INTELLIGENZA CONNETTIVA E POLITICA ...

WEB, DEMOCRAZIA, E SECOND LIFE. L’ottimismo di Derrick De Kerckhove, in un’intervista di Adnkronos - a cura di Federico La Sala

Il mondo che vogliamo è quello che pensiamo. Ma dobbiamo pensarlo, prima.
venerdì 10 ottobre 2008.
 


"La ’web-democracy’ sta decidendo le elezioni americane"

De Kerckhove: "Grazie al web abbiamo vissuto una grande rivoluzione"

Il guru della cultura digitale: "C’è stato un cambiamento radicale della società, come nel Rinascimento, a cui per reazione sono seguite guerre di religione e Inquisizione. Oggi la risposta ai grandi progressi compiuti è il terrorismo". La realtà virtuale non è il presente ma il futuro. Se ne è parlato in un convegno a Roma

Roma, 10 ott. (Ign) - Derrick De Kerckhove, considerato un guru della cultura digitale, è stato assistente di Marshall McLuhan e autore de ‘La pelle della Cultura e dell’Intelligenza Connessa’. De Kerckhove, belga naturalizzato canadese, insegna all’università di Toronto e all’università Federico II di Napoli ed è intervenuto ieri al convegno ’Second Life: oltre la realtà il virtuale’

Professore, può l’intelligenza connettiva contribuire allo sviluppo sociale?

Lo sta facendo già adesso. Lo fa con tutto il mondo dei ’collaborative software’, a partire da wikipedia e da tutti i programmi e i sistemi che permettono alle persone di condividere le cose fra di loro. I blog hanno fatto un miracolo negli Usa portando un afroamericano come Obama sulla soglia della presidenza. Anche il marketing adotta strategie che partono dal basso. Siamo in un periodo dove l’intelligenza connettiva si realizza in tutti i modi. Anzi, tutto il web 2.0 è una giungla di intelligenza connettiva.

Ha detto che l’Italia non è ancora pronta per una gestione autonoma dei blog. Perché?

Io ho detto questo? Ma è criminale! Lo avevo detto in seguito alle reazioni eccessive che avevano scatenato il blog e le iniziative di Beppe Grillo.

Il problema dell’Italia non è il rapporto con il blog. Anzi, il blog può essere una medicina per la situazione che c’è nel vostro Paese, una possibilità di rispondere a un controllo dei media principali che è abbastanza evidente. Permettono una libertà di espressione che è importantissima.

Il primo problema dell’Italia è che solo il 31% della popolazione si connette a internet, quando il resto del mondo avanzato ha una media del 70%.

C’è un secondo problema, non solo italiano per la verità, che è il controllo e la chiusura di tutte le sistemi di wi-fi. Strutture che darebbero tanti italiani la possibilità immediata di connettersi al web. Dovrebbe essere reso accessibile a tutti, magari pagando un contributo minimo.

Il blog può funzionare veramente come un’agorà elettronica. Di questa agorà, gli unici protagonisti naturali sono quelli che lei chiama ’Digital Natives’?

Quelli che io ho definito ‘Digital Natives’ sono quelli che hanno meno di 20 anni e sono nati insieme ad internet. È chiaro che la Rete è uno strumento per sensibilizzarli alla partecipazione politica, per portarli a votare. Ma i media tradizionali non si interessano per niente a questi giovani. Però i blog per fortuna riescono a coinvolgerli. Del resto sono proprio i blog che oggi lanciano i temi e i problemi che diventano l’oggetto del dibattito politico ‘mainstream’.

Le democrazie occidentali hanno più di qualche difficoltà. La ’web-democracy’ può essere un aiuto, una stampella, o cosa?

Sicuramente un aiuto. Nel 2004, ultime elezioni americane vinte da Bush, avevo detto: il prossimo voto sarà deciso dai blog. Ed è quello che sta accadendo negli Stati Uniti.

Lei ha detto: “Dobbiamo pensare il mondo di domani, non subirlo”, in questa frase c’è lo spirito del web 2.0 o già quello del web 3.0?”

Questo dipende da tante condizioni. La prossima tappa di chi si occupa di ’Second Life’ è di pensare a questo spazio come uno spazio di costruzione del mondo. Cioè trovare nel virtuale delle soluzioni ai problemi reali e poi portarle nel mondo vero.

Siamo passati da strutture gerarchiche e piramidali ad un mondo di ubiquità e di equivalenza di tutti i punti di connessione. Abbiamo vissuto una grande rivoluzione cognitiva.

Il nostro pensiero è sempre più connesso con le cose che succedono. Cioè sono sempre più veloci i tempi di realizzazione di quello che pensiamo. Del resto, non possiamo rispondere bene alle emergenze del pianeta se non abbiamo un sistema molto connesso e autoorganizzato, capace di dare risposte rapidissime ai problemi globali che si presentano.

Il mondo che vogliamo è quello che pensiamo. Ma dobbiamo pensarlo, prima.

Lei rimane ottimista quindi?

Si, ma il mio non è un ottimismo di chi dice “spero che tutto vada bene”.

Abbiamo oggi una condizione economica, sanitaria, culturale e artistica senza paragoni con i periodi storici che ci hanno preceduto. Tutta la storia, però, è stato un alternarsi di progresso e reazione ai cambiamenti. Noi adesso siamo come nel Rinascimento: a quell’epoca seguirono le guerre di religione e l’Inquisizione, che furono un modo (violento) di acclimatarsi alla rivoluzione alfabetica che aveva cambiato radicalmente la società.

Oggi il terrorismo è la normale risposta ai grandi progressi che abbiamo vissuto. Ma è un fenomeno che si può combattere con tutte le risorse scientifiche e politiche, quelle che danno la possibilità alla gente di vivere in uno spazio libero


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