Filosofia, Teologia e Politica ...

SENTIRSI - SENTIRE. UNA SPERANZA PER L’AVVENIRE. Sul giornale dei vescovi, l’avvio di una rubrica di Roberto Mancini - a cura di Federico La Sala

martedì 2 settembre 2008.
 
[...] Come mostrò Herder, il sentire è la forza che unisce i sensi, il linguaggio, il cuore, la ragione, la coscienza morale e l’anima delle persone, cioè il loro segreto nucleo di unicità autocosciente. La facoltà del sentire è minacciata dalla paura del dolore ed è facile che venga inibita. Per attivare il sentire bisogna poter contare su una guida. E in effetti esiste una guida che spinge ad attraversare il confine da un presente mortificante verso una realtà liberata, dalla scissione interiore all’integrità. Tale guida è la speranza [...]

Sentire la speranza

Da ogni cultura i semi della nuova speranza

di Roberto Mancini (Avvenire, 02.09.2008)

Si apre oggi una nuova rubrica di Agorà, che uscirà tutti i martedì, firmata da Roberto Mancini, ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Macerata; tra le ultime sue pubblicazioni, «Esistere nascendo. La filosofia maieutica di Maria Zambrano» (Città Aperta 2007) e «La buona reciprocità. Famiglia, educazione, scuola» (Cittadella 2008).

La grande disperazione umana sta nel credere che la morte sia più forte della vita e il male più forte del bene. Ma questa convinzione non apre alla verità. Per aprirsi occorre imparare a sentire. Non è un cedimento al sentimentalismo. È la cura dell’integrità del sentire per stare in relazione con la verità, sia essa quella delle scelte di vita o dei tribunali, quella storiografica o filosofica, quella della fede o della scienza.

L’integrità implica sosta nel silenzio, ascolto, raccoglimento, passione, esercizio del pensiero critico, chiamato a chiarire, distinguere, sintetizzare. Senza integrità non c’è conoscenza.

Come mostrò Herder, il sentire è la forza che unisce i sensi, il linguaggio, il cuore, la ragione, la coscienza morale e l’anima delle persone, cioè il loro segreto nucleo di unicità autocosciente. La facoltà del sentire è minacciata dalla paura del dolore ed è facile che venga inibita. Per attivare il sentire bisogna poter contare su una guida. E in effetti esiste una guida che spinge ad attraversare il confine da un presente mortificante verso una realtà liberata, dalla scissione interiore all’integrità. Tale guida è la speranza.

Il filo conduttore di questi articoli, espresso nel titolo Sentire la speranza, è la ricerca su come essa sia emersa dalle macerie delle distruzioni del Novecento, dando vita a prospettive capaci di mostrare un bene credibile e una verità mite.

È la coscienza tragica quella che, se resiste, giunge a vedere nella luce della speranza. Così facendo apre un orizzonte per tutti, poiché senza speranza niente è più visibile. Chi studia la mappa delle correnti di questa stagione del pensiero filosofico scopre quanto sia illegittimo il giudizio per cui il Novecento sarebbe stato interamente pervaso, nella cultura, dalle ideologie totalitarie, da un lato, e da un impasto di relativismo, scetticismo e nichilismo, dall’altro. Il Novecento ha visto emergere anche una costellazione filosofica alternativa a questo duplice vicolo cieco.

Penso a correnti quali la fenomenologia, l’esistenzialismo, l’ermeneutica, il pensiero neoebraico, la dialettica negativa e le teorie critiche della società, il neomarxismo eretico, il personalismo, il pensiero maieutico, le filosofie della nonviolenza, dell’alterità e della differenza, le nuove teologie in dialogo con la filosofia. Ma penso anche alle rielaborazioni teoretiche delle culture e delle religioni al di fuori dell’Occidente.

Tutte queste tendenze, in vario modo e con esiti diversi, hanno aperto itinerari inediti verso la verità. Lo hanno fatto avendo cura dell’integrità del sentire e accogliendo la guida della speranza. Queste filosofie si sono liberate dall’angustia dell’ideologia, oltre che per una rinnovata attenzione al legame tra verità e vita, grazie alla capacità di sentire e di interpretare l’unità della speranza umana. E’ la speranza che non vuole il bene di alcuni e il male di altri, non tollera la divisione tra sommersi e salvati, non ammette la sua appropriazione da parte di nessuna fazione. Nella loro ottica la speranza non si confonde mai con l’ottimismo.

Sperare è sentire l’attrazione di un bene vero, riconoscendone la possibile emersione dentro le contraddizioni di un presente spesso tragico. Ha scritto Walter Benjamin che «la speranza ci è data per i disperati». Essa ha a che fare con la promessa e con il sogno, non con l’illusione. E come la promessa e il sogno, la speranza chiede di essere non dimenticata, ma condivisa e svolta nella vita.


Sul tema, nel sito, si cfr.:

-  Questione antropologica
-  IL PROGRAMMA DI KANT. DIFFERENZA SESSUALE E BISESSUALITA’ PSICHICA: UN NUOVO SOGGETTO, E LA NECESSITA’ DI "UNA SECONDA RIVOLUZIONE COPERNICANA".

-  RILEGGERE SAUSSURE. UN "TRATTATO TEOLOGICO-POLITICO" RIDOTTO A UN BANALE "CORSO DI LINGUISTICA GENERALE"!!!

-  VIVA L’ITALIA. LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI.
-  Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico

-  "Deus caritas est" (Benedetto XVI). Il magistero di Dio-Mammona, un "van-gelo" umano, troppo umano - senza grazia ("charitas") e a caro-prezzo (= caritas)!!!
-  "SPE SALVI". NELLA SPERANZA DELLA CHIESA CATTOLICO-ROMANA SIAMO STATI SALVATI. MA DA CHE?! DA DUEMILA E SETTE ANNI TUTTA L’UMANITA’ STA ANCORA ATTORNO ALLA PISCINA COSTRUITA E GESTITA DAL VATICANO AD ASPETTARE LA DISCESA DELL’ANGELO.


Sentire la speranza

La filosofia del ’900 ha riscoperto la verità

di Roberto Mancini (Avvenire, 09.09.2008)

La speranza vede le rela­zioni. L’angoscia le ne­ga o le deforma, vin­cendo quando ci sentiamo minacciati da ciò che ci sfugge. Gli altri, la natura, il tempo, la morte, la vita, Dio sono per ognuno delle realtà incontrollabili. Sca­turisce da qui uno spirito di angoscia che spesso ha gui­dato la tradizione occiden­tale, spingendola a identifi­care sapere e potere. Cosic­ché conta non la verità, ma la potenza. La conoscenza sembra un rapporto di for­za e la verità un mero og­getto. Oggetto di visione, di giudizio, di rappresen­tazione, di calcolo. O anche un risultato della prassi, secondo Vico e Marx. Oggettivare la verità è la strategia più funzionale alla potenza del soggetto. Hegel aveva sì fatto balena­re un orizzonte diverso af­fermando che è la verità a essere il Soggetto di tutto.

Ma era un Soggetto senza relazione, per il quale ogni altro da Lui è solo un mo­mento interno, come le on­de nel mare. C’è qualcosa di meglio che ritenere la verità ’ oggetti­va’, o solo ’ soggettiva’ in quanto prodotta dal sogget­to umano. È riconoscerla viva e libera con lo sguardo della speranza. Infatti solo sperando possiamo presen­tire che non siamo soli al mondo, persi in un caos o­stile. Possiamo incontrare Qualcuno, vedere un senso, orientare la vita.

Una delle svolte più radicali, nella fi­losofia del Novecento, sta nell’aver preso sul serio l’autonoma soggettività della verità, senza con ciò ritenerla ’soggettiva’ nel senso di arbitraria. Semmai si è compreso che esistere umanamente significa par­tecipare con responsabilità alla relazione con la verità stessa. La conoscenza, an­ziché come una lotta, ora si delinea quale relazione di dialogo, di liberazione, di o­spitalità reciproca.

La lezione della fenomeno­logia di Husserl indica che, invece di farci rappresenta­zioni della verità, possiamo incontrarla. La lezione del­l’ermeneutica, da Heideg­ger a Gadamer, da Ricoeur a Pareyson, mostra che le o­neste interpretazioni del vero non sono teorie arbi­trarie, sono testimonianze.

La lezione della filosofia del dialogo, già con Martin Bu­ber, sta nel rivelare che la relazione tra l’io e il tu è il cuore della conoscenza, dell’esistenza, della fede. La lezione della dialettica ne­gativa di Adorno fa capire come lucido e critico sia non il pensiero che vuole decidere l’identità della ve­rità, ma quello che mostra la differenza tra essa e la menzogna.

Tale mutamento di prospet­tiva supera la falsa alterna­tiva tra assolutismo cogniti­vo e relativismo. L’assoluti­sta e il relativista hanno la stessa concezione della ve­rità. La pensano come un oggetto da trovare e da pos­sedere. Il primo è convinto di esserci riuscito, il secon­do dispera che sia possibile farlo. La conoscenza e an­che la fede respirano solo in un orizzonte completa­mente diverso. Grazie alle filosofie della verità vivente si comprende come la ve­rità sia libera e liberatrice, mite e nonviolenta, inesau­ribile e partecipabile.

Il di­scernimento della differen­za tra verità e menzogna va cercato orientandosi verso questi tratti essenziali. Allo­ra diventa anche un discer­nimento di vita, poiché la verità chiede inveramento al nostro modo di essere persone e di essere, tutti in­sieme, società, umanità so­rorale e fraterna.

In tale ottica conoscere im­pegna non solo il cervello, ma l’esistenza pensante. Di qui la consapevolezza etica per cui, come dice Luigi Pa­reyson, il rispetto per il ve­ro e quello per ogni perso­na sono indissolubili. Chi usa una qualunque forma di violenza in nome della verità dimostra di non aver­la mai incontrata.


Rispondere all'articolo

Forum