"La ’web-democracy’ sta decidendo le elezioni americane"
De Kerckhove: "Grazie al web abbiamo vissuto una grande rivoluzione"
Il guru della cultura digitale: "C’è stato un cambiamento radicale della società, come nel Rinascimento, a cui per reazione sono seguite guerre di religione e Inquisizione. Oggi la risposta ai grandi progressi compiuti è il terrorismo". La realtà virtuale non è il presente ma il futuro. Se ne è parlato in un convegno a Roma
Roma, 10 ott. (Ign) - Derrick De Kerckhove, considerato un guru della cultura digitale, è stato assistente di Marshall McLuhan e autore de ‘La pelle della Cultura e dell’Intelligenza Connessa’. De Kerckhove, belga naturalizzato canadese, insegna all’università di Toronto e all’università Federico II di Napoli ed è intervenuto ieri al convegno ’Second Life: oltre la realtà il virtuale’
Professore, può l’intelligenza connettiva contribuire allo sviluppo sociale?
Lo sta facendo già adesso. Lo fa con tutto il mondo dei ’collaborative software’, a partire da wikipedia e da tutti i programmi e i sistemi che permettono alle persone di condividere le cose fra di loro. I blog hanno fatto un miracolo negli Usa portando un afroamericano come Obama sulla soglia della presidenza. Anche il marketing adotta strategie che partono dal basso. Siamo in un periodo dove l’intelligenza connettiva si realizza in tutti i modi. Anzi, tutto il web 2.0 è una giungla di intelligenza connettiva.
Ha detto che l’Italia non è ancora pronta per una gestione autonoma dei blog. Perché?
Io ho detto questo? Ma è criminale! Lo avevo detto in seguito alle reazioni eccessive che avevano scatenato il blog e le iniziative di Beppe Grillo.
Il problema dell’Italia non è il rapporto con il blog. Anzi, il blog può essere una medicina per la situazione che c’è nel vostro Paese, una possibilità di rispondere a un controllo dei media principali che è abbastanza evidente. Permettono una libertà di espressione che è importantissima.
Il primo problema dell’Italia è che solo il 31% della popolazione si connette a internet, quando il resto del mondo avanzato ha una media del 70%.
C’è un secondo problema, non solo italiano per la verità, che è il controllo e la chiusura di tutte le sistemi di wi-fi. Strutture che darebbero tanti italiani la possibilità immediata di connettersi al web. Dovrebbe essere reso accessibile a tutti, magari pagando un contributo minimo.
Il blog può funzionare veramente come un’agorà elettronica. Di questa agorà, gli unici protagonisti naturali sono quelli che lei chiama ’Digital Natives’?
Quelli che io ho definito ‘Digital Natives’ sono quelli che hanno meno di 20 anni e sono nati insieme ad internet. È chiaro che la Rete è uno strumento per sensibilizzarli alla partecipazione politica, per portarli a votare. Ma i media tradizionali non si interessano per niente a questi giovani. Però i blog per fortuna riescono a coinvolgerli. Del resto sono proprio i blog che oggi lanciano i temi e i problemi che diventano l’oggetto del dibattito politico ‘mainstream’.
Le democrazie occidentali hanno più di qualche difficoltà. La ’web-democracy’ può essere un aiuto, una stampella, o cosa?
Sicuramente un aiuto. Nel 2004, ultime elezioni americane vinte da Bush, avevo detto: il prossimo voto sarà deciso dai blog. Ed è quello che sta accadendo negli Stati Uniti.
Lei ha detto: “Dobbiamo pensare il mondo di domani, non subirlo”, in questa frase c’è lo spirito del web 2.0 o già quello del web 3.0?”
Questo dipende da tante condizioni. La prossima tappa di chi si occupa di ’Second Life’ è di pensare a questo spazio come uno spazio di costruzione del mondo. Cioè trovare nel virtuale delle soluzioni ai problemi reali e poi portarle nel mondo vero.
Siamo passati da strutture gerarchiche e piramidali ad un mondo di ubiquità e di equivalenza di tutti i punti di connessione. Abbiamo vissuto una grande rivoluzione cognitiva.
Il nostro pensiero è sempre più connesso con le cose che succedono. Cioè sono sempre più veloci i tempi di realizzazione di quello che pensiamo. Del resto, non possiamo rispondere bene alle emergenze del pianeta se non abbiamo un sistema molto connesso e autoorganizzato, capace di dare risposte rapidissime ai problemi globali che si presentano.
Il mondo che vogliamo è quello che pensiamo. Ma dobbiamo pensarlo, prima.
Lei rimane ottimista quindi?
Si, ma il mio non è un ottimismo di chi dice “spero che tutto vada bene”.
Abbiamo oggi una condizione economica, sanitaria, culturale e artistica senza paragoni con i periodi storici che ci hanno preceduto. Tutta la storia, però, è stato un alternarsi di progresso e reazione ai cambiamenti. Noi adesso siamo come nel Rinascimento: a quell’epoca seguirono le guerre di religione e l’Inquisizione, che furono un modo (violento) di acclimatarsi alla rivoluzione alfabetica che aveva cambiato radicalmente la società.
Oggi il terrorismo è la normale risposta ai grandi progressi che abbiamo vissuto. Ma è un fenomeno che si può combattere con tutte le risorse scientifiche e politiche, quelle che danno la possibilità alla gente di vivere in uno spazio libero
A Madrid il fondatore del social network più famoso del mondo
presenta le sue nuove iniziative: fra business sostenibile e solidarietà
Il papà di Facebook: "La crisi?
La gente non smette di comunicare"
"Non siamo esposti, abbiamo nostri capitali e non vogliamo andare in Borsa"
Fra mercati e web, parla Zuckerberg, il più giovane dei miliardari
di DANIELE VULPI *
MADRID - Mark Zuckerberg, il più giovane miliardario del mondo, arriva in Europa e si scopre più buono. Sì, il 24enne fondatore del sito di social networking più visitato del pianeta - Facebook - ha deciso di lanciare in Europa (per ora in Spagna, Germania, Francia e Gran Bretagna, presto anche in Italia) un’iniziativa ad alto tasso di solidarietà. L’ha chiamata "Facebook for good: condividi la tua storia". Tradotto: vince chi meglio saprà rendere omaggio a persone che hanno usato Facebook per contribuire a un mondo più aperto e connesso.
Ma il giovane Mark (scarpe da ginnastica, jeans, t-shirt e maglioncino con zip) parla soprattutto del Facebook prossimo venturo: spiega in due parole la ricetta che ha fatto grande la sua creatura, la defezione di due suoi stretti collaboratori (e lo fa a denti stretti), parla di pubblicità, promette nuove localizzazioni del sito, smentisce piani di entrata in Borsa ("per ora") e svela di guardare con interesse al social web in chiave aziendale.
Facebook for good: condidivi la tua storia. E’ il volto buono del social network da 111 milioni di utenti attivi (ovvero che si sono connessi nell’ultimo mese): un premio di 1000 euro a chi racconterà meglio, con l’aggiunta di foto, come Facebook ha cambiato la sua vita o ha generato un forte impatto sociale. Tremila euro potranno andare alla causa messa in luce. Per ora solo in 4 Paesi europei, nel giro di qualche mese anche da noi.
"Ho pensato a questo dopo la localizzazione in lingua spagnola - racconta Zuckerberg - "quando abbiamo avuto una crescita improvvisa di utenti in Colombia. E tra questi uno ha lanciato l’iniziativa "Un milione di voci contro le Farc" quando ancora la Betancourt era nelle loro mani. Mi ha colpito l’effetto avuto: migliaia di persone in piazza in tutto il mondo, il 4 febbraio, che era anche il compleanno di Facebook. Una storia coinvolgente".
Le localizzazioni. "E’ la strada che stiamo seguendo, assieme allo sviluppo delle applicazioni per la nostra piattaforma. Abbiamo già il sito tradotto in molte lingue e altre ne arriveranno. Da qui è arrivato un enorme aumento degli utenti. Le richieste di nuove lingue non mancano. C’è anche chi ha chiesto la localizzazione in latino o in Klingon, che è la lingua parlata nella saga di Star Trek. Sono solo richieste, sia chiaro".
Il segreto di Facebook. Un sito nato nel 2004 per connettere gli studenti delle università americane e che adesso vale cifre da capogiro, non è facile da spiegare. Lo scorso anno, quando Microsoft acquistò l’1,5 per cento del capitale, Facebook venne valutato 15 miliardi di dollari. Adesso si vola ancora più alto. "Semplice", dice il fondatore: "La voglia di comunicare è un valore universale. Noi siamo un prodotto che facilita proprio questo e la gente perciò ci usa. Certo, ci vuole anche un po’ di fortuna se nel 2006 eravamo il 7% del social web e adesso ne rappresentiamo i due terzi. Poi c’è la il rispetto della privacy: è una delle chiavi del nostro successo".
"Sviluppo sostenibile" e la crisi. "Questa situazione economica riguarda tutti, solo che Facebook è fortunatamente una società a capitali privati e quindi non è esposta come altre alla crisi. La nostra missione è mettere in contatto le persone, per un mondo più connesso e più trasparente. E per farlo seguiamo un modello di business "sostenibile" che sta funzionando bene: 120mila aziende fanno inserzioni sul nostro sito. E tra queste 2/3 delle imprese statunitensi. La Borsa? Al momento non abbiamo piani per una quotazione sui mercati, e non li avevamo prima dell’inizio della crisi economica".
Il nuovo design. Le proteste che ha scatenato la nuova grafica di Facebook hanno superato in intensità persino quelle esplose quando Zuckerberg lanciò Beacon, un sistema pubblicitario molto invasivo. Una mossa che lo costrinse a una repentina retromarcia e a pubbliche scuse. Adesso non cederà: "Tante critiche, è vero, ma l’idea del nuovo layout è di dare un bollettino di notizie personalizzate. Saper subito ciò che accade nella nostra comunità di amici. I cambi sono sempre difficili da digerire, ma abbiamo verificato che la nuova grafica gli utenti scambiano più informazioni. Quindi va bene".
Gli abbandoni. Dustin Moskovitz, co-fondatore, lascia la società e con lui anche Justin Rosenstein, ex Google. Obiettivo: lavorare a una sorta di Facebook per le aziende. Zuckerberg precisa: "No, loro faranno software per le imprese. Anche noi svilupperemo applicazioni per le aziende in futuro. Si tratta solo di immaginare lo scambio di informazioni in altre forme. Quanto alla fuoriuscita di due persone non mi preoccupo: siamo 700 e la gente di talento non manca. E altri, molto bravi, sono in entrata. Vedrete".
* la Repubblica, 13 ottobre 2008