistra”, risponde Berlusconi.
Ella stessa ex attrice e ballerina, Lario confessa che questa politica fa “soffrire” lei e i suoi figli, che sono “vittime di questa immondizia machista”. “Qualcuno ha scritto che tutto questo serve per svagare l’imperatore”, ha sparato la signora Berlusconi. “Lo condivido”.
L’attacco della signora Lario, che già nel 2007 rimproverò suo marito di flirtare con Mara Carfagna, attuale ministro delle Pari Opportunità, ha causato un grande scompiglio in Italia e anche in Polonia, dove Berlusconi si trovava in visita di Stato.
Sebbene i nomi di diverse presunte candidate circolassero da alcuni giorni perché alcune veline televisive (così si chiamano adesso le eredi delle mamachicho [ndt.: ragazze coccodé della TV spagnola di anni fa]) avevano frequentato un corso accelerato di politica nella sede del Popolo delle Libertà (PDL), il partito non aveva confermato alcun nome in forma ufficiale.
Forse per questo Berlusconi rispose ieri alla “signora” fra l’irritato e il divertito. “Si è fatta manipolare dai giornali della sinistra e ha creduto in notizie assolutamente infondate. Mi disgusta”, ha detto, “che la signora sia caduta in questa manovra dell’opposizione”.
In realtà, le prime denunce di maschilismo rampante contro i casting delle ballerine-politiche sono partite dal think thank di Gianfranco Fini, il suo teorico delfino, compagno di partito e presidente della Camera dei deputati. Sulla rivista digitale della fondazione Fare Futuro la professoressa universitaria Sofia Ventura ha denigrato la politica “delle facce e dei corpi appariscenti e dei curricula vuoti”. Ieri Berlusconi ha confermato che presenterà “tre di queste supposte veline” nella lista di Strasburgo. “Verranno con me a ogni meeting e io chiederò loro se sono veline e loro spiegheranno quali sono i loro titoli [universitari] e quello che hanno fatto fino ad adesso. Faremo un figurone [ital. nel testo], una gran bella figura”.
Le tre giovani scelte (soltanto tre fra 69 candidati) sono Lara Comi (ex studentessa alla prestigiosa Università Bocconi di Milano e coordinatrice dei giovani di Forza Italia in Lombardia), Licia Renzulli (che fu candidata alle elezioni nazionali per la Regione Marche e coadiutrice volontaria in Bangladesh) e Barbara Matera, attrice e annunciatrice, con licenza magistrale a Roma e prefinalista del concorso Miss Italia 2000.
Da quel genio della pubblicità qual è (tutta Europa conoscerà le candidate del PDL prima delle proprie), Berlusconi ha ricordato che vuole “rinnovare la classe politica con persone colte, preparate e che garantiscono la loro presenza a tutte le votazioni”. “Mai e poi mai”, aggiunse, “il PDL porterà in Europa persone maleodoranti e malvestite come sono quelle, di certi partiti, che si aggirano negli emicicli parlamentari”.
L’enigma che adesso non lascia dormire gli italiani è un altro: perché Berlusconi la notte di domenica scorsa partecipò alla festa di compleanno di una ragazza napoletana di 18 anni, chiamata Noemi? Il Cavaliere percorse centinaia di chilometri da L’Aquila e attraversò le peggiori strade della Campania per portare di persona una collana d’oro e brillanti a Noemi, che lo ricevette al grido di “Ciao, papi!”.
Ieri si seppe che la ragazza studia (grafica pubblicitaria) ed è figlia di una bionda ex soubrette (un’altra) e di un funzionario comunale. Noemi è comparsa sui giornali con la sua collana e unghie finte e mostrando un libro sul PDL, regalo di “papi” e con dedica: “Alla mia piccola Noemi, alla mia piccola grafica pubblicitaria, dal suo paparino putativo”.
La ragazza spiegò che conosceva Berlusconi da quando era piccola e che lui “è un buon amico della famiglia” e rivelò che di frequente canta con il primo ministro le canzoni di Mariano Apicella, interprete napoletano delle melodie scritte da Silvio Berlusconi, e che lo vede “a Roma e a Milano, perché lui non sempre può venire, con tutto quello che ha da fare”.
L’idea del “papi” non è piaciuta per niente alla signora Lario, che invece di chiedere il divorzio si è lamentata con l’Ansa perché Berlusconi “mai è andato ad alcun compleanno per i 18 anni dei suoi figli, sebbene fosse stato invitato”. Il premier minimizzò la sua incursione napoletana: “È stato un brindisi con qualche foto. È un’altra strumentalizzazione. I miei figli? Mi sento il più amato di tutti i padri”.
E così si è conclusa la prima crisi coniugale del Governo Berlusconi, da ieri meglio noto nel Web come Governo Papi.
La Stampa, 30/4/2009
UN AFFARE DI FAMIGLIA
Veronica e il risiko di Arcore
I figli della first lady sono cresciuti e pretendono uno spazio tutto per loro
di MATTIA FELTRI
ROMA Si va avanti a suggestioni. «Anche la signora ha creduto a quello che hanno messo in giro i giornali. Mi dispiace», ha detto ieri Silvio Berlusconi dalla Polonia. E i massimi ermeneuti dell’espressione facciale - e così i filologi: «signora», non «mia moglie» - hanno letto la crisi irreversibile. Le dinamiche, lì dentro, sono strane. Veronica Lario (nome d’arte di Miriam Bartolini, in omaggio a Veronica Lake) sembra preccuparsi più della teatralità dei fatti che della loro sostanza. «Quello che succede è sotto gli occhi di tutti», ha confidato ancora ieri, ancorando le proprie ragioni alla cronaca: «Avete visto quell’uomo che ha cercato di darsi fuoco perché non gli candidano più la figlia?». Da dieci anni, dice, sta pensando al divorzio, e intanto la retroscenistica studia i dettagli, le foto mano nella mano, i rari raduni estivi della famiglia. Si litiga per la platealità del gesto, e platealmente ci si rappacifica. La novità - dopo l’articolo a Micromega in sostegno al pacifismo, l’intervista al Corriere in appoggio ai referendari della procreazione assistita, la lettera alla Repubblica in lagnanza delle galanterie del premier con Mara Carfagna e Aida Yespica - è che il marito è sempre pessimo, ma anche il padre precipita: si scopre a mezzo stampa che non ha partecipato al diciottesimo compleanno dei figli, perlomeno di quelli di secondo letto.
Come se il casato volesse svelarci a poco a poco i risvolti cinematografici che tutti si aspettano. «Non posso dire che sia la mia migliore amica», disse un giorno Maria Elvira, la primogenita, detta Marina e figlia, come Pier Silvio, di Carla Elvira Lucia Dall’Oglio. Si riferiva a Veronica, e lì nacque la leggenda della stirpe divisa, da una parte Veronica e i suoi tre ragazzi, dall’altra Marina e Pier Silvio, in mezzo il fondatore impegnatissimo ad appianare. Una questione di stile, a un primo sguardo. Barbara, oggi ventiquattrenne, se ne andò a farsi intervistare da Daria Bignardi e ne disse di tutti i colori. Confermò d’aver ceduto a Sandro Bondi i diritti dinastici sul mausoleo di Arcore, programmandosi il riposo eterno in un luogo più sobrio; quasi replicante del morbido distacco materno, spiegò che ai figli (nel frattempo ne ha avuto uno e aspetta il secondo) non avrebbe fatto vedere Buona domenica, i reality show e il Bagaglino, i quali erano non soltanto buona fonte di reddito ma anche l’orgoglio di Pier Silvio, gran capo di Mediaset. Quella dell’autonomia di pensiero è una carta calata con frequenza. In coppia con la sorella minore, Eleonora, Barbara comparve sulla copertina di Vanity Fair, e le fanciulle invitavano il babbo (anno 2004) a vendere le tv a Rupert Murdoch, cessione alla quale si erano opposti - e con successo, e con gran vanto - Marina e Pier Silvio; l’idea di Barbara, mai sposata dal padre, che le coppie omosessuali dovrebbero aver facoltà di convolare, e quelle eterosessuali di regolarsi senza matrimonio, sembrò quasi una innocente rivendicazione di modernità.
E però qui le cose si assommano. Barbara che, coi più filantropi rampolli milanesi, firma le borse in beneficenza ai popoli colpiti dallo tsunami; Luigi, il più piccolo, vent’anni, che accompagna i disabili a Lourdes. Ecco, Luigi, un’infanzia trascorsa in un’immagine che si direbbe da bamboccione, la sua fede marmorea («Telefono, chiedo di Luigi e mi dicono di richiamare perché è raccolto in preghiera. Richiamo e mi dicono che è ancora raccolto in preghiera. Ma allora sta dicendo messa!», raccontò Silvio), il suo amore per il Milan e Andry Shevchenko (il bomber che soffiò la fidanzata a Pier Silvio), il futuro designato da presidente del Milan.
Macché: nella celeste provvidenza crede ancora, ma ha deciso di provvedersi da sé. Proprio il giorno successivo alla lettera della madre alla Repubblica, il Sole 24Ore pubblicò la notizia che Luigi era entrato nel consiglio d’amministrazione della Holding Quattordicesima, attraverso cui Luigi e le sorelle controllano la loro quota di patrimonio. In realtà la controlla solo Luigi. Amministra gli averi di Barbara ed Eleonora, e li fa fruttare. Nel frattempo ha scoperto di avere il bernoccolo del banchiere («l’alta finanza mi appassiona davvero», ma lo disse in epoche meno tossiche) e proprio un mese fa ha dirottato cinque milioni della Holding Quattordicesima in un fondo della Sator, la banca di Matteo Arpe. I soliti notisti hanno ritenuto di ricordare che Arpe se ne era andato da Capitalia in gran baruffa con Cesare Geronzi, banchiere amatissimo dal premier perché il suo è l’unico istituto di credito «non in mano alla sinistra».
E insomma, gli incroci si fanno ingarbugliati, Barbara che si sta laureando con una tesi su Amartya Sen - l’economista della disuguaglianza - e che ambisce apertamente alla Mondadori. Eleonora, che pure studia economia a New York, e un giorno tornerà con mire e idee. E in questo gran concerto di aspettative su come impegnare le aziende e i denari e di opinioni su come dovrebbe andare il mondo, ogni tanto Veronica riemerge dalla assoluta dedizione alla famiglia, e punta il dito contro le bricconerie troppo esibite dal marito. Val la pena di vivere anche solo per vedere come va a finire.
Il governo s’ingrossa: Brambilla ministro, altri tre vice *
Michela Vittoria Brambilla ministro: alla fine Berlusconi ha mantenuto la promessa e ha dato alla sua pupilla una poltrona ministeriale. Continuerà a occuparsi di turismo ma, da adesso, in prima fila nel governo. La nomina - ha detto lo stesso premier - avverrà "presto". Il Consiglio dei ministri è riunito. Quella della Brambilla - ha fatto sapere La Russa - non sarà l’unica promozione: faranno un piccolo avanzamento anche i sottosegretari Roberto Castelli, Adolfo Urso e Paolo Romani, destinati a diventare viceministri. Un leghista, un aennino e un forzista: tutti contenti, secondo la vecchia logica della spartizione. Il governo si ingrossa così come i problemi del Paese.
La neo-ministra del resto ha già le idee chiare su come gestire il suo importante settore. Proprio stamane si è occupata del menù da riservare a Barack Obama e agli altri grandi della terra, nel G8 di luglio a l’Aquila. Parola d’ordine: "farli mangiare e bere abruzzese". Magari anche gli arrosticini di pecora, gli spiedini tipici. Di sicuro - lo ha confermato con un pizzico di orgoglio la quasi ministro - saranno tutti gli altri, dai 2000 giornalisti alle migliaia di ospiti e addetti del G8, a mangiare rigorosamente made in Abruzzo: "E capirannno bene in che straordinaria regione sono capitati", ha commentato la Brambilla.
* l’Unità, 30 aprile 2009
Il Cavaliere oggi vola a Milano per un chiarimento con la moglie
Il presidente del Consiglio ai suoi «Stavolta non mi scuso»
di Francesco Verderami (Corriere della Sera, 30.04.2009)
ROMA - Non sapeva se ridere o disperarsi, Enrico Letta: «Stanno per arrivare dati terrificanti sul fabbisogno dello Stato, e di cosa si parla? Di ’papi’». Perché in effetti non si parlava d’altro ieri in Parlamento, della diciottenne Noemi che chiama Berlusconi «papi» e dell’ennesima sfuriata di Veronica Lario contro il marito. Ma per quanto possa apparire paradossale non c’è differenza tra questa storia d’interno familiare e i conti dello Stato, perché lo scontro tra il premier e la sua consorte è un affare di Stato nel sistema della seconda Repubblica.
Così la «dynasty all’italiana» si è prepotentemente infilata nelle dinamiche politiche. All’ombra di una lite privata sulla suddivisione dell’asse ereditario- con Berlusconi a dir poco irritato con la moglie, «la signora», che starebbe cercando di «mettermi contro i figli» - si sono prodotti effetti sul Pdl e sul governo, con ministri e dirigenti di partito preoccupati per i contraccolpi d’immagine alla vigilia delle elezioni. Perché dopo il 25 aprile il Cavaliere è schizzato ben oltre il 73% nella fiducia degli italiani e il suo partito nei rilevamenti ha raggiunto «quota 45%».
Insomma, il rischio che la lite recasse danni c’era. Non a caso ieri mattina il Cavaliere ha commissionato subito un sondaggio, dal quale - così ha spiegato in serata ai suoi - «sono uscito vincitore». Gli italiani sarebbero dalla sua parte, «stavolta non dovrò chiedere scusa», come accadde nel 2007 dopo la lettera inviata dalla moglie a Repubblica. Tanto basta per capire quanto abbia inciso la faccenda privata nelle faccende pubbliche. Ecco perché martedì - venuto a sapere in mattinata delle intenzioni della moglie - Berlusconi aveva invano tentato di evitare che la questione esplodesse. Ecco perché oggi avrebbe intenzione di volare a Milano. Ecco il motivo per cui sarebbe saltato il pranzo con Fini.
D’altronde non sarebbe stata una colazione serena, dato che Berlusconi aveva il dente avvelenato con il presidente della Camera, perché la sua fondazione, Farefuturo, con un articolo aveva sparato a zero sulle «veline in lista», prima che la moglie lo attaccasse. Quando poi la signora Lario ha fatto riferimento proprio a quell’articolo, apriti cielo. È vero che Fini aveva in parte rettificato il tiro di Farefuturo, ed è vero che le liste del Pdl all’ultimo momento sono state in parte sbianchettate, «ma le candidature - racconta il coordinatore Verdini - erano concordate, Gianfranco ne era a conoscenza. Più volte l’ho sentito in questi giorni». La Russa conferma la versione del collega, «eravamo d’accordo su tutto, anche perché avevamo potere di veto sulle proposte ».
Il ministro della Difesa, chiamato spesso a fare da pompiere tra il Cavaliere e Fini, ci prova anche stavolta: «A parte il fatto che Gianfranco ha preso subito le distanze dall’articolo di Farefuturo, Silvio non ce l’ha con lui. Diciamo che gli attribuisce una sorta di ’responsabilità oggettiva’, come accade alle squadre di calcio che devono rispondere del comportamento dei tifosi sugli spalti».
Sarà, ma ciò non basta a placare l’ira del premier, pronto a sfidare tutto e tutti, facendo campagna elettorale «con le veline a fianco»: «Ho chiesto dei giovani perché non volevo che le liste fossero inzeppate dai soliti noti, per di più d’età avanzata. Mentre il Pd candida Berlinguer e Cofferati, alla faccia del rinnovamento. Ed è spregevole quello che hanno detto sul conto di alcune ragazze. La stessa cosa l’avevano fatta con Mara Carfagna. E poi...». E poi Franceschini ha riconosciuto che verso la ministra «gli uomini hanno mostrato tutto il loro razzismo inconsapevole, il loro maschilismo ». Insomma, dirà pure «cose sbagliate » ma è «preparata».
Non erano tuttavia solo le «veline in lista» il motivo del dissidio tra Berlusconi e sua moglie, e se la «dynasty all’italiana » è diventata un affare di Stato, è proprio il leader del Pd che l’ha spiegato nell’intervista alla Stampa, quando ha gettato lì che «dopo Silvio ci sarà Pier Silvio». Non era una battuta, c’era dietro un ragionamento sul sistema presidenziale caro al Cavaliere, e che riproduce il modello statunitense, dove da decenni le grandi famiglie si contendono la Casa Bianca: dai Kennedy, ai Bush, ai Clinton.
Ecco perché ieri non si parlava d’altro in Parlamento, nonostante la crisi, l’Abruzzo. E soprattutto il sì del Cavaliere al referendum. Una mossa dirompente. Perché è vero che il 21 giugno difficilmente la consultazione otterrà il quorum, ma ci sono alcune variabili che vengono calcolate nel Pdl: insieme al 12% degli italiani che andrebbe a votare per i ballottaggi, c’è un 15% di cittadini legati al referendum. Se poi a sostenerlo ci fossero Berlusconi, Fini e Franceschini...
Di qui alle Europee il premier non dirà altro sull’argomento, attenderà il risultato delle urne. E se davvero superasse il 45%, allora potrebbe anche decidere di dare un ulteriore segnale sul referendum. «E se passasse - come dice Cicchitto - sarebbe con quella legge che si andrebbe a votare». Magari in anticipo.