Ponte sullo Stretto

Un ponte per... il capitale - di Francesco Saverio Oliverio

A quali interessi risponde la realizzazione del ponte sullo stretto?
sabato 4 febbraio 2006.
 

L’intervento dello stato nell’economia, attraverso la realizzazione di opere pubbliche è un rimedio considerato, da Keynes in poi, necessario per una serie di motivi. C’è chi pone in considerazione i benefici che ne derivano in termini di maggiore occupazione. Ma bisogna avere una buona dose di ingenuità per pensare che nel capitalismo gli investimenti pubblici siano dettati da semplici ragioni di welfare piuttosto che da motivi diversi da quelli dettati dagli interessi del capitale, che soprattutto in periodi di stasi e di recessione economica, non può fare a meno delle commesse statali (fabbricazione di armi in tempi di guerra, opere pubbliche in tempi “normali”). C’è comunque da distinguere negli interventi dello stato tra investimenti e investimenti. In economia politica quando si parla di combinazioni di fattori produttivi si fa una distinzione fra investimenti a forte intensità di capitale e investimenti che portano a una maggiore occupazione lavorativa. Nella logica del capitalismo c’è spazio per scelte che tengono conto unicamente della “redditività” dell’investimento. Esso si muove con assoluta indifferenza nella scelta della combinazione lavoro-capitale, badando unicamente all’obiettivo della realizzazione del massimo profitto. I capitalisti non si curano neanche della qualità del tipo di investimenti e sono così accecati dal dio profitto da non riuscire a vedere al di là del proprio naso, o meglio a non curarsi degli scenari che si prefigurano per il futuro in conseguenza delle proprie scelte: disastri ambientali, malessere delle masse, problemi di vario tipo che potranno affliggere le generazioni future.

«In una società in cui i singoli capitalisti producono e scambiano solo per il profitto immediato, possono essere presi in considerazione solo i risultati più vicini, più immediati. (...) Prendiamo il caso dei piantatori spagnoli a Cuba, che bruciarono completamente i boschi sui pendii e trovarono nella cenere concime sufficiente per una sola generazione di piante di caffé altamente remunerative. Cosa importava loro che dopo di ciò le piogge tropicali portassero via l’ormai indifeso humus e lasciassero dietro di se solo nude rocce? Nell’attuale modo di produzione viene preso prevalentemente in considerazione, sia di fronte alla natura che di fronte alla società, solo il primo più palpabile risultato». (tratto da F. Engels Dialettica della natura, citato in T. Bagarolo (a cura di) Marxismo ed ecologia, Nuove edizioni Internazionali, 1989, p.40)

Le grandi opere che sono nel programma dell’attuale governo lasciano pensare che le sue scelte non si differenziano più di tanto da quelle connaturate al capitalista tipo. Basti pensare alle ultime vicende sulla Tav o a quelle di Scanzano. Il fatto che l’attuale governo sia di destra non deve peraltro far credere che una compagine diversa, tipo centrosinistra, possa portare a scelte radicalmente diverse, a parte alcune differenze che potrebbero marginalmente manifestarsi nei processi decisionali. Il problema non è legato a una compagine di centrodestra o di centrosinistra, ma alla presenza o meno del capitalismo. La realizzazione del ponte sullo stretto di Messina solleva una serie di interrogativi. Innanzitutto quale sarà l’impatto di quest’opera sull’ambiente? E quale quello sul piano occupazionale? L’opera prevista è tanto mastodontica da apparire fantascientifica. Non esiste al mondo ponte, stradale e ferroviario, ad unica campata di 3300 metri quale quello voluto dal governo (attualmente il record è detenuto dall’Akashi Bridge, in Giappone, con i suoi 1991 metri). La sua realizzazione mette a rischio un habitat unico nel Mediterraneo, distinto anche per l’abbondanza di biodiversità. Chi propugna la realizzazione del ponte osserva che questa comporterà la creazione di numerosi nuovi posti di lavoro, ma quanti se ne perderanno nel lungo andare? Si parla della creazione di 40mila posti di lavoro precari ma si tace che alla fine verranno persi centinaia di posti di lavoro stabili. Basti pensare che gli addetti al traghettamento sono oltre 1200. Contro il ponte sullo stretto nello scorso mese di gennaio è stata organizzata una manifestazione a Messina. I promotori (cfr. www.noponte.org) hanno messo in evidenza una serie di motivi che fanno ritenere sbagliata la realizzazione dell’opera, sotto l’aspetto tecnologico, per i conti pubblici, per l’economia del Sud, per l’ambiente, ecc... Quanto ai conti pubblici è stato messo in evidenza che secondo stime ufficiali il traffico stradale previsto nel 2032 dovrebbe essere di soli 18.500 autoveicoli al giorno, mentre per pareggiare i conti mediante i pedaggi bisognerebbe garantirne perlomeno 100.000; viene osservato poi che quando il ponte andrà in esercizio, le Ferrovie dello Stato, a fronte del modesto traffico ferroviario, dovranno pagare una gabella annua, di ben 138 milioni di euro per contribuire a ripagarlo e per garantirne gli elevatissimi costi di gestione. Il ponte si prefigura inutile per l’economia meridionale a cui potrebbero essere destinati i 6 miliardi previsti e i 138 milioni l’anno, per opere più importanti e utili per l’ammodernamento e il potenziamento delle rete stradale e ferroviaria delle due regioni interessate, per la ristrutturazione degli scali aereo-portuali e l’incentivazione del trasporto marittimo. È più che mai necessario, alla luce delle considerazioni svolte, lottare per la piena tutela dei nostri territori, facendo prevalere un’idea per la quale essi devono essere al centro degli interessi dell’uomo piuttosto che del profitto. L’aggressione che l’attuale governo perpetra con violenza nei confronti del territorio è la stessa che viene riproposta dalle giunte regionali di centrosinistra che non rigettano in toto l’idea delle grandi opere ma mascherano semplicemente i propri interessi attraverso scambi e contrattazioni del tipo no al nucleare ma si al carbone, no al ponte sullo stretto ma si alla Tav. Non è un caso se il centro liberale dell’Unione ha disertato la manifestazione del 22 gennaio di cui si è detto e se la Regione Calabria, guidata da una giunta di centrosinistra, appare, così come la Regione Sicilia guidata dal centrodestra, fra gli azionisti della “Stretto di Messina S.p.a.” la società costituita per la progettazione, realizzazione e gestione del ponte. L’iter procedurale a partire dall’ideazione del ponte inizia nel 1968 con passaggi che nel lungo percorso che ci divide da quegli anni non ha subito interruzioni, sia in presenza di governi di centrosinistra che di centrodestra. Senza eccezione per gli anni che vedono al governo presenti anche attuali dirigenti dell’Unione. Come nel 1998 anno in cui il progetto, su mozione del Senato, viene trasmesso al CIPE. Tutto ciò dimostra come sia poco credibile, nel caso di vittoria nelle prossime elezioni, il ripensamento del centrosinistra prefigurato nella bozza di programma. E’ impensabile che la compagine del centro liberale dell’Unione possa mettere in discussione gli interessi forti delle lobby capitaliste.

Francesco Saverio Oliverio


Rispondere all'articolo

Forum