Riforme

"Smantellamento" dello Stato sociale che diventa un "IDIOTA ISTITUZIONALE" - di Vincenzo Tiano

sabato 11 febbraio 2006.
 

Bologna, via Ugo Bassi via Rizzoli. Splendide vetrine, abbondanti gallerie, donne impellicciate e uomini incravattati che freneticamente vanno a lavoro. Sotto i portici anche barboni, mendicanti, disabili affamati che non commuovono, né indignano. Soltanto accolti con indifferenza o burocratica presa d’atto. Di rado qualcuno si ferma e per compassionevole beneficenza o pubblica carità porge qualcosa. Talvolta qualcuno lo fa per assoluzione morale lanciando una monetina in esubero. Talaltra c’è chi non cela fastidio irritato o addirittura aperta ostilità. Bologna, una città ricca, moderna, sviluppata. Una città come tante dell’opulento Occidente, dove c’è chi è colto, bello e ricco e chi si mantiene ai margini della società in un mondo di esclusi dominato dall’egoismo. Dove con ipocrisia si esorcizza il fenomeno della miseria, chiamando senza tetto gli emarginati o esuberi i senza lavoro.

In Europa, stando ai dati della Commissione europea, 60 milioni di esseri umani vivono sotto la soglia della povertà. Negli Stati Uniti nel 2000 l’11% risultava privo di risorse. Una famiglia italiana su dieci è povera, secondo un rapporto dell’Istat dello scorso ottobre, un’altra vive a stento. Inoltre avanzano nuove categorie di poveri: i giovani senza certezza di lavoro e gli anziani soli e/o malati, creata dal crescente calo dei servizi pubblici. Vuoti a perdere è il titolo di una ricerca fatta dalla Caritas italiana e dalla Fondazione Zancan.

Miseria, o povertà, o indigenza sono la spia non solo di carenza individuale, ma anche di un disordine sociale. Non solo: l’individualismo è frutto di politiche sbagliate. Chi scrisse la Costituzione italiana sapeva. Difatti, proclama il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale per i lavoratori inabili e il diritto a cure sanitarie gratuite per gli indigenti. Disegna uno Stato sociale, il c.d. welfare state, uno stato in cui il diritto fondamentale è quello alla vita con i suoi “bisogni insopprimibili”. Una conquista dei movimenti sindacali e dei partiti popolari. La politica perseguita da Roosvelt, con l’esperienza del New Deal, dimostra l’importanza della sicurezza sociale.

Negli ultimi anni il sistema del welfare state viene smantellato, attraverso la tendenza alla riabilitazione del laissez faire, che informa le recenti riforme del governo Berlusconi, ma anche le politiche dei precedenti governi di centro-sinistra, che poco si discostano quanto a concezione solidaristica. Si ricordi la fine della commissione insediata dal governo Prodi. Nel linguaggio politico attuale sono scomparse le parole solidarietà, sicurezza, equità, benessere sociale. In connessione con la globalizzazione le lobby internazionali si candidano a gestire, a fini di lucro, servizi legati alle politiche del welfare, come ha sottolineato il giurista Francesco Guizzi. Anche i servizi sanitari e la pubblica istruzione. Questa è la fine dello Stato sociale.

I ministri Moratti e Storace capiscano che quando queste aree di profitto - che nello Stato sociale sono sottratte al capitale - sono aperte alla privatizzazione e al mercato, lo Stato diventa nient’altro che un ”idiota istituzionale”, per dirla con Colin Crouch. Questi parla di “commercializzazione” della cittadinanza e di post-democrazia. Intende significare che se tutte le attività esercitate dalla pubblica amministrazione vengono trasferite ai privati, la sconvolgente conseguenza è che il singolo fruisce nelle analoghe condizione di semplice consumatore di prestazioni, e non di cittadino. Alcune cose spettano o dovrebbero spettare alla persona umana in quanto tale e non in quanto consumatore. Storace come fa a essere esponente della destra sociale e stare in un governo che propone riforme in materia scuola, salute, costituzione che nulla hanno di sociale?

Quando lo Stato è assente come guida e aiuto cresce il divario tra ricchezza e povertà, alfabetizzazione e ignoranza. Aumenta soprattutto l’insicurezza e il disagio sociale. Non avvertendo il singolo uno Stato presente, si altera quel rapporto di fiducia tra lui e le istituzioni. Dilaga l’indifferenza dei benestanti e benpensanti nei confronti dei disagiati. Certo rimangono l’impegno e la generosità delle organizzazioni di volontariato, laiche e cattoliche, che un po’ riempiono il vuoto e l’inadeguatezza dell’azione dei pubblici poteri.

E’ vero: il governo di centro-destra ha ritenuto opportuno rispondere ai problemi creati dalla deformazione dello Stato sociale: assistenzialismo, trappola della povertà, dipendenza sociale, mancanza di intraprendenza. Ma ha risposto con un processo di smattellamento di esso. Bisognava e bisogna, a mio avviso, proporre un diverso e nuovo welfare che non associ alla dipendenza uno stigma negativo. Quanto si spingerà questa tendenza? Quando l’Italia finirà di copiare dagli altri, senza mai proporre novità? Fermiamoci alla scuola. Per riformarla abbiamo bisogno di guardare all’America? A nulla è valsa la cultura greco-romana, l’umanesimo e l’illuminismo, o la filosofia dell’800, che sono cose nostre? Da tutto ciò nessuna idea? Giovanni Gentile, filosofo e ministro, fece una grandiosa riforma, senza scopiazzare a destra e a manca. Chiusa la parentesi scuola, ritorniamo alla solidarietà.

Come valorizzarla e riscoprirla, come valore privato e pubblico? Si parta da un’educazione alla solidarietà e al senso civico, nelle scuole. Si continui nelle sedi istituzionali. Si facciano riforme innovative. Si conservi un modello che è tipicamente mediterraneo, cristiano, europeo: quello dell’ospitalità e della carità. Il prossimo governo faccia leggi che tengano conto di questi valori, invece di guardare ai modelli americani. Si ricordino che il fine non è il mercato, il profitto, l’efficienza. Anche la televisione la smetta di vivere per la pubblicità, portando avanti un’educazione occulta al consumismo. La conseguenza è allarmante: diminuisce sempre più il numero dei giovani che si interessano di problemi sociali, e cresce quello di coloro che parlano solo di uomini e donne, motori, abiti firmati ed eguali, discoteche prive di socialità. C’è, secondo me, una connivenza ben precisa tra le pretese dell’economia e il cedimento politico, tra il consumo sfrenato e la superficialità politica. In modo diverso: la politica non è libera.

Si ricordi con Paolo di Tarso e Kant che il fine è l’uomo. Se riceve assistenza - non assistenzialismo - , istruzione, rispetto ha una visione serena del futuro. Di volontà e ottimismo. L’Italia dia dimostrazione di grandezza. Per non essere l’ultima ruota del carro.

Vincenzo Tiano


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