Cinema e Filosofia. "Il pensiero ha le ali e niente può impedirgli di volare" (Averroè).

Yussef Chahine (Yūsuf Shāhīn). Il grande regista di "Il Destino" ("Al Massir") è morto. Per l’Egitto e non solo una "voce della libertà". Una nota di Giorgio Gosetti - a cura di Federico La Sala

domenica 27 luglio 2008.
 

E’ MORTO CHAHINE, ’FELLINI D’EGITTO’ *

IL CAIRO - E’ morto al Cairo, a 82 anni, dopo lunga malattia, il regista egiziano Yussef Chahine, considerato dalla critica del suo paese ’il Fellini egiziano’. Di gran lunga il più conosciuto all’estero dei cineasti egiziani, era stato ricoverato a Parigi nel giugno scorso in gravi condizioni per un’emorragia cerebrale ed era stato operato. Era poi caduto in un coma dal quale si era risvegliato per poche ore.

Riaccompagnato al Cairo successivamente Chahine non si è mai più ripreso. Nato nel 1926 ad Alessandria d’Egitto, figlio di un avvocato siriano, di famiglia cristiana, Chahine aveva diretto più di 40 film, uno dei quali, "Il destino", aveva sollevato grandi polemiche per il suo modo di affrontare il tema del terrorismo.

FU VOCE DELLA LIBERTA’ IN EGITTO

di Giorgio Gosetti

Il nome di Youssef Chahine è di quelli che il cinema mondiale conosce da tempo ma che il pubblico italiano ha scoperto solo nella piena maturità di un regista che oggi l’Egitto e il Medio Oriente piangono come la loro "voce della liberta", di certo il più grande cineasta cresciuto negli ultimi 80 anni sull’altra sponda del Mediterraneo. Era nato ad Alessandria d’Egitto il 25 gennaio del 1926, si considerava cittadino del mondo e francese d’adozione ma alla sua terra è sempre rimasto legato in modo assoluto sentendosi interprete e bandiera di una cultura araba aperta al mondo occidentale. Cresciuto in una famiglia agiata ed educato all’occidentale lasciò il suo paese a poco più di 20 anni per andare a studiare il cinema in America, alla Pasadena Play House, mirando alla vicina Los Angeles. Ma dopo meno di due anni fu richiamato in patria da un amico del cinema egiziano, un pioniere della settima arte come il grande direttore della fotografia di origine italiana Alvise Orfanelli.

Fu proprio quest’ultimo ad offrigli, nel 1950, la possibilità di debuttare dietro la macchina da presa con l’autobiografico e giovanilistico Baba Amin. L’anno seguente, di nuovo al lavoro con Ibn El Nil riceveva il suo invito per il Festival di Cannes, primo cineasta egiziano ad avere questo onore. Il suo debutto a Cannes, nell’indifferenza dei giornali e degli addetti ai lavori, in una sala semivuota e nel gelo delle autorità ufficiali fu ricostruito con spirito umoristico e un pizzico di legittimo orgoglio (il film ebbe infatti poi una importante carriera internazionale) dallo stesso Chahine, un anno fa, facendone l’oggetto dell’episodio inserito nel film collettivo Chacun Son Cinema prodotto da Gilles Jacob. E in effetti a Cannes Joussef Chahine deve buona parte della sua risonanza internazionale poiché vi tornò a più riprese, ricevuto da maestro consacrato, fino a quando nel 1997 vi presentò Il Destino ricevendo il premio del cinquantesimo anniversario del Festival.

Nel frattempo aveva realizzato, scritto e sovente prodotto un imponente massa di lungometraggi (in tutto una cinquantina) fino alla recente Il Caos, presentato lo scorso settembre alla Mostra di Venezia. Il primo riconoscimento internazionale della sua carriera gli venne però dal Festival di Berlino, dove nel 1978 vinse l’Orso d’Argento con Alessandria...Perche?, primo capitolo di una trilogia di nuovo fortemente autobiografica che avrebbe sviluppato nel 1982 e poi nel 1990 concludendola idealmente con un quarto episodio datato 2004 e intitolato Alessandria, New York.

Nessun genere cinematografico gli è rimasto estraneo, dalla commedia al racconto sociale, dal musical folcloristico all’affresco storico di cui resta esempio importante il suo Adieu Bonaparte diretto nel 1985 e dedicato alla spedizione in Egitto di Napoleone. Ma é senz’altro nell’esercizio del racconto intimista con forti valenze socio-politiche che ottenne i migliori risultati come ad esempio ne Il Passero del 1973, una data storica per il cinema egiziano poiché coincide con la prima grande co-produzione di quel paese, realizzata insieme all’Algeria.

Quale è la lezione che ci lascia Joussef Chahine nella storia del cinema? Senz’altro quella di un’apertura mentale, intellettuale e ideologica in cui il racconto degli umili si fa emblema di un desiderio di riscatto in cui la tradizione araba fa germinare la capacità di aprirsi al mondo e di dialogare con le altre culture. Senz’altro un’idea di cinema in cui i modelli del racconto tradizionale si fondono con la lezione della nouvelle vague e del neorealismo italiano in un tentativo di sincretismo culturale che, ai suoi occhi, doveva portare l’Egitto a farsi nazione e cultura-guida per l’intero Medio Oriente.

Non ebbe rapporti facili, da questo punto di vista con il suo paese nei periodi della presidenza di Nasser e dei suoi successori. Gli capitò perfino di finire in prigione alla metà degli anni 80, per aver distribuito a proprie spese un film vietato dalla censura ufficiale. Seppe però usare al meglio il suo credito internazionale per difendersi dagli attacchi del regime e per pungolarlo ad una maggiore libertà a favore degli intellettuali. In Francia era di casa ma non è un caso che le sue opere più celebri si rifacciano sempre alla città natale, Alessandria, ad un mondo in cui, per un’utopia realizzata, ogni voce aveva diritto di cittadinanza e da ogni cultura si poteva imparare qualcosa

* Ansa» 2008-07-27 14:16



Sulle ali del pensiero

Il Destino, bellissimo musical contro l’integralismo di Chahine

di Curzio Maltese *

Quando il califfo Al Mansour ordina di bruciare tutte le sue opere, Averroè, immenso scienziato e pensatore arabo vissuto nella Spagna medievale, assiste al rogo nelle strade di Cordova. Una copia soltanto si salva, ma Averroè la lancia sulle fiamme: "Il pensiero ha le ali e niente può impedirgli di volare". È la scena di apertura di Il Destino di Youssef Chahine, un "musical contro l’integralismo", così è stato etichettato a Cannes dove ha vinto il premio istituito per festeggiare il cinquantenario del Festival.

Ma forse Il Destino è qualcosa di più. Uno dei rari esempi di coraggio del talento, un’opera profonda e lieve, divertente e intimamente seria, di grande attualità politca. Mentre fra Occidente e Islam crescono la distanza e l’incomprensione, alimentate dagli integralismi di questa e quella sponda, il film di Chahine ricorda la magnifica eredità che la cultura araba ha lasciato all’Europa. E lo racconta attraverso la figura di Averroè, genio, matematico, teorico, e uomo generoso, allegro, maestro di tolleranza. Un filosofo che ama il ballo, la buona tavola e le belle donne, legato ai piaceri della vita, com’è nella autentica e dolce, sensuale tradizione araba. Ma che non ha paura di rischiare la morte per difendere la sua libera visione del mondo dalle catene del potere. Un’eterno giovane, come il regista Chahine, settantadue anni e trentacinque film ale spalle, da sempre in pessimi rapporti con la censura egiziana.

Capace di far passare un discorso sulla libertà e la dignità umana attraverso una felice mescolanza dei generi cinematografici più popolari, dalla commedia al western fino al musical. Non ci si annoia davvero a inseguire le storie, le sorprese, le idee e la musica di un bel film che è come un viaggio su un tappeto volante, alto sulle misterie del potere e sul servilismo che lo circonda in ogni epoca. Forse anche utile a ricordare a un pubblico distratto e manipolato quanto la nostra cultura deve all’occupazione araba, dalla matematica alla medicina, all’astronomia. In tempi di razzismo e analfabetismo di ritorno, non è davvero poco

*

Fonte: la Repubblica, 21.04.1998.


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FLS


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