UNIVERSITA’: RETTORI AQUIS, SOLDI A CHI SPENDE MEGLIO *
ROMA - Se il governo non invierà "segnali" concreti all’università, saranno messe in campo azioni "anticatastrofe", perche’ l’Italia "non puo’ rinunciare alla formazione superiore del proprio capitale umano ne’ alla ricerca". E’ l’appello che i rettori dell’Associazione per la Qualità delle università italiane statali (Aquis) hanno fatto oggi in una conferenza stampa all’ANSA. Una richiesta al governo e ai ministri di Economia e Istruzione per "iniziare immediatamente una trattativa per arrivare nei tempi più brevi possibile alla condivisione dei principi e dei criteri necessari alla stipula di accordi di programma". In assenza di segnali concreti, i rettori "non potrebbero allora non trarne le inevitabili conclusioni, dando seguito a tutte le iniziative necessarie per evitare la catastrofe dell’intero sistema universitario pubblico del Paese".
VALORIZZARE ’PUNTI DI FORZA’
Il ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca deve "puntare a rendere più competitivi i ’punti di forza’ del sistema universitario". E’ quanto chiedono i rettori dell’Associazione Aquis per la qualità negli atenei statali, in un documento presentato in una conferenza stampa all’ANSA. La valorizzazione delle tante eccellenze nel paese servirà ad "evitare il collasso per le situazioni critiche. Ma anche i ’punti di forza’ non riusciranno a reggere se i fondi vengono tagliati in modo indiscriminato come fa la manovra economica approvata".
RIDURRE TAGLI DRASTICI E GENERALI
I tagli "drastici e generalizzati" del Fondo di finanziamento ordinario delle Università previsti dalla manovra "dovrebbero essere ridotti con i prossimi provvedimenti finanziari governativi già a partire dal 2009". Lo affermano i rettori dell’Associazione Aquis in una conferenza stampa all’ANSA, chiedendo di liberare "quote di finanziamento che dovrebbero essere reimmesse nel sistema e ridistribuite, con gradualità ma in tempi certi e concordati, secondo parametri di qualità accertata delle performances degli Atenei nella loro gestione, innanzitutto, nella ricerca e nella didattica".
CONCORDARE PATTI DI STABILITA’
Ciascun Ateneo dovrà concordare un Patto di stabilità con i ministeri dell’Economia e dell’Istruzione e quindi arrivare ad accordi di programma. E’ quanto suggeriscono i rettori aderenti all’associazione Aquis per migliorare le performances del sistema universitario. La prima condizione che ogni Ateneo deve impegnarsi a soddisfare per poter sottoscrivere l’accordo di programma - hanno spiegato i rettori in una conferenza stampa tenuta nella sede dell’ANSA - è quella di concordare con i due ministeri l’effettivo e reale pareggio di bilancio allo stato presente e sul medio-periodo, anche elaborando un piano poliennale di politica del personale, ed eventualmente di rientro del deficit
NUOVO RECLUTAMENTO PER RICERCATORI
Nuove modalità di reclutamento ricorrendo a procedure del tipo della "tenure track". Le propongono i rettori aderenti all’associazione Aquis. In sostanza - hanno spiegato in una conferenza stampa tenuta all’ANSA - si tratta di reclutare attraverso posizioni di ricercatore a tempo determinato di sei anni al massimo dopo il dottorato, con valutazione di idoneità a numero prefissato con riferimento a ciascuna area scientifico-disciplinare. La valutazione sarà effettuata da commissioni composte a livello nazionale e internazionale, con quantitativi di posti di professore associato messi a disposizione dal ministero dell’Istruzione e cofinanziate da ciascun ateneo. Il tutto all’interno di una programmazione rigorosa che responsabilizzi in modo forte ciascun ateneo.
USCIRE DA AUTOREFERENZIALITA’
"Bisogna smettere di fare chiacchiere, evitare processi sommari e uscire dalla logica di autoreferenzialita". Lo hanno affermato i rettori dell’Aquis in una conferenza stampa all’ANSA.
MOLTI ATENEI GIA’ AL COLLASSO
Alcuni atenei sono già al collasso, altri se non cambierà qualcosa già al 2010 non riusciranno a chiudere in pareggio il bilancio. Lo hanno affermato i rettori dell’Aquis in una conferenza stampa all’ANSA. Per questo serve un cambiamento di politica: "bisogna che il governo accetti di ridiscutere la manovra finanziaria dell’estate, reimmettendo già nella finanziaria 2009 fondi per redistribuirli a seconda della capacità di spesa degli atenei e di parametri di qualità".
NO A LOGICA DEL FARE CASSA
No ad una logica che mira solo "a fare cassa". E’ la posizione espressa dai rettori dell’Aquis in una conferenza stampa all’Ansa. Oggi, hanno affermato i rettori, "riteniamo di dover assumere una precisa responsabilità, cioé prendere un’iniziativa che chiede al governo di rivedere la logica sottesa alla manovra finanziaria per quanto riguarda gli atenei italiani. Crediamo che la logica degi tagli indiscriminati ai finanziamenti delle università sia sbagliata perché mira solo a fare cassa per i bilanci dello stato a spese dei bilanci delle università. C’é bisogno al contrario - dicono i rettori - di indurre meccanismi negli atenei per una riqualificazione delle spesa".
TAGLI SONO LEGNATA SULLA TESTA
Le università sono pronte ad una operazione di "trasparenza nei bilanci" ma non possono correre il rischio di avere una "legnata sulla testa" con i tagli previsti. Lo hanno affermato i rettori dell’Aquis in una conferenza stampa all’ANSA.
ITALIA FUCINA DI CERVELLI
"Il sistema italiano è in grado di formare ricercatori di eccellenza che all’estero che ci vengono contesi. L’università italiana è in grado di formare capitale umano che va ad arricchire altri paesi". Lo hanno affermato i rettori dell’Aquis in una conferenza stampa all’ANSA.
AUMENTO TASSE CON QUESTI TAGLI
"Sono interventi impopolari, che ci auguriamo che non si debbano prendere, ma che invece ci saranno se rimarrà questa situazione di tagli generalizzati". Lo hanno affermato i rettori dell’Aquis in una conferenza stampa all’ANSA, parlando della "contribuzione degli studendi", ovvero le tasse universitarie.
DA 2010 TAGLI PER PAGARE ICI
Dal 2010 "ci saranno tagli pesanti all’università italiana per pagare l’Ici". Lo hanno affermato i rettori dell’Aquis in una conferenza stampa all’ANSA. "Ciò - hanno detto i rettori - obbligherà gli atenei italiani ad aumentare le tasse studentesche". "Abbiamo il dovere di far presente la necessità - hanno affermato i rettori - di entrare decisamente nella definizione di patti di stabilità ateneo per ateneo, superando la logica di autoreferenzialità".
BLOCCHI E OCCUPAZIONI NON SERVONO
"Non siamo favorevoli ad occupazioni delle università e blocchi della didattica. Crediamo che la miglior risposta in un momento difficile come questo sia che ciascuno nelle istituzioni svolga il suo compito". Lo hanno affermato i rettori dell’Aquis in una conferenza stampa all’ANSA. "I blocchi della didattica e le occupazioni non servono - hanno concluso i rettori - ma se il governo si arroccherà in una chiusura al dialogo la mobilitazione continuerà".
IN ATTO AZIONE DELEGITTIMAZIONE
"Serve un patto di collaborazione tra società civile e atenei, in quanto è in atto un’azione di delegittimazione da anni del sistema universitario che certo non lo merita". Lo hanno affermato i rettori dell’Aquis in una conferenza stampa all’ANSA. "Siamo tecnici, responsabili di atenei, e siamo fuori dalle logiche di partito".
DIFFICILE PAGARE PROSSIMI STIPENDI
La Conferenza dei rettori italiani (Crui) "ha oggettivamente un problema di funzionamento. Oggi il problema di molti rettori è riuscire a pagare gli stipendi del mese prossimo". E’ l’allarme lanciato dai rettori dell’Aquis in una conferenza stampa all’ANSA. "E’ difficile per chi guida la Crui trovare una sintesi e ci sono situazioni divaricanti. Bisogna - è il messaggio dei rettori - ottimizzare le risorse degli atenei rispetto alla loro specifica missione".
GELMINI VA SOSTENUTA NO ATTACCATA
"Siamo convinti che il ministro Gelmini sia disponibile ad accogliere le nostre proposte". Lo hanno affermato i rettori dell’Aquis in una conferenza stampa all’ANSA. "Dobbiamo sostenerla all’interno del Governo, non attaccarla" hanno aggiunto i rettori.
BISTURI CHIRURGO E NON MANNAIA
Il "bisturi del chirurgo e non la mannaia si abbatta sull’università italiana". E’ l’auspicio che i rettori dell’Aquis hanno espresso in una conferenza stampa all’ANSA. I rettori hanno anche sottolineato la necessità di appoggiare il ministro Gelmini in una politica a sostegno delle università.
VALUTARE E POI DARE RISORSE
Valutazione oggettiva, su parametri condivisi a livello internazionale. Pensano a questo i rettori aderenti all’Aquis per migliorare le performances del sistema universitario. "La valutazione deve essere elemento guida per la distribuzione delle risorse" hanno affermato i rettori dell’Aquis in una conferenza stampa all’ANSA. "E’ sbagliata la distribuzione a pioggia, anche all’interno degli stessi atenei"hanno aggiunto.
SU VALUTAZIONE INDIETRO DI 15 ANNI
Le università italiane "sono indietro di 15 anni nella valutazione". Lo hanno affermato i rettori dell’Aquis nel corso di una conferenza stampa all’Ansa. Ma senza una vera valutazione, è il messaggio provocatorio che i rettori hanno lanciato, "meglio sarebbe eliminare l’autonomia e tornare ad un sistema centralista degli anni ’70’’. Il patto di stabilità, sostengono i rettori, "é lo strumento essenziale per effettuare una vera autonomia degli atenei. Obiettivo è elevare il livello di tutte le università, ognuna con le proprie specificità. Senza autonomia - concludono i rettori - non si va da nessuna parte e l’autonomia senza valutazione è un concetto perverso".
CRISI E’ DIECI VOLTE ALITALIA
L’università "é dieci volte il caso Alitalia in termini finanziari" Lo hanno affermato i rettori dell’Aquis in una conferenza stampa all’ANSA soffermandosi sull’ipotesi di trasformare le università in fondazioni: "Diteci dove troviamo il cavaliere bianco per salvare l’università? Chi è che trova i soldi?".
PROTESTA COMITATO TRENTO
Il Consiglio di amministrazione d’Ateneo dell’Università di Trento, in programma il 28 ottobre, "non potrà che svolgersi in forma di assemblea pubblica alla presenza di studenti, ricercatori e ricercatrici, docenti, personale tecnico amministrativo". E’ questa la forma di protesta annunciata dal ’Comitato No Gelmini Trento’ contro le posizioni del rettore Davide Bassi. I motivi - spiega in una nota il comitato - sono da ricondurre alla "volontà del Rettore" espressa in una conferenza stampa organizzata dall’Aquis, presso l’ANSA a Roma,"di affrontare unilateralmente decisioni che riguardano tutte le parti dell’ateneo trentino (studenti, ricercatori e ricercatrici, personale tecnico-amministrativo, docenti). Ma anche "un modello di università, quello che Aquis propone a livello nazionale, che acuisce le già esistenti diseguaglianze nella qualità della formazione e della ricerca tra i diversi atenei d’Italia". "Riteniamo - concludono i rappresentanti del comitato - che un processo pensato con l’ambizione di costruire una nuova idea di formazione e di università non possa prescindere dalla partecipazione di tutti e tutte coloro che quotidianamente le danno vita". Al Rettore, infine, gli studenti e i ricercatori scrivono:"il 28 ottobre per il Cda d’Ateneo noi saremo in via Belenzani (sede del Rettorato). E Lei?"
NON SIAMO MONARCHI MA CHIAREZZA
I rettori "non sono monarchi ma funzionari dello stato. Ci dicano cosa si vuole fare dell’università e lo faremo, ma lo dicano con chiarezza". E’ questo il richiamo dei rettori dell’Aquis nel corso di una conferenza stampa all’Ansa. Questo perché, avvertono i rettori, "il taglio indiscriminato significa la morte di tutti e questo il paese non se lo può permettere".
FONDAZIONI MA DI DIRITTO PUBBLICO
Le Fondazioni possono essere utili per gestire la parte assistenziale. Lo ha detto Alessandro Finazzi Agrò, rettore di Roma Due, citando l’esempio del suo ateneo. "In questo caso - ha spiegato in una conferenza stampa all’ANSA - è un buon modello per fare una fondazione, ma si tratta di un soggetto di diritto pubblico non di una privatizzazione".
* Ansa» 2008-10-21 16:23
Sul tema, nel sito, si cfr.:
FLS
ITALIA
Quotazione in Borsa dell’acqua: NO grazie *
Noi sottoscritte/i ci uniamo alla denuncia del Relatore Speciale delle Nazioni unite sul diritto all’acqua Pedro Arrojo-Agudo che l’11 dicembre scorso ha espresso grave preoccupazione alla notizia che l’acqua, come una qualsiasi altra merce, verrà scambiata nel mercato dei «futures» della Borsa di Wall Street.
L’inizio della quotazione dell’acqua segna un prima e un dopo per questo bene indispensabile per la vita sulla Terra.
Si tratta di un passaggio epocale che apre alla speculazione dei grandi capitali e alla emarginazione di territori, popolazioni, piccoli agricoltori e piccole imprese ed è una grave minaccia ai diritti umani fondamentali.
L’acqua è già minacciata dall’incremento demografico, dal crescente consumo ed inquinamento dell’agricoltura su larga scala e della grande industria, dal surriscaldamento globale e dai relativi cambiamenti climatici.
È una notizia scioccante per noi, criminale perché ucciderà soprattutto gli impoveriti nel mondo.
Secondo le Nazioni unite già oggi un miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile e dai tre ai quattro miliardi ne dispongono in quantità insufficiente.
Per questo già oggi ben otto milioni di esseri umani all’anno muoiono per malattie legate alla carenza di questo bene così prezioso.
Questa operazione speculativa renderà vana, nei fatti, la fondamentale risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu del 2010 sul diritto universale all’acqua e, nel nostro paese, rappresenterà un ulteriore schiaffo al voto di 27 milioni di cittadine/i italiane/i che nel 2011 si espressero nel referendum dicendo che l’acqua doveva uscire dal mercato e che non si poteva fare profitto su questo bene.
Se oggi l’acqua può essere quotata in Borsa è perché da tempo è stata considerata merce, sottoposta ad una logica di profitto e la sua gestione privatizzata.
Per invertire una volta per tutte la rotta, per mettere in sicurezza la risorsa acqua e difendere i diritti fondamentali delle cittadine/i
CHIEDIAMO
Al Governo italiano che si sta delineando nel nostro paese chiediamo di:
prendere posizione ufficialmente contro la quotazione dell’acqua in borsa; approvare la proposta di legge Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque» (A. C. n. 52) in discussione presso la Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera dei Deputati; sottrarre ad Arera le competenze sul Servizio Idrico e di riportarle al Ministero dell’Ambiente; di investire per la riduzione drastica delle perdite nelle reti idriche; di salvaguardare il territorio attraverso investimenti contro il dissesto idrogeologico; impedire l’accaparramento delle fonti attraverso l’approvazione di concessioni di derivazione che garantiscano il principio di solidarietà e la tutela degli equilibri degli ecosistemi fluviali.
* * * primi firmatari
Alex Zanotelli, Dacia Maraini, Moni Ovadia, Luciana Castellina, Emilio Molinari, Nando Dalla Chiesa, Don Virginio Colmegna, Gino Strada, Mimmo Lucano..
Info: www.acquabenecomune.org
* Fonte: il manifesto, 09.02.2021
"Polizia contro le occupazioni"
Scuola, linea dura di Berlusconi. Gli studenti: non ci fermerà
di Carmelo Lopapa (la Repubblica 23.10.2008)
ROMA - Manda un avviso ai «naviganti». Che poi sarebbero studenti, famiglie, insegnanti e anche ai mezzi di informazione. «L’ordine deve essere garantito, lo Stato deve fare lo Stato». Le proteste e le occupazioni di questi giorni contro il decreto Gelmini e la riforma della scuola, frutto della strumentalizzazione «della sinistra e dei centri sociali», devono cessare. E il provvedimento del governo non sarà ritirato, tutt’altro. Silvio Berlusconi prova a liberarsi dall’assedio della piazza, dei coertei, delle assemblee e delle lezioni per strada. E trasforma la contestazione del mondo della scuola in un problema di ordine pubblico.
Poche ore prima di imbarcarsi sul volo che lo porterà per alcuni giorni in Cina, convoca il ministro dell’Interno Roberto Maroni. Con lui vorrebbe concordare le modalità di utilizzo delle forze di polizia per sgomberare scuole e atenei, girargli «istruzioni dettagliate su come intervenire». Poi, nel faccia a faccia pomeridiano col capo del Viminale per un’ora a Palazzo Grazioli, le cose andranno diversamente. Nessun piano di sgomberi, per ora. Sta di fatto che l’annuncio - fatto in conferenza stampa al fianco della ministra nel mirino Mariastella Gelmini - ha l’effetto di una carica di dinamite. Cortei e proteste anche non autorizzate da Roma a Milano. Altre occupazioni annunciate per oggi in mezza Italia. L’opposizione che si mobilita e accusa il premier di agire da «provocatore», di «soffiare sul fuoco», di meditare una «strategia della tensione». Il clima politico si surriscalda al punto da indurre il Quirinale a intervenire e lo stesso fa il presidente dei vescovi Angelo Bagnasco: «I problemi complessi non si risolvono con soluzioni semplici, servono moderazione ed equilibrio».
All’incontro con la stampa organizzato nel giro di poche ore per porre un argine al dilagare della protesta, Berlusconi si presenta con un minidossier di undici pagine sulla scuola e «tutte le bugie della sinistra». Lui, ex «studente modello e diligentissimo» che certo non avrebbe «mai occupato» una scuola, giudica semplicemente «falsi i messaggi dei leader della sinistra che sgambettano in tv» e che starebbe dietro la protesta coi centri sociali. E siccome «la realtà di questi giorni è ben altra di quella raccontata dai mezzi di informazione, ma è fatta di aule piene di ragazzi che intendono studiare», ecco la stretta, la svolta rigorista. «Non consentirò l’occupazione di università e di scuole, perché non è dimostrazione di libertà e democrazia, ma pura violenza nei confronti degli altri studenti, delle famiglie e nei confronti dello Stato». E preannuncia l’incontro che di lì a qualche ora avrebbe avuto a Palazzo Grazioli col ministro dell’Interno Maroni: «Gli darò istruzioni dettagliate su come intervenire attraverso le forze dell’ordine».
Polizia in azione, dunque, anche se dall’altra parte della barricata dovessero esserci, come ci sono, gli insegnanti. Linea dura anche sul decreto: «Sulla riforma della scuola andremo avanti», avverte in risposta a Veltroni che lo aveva invitato a ritirarlo. «Non retrocederò di un centimetro, avete 4 anni e mezzo per farci il callo». Alla Gelmini rimprovera sorridendo di aver sbagliato a parlare di maestro unico, «meglio dire prevalente», poi elenca una per una le «bugie» di sinistra e occupanti e pregi della riforma. Che intanto procede a gonfie vele in Parlamento. Respinte ieri al Senato dalla maggioranza le otto pregiudiziali costituzionali sollevate dalle opposizioni, la riforma viaggia verso il voto finale previsto per mercoledì prossimo.
L’ultima parola del premier è per la manifestazione del Pd del 25 ottobre. «È una possibilità della democrazia ed anche noi ne usufruimmo - riconosce a distanza al Veltroni che più volte glielo ha ricordato in questi giorni - Ma noi manifestammo contro la pressione fiscale del governo Prodi. La loro è solo contro il governo e non ha proposte».
A La Sapienza la risposta degli studenti. E da Roma a Torino i rettori dicono: no ad azioni di forza
di Federica Fantozzi (l’Unità, 23.10.2008)
UNA STUDENTESSA del primo anno, schiacciata tra la folla, libera la mano intrecciata a quella dell’amica per non perdersi, e risponde al cellulare: «Era mio padre. Ha paura che ci picchino». Sui gradini dell’aula magna de La Sapienza, molte matricole con la faccia da liceali, lontane dai megafoni e certe che si tratti di «un fermento spontaneo e apolitico». Anche i ragazzi dei collettivi - Dario, Francesco, Aliosha - fiutano la trappola: «Nessuno volantini per partiti e sindacati - gridano - Questo movimento rifiuta le bandiere. Chi è venuto a mettere il cappello se ne vada».
Eppure l’avvertimento del premier sigilla insieme le anime dell’occupazione, e la giornata cambia segno. Addio workshop e riunioni: scatta l’assemblea congiunta di tutte le facoltà. Non solo Lettere, Scienze Politiche, Fisica e Chimica, quelle occupate. I ragazzi, all’aperto, ascoltano e chiacchierano di altro. Valentina frequenta Psicologia, ha le treccine e la spilla arcobaleno: «Il governo risponde con militarizzazione e sgombero. Non lo accetteremo». «Non diciamo solo no - spiega una rossa con lentiggini e occhi acquamarina, secondo anno di Lettere - Faremo proposte». Per esempio? «Più ricerca, basta con i cervelli che all’estero fanno carriera. Più elasticità nei piani di studio. No ai manuali dei titolari di cattedra: non vogliamo venerare un prof, vogliamo imparare». Mai manifestato prima? «Al liceo, contro la guerra in Iraq». Antipolitici? «Fino a un certo punto» ammette un’altra.
Il primo punto dell’assemblea è Berlusconi, con Sacconi anti-scioperi e Brunetta anti-fannulloni. La richiesta è che il rettore Guarini neghi l’ingresso alle forze dell’ordine. Lui li accontenterà: «Rispettare la libertà di espressione e l’autonomia dell’università. Qui non si è mai ricorso ad azioni di forza e non lo faremo mai». Anche da Padova e Torino arriva lo stop dei rettori alle «prove muscolari del governo».
Francesco, aria da bravo ragazzo: «È un governo illegittimo e criminale. Non abbiamo paura». Giorgio rivela con orgoglio che a Fisica hanno fatto trovare i dipartimenti «serrati con la catena» perché «occupare significa bloccare laboratori, uffici, tutto». Aiuole piene di zaini, caschi, bottigliette d’acqua. Una ragazza beve da un biberon decorato. Perché occupate? Gli stessi motivi corrono di bocca in bocca: le tasse universitarie più alte, i tagli devastanti, le università in mano alle imprese private. Come lo avete saputo? Soprattutto dai Tg e grazie al passaparola. Ora le cose vanno bene? «No, ma così andranno peggio».
Al microfono «un papà delle elementari» sommerso di applausi: «Anche noi abbiamo occupato, dormito sui tappetini per una settimana, non abbiamo retto di più con i bimbi. Ogni notte pensavamo: speriamo che parta l’università. Tolgono il futuro ai nostri figli, ai vostri fratellini». Giorgio di Ingegneria è accolto da fischi di sorpresa: «Non partecipano mai». Il più lucido è Matteo Pacini di Studi Orientali: «Vogliono che reagiamo per screditarci davanti all’opinione pubblica. Dobbiamo essere determinati e intelligenti». Propone di portare la protesta al Festival del Cinema, alla Farnesina, davanti al Senato. Si impappina: «Non intendo ma... Mi spiace dirlo... Non possiamo essere faziosi».
Raggiante Dario da Psicologia: «La mia facoltà immobile da anni si è scossa». Entusiasmo per l’annuncio che Economia ha disturbando l’inaugurazione dell’anno accademico. Emiliano partecipa da lavoratore: «Lo studio è l’unica forma di liberazione della mente». Cori di «La Sapienza/Non ha più pazienza» e «Gente come noi/Non molla mai». Un isolato petardo al grido di «noi bruciamo tutto». Dario è uno dei leader: «Preoccupati? Indignati. Parole così non si sentivano dagli anni ‘60 e qualificano l’atteggiamento del governo».
Il rettore: niente agenti alla Sapienza
Occupazioni e cortei in tutta Italia. Lo slogan dei romani: io non ho paura
Traffico bloccato da sit-in improvvisati a Roma, Trieste e Milano.
Occupazioni a Torino e all’Orientale di Napoli
di Alessandro Capponi (Corriere della Sera, 23.10.2008)
ROMA - «Bloccare tutto, le università e le scuole, e anche le stazioni, e le città, e ovunque, davanti ad ogni portone d’ingresso delle facoltà, dobbiamo affiggere la scritta "Io non ho paura"». L’applauso, per lo studente di Fisica Giorgio Sestili, che parla alla Sapienza, ecco, l’applauso: dura minuti. «Io non ho paura», lo slogan nasce così. E in serata ecco la presa di posizione del rettore: Renato Guarini dice, semplicemente, che non autorizzerà l’ingresso della polizia perché «La Sapienza, anche nei momenti più drammatici e di maggiore tensione, non ha mai fatto ricorso ad azioni di forza».
Ma ciò che accade a Roma - nelle tre università romane - non è che un aspetto della protesta studentesca: in tutta Italia, da ieri, da quando Berlusconi ha promesso l’arrivo della polizia per sgomberare gli atenei, occupazioni e cortei si moltiplicano. Traffico bloccato da sit in improvvisati: nella Capitale, a Trieste, a Milano. A Napoli l’«Orientale è occupata », come spiega lo striscione all’ingresso. Le assemblee e i cortei non si contano. Milano, Torino, Firenze, Cagliari, Bari, Palermo, Napoli, Catania: ovunque, gli studenti si organizzano, fanno lezione all’aperto, sfilano. A Genova oggi ci sarà il funerale dell’università. Contro la legge 133, certo, ma anche per «resistere » alle «minacce del premier ». I rettori, come quello della Sapienza e quello dell’Aquila, dicono chiaramente una cosa: no alla polizia nell’università. Il 14 novembre, a Roma, manifestazione nazionale con studenti «universitari, medi e - spiega un altro dei leader della protesta, Francesco Raparelli - dell’intero mondo della formazione».
L’appello è per gli studenti di tutta Italia: «Occupate tutto». «Protestiamo in modo intelligente, come ha detto Napolitano - dice Sestili - facciamo cortei da giorni e non è successo nulla. È un movimento trasversale, qui parlano ragazzi di destra e di centro. Questa è la dismissione dell’università, ed è grave per tutti». Cartelli intorno a lui: «Blocchiamo le ferrovie», «né sapientini né manichini». Francesco, di Scienze politiche, dice che «questo governo è criminale ». A Milano cinquecento studenti fanno lezione in piazza Duomo e poi bloccano il traffico, un corteo a Trieste, un altro a Roma, uno a Bari. Il rettore della Sapienza, Renato Guarini, risponde così alle parole di Berlusconi: «Le criticità devono essere affrontate con un dialogo costruttivo, concordo con quanto detto da Napolitano.
Nella tradizione delle università europee l’ingresso delle forze dell’ordine viene autorizzato dai rettori». Lui, come detto, non ha intenzione di farlo. Per il Magnifico dell’Aquila, Ferdinando Di Iorio, le dichiarazioni del premier «sono gravissime. Non si rende conto su quale terreno si muove». La polizia dentro le università? «Qui non accadrà mai». A Firenze, in piazza della Signoria, lezione dell’astrofisica Margherita Hack che dedica poche parole al proposito di Berlusconi: «È una vergogna».
Davanti a una protesta per la riforma della scuola che si allarga in tutt’Italia e coinvolge studenti, professori, presidi e anche rettori, il Presidente del Consiglio ha reagito annunciando che spedirà la polizia nelle Università, per impedire le occupazioni. La capacità berlusconiana di criminalizzare ogni forma di opposizione alla sua leadership è dunque arrivata fin qui, a militarizzare un progetto di riforma scolastica, a trasformare la nascita di un movimento in reato, a far diventare la questione universitaria un problema di ordine pubblico, riportando quarant’anni dopo le forze dell’ordine negli atenei senza che siano successi incidenti e scontri: ma quasi prefigurandoli.
Qualcuno dovrebbe spiegare al Premier che la pubblica discussione e il dissenso sono invece elementi propri di una società democratica, non attentati al totem della potestà suprema di decidere senza alcun limite e alcun condizionamento, che trasforma la legittima autonomia del governo in comando ed arbitrio. Come se il governo del Paese fosse anche l’unico soggetto deputato a "fare" politica nell’Italia del 2008, con un contorno di sudditi. E come se gli studenti fossero clienti, e non attori, di una scuola dove l’istruzione è un servizio e non un diritto.
Se ci fosse un calcolo, le frasi di Berlusconi sembrerebbero pensate apposta per incendiare le Università, confondendo in un falò antagonista i ragazzi delle scuole (magari con il diversivo mediatico di qualche disordine) e i manifestanti del Pd, sabato. Ma più che il calcolo, conta l’istinto, e soprattutto la vera cifra del potere berlusconiano, cioè l’insofferenza per il dissenso.
Lo testimonia l’attacco ai giornali e alla Rai fatto da un Premier editore, proprietario di tre reti televisive private e col controllo politico delle tre reti pubbliche, dunque senza il senso della decenza, visto che a settembre lo spazio dedicato dai sei telegiornali maggiori al governo, al suo leader e alla maggioranza varia dal 50,17 per cento all’82,25. Forse Berlusconi vuol militarizzare anche la libera stampa residua. O forse "salvarla", come farà con le banche.
La repressione
di Michele Serra (la Repubblica 23.10.2008)
Neanche il più acerrimo detrattore del presidente del Consiglio poteva mettere in conto le desolanti dichiarazioni di ieri a proposito di scuola e ordine pubblico. L’uso della forza per reprimere i movimenti di piazza - e specialmente l’intervento della polizia nei licei e nelle università - è in democrazia materia delicatissima.
E lo è rimasta perfino negli anni di fuoco delle rivolte studentesche, quando l’ultima parola, in materia di ingresso della forza pubblica dentro i luoghi dello studio, quasi sempre spettava a rettori e presidi prima che ai questori.
Oggi, in presenza di un movimento inedito, molto composito (studenti, docenti, ricercatori, genitori: nella totalità utenti e dipendenti di un servizio pubblico) e fino adesso pacifico, il premier non sa opporre altro che un minaccioso e goffo proposito repressivo. In perfetta sintonia con la schietta invocazione di una soluzione poliziesca, Berlusconi ha snocciolato molto in breve (non ha tempo da perdere) un’analisi dei fatti di una pochezza desolante, riassumibile nella vecchia idea padronale "qui si lavora e non si parla di politica". Dimostranti e occupanti come impiccio sedizioso al corretto esercizio dello studio e di quant’altro, come se una società democratica non fosse il luogo naturale dei conflitti e della loro composizione politica, ma un’azienda di vecchio anzi vecchissimo stampo nella quale si lavora, si obbedisce e si tace. Eloquente il contrappunto del sottosegretario Sacconi, che denuncia allarmato la presenza nei cortei di studenti "politicizzati": ecco un politico che considera l’impegno politico come un’aggravante.
Si intende che Berlusconi abbia assunto queste posizioni frontali, e destinate ad accendere gli animi, perché si sente forte di un mandato popolare che, nella sua personalissima interpretazione, lo autorizza a portare a compimento i suoi propositi politici costi quello che costi, tagliando corto con le lungaggini, le esitazioni, le pratiche "consociative" e quant’altro minacci di attardare o contrastare le decisioni del governo. Ma anche ammesso che davvero l’aspettativa "popolare" predominante sia così brutale e sbrigativa, e che davvero il sessanta per cento degli italiani auspichi modi bruschi, il governo di un paese democratico ha il compito di rispettare e fare rispettare i diritti di tutti, non solo della sua claque per quanto vasta e agguerrita essa sia. Che fare di chi si oppone, come trattare quel buon quaranta per cento di italiani che ancora non ha appaltato il proprio destino, le proprie aspirazioni, il proprio modo di pensare a Silvio Berlusconi e ai suoi ministri?
E se poi il dissenso ha dimensioni di massa, e si dispiega � come in questo caso � sul terreno appassionato e vulnerabile della protesta giovanile, suscettibile di infiltrazioni di frange di violenti che non vedono l’ora di trovare un contesto favorevole, con quale smisurata irresponsabilità un presidente del Consiglio che se la passa da statista sventola per prima cosa il vecchio drappo reazionario della repressione? Gli "opposti estremismi", teoria semplificatrice ma dolorosamente verificata in passato da questo paese dai nervi poco saldi, mai avevano trovato uno dei propri espliciti agganci proprio nelle istituzioni. La vecchia ipocrisia democristiana conteneva al suo interno anche una salutare componente di senso dello Stato, e i lavori sporchi, e le maniere forti, procedevano per vie losche e sotterranee. E’ davvero un progresso scoprire, nel 2008, che è il premier in persona a invocare la maniere forti, in una sorta di glasnost della repressione? In un paese che ha pagato un prezzo spaventoso alla violenza politica e all’odio ideologico, con ancora la fresca memoria dei fatti di Genova, mentre già i titoli dei giornali di destra e alcuni slogan dei cortei di sinistra buttano benzina sul fuoco, che cosa si deve pensare di un presidente del Consiglio che divide la società in due tronconi, uno buono che lo applaude e l’altro cattivo da sgomberare con gli autoblindo?
E’ la prima volta, questa, che una delle puerili retromarce del premier ("mi hanno frainteso, non ho detto questo, sono loro che mentono") sarebbe accolta con sollievo.
Cosa dare agli studenti
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 21.10.2008)
Dobbiamo prendere atto di una realtà: l’analfabetismo civile della società italiana è un fenomeno gravissimo. E non è per caso che lo scontro sociale si sta riaccendendo intorno alla scuola. I giovani, le famiglie, gli insegnanti stanno prendendo coscienza di quello che li aspetta: una scuola pubblica pesantemente impoverita nei servizi, nel personale, negli edifici e nelle attrezzature. A cui si aggiunge una università di infimo livello, fabbrica di lauree ridicole e di docenti senza qualità. Il tempo è giudicato maturo da chi comanda per liquidare la pesante struttura della scuola pubblica e per affiancare all’università pubblica in via di smantellamento fondazioni private capaci di velocizzare la fornitura del personale tecnicamente preparato e civilmente incolto richiesto dal sistema produttivo.
La giustificazione che regge la proposta è quella dello stato di crisi delle finanze pubbliche, aggravato oggi dalla tempesta mondiale delle banche. Ma la voce che si leva dalle piazze e che trova la via dei fax e delle mail per raggiungere il Quirinale dice che, accanto alle banche, prima e più delle banche, c’è ancora chi vuole salvare la formazione dei giovani e la qualità del nostro sistema della ricerca universitaria. È urgente affermare che qui si gioca una partita strategica essenziale. Prenderne coscienza è fondamentale. Lo stanno facendo le famiglie, gli studenti, i docenti, con proteste e richieste di interessi diversi, non sempre componibili tra di loro. Alle famiglie la riforma minacciata per decreto renderà più complicato raggiungere scuole accorpate, più ridotto il tempo dell’affidamento dei figli, più povera l’offerta culturale. Agli scolari e agli studenti toccherà in sorte un luogo di rafforzata disciplina esteriore negli abiti, nella condotta, e di inadeguata offerta per la crescita civile e culturale. Queste economie tagliate con l’accetta sul sistema scolastico ricordano quel Procuste che segava le gambe ai clienti per adattarli alla dimensione dei suoi letti.
La scuola è il pilastro fondamentale della società civile in una democrazia vitale, il luogo della socializzazione e dell’avvio a una cittadinanza consapevole, l’unico mezzo efficace per eliminare le discriminazioni di religione e di etnia, per assorbire l’impatto dei flussi migratori mondiali abituando a crescere negli stessi ambienti coloro che, da adulti, si troveranno fuori dalla scuola a convivere nella stessa società. La rivelazione della stupefacente crescita numerica della popolazione italiana ci ha fornito i numeri di quel che è accaduto negli ultimi anni, ma ha fatto anche di più: ha dimostrato implicitamente quello che i risentimenti, le chiusure, i pregiudizi e le paure seminate a piene mani cercano di nascondere, il fatto cioè che ciascuno di noi conta per uno e che tutti insieme facciamo la somma paese. Democrazia e demografia debbono andare di pari passo. L’idea di istituire classi differenziate è sorella di quell’altra balorda idea delle impronte digitali da prendere ai bambini rom.
Riuscirà la protesta degli studenti a frenare la deriva italiana? La giovinezza e la speranza di cambiare in meglio il mondo sono sorelle. Speriamo, dunque. Quanto ai compagni di strada che i giovani in agitazione e le loro famiglie stanno incontrando, la loro solidarietà non potrà esimerli da qualche esame di coscienza. Sulla protesta dei sindacati gravano quei limiti corporativi che tanto hanno pesato in passato nell’ostacolare l’avanzata dei docenti migliori e la rimozione dei peggiori e nel sostituire pressioni e contrattazioni alla logica del concorso pubblico senza limitazioni, senza fasce protette o categorie riservate. Ma è ai docenti e al sistema che governa l’università come luogo di insegnamento e di ricerca che oggi si chiede una prova speciale di credibilità. Ne saranno, ne saremo capaci? C’è da dubitarne. Un fatto recente rafforza i dubbi.
Se il clan dei casalesi compie una strage in un centro abitato in pieno giorno, nessuno vede, nessuno denunzia, nessuno testimonia. Precisiamo: nessun italiano. La "vittoria dello Stato" di cui nel caso di Castel Volturno si è gloriato il ministro dell’Interno è dovuta a un immigrato, l’unico salvatosi dalla strage. Un uomo solo, terrorizzato, sfuggito alla morte, ma capace di un atto di coraggio elementare, di una domanda di giustizia che non è giunta da nessun’altra parte. Ma parliamo dell’università. Qui le stragi ci sono ma non si vedono. Sono stragi di speranze e di intelligenze. Ogni anno in questa stagione il saldo demografico dell’università si chiude in negativo: i giovani migliori vanno all’estero, i pochi che vengono in Italia da fuori vi arrivano da paesi più poveri e più incolti del nostro. Anche qui è stato un immigrato, un raro esempio di "ritorno dei cervelli" a fare una radiografia impietosa e documentata del sistema universitario.
Il professor Roberto Perotti, già docente alla Columbia University di New York, oggi alla Bocconi, ne L’Università truccata (edizioni Einaudi) ha denunziato le malattie dell’Università e ha avanzato proposte. Pagina dopo pagina leggiamo nomi e cognomi. Una tabella a pagina 22 ricostruisce il sistema di parentela che domina la facoltà di economia dell’Università di Bari come pure quelle di Medicina e Chirurgia di Bari e della Sapienza di Roma. E una tabella fittissima di ben cinque pagine illustra il meccanismo dei "concorsi dei rampolli". Le regole della parentela sono elementari nelle popolazioni primitive studiate dal grande antropologo Claude Levi-Strauss. Lo sono anche nelle tribù accademiche italiane. Qui basta un padre Magnifico Rettore a determinare l’irresistibile entrata dei membri della sua famiglia nell’università che governa e nel suo stesso dipartimento. Naturalmente il problema non è la consanguineità dei professori ma il blocco degli studi e la penalizzazione dei giovani migliori che la logica mafiosa dominante nei concorsi ha prodotto con la scomparsa tendenziale delle università italiane dalla parte alta della comunità scientifica internazionale.
Le pagine di Perotti fitte di nomi e cognomi potevano scatenare una tempesta di querele e di proteste, riempire le aule dei tribunali di dignità offese. Non è accaduto niente. Le toghe infangate e svergognate hanno continuano a coprire magnificenze fasulle abbarbicate a cattedre e rettorati. Si diceva una volta: "Calunniate, calunniate, qualcosa resterà". Viene voglia di dire oggi: criticate, criticate, niente resterà. Resta solo uno stato d’animo di invidia e di rancore, diffuso tra le famiglie soccombenti e nella poltiglia umana che dallo spettacolo dell’ignoranza trionfante e prevaricante ricava solo una spinta alla maldicenza anonima e indifferenziata e può consolarsi così delle proprie frustrazioni.
Ma lo scandalo vero è la sordità delle istituzioni e dei poteri. In un’altra cultura avremmo visto probabilmente manifestazioni pubbliche, esibizioni delle vergogne su lenzuolate di nomi, proteste di associazioni e di sindacati, inchieste di magistrati, interrogazioni parlamentari. Nel libro di Perotti c’è quanto basterebbe in un paese dotato di un vero governo e di una vera opposizione per mettere in movimento almeno una inchiesta parlamentare. Anche perché gli intrecci osceni che avvengono nei concorsi non sono fatti solo di dinastie familiari. Come tutti sanno, il vigente principio dello "ius loci" affida al potere delle cosche accademiche localmente prevalenti la selezione delle nuove leve di docenti attraverso il paravento di finti concorsi. Su questa materia è stato detto tutto. Non è stato fatto nulla. Quel che è stato fatto è un disastro bipartisan che negli ultimi anni, col sistema del tre per due e con la regola concorsuale dello "ius loci" ha svenduto le residue energie dell’università italiana, ha riempito le scuole di ignoranti e ha moltiplicato le etichette di fantasia per fare posto agli asini obbedienti al potere del capocosca locale.
Ora siamo arrivati al rendiconto finale. Lo sforzo degli studenti in agitazione per coinvolgere i docenti e di riceverne pacche sulle spalle è patetico. Ci fa misurare la distanza dalle aspre e irridenti satire del ‘68, quando l’apparizione di un professore in un’assemblea studentesca faceva scattare cori di derisione. I giovani di allora oggi sono vecchi. Molti di quelli che allora dominarono le assemblee studentesche occupano o hanno occupato cattedre, ministeri seggi parlamentari. Pesa sulle loro spalle un fallimento che non hanno saputo evitare, che hanno spesso contribuito ad accelerare. Il loro eventuale appoggio andrebbe esorcizzato come una minaccia da chi vuole veramente che la scuola e l’università italiana riprendano la loro funzione di cuore pulsante della società. Lo tengano presente i giovani che oggi, timidamente, cominciano a uscire dal torpore di un paese gravemente malato.
l’Unità 22.10-08
La protesta è una marea: 60mila a Firenze, poi Roma
A La Sapienza 4 facoltà in mobilitazione. A Bologna sfilano in 4mila
Un corteo di quasi 60mila persone ha sfilato ieri a Firenze in difesa della scuola e dell’università pubblica. Arrivati da tutta la Toscana, studenti, docenti e ricercatori hanno dato vita alla quarta grande agitazione in città in soli dieci giorni. Se la settimana scorsa gli studenti medi avevano occupato praticamente tutti gli istituti superiori, questa settimana tocca agli universitari. Ieri, ultima in ordine cronologico, è stata occupata anche la facoltà di lettere e filosofia, e, se nel frattempo non si fosse conclusa l’occupazione ad architettura, tutte la facoltà sarebbero ora nelle mani degli studenti.
Anche a Roma sono state occupate le sedi di fisica e scienze politiche, oltre a un’aula della facoltà di chimica. La decisione dei collettivi è stata presa in seguito alla decisione del senato accademico di dedicare la sola giornata di venerdì 24 alla mobilitazione, ritenuta poco incisiva. Ieri mattina si è verificato anche qualche momento di tensione a Roma Tre, durante un’assemblea studentesca, quando una quindicina di attivisti del gruppo di estrema destra, Blocco Studentesco, ha chiesto la parola. Dopo fischi e spintoni, è intervenuta la polizia a rimettere ordine.
A Bologna prosegue l’occupazione della facoltà di lettere, di due aule di scienze politiche, una di giurisprudenza e una di scienze della formazione. Ieri 4mila persone hanno partecipato a un corteo di protesta, irrompendo con fischietti e tamburi nella sede del Rettorato. Il corteo è proseguito verso la stazione, dove sono stati occupati due binari per circa un quarto d’ora, causando ritardi tra i 5 e i 10 minuti per tre treni. La polizia sta procedendo all’identificazione dei partecipanti, che rischiano di dover rispondere, oltre che al reato di manifestazione non autorizzata, a quelli di interruzione di pubblico servizio, danneggiamento aggravato di palazzi storici e resistenza aggravata.
Un corteo di circa 5mila studenti ha sfilato anche a Napoli al grido «Noi la crisi non la paghiamo!». Proseguono le proteste anche a Palermo, dove, dopo il corteo degli oltre 10mila giovani di ieri, oggi un altra manifestazione è partita dalla facoltà di ingegneria e ha raggiunto la Prefettura. A Torino è stato occupato Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche ed è stato chiesto il blocco della didattica in occasione della visita del ministro Gelmini, il 28 ottobre, e dello sciopero generale della scuola del 30 ottobre. Altre assemblee e occupazioni si registrano anche a Trieste, Gorizia, Genova, Grosseto, Carrara, Brindisi, Cagliari, Parma, Pavia e Perugia.
Sessantamila «no» alla Gelmini. Ed è solo l’inizio
Ieri a Firenze sono arrivati da tutta la Toscana al corteo contro i decreti sulla scuola. Agli studenti medi e universitari si sono aggiunti sindacati, professori, ricercatori e personale tecnico. Il 30 sciopero generale di Tommaso Galgani
Sindacati, studenti delle superiori e delle università, genitori con bambini, docenti, ricercatori, personale Ata e tecnico amministrativo, ma anche tanti cittadini. Erano in 60mila (40mila per le forze dell’ordine) ieri alla manifestazione a Firenze, arrivati da tutta la Toscana (ben 3mila da Pistoia con un treno all’alba), per protestare contro i decreti del ministro Gelmini.
«La più grande manifestazione nel settore della scuola che si ricordi in regione», fa notare la Cgil. Si tratta della quarta grande agitazione fiorentina negli ultimi dieci giorni: ma la novità è stata la grande trasversalità sociale e generazionale tra i protagonisti. Il corteo è partito alle 10 da piazza San Marco, è passato per via Cavour e, passando per il centro, è culminato in Santissima Annunziata, tra cori, musica, sit in, slogan, giochi e manifesti (anche a tinte forti) contro il governo e per l’istruzione pubblica. Unico partito presente con alcune bandiere è stato Prc, ma alla manifestazione è arrivato l’appoggio di Pd (in piazza c’erano esponenti della giovanile dei democratici, mentre oggi il segretario regionale Andrea Manciulli incontrerà studenti e professori) e Sd. Presenti il presidente del consiglio comunale fiorentino Eros Cruccolini e l’assessore regionale Eugenio Baronti.
A guidare il corteo, Alessio Gramolati, segretario regionale della Cgil, e Daniela Lastri, assessore alla scuola del comune di Firenze. Gramolati cita un episodio per mettere in risalto «la maturità e la responsabilità del movimento»: «L’altro giorno gli occupanti del liceo Michelangelo si sono autotassati per fare la pulizia della scuola e riparare un vetro rotto durante l’occupazione». Il segretario della Cgil evidenzia come «l’unità dei vari soggetti che manifestano sia la garanzia della continuità dell’agitazione». Gramolati attacca il governo: «Non capisce che questo paese dà il meglio di sé quando riesce ad abbinare solidarietà e diritti, come sta facendo questo movimento: lo dimostrano gli universitari che protestano anche per i tagli alle elementari. Ma i problemi che la Gelmini apre non si chiuderanno per decreto». Il 27 le donne della Cgil faranno un’iniziativa sui temi della scuola, mentre il 30 nel settore sarà sciopero generale.
Anche Lastri, che in questi giorni ha partecipato a varie assemblee nelle scuole fiorentine, è convinta che la protesta debba continuare: «Tra i giovani c’è grande voglia di partecipazione e informazione, sollecitando anche le istituzioni: se il governo andrà avanti a decreti, presenteremo una legge d’iniziativa popolare. Per ora registriamo che è nata una nuova generazione che vuole prendersi il proprio futuro».
«Almeno il governo tagli solo gli atenei meno virtuosi», spiega Luca, ricercatore precario di Pisa. Marco Iacoboni, della Rsu del personale tecnico dell’università di Siena (dove domani ci sarà una manifestazione cittadina di tutti i soggetti della scuola) ricorda che «da noi la situazione è aggravata anche dal buco nelle casse dell’ateneo».
Lunedì a Firenze c’è una riunione dei rettori degli atenei toscani con una rappresentanza bipartisan di parlamentari della regione. Per il rettore fiorentino Augusto Marinelli «le manifestazioni in atto hanno cause totalmente condivisibili, occorre andare oltre e individuare soluzioni ad una situazione insostenibile. La mobilitazione si svolga con responsabilità, permettendo la fruizione delle attività didattiche».
l’Unità 22.10-08
La protesta continua: a Firenze occupa anche Lettere
Ritorno sui banchi per la maggioranza delle scuole superiori, dove comunque l’agitazione si svilupperà con altre forme Oggi gli studenti si vestiranno a lutto in Santissima Annunziata: alle 15 lezione di Margherita Hack in piazza Signoria di Silvia Casagrande
Lettere e Filosofia è occupata. Piazza Brunelleschi si aggiunge così alla lunga lista delle sedi universitarie fiorentine in mobilitazione: il polo di Sesto, agraria, matematica, scienze politiche (Novoli), scienze della formazione, il plesso didattico di viale Morgagni e psicologia, dove prosegue l’autogestione. Ad architettura invece si è già conclusa l’occupazione simbolica iniziata l’altro ieri, nel corso della quale sono stati preparati gli striscioni per la manifestazione. È attesa per domani la decisione del consiglio di facoltà in merito all’ufficializzazione della proposta degli studenti di dedicare un giorno alla settimana alla didattica alternativa.
All’Ulisse Dini proseguono le lezioni aperte alla cittadinanza: alle 10 il professor Buiatti parlerà dell’economia degli Ogm, mentre alle 21 sarà la volta della dottoressa Rubei in un corso dal titolo «matrici magiche». Anche a Novoli, tempo permettendo, verranno svolte alcune lezioni all’aperto durante la mattinata. Alle 12.30 in via delle Pandesse, gli studenti di scienze politiche si esibiranno in una «scritta umana», che, naturalmente, reciterà l’immancabile «No alla 133». Sempre a Novoli, nel pomeriggio sarà ospitata la parlamentare afgana Malalay Joya. Contemporaneamente a queste iniziative, gli «studenti per la libertà», universitari vicini a Forza Italia, distribuiranno penne per «firmare contro l’occupazione», al motto di «basta giocare, vogliamo studiare».
Studenti medi vestiti a lutto, si sono dati appuntamento invece alle 15 in piazza SS. Annunziata per andare insieme ad assistere alla lezione in piazza Signoria di Margherita Hack, che domani andrà al polo di Sesto. L’appuntamento alle prime ore del pomeriggio non è casuale, visto che da stamattina molti studenti sono tornati tra i banchi. È successo agli allievi del Rodolico, Gramsci, Castelnuovo, Gobetti, Michelangiolo, mentre al Galileo si torna in aula di domani. Continua invece la protesta all’Istituto d’arte, ed è probabile, anche se non confermato, il proseguimento dell’occupazione al Ginori-Conti, Peano, Macchiavelli-Capponi, Alberti e Da Vinci. Occupanti o ex-occupanti, tutti gli studenti medi annunciano comunque nuove iniziative di protesta, anche pomeridiane, tra cui assemblee, cineforum e laboratori di educazione civica autogestiti.
Alla Sapienza quattro facoltà occupate
Nel mirino della protesta la legge 133. Così in 2mila contestano il rettore Frati per la scelta di non fermare l’anno accademico. Poi bloccano Chimica, Scienze Politiche, Fisica e Lettere
di Greta Filippini
Blocco dell’anno a la Sapienza? Il Senato, riunito in seduta straordinaria, ha detto “no”. Ad attendere la presa di posizione istituzionale contro la legge 133, si sono riuniti in 2mila. Studenti provenienti da tutte le facoltà, in piedi sulle scale del rettorato, megafoni alla mano, hanno urlato la loro protesta contro i tagli all’istruzione e la privatizzazione della scuola. «L’Università Spa noi non la vogliamo», hanno scritto gli universitari su uno striscione srotolato per il sit-in. Niente blocco, dunque, ma un’unica giornata di stop alle lezioni, fissata per venerdì 24. La decisione non ha colto di sorpresa gli studenti che, al “totoblocco” davano quasi certo il rifiuto del Rettore Frati e dei colleghi. «Buffoni, buffoni», hanno urlato in coro gli universitari all’annuncio della decisione e subito si sono riuniti in assemblea nelle varie facoltà. In serata, poi, la notizia: occupazione a Chimica e a Scienze Politiche, seguite a ruota da Fisica e Lettere.
A nulla è valsa la lettera aperta consegnata in mattinata nelle mani del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in visita alla Sapienza per la cerimonia in onore dello storico Giuliano Procacci. “Ci auguriamo che anche lei decida da che parte stare e non abbandoni a se stessa la scuola”, era l’appello finale contenuto nel comunicato degli studenti. «Con il Presidente abbiamo avuto un colloquio di 20 minuti - ha raccontato Sestili -. Napolitano si è detto preoccupato per le sorti della scuola pubblica e ci ha assicurato che risponderà pubblicamente alla lettera». Oggi, altra giornata calda all’ateneo capitolino. In programma, infatti, l’inaugurazione dell’anno accademico della facoltà di Economia. «Una festa senza brindisi - promette Fabiola -. Apriremo l’anno, portando davanti a presidi, docenti e studenti la criticità di questa legge».
Acque agitate anche all’Università Roma3. Ieri mattina, in 700 hanno partecipato all’assemblea organizzata dagli studenti della facoltà di Lettere e Filosofia per chiedere la sospensione della didattica. Durante l’incontro, una quindicina di ragazzi del Blocco Studentesco, gruppo attivista di estrema destra, hanno preso la parola e sono stati fischiati dagli studenti dei collettivi universitari. Spintoni ed insulti si sono susseguiti da una parte e dall’altra fino all’intervento della Polizia. Fissata per martedì prossimo una nuova assemblea per discutere le ulteriori mobilitazioni.
Assemblee, cortei e occupazioni, ieri, anche in numerosi licei capitolini. Dopo il blocco spontaneo delle lezioni al Liceo Ettore Majorana, in mattinata hanno abbandonato i banchi anche gli studenti del Liceo Scientifico Pasteur. Nel IV Municipio, intanto, i ragazzi della scuola Giordano Bruno si sono aggregati al corteo dell’Istituto Nomentano, che nel primo pomeriggio era stato occupato dal Blocco Studentesco. «Domani saremo ancora qui - hanno dichiarto quelli del Blocco - e non escludiamo di occupare nei prossimi giorni anche il Giordano Bruno».
Ansa» 2008-10-22 13:48
SCUOLA, BERLUSCONI: NON PERMETTEREMO OCCUPAZIONI
ROMA - Non permetteremo che vengano occupate scuole università. Lo ha detto il premier, Silvio Berlusconi, durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi con il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini. "E’ una violenza, convocherò oggi pomeriggio Maroni per dargli indicazioni su come devono intervenire le forze dell’ordine".
"L’ordine deve essere garantito. Lo Stato deve fare il suo ruolo garantendo il diritto degli studenti che vogliono studiare di entrare nelle classi e nelle aule". Afferma Berlusconi sottolineando cosa intende quando annuncia che le forze dell’ordine impediranno le occupazioni.
"Sulla scuola troppe cose divorziano con la realtà". Sostiene il premier: "La sinistra è contro il decreto Gelmini, che, ricordo, è un decreto e non la riforma della scuola. Tenta di costruire un’opposizione di piazza su un terreno circoscritto, perché come governo siamo inattaccabili su tutta una serie di provvedimenti".
"Al ministro Gelmini dico: andiamo avanti. Dobbiamo applicare questo decreto e non ritirarlo. La sinistra dice solo menzogne e falsità a proposito del tempo pieno, dei tagli e dei licenziamenti. Non è vero". "La sinistra parla di 86mila insegnanti in meno. E’ falso. Con la riforma nessuno sarà cacciato. Ci sarà solo il pensionamento di chi ha già raggiunto l’età e il blocco del turn over", ha concluso Berlusconi.
GELMINI, INVITO AD ABBASSARE I TONI DELLA PROTESTA - "Invito ad abbassare i toni della protesta". E’ l’esortazione lanciata dal ministro dell’ Istruzione, Mariastella Gelmini, durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi. "Il Governo - ha detto - da sempre è aperto al confronto. Sulla natura della protesta è chiaro che la sinistra ha scelto la scuola e l’università come terreno di scontro".
VELTRONI, GOVERNO RITIRI DECRETO - Alle proteste così ampie e diffuse contro la riforma della scuola, il governo dovrebbe "ritirare il decreto Gelmini e le misure con i tagli alla scuola e all’università", dandosi comunque degli "obiettivi di finanza pubblica" che affrontino il problema della diminuzione della spesa. Lo ha detto il segretario del Pd, Walter Veltroni, intervenendo a Radio anch’io.
DI PIETRO, PREMIER FOMENTA NUOVA STRATEGIA TENSIONE - "Per come sta affrontando il capitolo della scuola, dalla riforma Gelmini alle violenze contro gli studenti, Berlusconi sta riportando la situazione a come era negli anni ’70’’. Il leader dell’Idv Antonio Di Pietro commenta così la decisione del presidente del Consiglio di convocare il ministro dell’Interno a Palazzo Chigi "per dargli indicazioni su come devono intervenire le forze dell’ordine" nelle scuole e nelle università per fermare la protesta. "Berlusconi - aggiunge - in questo modo sta creando le premesse come mandante politico (e di questo dovrà assumersene la responsabilità), per creare in Italia una nuova strategia della tensione".
EPIFANI, GOVERNO FA ERRORE, NON MINACCI STUDENTI - "E’ profondamente sbagliato rispondere alle ragioni del movimento degli studenti con una modalità che non sia quella del dialogo". Lo dice il leader della Cgil Guglielmo Epifani, dopo la cerimonia funebre per Vittorio Foa, commentando l’annuncio di Berlusconi di non voler permettere le occupazioni. "Il governo - sottolinea Epifani - non può ricorrere alle minacce. Questo è un movimento che ha caratteristiche del tutto nuove, che non ha senso paragonare al ’68 ne’, tanto meno, al ’77. E’ un movimento pacifico, gli studenti chiedono di investire nella scuola, è gente che chiede di studiare di più e meglio. Il governo - sottolinea Epifani - deve saper dialogare. Bisogna aprire canali di dialogo con gli studenti e anche con il sindacato confederale".
LA RUSSA, MAESTRO UNICO? SBAGLIATO DOPO LA TERZA - "Penso che dalla terza elementare o dopo la terza sia sbagliato un solo maestro, ma va invece bene per i primi due-tre anni di vita scolastica", quando il bambino ha bisogno, a scuola, di un punto di riferimento principale. E’ l’opinione di Ignazio La Russa, ministro della Difesa e padre di un bambino di 6 anni. "Io personalmente sono d’accordo con il maestro unico, l’ho detto quando abbiamo votato in Consiglio dei ministri", dice il ministro ai giornalisti, a margine della sua visita ufficiale negli Usa, conclusasi oggi. "Nei primi 2-3 anni di vita scolastica - dice La Russa - oltre agli altri insegnanti che comunque ci sono (ginnastica, lingue), credo sia importantissimo" avere un punto di riferimento principale. "Mio figlio ha 6 anni e vi assicuro che è molto importante per un bambino di quell’età il rapporto che lo lega principalmente a una persona".
SACCONI, GIOVANI PRESUNTUOSI, MONDO AUTOREFERENZIALE - Le proteste di questi giorni contro il decreto Gelmini sono guidate da "giovani presuntuosi e politicizzati", frutto di una scuola e di una università "autoreferenziali" nate negli anni Settanta. Lo ha affermato il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, nel corso di VivaVoce su Radio24. Secondo Sacconi le proteste sono dettate dal "pregiudizio: si tratta di minoranze politicizzate, con giovani presuntuosi che talora guidano queste manifestazioni. Presuntuosi perché presumono di avere capito tutto. Sono politicizzati: peccato però che non facciano il loro interesse e quello della loro generazione, che dovrebbe essere quello di contestare una scuola e un’università molto autoreferenziali, rese così dai loro padri" negli anni Settanta, che vi hanno introdotto "una sorta di nichilismo nella nostra società". Secondo il ministro, inoltre, "non è un caso che le maggiori criticità si trovino nel sistema educativo dove c’é una generazione di docenti cinica e autoreferenziale". Bisognerebbe invece preoccuparsi del fatto, conclude, che "in Italia ci si laurea mediamente a 28 anni, ma non in ingegneria, in scienze della comunicazione".
Il testo integrale della lettera del capo dello Stato agli studenti *
Napolitano: "Non posso schierarmi ma non sono estraneo a esigenze"
ROMA - Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha risposto alla lettera che gli è stata consegnata ieri, in occasione di una cerimonia all’Università ’’La Sapienza’’ di Roma, da una rappresentanza di studenti, dottorandi e ricercatori. Questo il testo integrale della lettera del Capo dello Stato.
’’Cari studenti, dottorandi e ricercatori della Sapienza, ho ascoltato e letto con attenzione la lettera che mi avete consegnato e colgo l’occasione per indirizzarvi alcuni chiarimenti e spunti di riflessione. Innanzitutto : penso vi sia chiaro quale ordinamento la Costituzione abbia disegnato per la Repubblica. La nostra è una democrazia parlamentare - simile a quella di quasi tutti gli altri Stati europei - in cui al Capo dello Stato non sono attribuiti poteri esecutivi. Io non debbo dunque ’’decidere da che parte stare": non posso stare dalla parte del governo e delle sue scelte, né dalla parte opposta".
"Le politiche relative a qualsiasi campo dell’azione dello Stato vengono definite dal Parlamento - scrive ancora Napolitano -, in seno al quale la maggioranza e l’opposizione sono chiamate al confronto tra le rispettive proposte, che possono configurare soluzioni alternative ai problemi da affrontare. Al presidente della Repubblica non spetta pronunciarsi nel merito dell’una o dell’altra soluzione in discussione, né suggerirne una propria, ma spetta solo richiamarsi ai principi e alle regole della Costituzione".
"Ciò non significa - sia chiaro - che io mi senta estraneo (’’abbandonandole a se stesse’’, per usare la vostra espressione) alle esigenze della scuola, della ricerca, dell’Universita’ - aggiunge il presidente della repubblica -. Al contrario: a queste esigenze, e alle problematiche connesse, ho dedicato, nello svolgimento delle mie attuali funzioni, da più di due anni, la più convinta e appassionata attenzione e iniziativa. E’ davvero in giuoco il futuro del Paese : se l’Italia vuole evitare un’emorragia di preziosi giovani talenti, che trovano riconoscimento all’estero, gli investimenti nella ricerca - soprattutto - dovrebbero costituire una priorità, anche nella allocazione delle risorse, pubbliche e private".
"Dico ’’dovrebbero’’ perché in realtà le scelte pubbliche (e anche quelle del sistema delle imprese) non sembrano riconoscere tale ’’priorità’’, a cui troppe altre ne vengono affiancate - in particolare quando si discute di legge finanziaria e di bilancio - col risultato che già da anni non ci si attiene ad alcun criterio di priorità e non si persegue un nuovo equilibrio nella distribuzione delle risorse tra i diversi settori di spesa. Di qui le preoccupazioni di fondo che spiegano la vostra ansietà, fatta di gravi incertezze per l’avvenire vostro e della nazione. E’ indispensabile che su questi temi non si cristallizzi un clima di pura contrapposizione, ma ci si apra all’ascolto reciproco, a una seria considerazione delle rispettive ragioni".
"Il governo - scrive ancora Napolitano - ha ritenuto necessario e urgente definire, fin dal giugno scorso, sia pure per grandi aggregati, le previsioni di spesa per i prossimi tre anni, al fine di rispettare l’impegno da tempo sottoscritto dall’Italia in sede europea per l’azzeramento del deficit di bilancio e per la graduale, ma netta e costante, riduzione del debito pubblico. Sono certo che anche a voi non sfugge l’importanza strategica di questo obbiettivo, il cui raggiungimento e’ condizione per uno sviluppo di politiche pubbliche meno pesantemente condizionato dall’onere del debito via via accumulatosi".
"Tuttavia io auspico: 1) che si creino spazi per un confronto - in sede parlamentare - su come meglio definire e distribuire nel tempo i tagli ritenuti complessivamente indispensabili della spesa pubblica tra i ministeri e i vari programmi, valutando attentamente l’esigenza di salvaguardare livelli adeguati di spesa per la ricerca e la formazione; 2) che a sostegno di questo sforzo, si formulino proposte anche da parte di studenti e docenti, per razionalizzare la spesa ed elevarne la qualità, con particolare riferimento all’Università, dovendosi rimuovere distorsioni, insufficienze e sprechi che nessuno può negare. E ciò sposta il discorso sulla tematica degli ordinamenti e della gestione del sistema universitario: tematica sulla quale e’ atteso un confronto tra il governo e gli organismi rappresentativi delle Università’’.
"Occorre - conclude Napolitano - che tutte le istituzioni e le forze sociali e culturali si predispongano senza indugio a tale confronto, in termini riflessivi e costruttivi: dando prova, anche voi, responsabilmente, di ’determinazione e intelligenza’, come avete scritto a conclusione della vostra lettera’’.
* la Repubblica, 22 ottobre 2008.