PREFAZIONE AL QUADERNO DELLA COSTITUZIONE
DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, GIORGIO NAPOLITANO *
Cari ragazzi,
la Costituzione che entra a far parte della vostra personale biblioteca è un documento prezioso, perché contiene i principi sui quali si fonda la nostra Repubblica democratica; un documento del quale è importante che voi ragazzi conosciate appieno l’origine e la storia, affinché possiate compiutamente apprezzare il valore delle conquiste politiche e sociali che esso ha consentito e garantito in sessant’anni di vita costituzionale. La Costituzione va letta, va studiata e va praticata, prendendo le mosse dai principi fondamentali che costituiscono la sua ragione d’essere.
L’articolo 3, innanzi tutto, che, dopo aver sancito la pari dignità sociale e l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, stabilisce: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Il raggiungimento di questo obiettivo, che va costantemente proposto e perseguito, è un compito difficile, che richiede la cooperazione di tutti, cittadini, pubblici poteri e istituzioni democratiche, in un consapevole e incessante sforzo comune. L’impulso a questo sforzo comune viene direttamente dalla Costituzione, là dove segna il percorso da seguire per far sì che si sviluppi, fin dalla più giovane età e nell’esperienza scolastica, un costume di tolleranza e di confronto civile delle idee e delle opinioni. Tale costume deve naturalmente improntare di sé anche i rapporti tra italiani e stranieri che scelgono di vivere nel nostro Paese. E’ un costume di impegno democratico, fondato sul rispetto delle regole e fortemente ancorato ai valori di libertà e di dignità umana consacrati nella Costituzione.
Nel raggiungimento di questo obiettivo, cari ragazzi, vi guadagnerete il titolo di costruttori di democrazia.
* Prefazione del Presidente Napolitano per "Il Quaderno della Costituzione" (documento PDF)
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Al cittadino non far sapere
di Giancarlo De Cataldo (l’Unità, 10.11.2009)
Condivido pienamente le preoccupazioni espresse dal Corriere della Sera: se davvero insegnassimo nelle scuole «Cittadinanza e Costituzione» trasformeremmo, sciaguratamente, «la democrazia in catechismo». Parole sante. I nostri ragazzi devono essere tenuti alla larga da discutibilissimi precetti quali l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge (art. 3), il ripudio della guerra (art. 11), la libertà di culto (art. 8), di associazione (art. 18), di pensiero (art. 21), il diritto alla salute (art. 32) e all’istruzione (art. 34), il dovere di pagare le tasse (incredibile, vero? Beh, c’è anche quello, all’art. 53), la irrevocabilità della forma repubblicana (art. 139).
La maligna forza persuasiva di detti precetti è tale che i nostri figli potrebbero convincersi della validità della nostra Costituzione e mandare al diavolo quei politici, baroni e maestri del pensiero che da anni si battono per cambiarla (taluni sognando più mature e consapevoli forme di governo, ispirate a legislatori del calibro di Sardanapalo e del Leonida di Frank Miller). O, addirittura, potebbero prendere tanto sul serio questo confuso agglomerato di “buonismo democratico” da pretenderne l’applicazione.
Inoltre, i nostri ragazzi potrebbero persino coltivare la perniciosa illusione che la scuola non serva soltanto a ingozzarli di nozioni come oche da foie gras, ma possa e debba contribuire (orrore) a farne cittadini civili e consapevoli. Ciarpame culturale che abbiamo già sperimentato con l’esecrando Sessantotto, e che, fortunatamente, il vento impetuoso del progresso (e le norme della Finanziaria) spazzeranno presto via. Così i nostri ragazzi, finalmente istruiti da savi maestri senza grilli per la testa, saranno liberi di formarsi una coscienza critica attraverso strumenti più adeguati: Wikipedia, la Curva, Miss Italia e il Grande Fratello.
COSTITUZIONE E CITTADINANZA. Lezione dei nostri Padri e delle nostre Madri Costituenti: Se un cittadino-sovrano, una cittadina-sovrana, "pecora si fa, il lupo se la mangia"!!!
Una proposta nuova e insieme «antica»
Per una pedagogia ispirata alla Costituzione
di Mario Lodi (l’Unità, 30.08.2008)
Un articolo di Ernesto Galli della Loggia, pubblicato sul Corriere il 21 agosto invita a una riflessione seria sul problema educativo della scuola italiana di oggi. È vero che la scuola pubblica in Europa da due secoli ammette che non è solo un sistema per impartire nozioni, ma qualcos’altro, Che cosa? Rousseau scrisse che il bambino nasce libero e la società lo corrompe. Il grande scrittore Tolstoj aveva provato a realizzare per i figli dei contadini poveri la scuola di Jasnaia Poliana dove i bambini scrivevano i libri sui quali studiavano. Gli ultimi due secoli non sono stati avari di riflessioni e di esperienze singnificative.
Basta ricordare Maria Montessori che aprì le Case dei bambini, la Escuela moderna di Francisco Ferrer, la Cooperative Laic del Freinet che si diffuse in Italia con il Movimento di Cooperativa Educativa dopo la seconda guerra mondiale come pedagogia del buon senso, lasciando numerose opere pubblicate da Case Editrici famose. E contemporaneamente l’idea del priore don Lorenzo Milani di trasformare la sua parrocchia in scuola finalizzata ai valori della Costituzione, vale a dire la collaborazione nella libertà, invece della competizione. In Italia la strumentalizzazione della scuola per fini politici fu attuata dal fascismo, durò vent’anni e portò alla guerra.
Con la Liberazione fu necessario cambiare le leggi del nuovo stato democratico e in sede in Assemblea Costituente pochi sanno che l’11 dicembre ’47, fu approvato all’unanimità e con vivi e prolungati applausi, un ordine del giorno di Aldo Moro in cui si chiedeva che «la Carta Costituzionale, trovi senza indugio adeguato posto nel quadro didattico delle scuole di ogni ordine e grado, al fine di render consapevoli le giovani generazioni delle conquiste morali e sociali che costituiscono ormai sicuro retaggio del popolo italiano».
Quel giorno era nata l’idea di una nuova scuola italiana con il fine di formare i cittadini futuri. Il loro libro di orientamento era la Costituzione italiana ma non è stato usato con il fine di contribuire a formare i futuri cittadini, di cui la nostra società aveva bisogno. Nelle esperienze del dopoguerra troviamo alcune idee semplici che insegnanti sensibili e preparati possono applicare nella scuola di oggi con il fine di formare i cittadini democratici di domani. I bambini a sei anni sanno già parlare correttamente dei loro bisogni e della loro vita.
L’educatore può subito usare il linguaggio della parola per costruire le fondamenta della scuola democratica. Usando quel linguaggio ogni giorno, abituandoli ad ascoltare e a pensare senza interromperli come di solito fanno i politici in tv, si può parlare di tutto, conoscere gli altri, sapere come vivono. E si scoprirà che, pur sotto la divisa di un grembiule uguale per tutti i bambini sono, per fortuna, tutti diversi. La scuola della parola ci offre la chiave per entrare in quel mondo sconosciuto.
La scuola quindi è la prima società in cui entrano da protagonisti i bambini. È possibile renderla bella e funzionale? Assegnare a ogni cosa il suo posto? Dai quadri alle pareti, all’angolo del computer, dal posto della biblioteca, ai vasi di fiori freschi da cambiare ogni giorno, la nostra aula-laboratorio sarà d’ora in poi un po’ del nostro mondo da conoscere e rispettare. Come era la Casa dei bambini della Montessori.
I bambini che sentono come propria l’aula-laboratorio nel quale cominciano a vivere pensando e parlando e ci resteranno per otto anni, lavorando insieme. E insieme esprimeranno le regole della comunità nascente, rappresentata dall’assemblea-classe, entro la quale si formeranno di volta in volta i cittadini che hanno il diritto alla libertà espressiva sintetizzato dall’articolo 21: «Tutti hanno il diritto di esprimere il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo».
Sembra tutto facile, ma senza educatori professionisti, capaci e appassionati al loro lavoro, non è possibile. Ma chi li forma questi professionisti dell’educazione? Questo è il compito di un ministro che ha una visione politica di un futuro positivo della società che i nostri legislatori hanno progettato alla fine della guerra e alla nascita della democrazia come partecipazione attiva. Formare gli educatori della nuova scuola dei cittadini, significa creare dei centri di sperimentazione specializzati e volontari che ogni anno immettono nella scuola la pedagogia dell’educazione civica.
Nella scuola-laboratorio ragazzi diversi per cultura imparano a studiare e lavorare insieme aiutandosi quando c’è bisogno come si faceva a Barbiana sostituendo la solidarietà alla competizione. È in questo ambiente che si impara l’educazione dell’ascolto invece della interruzione come si usa spesso in televisione. In questo ambiente dove c’è rispetto per tutti comincerà a essere sostituito il linguaggio volgare, con parole di rispetto verso chi vive insieme a noi. Allora, imparando dall’esempio acquisterà anche l’educatore quell’autorevolezza che in questi tempi sembra smarrita nei giovani e nei genitori, al Nord e al Sud
Come fare a pezzi la scuola
Meno maestri e meno soldi
Il recente rapporto di Bankitalia dice che al Sud c’è abbandono per strutture fatiscenti
Non c’è alcun rapporto scientifico tra la riduzione del bullismo e il voto di condotta
di Marina Boscaino (l’Unità, 29.08.2008)
Siamo usciti - alla fine di luglio - da una fatiscente e disastrata scuola del XXI secolo; rientriamo, in settembre, in una fatiscente e disastrata scuola degli anni ’60. Con questa consapevolezza, dopo il Consiglio dei Ministri di ieri, dopo le esternazioni di Gelmini al meeting di Rimini, andiamo a vedere come questa donna, fino a tre mesi fa sconosciuta - oggi monopolizzatrice di spazi televisivi e di articoli di giornale - nonostante la sua inadeguata competenza e il suo basso profilo politico continui a tenere accese su di sé le luci di una ribalta che resistono solo perché assecondano alcune pericolose richieste dell’elettorato italiano. Un esempio. Da qualche ora circola sul sito di "Repubblica" un sondaggio: siete favorevoli al ritorno del voto? Ebbene, alle 18 di ieri pomeriggio il 71% dei 6000 votanti era favorevole per tutti gli ordini di scuola; il 12% contrario; il 3% favorevole solo nelle scuole elementari e medie; il 14% solo alle superiori; l’1% non si è espresso. Ecco un caso veramente indicativo di come vanno le cose nel nostro Paese: "pseudo-notizie" sulla scuola tengono banco, producendo l’effetto di far dimenticare i veri problemi.
Parte dell’opinione pubblica interviene a plaudire ad un provvedimento che di sé appare molto meno significativo di altri. Cosa intendo per "pseudo-notizie"? Intendo, ad esempio, che la riabilitazione del voto al posto del giudizio sintetico (distinto, ottimo) rappresenta un risibile tentativo di dare una risposta al complesso problema della valutazione: in uno scontato gioco delle tre carte si sostituiscono i voti ai giudizi. Perché - dalla sostituzione dei voti con i giudizi, che aveva una sua specifica ratio di carattere pedagogico - di fatto i giudizi sintetici si sono trasformati in aggettivi basati su un criterio molto simile a quello numerale. Disturba, semmai, il ritorno ad un numero per valutare un bambino, ad una criterio di giudizio antico; e la disattenzione al dibattito che portò al cambiamento. L’idea non è né originale, né tantomeno rivoluzionaria: si tratta di una trovata ad effetto per assecondare il bisogno di ordine, l’irrinunciabile necessità di certezze sulle minuzie che caratterizza quest’epoca di confusione e distrazione sui grandi temi; e per far segnare un punto nella lista "interventi fatti" in nome di un fasullo efficientismo destinato a spostare di nulla i problemi della scuola.
Come il clamore sul voto di condotta: 5, automatica bocciatura; il voto in condotta fa comunque media. Sarebbe interessante - tra tanto sbandierare di pugni di ferro e provvedimenti demagogicamente repressivi - che il ministro producesse dati sul rapporto tra bullismo e rendimento scolastico: comprendere, cioè, quale sia stata la sorte, didatticamente parlando, dei numerosi bulli assurti alle cronache in questi ultimi anni. Facendo media, il voto in condotta inciderebbe sull’erogazione di credito scolastico, intervenendo sull’esito dell’esame di stato.
È in grado, il ministro, di produrre evidenze che certifichino un numero significativo di alunni con rendimento scolastico brillante a fronte di comportamenti esecrabili? O non risulterebbe, piuttosto, uno stretto rapporto tra condizioni sociali e comportamenti, nella maggior parte dei casi? Ha valutato, Gelmini, che al Sud, secondo un recente rapporto della Banca d’Italia, il tasso di abbandoni è del 25% e che la ricetta, suggerita non solo dalla ricerca, ma da molti pedagogisti, è quella di intervenire preventivamente non con la repressione, quanto con la stabilizzazione della relazione educativa, limitando se non eliminando il precariato che si sposta ogni anno in classi e scuole diverse? Solo quella stabilizzazione, infatti, può produrre risultati significativi sul piano del successo formativo e dell’educazione alla cittadinanza. È realistico credere che un problema come il bullismo non incontri un’aggravante nei tagli di organico che ci troveremo di fronte nei prossimi 3 anni; e trovi un deterrente nella clava del 5 in condotta?
Se nel bilancio del ministero il 97% del budget disponibile è destinato agli stipendi del personale, perché tagliare automaticamente sul personale - in cui, lo ricordo, rientrano alcune "anomalie", ora positive, ora negative, del sistema italiano: insegnanti di sostegno, di religione cattolica, di comuni montani e isole piccole - e non valutare se il budget è di per sé insufficiente, in una scuola in cui per buona parte la più avanzota tecnologia di comunicazione è tuttora il gesso? Insomma, la nostalgia per i "bei vecchi tempi" e la severità sono il segno demagogico delle rivoluzioni pedagogiche del governo di centro destra.
In nome di questi saldi principi, però, si configura l’insidia peggiore, la meno sottolineata, se non dai sindacati: il ritorno al maestro unico dal 2009. Che non vuol dire esclusivamente - come ha affermato Enrico Panini - la riduzione dei 2/3 dell’organico per un totale di circa 250.000 unità. Ma significa anche smantellare un’esperienza, quella del team di insegnanti, che ha connotato in maniera significativa la scuola elementare, segnalandola come la parte della scuola italiana più qualificata, vitale e incisiva per la costruzione dell’emancipazione cognitiva dei bambini.
Il furor iconoclasta anti Sessantotto che compatta la compagine governativa ogni volta che affronta un problema culturale individua in un passatismo talvolta inconcludente, talvolta estremamente pericoloso, la propria arma principale. Il rischio è che - tra grembiulini, rigore indiscriminato, autorevolezza di facciata, autoritarismo controproducente, criteri economicisti - si avvii un’operazione che colpisce la parte più sana di un sistema in grave difficoltà. La vera notizia è questa.
Scuola, torna il vecchio stile, restano i tagli
Tutti in fila. A pochi giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico, il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini mette in riga gli studenti. E in Consiglio dei Ministri fa approvare una serie di misure che, secondo, lei serviranno a sconfiggere il bullismo e a rimettere un po’ di sale in zucca agli scolari italiani. Peccato che passano poche ore e si scatena la bufera di chi con i ragazzi ci lavora ogni giorno. Ma andiamo con ordine, direbbe la Gelmini.
Si comincia con il ritorno del voto in condotta: chi non arriverà alla sufficienza, sarà bocciato. Dunque, spiega la Gelmini, «la valutazione della condotta e del comportamento farà media». Ritornano anche i voti, al posto dei giudizi, garanti, secondo il ministro di maggiore «chiarezza». Marcia indietro anche sul numero degli insegnanti: alle elementari si torna al maestro unico, e ancora non è chiaro che fine faranno tutti gli insegnanti ora impiegati nelle scuole primarie. Si torna ad insegnare educazione civica, perché la scuola, sottolinea il ministro Gelmini «deve rimettere al centro la persona e preparare i ragazzi ad essere cittadini consapevoli dei diritti e dei doveri e conoscitori dei principi costituzionali». Forse, tra le prime lezioni, non guasterebbe un bel ripasso dei principi di uguaglianza e di unità nazionale, visto che la ministra ha accusato gli insegnanti del Sud di essere meno preparati di quelli del Nord (teoria da lei stessa verificata quando, per sostenere l’esame da avvocato, si è trasferita da Brescia a Reggio Calabria).
La Rete degli Studenti esprime «la più netta contrarietà» al decreto legge: «Si tratta come abbiamo sempre sostenuto - spiegano - di un enorme passo indietro per il diritto inalienabile di ogni studente di essere valutato per ciò che sa e ha appreso, senza la spada di Damocle di un giudizio, privo di obiettività, sul comportamento. Lo Statuto degli Studenti - ricordano - è una carta equilibrata, che prevede diritti e doveri, con precise sanzioni per ogni situazione, anche grave, che si può generare: come ogni sistema di sanzioni, prevede una giustizia a più gradi con la possibilità di appello».
Non sono d’accordo nemmeno gli studenti dell’Azione Cattolica, certamente più vicini alla ministra ma che non esitano a bocciarla: un «cinque» alla Gelmini per il metodo con cui ha scelto di legiferare in materia di istruzione. Anche qui, infatti, come in tema di giustizia, di economia, di sicurezza, il governo ha optato per il decreto legge, «in contrasto - ricordano gli studenti cattolici - con quanto annunciato dal ministro meno di un mese fa, quando queste nuove norme ci sono state indicate come gli elementi fondanti di un disegno di legge in materia scolastica. Meglio sarebbe - proseguono - non sacrificare, con la scelta della decretazione d’urgenza il dibattito in sede parlamentare e nei luoghi istituzionali di confronto tra il Ministero e i rappresentanti degli studenti, dei docenti e dei genitori». Ma ormai la frittata è fatta.
«I nostri ragazzi avrebbero bisogno di una scuola che li prepari a una società complicata e a un mondo del lavoro difficile e invece dal ministro Gelmini e dal governo di centrodestra arrivano messaggi incongruenti, quando non insulti per gli insegnanti», si infervora Marina Sereni, vicepresidente dei deputati Pd: «Non si capisce perché la responsabile dell’Istruzione - prosegue la Sereni - non impieghi i suoi sforzi per non far tagliare i fondi per lo studio e si prodighi invece a far diventare gli istituti pubblici delle fondazioni che non farebbero altro che disegnare scuole di serie A e serie B per ragazzi di serie A e serie B».
* l’Unità, Pubblicato il: 28.08.08, Modificato il: 28.08.08 alle ore 18.57
Il Pontefice era già salito al Colle quando c’era Ciampi
Benedetto XVI in visita al Quirinale il 4 ottobre
Papa Ratzinger restituirà a Giorgio Napolitano il saluto che il capo dello Stato gli fece in Vaticano il 20 novembre 2006, pochi mesi dopo essere stato eletto al Colle.
Roma, 25 lug. (Adnkronos/Ign) - Benedetto XVI il prossimo 4 ottobre si recherà in visita dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Papa Ratzinger era già stato al Quirinale il 24 giugno 2005, quando era presidente Carlo Azeglio Ciampi.
"Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano -si legge in una nota del Quirinale- accogliera’ Sua Santita’ Benedetto XVI al Quirinale il 4 ottobre, festa di San Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia, in visita ufficiale di restituzione di quella compiuta dal Capo dello Stato in Vaticano il 20 novembre 2006".