Camorra

Duro colpo al clan dei casalesi: sedici ergastoli per i boss, è una vittoria anche per Roberto Saviano

venerdì 20 giugno 2008.
 

Al processo Spartacus la prima sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli conferma le 16 condanne. Carcere a vita per tutti i boss del gruppo criminale. Saviano nell’aula bunker: «Vittoria dello Stato, ma è solo il primo atto di una partita da vincere fino in fondo».

Il verdetto è arrivato dopo tre giorni e un’ora di camera di consiglio, che sono stati per i giudici, togati e popolari, simili a "tre giorni di reclusione", ironizzerà alla fine il presidente della Corte, Raimondo Romeres. E la sentenza è una mazzata sui vertici del clan dei Casalesi, la più agguerrita e potente tra le cosche della camorra. Sedici ergastoli che, in sostanza, confermano la solidità delle accuse e il lavoro dei giudici di primo grado che impiegarono ben sette anni per condurre a termine il dibattimento. Il massimo della pena è la condanna inflitta, tra gli altri, a Francesco Schiavone, soprannominato Sandokan, a Francesco Bidognetti, meglio noto come Cicciotto ’e mezzanotte, e ai due boss latitanti Michele Zagaria e Antonio Iovine, che avrebbero acquisito il ruolo di reggenti all’interno dell’organizzazione.

Il presidente della prima sezione della Corte di Assise di Appello ha letto le quattro pagine del dispositivo in un’aula bunker affollata come ai tempi del maxiprocesso alla Nco di Cutolo, dove il numero di giornalisti sopravanza nettamente quello degli avvocati e degli imputati (solo due in cella, il boss Sandokan collegato in videoconferenza dal carcere de l’Aquila). Una presenza massiccia che in qualche modo "risarcisce" questo dibattimento dei troppi anni di silenzio caduti sulle vicende del clan approdato alla ribalta dei media italiani e stranieri soprattutto grazie al successo planetario di Gomorra di Roberto Saviano. Lo scrittore ha voluto essere presente in aula al momento della sentenza, così come i procuratori aggiunti Franco Roberti e Federico Cafiero - che ha condotto le indagini e il dibattimento di primo grado - i quali hanno ascoltato il verdetto accanto al pg Francesco Iacone.

"La sostanza della sentenza di primo grado è confermata, tranne qualche punto che mi riservo di valutare. Le attenuanti generiche sono state concesse solo agli imputati che hanno ammesso i fatti e hanno confessato", ha commentato a caldo il pg Iacone. Poco più di un anno è durato il processo di appello, anche se non sono mancati intoppi e momenti di tensione. Soprattutto quando alcuni boss, in una istanza presentata nel tentativo di spostare il processo in altra sede in base alla legge Cirami, indirizzarono esplicite minacce a Saviano, all’ex pm Raffaele Cantone, e alla giornalista del quotidiano ’Il Mattino’ Rosaria Capacchione. Il processo ricostruisce, in particolare, una serie di omicidi avvenuti negli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta, dalla uccisione del boss Antonio Bardellino alla scalata del gruppo di Sandokan ai vertici della cosca, allo scontro sanguinoso con la fazione dei De Falco e dei La Torre.

Omicidi ai quali il clan ricorreva solo in casi estremi (non è casuale il fatto che diversi siano stati realizzati col sistema della lupara bianca), preferendo agire sotto traccia che è poi il sistema migliore per realizzare indisturbati affari dagli ingenti guadagni. I Casalesi, che prendono nome da Casal di Principe, in provincia di Caserta, dove risiedeva Francesco Schiavone, rappresentano l’esempio più concreto e evidente della cosiddetta "camorra imprenditrice", che reinveste in attività lecite i proventi degli affari illegali (estorsioni, ma non solo), che si infiltra nelle amministrazioni pubbliche, che riesce ad esercitare un controllo assoluto su interi settori economici (calcestruzzo, imprese edili e movimento terra, allevamenti bufalini, distribuzione).

E che negli scorsi decenni ha lucrato con lo smaltimento illecito dei rifiuti, provenienti soprattutto da aziende del nord Italia. La fase finale del processo di appello è coincisa con una impennata di delitti attribuiti al clan che hanno fatto parlare gli inquirenti di un preoccupante "salto di qualità" e di "strategia stragista". Vittime i collaboratori di giustizia e i loro familiari, gli imprenditori che hanno trovato il coraggio di ribellarsi al racket, e uccisi in questa sorta di guerra preventiva scatenata forse per scongiurare il "pentimento" di altri boss. Si è trattato di una escalation terribile: il 2 maggio a Castelvolurno è stato ucciso Umberto Bidognetti, 69 anni, padre del pentito Domenico che pochi giorni prima aveva detto "la camorra è il male assoluto e i camorristi solo dei semplici buffoni"; il 16 maggio viene ammazzato l’imprenditore Domenico Noviello, testimone di giustizia, punito per aver denunciato nel 2001 gli estorsori; il 30 maggio per miracolo sfugge al piombo dei killer Francesca Carrino , 25 anni, nipote della "pentita" Anna Carrino che aveva lanciato in tv un appello contro la camorra; e il primo giugno proprio a Casal di Principe i sicari uccidono il 47enne imprenditore Michele Orsi, colpevole di aver testimoniato contro gli esponenti del clan.

Da La nuova ecologia


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