Tra le isole e le coste del Mediterraneo. Storie di storie...

AL FESTIVAL DELL’ESTREMADURA, MESSA IN SCENA MINIMALISTA DELL’ODISSEA, rielaborata da MARIO VARGA LLOSA

venerdì 4 agosto 2006.
 

LO SCRITTORE PERUVIANO RIELABORA L’EPOPEA DELL’EROE DI ITACA PER UNA MESSA IN SCENA MINIMALISTA AL FESTIVAL DELL’ESTREMADURA

Il mio Ulisse

di Mario Vargas Llosa(La Stampa, 3/8/2006)

Ulisse e le sirene

Scritta circa 2700 anni fa da un poeta e narratore del quale non sappiamo nulla, se non che era un genio e che per comporre il suo poema utilizzò miti, storie, leggende vagabonde da secoli tra le isole e le coste del Mediterraneo, l’Odissea è, ancor più dell’Iliade, il testo letterario e la fantasia mitica che fanno da fondamento alla cultura occidentale.

Nessun altro racconto, neppure le invenzioni più ricche e ammaliatrici che hanno punteggiato la lunga storia del variegato intreccio di lingue, paesi, costumi, tradizioni e idee che costituiscono questa civiltà ha conservato per tanto tempo e con tanta forza il proprio carattere emblematico, mantenuto una freschezza così costante, affascinato un tal numero di generazioni spingendole a tradurlo, adattarlo, ricrearlo e interpretarlo per il pubblico e per i lettori, per gli ascoltatori e gli spettatori più diversi quanto le gesta di Ulisse.

Vecchi e bambini, profondi pensatori e analfabeti, eruditi e sognatori, l’intera gamma dell’umanità, hanno accompagnato in qualche modo, in una, in molte o in tutte le sue avventure, l’eroe acheo della guerra di Troia che, per la vendetta di Poseidone, vede osteggiato il proprio viaggio verso Itaca, per dieci anni - tanto dura il suo ritorno al piccolo regno di contadini e di capre, isoletta sperduta nel mar Ionio - e partecipato alle innumerevoli prove che egli deve superare prima di riuscire ad abbracciare Penelope e recuperare il trono.

Le invenzioni formali

Che cosa giustifica la straordinaria capacità dell’opera di sopravvivere al tempo e di coagulare attorno a sé un così ampio interesse? Innanzi tutto, è ovvio, la qualità della sua costruzione letteraria.
-  Il poema omerico sembra scritto oggi da un affabulatore che sa dominare tutti i segreti dell’arte del racconto ed è stato capace di assimilare, nella sua sapienza di narratore, tutte le tecniche e le invenzioni formali: dall’invenzione d’un tempo in cui inquadrare al meglio il racconto ai più arditi cambiamenti del punto di vista di chi narra, alle modifiche dei piani di realtà che creano, nella vicenda di Ulisse, un mondo totale e multiplo, fatto di storia e fantasia, di memoria e di sogno, di delirio e di testimonianza.
-  Ma queste sono valutazioni per lettori intellettuali - vale a dire un’insignificante minoranza - non per l’immenso numero di persone che provano nausea di fronte al cannibalismo di Polifemo, vivono il fascino dell’incantatrice Circe, si spaventano per i mostri marini di Scilla e Cariddi o s’innamora della candida Nausicaa. Per questo pubblico il mondo di Ulisse, pur elaborato con il più raffinato impiego delle parole e la capacità d’un superbo narratore, è soprattutto un modo di vivere e di essere, un prototipo nel quale è riflesso qualcosa che rappresenta non ciò che è, ma piuttosto ciò che non è e che vorrebbe essere.
-  Chi è e com’è Ulisse? A prima vista, un avventuriero esperto nelle arti della guerra che si è distinto per audacia e coraggio durante la guerra di Troia e che, con l’aiuto di dei come Atena ed Hermes, affronta e vince nemici brutali quali il Ciclope o subdoli e affascinanti quali le sirene e, nello stesso tempo, lotta, soffre, vede morire tutti i suoi compagni, si dà alla bella vita con magnifiche donne - immortali o mortali - che gli cadono ai piedi: un uomo che vive le proprie imprese e che, dopo averle vissute, le conserva nella memoria per poterle, poi, raccontare.

Perché uno dei tratti fondamentali della personalità dell’eroe dell’Odissea e, forse, il principale - più importante, cioè, del suo aspetto di guerriero e di protagonista di grandi gesta - è proprio quello del raccontatore di storie.
-  Ulisse ha vissuto sul serio le meravigliose vicende che narra agli attoniti feaci alla corte del re Alcinoo? Non c’è modo di saperlo chiaramente. Potrebbe essere tutto vero. E che, magari, grazie a un’eccellente memoria e all’abilità di narrare egli abbia semplicemente arricchito le proprie «credenziali» d’uomo d’azione. Ma potrebbe anche essere l’opposto. Che egli fosse, cioè, un geniale imbroglione, il primo di quell’eterna stirpe di fabbricanti di menzogne letterarie, così belle e seduttive che i lettori e gli ascoltatori le trasformano in verità credendo in esse: quella degli affabulatori.
-  Ci sono, nel poema, parecchi indizi che Ulisse dica bugie: si contraddice in quello che racconta e dà differenti versioni d’uno stesso evento o d’uno stesso personaggio a seconda del pubblico al quale si rivolge. Se così fosse e Ulisse si rivelasse, prima che un eroe nella vita, un eroe dell’immaginazione, ne uscirebbe svilito? Assolutamente no: semplicemente la storia che egli racconta sarebbe diversa da quella in cui si presentava, insieme, come protagonista e narratore; in questa il re di Itaca sarebbe il giocoliere, il creatore.

La verità è che basta affacciarsi alla vertiginosa biografia legata all’Odissea per rendersi conto che ci saranno sempre argomenti sufficientemente forti e persuasivi per giustificare entrambe le letture del suo protagonista. E ciò significa, tra l’altro, che Ulisse è un personaggio ambiguo, che non si lascia incasellare in nessuna rigida categoria, che sfugge a qualsiasi tentativo di attribuirgli, una volta per tutte, una personalità univoca. In realtà quest’ambiguità è il suo aspetto più seducente: essere nel mondo oggettivo della realtà e in quello soggettivo della fantasia, nella storia e nel mito, nella menzogna e nella verità, vale a dire, contemporaneamente, nel vissuto e nel sognato.

Chissà che sia proprio questo ciò che, da quasi tremila anni, ci tiene soggiogati al fascino di Ulisse. Poche opere, meglio di questa, sanno mostrare e farci vivere e comprendere dall’interno la capacità della fantasia di rendere più ricca la vita banale, l’esistenza quotidiana della stragrande maggioranza della gente.

Con il sovrano di Itaca, navigatore valente o simulatore chiacchierone, l’esistenza scialba nella quale siamo immersi si apre completamente e un’altra prende il suo posto: ricca di prodezze e di avvenimenti strani, di colore e di violenza, di delicatezza e di meraviglia, di tenerezza e di passioni smodate.

Un’esistenza che è quella delle peripezie inverosimili attraversate o inventate da Ulisse e che, grazie al suo potere di persuasione, diventano vere proprio perché, leggendole, le viviamo con lui. Quello dell’Odissea è un mondo di racconti e di appetiti in libertà. Uomini e donne godono del mangiare, del bere, del danzare, del fare l’amore esattamente come nell’ascoltare aedi o bardi mentre raccontano loro storie vere o fantastiche al suono della cetra. In questo mondo non esiste una frontiera impermabile tra corpo e spirito, entrambi sono le due facce, il dritto e il rovescio, dell’umano e per questa ragione gli esseri che sono riusciti a realizzarsi in un modo così completo, come l’eroe del poema, vivono immersi in entrambe, godono di entrambe come se questi due mondi fossero inscindibili, uno solo.

Tra le tante cose rappresentate dalla cultura occidentale esiste questa costante: l’attrazione nei confronti degli esseri umani che infrangono i limiti e che, invece di sottomettersi alla schiavitù del possibile, s’impegnano, contro ogni logica, nella ricerca dell’impossibile. Don Chisciotte è uno dei paradigmi di questo eroismo tragico, di questo ideale che, nonostante sia fatto a brandelli dalla spietatezza della realtà, continua a rimanere lì, stimolandoci con il suo esempio a continuare nello sforzo di raggiungere l’irraggiungibile. A volte qualcuno ci riesce, com’è accaduto a Ulisse agli albori della storia. E, in ogni caso, anche quando questo si riveli una chimera, resta sempre lo stratagemma del viaggio della fantasia - la bugia che si trasforma in realtà - nel quale si possono superare tutti i limiti perché i limiti non esistono o perché, in essa, una creatura mortale ed effimera come il re di Itaca, può persino sconfiggere gli dei onnipotenti.

Quattro spettacoli

Quest’anno - prova ulteriore dell’inesauribile fecondità del poema omerico nel generare riletture e traduzioni - il Festival del Teatro Classico di Merida, in Estremadura, presenta quattro spettacoli assai differenti l’uno dall’altro, ma tutti ispirati all’Odissea. Quello che scritto io s’intitola «Ulisse e Penelope» ed è una versione minimalista della storia classica raccontata, interpretata e letta dai due protagonisti a Itaca, una volta terminato il massacro dei Proci e delle schiave infedeli. I due personaggi subiscono continue metamorfosi, in particolare Penelope, fedeli, in quest’atteggiamento, a una vocazione che sembra norma per la cultura ellenica primitiva nella quale tutti gli esseri - umani, dei e animali - soffrono della stessa instabilità ontologica e non sono mai ciò che sono per sempre, ma solo provvisoriamente: ognuno vive varie vite, quasi fossero personaggi e cose di fantasia.

Il testo è fedele allo spirito del poema e rivisita, in tono minore, tutti i principali episodi del viaggio di Ulisse, anche se tralascia la prima parte, il peregrinare di Telemaco alla ricerca di notizie del padre e gli avvenimenti che si verificano dopo il re-incontro di Ulisse e Penelope. Come nello spettacolo precedente, La verità delle menzogne, ma questa volta in modo più organico, ho cercato di fondere l’antichissima arte dei cantastorie - forma primigenia della letteratura e, certamente, del teatro - con la rappresentazione drammatica e la lettura pubblica, un lavoro delicato e creativo che la vita moderna tende, purtroppo, a far scomparire.

Anche questa volta ho avuto due collaboratori d’eccezione: il regista Joan Ollè e Aitana Sanchez Gijòn ai quali si sono aggiunti, ora, lo scenografo Frederic Amat e il datore delle luci Frederic Amat. Una piccola avventura come tributo al primo dei nostri avventurieri, un piccolo viaggio in onore del grande viaggiatore, un piccolo sogno d’amore per il grande amatore e il miglior sognatore della nostra letteratura.


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